Il
Trattato Transpacifico TTP, fratello del Transatlantico TTIP, ne ha
anticipato la “sostanza”. Tra i due oceani gli Usa tentano di
rimettersi al centro e al vertice del mondo. Libero scambio e
produzioni belliche. Come si esce dalla stagnazione secolare. La
risposta dei movimenti.
Berlino, 10 ottobre 2015
Un fiume di manifestanti (100 o 250mila)
contro il TTIPA Miami, il 19 ottobre, è iniziata una nuova tornata delle trattative tra Unione europea e Stati Uniti per definire il Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), un accordo di libero scambio chiamato anche Grande Mercato Transatlantico. L'Europarlamento ha approvato delle raccomandazioni d'indirizzo, con qualche “paletto invalicabile”. Quando si arriverà al documento finale, i rispettivi parlamenti dovranno accettarlo o respingerlo in toto.- Contro il TTIP si è manifestato un ampio movimento in tutta Europa, con significative differenze di partecipazione da Paese a Paese. Forte è l'avversione alle basi stesse del patto.
- Nel frattempo, il 5 ottobre, si sono conclusi i lavori del Trans-Pacific Partnership (TPP), il fratello orientale del TTIP, di cui sono protagonisti Stati Uniti e Giappone. Esso anticipa le reali implicazioni politiche, economiche e militari di quello occidentale.
Inclusi
ed esclusi
Del
TPP1
non si conosce ancora il testo conclusivo. L’accordo
è stato raggiunto fra i rappresentanti di Australia,
Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda,
Perù, Singapore, Vietnam e Stati Uniti.
Non vi fanno parte: le due Coree, le Filippine, la Cambogia,
l'Indonesia e soprattutto la Cina. Anche l'India è fuori: non è un
Paese del Pacifico.
In
Europa dal TTIP
la
grande esclusa è la Russia. Pertanto, le esclusioni possono essere
lette come frontiere poste verso Nord-Est, sia dal versante europeo
che da quello asiatico, da un protagonista unico di ambedue i
trattati: gli Stati Uniti.
Shinzo
Abe, primo ministro giapponese, ed il presidente statunitense
Obama hanno cambiato radicalmente atteggiamento verso le finora
lodate riforme economiche della Cina e le opportunità offerte
dall'apertura del suo mercato. Fino a qualche anno fa la svolta
cinese era esaltata come una vittoria epocale del capitalismo e della
civiltà. All'euforia è subentrato il timore che il proprio
capitalismo (nord-americano e giapponese) non sia surclassato da
quello altrui (cinese). E, più in generale, che il mondo diventi
multipolare, con un ruolo rilevante degli emergenti a detrimento
della supremazia di Usa, Giappone ed Unione europea.
Sicché,
dietro la stanca retorica della globalizzazione, la cui fase di
espansione è data per finita, si pratica l'egemonia di potenza, con
quel che ne consegue. Se non siamo di fronte ad una riedizione della
vecchia politica “di contenimento” nord-americana, poco ci manca.
Di certo le esclusioni fanno parte di un disegno globale di
Washington.
Sembrava
che i vecchi muri fossero caduti. Sia la Russia che la Cina avevano
aderito al capitalismo e alla globalizzazione. Perché, allora,
vengono tenute fuori dai due trattati? Non per via del comunismo.
Notoriamente
la ripresa della “guerra fredda” verso la Russia ha già
comportato conseguenze pesanti in Ucraina e in Siria. È lecito
chiedersi se l'intendimento statunitense non sia di trascinare a una
simile deriva anche la Cina.
Escludere
un Paese, costringerlo nel ruolo di avversario, alla bisogna
tramutabile in nemico, definisce un campo di alleanze politiche che
si estende dall'economico al militare (o, in Europa, dal militare
Nato all'economico). Serve a contenere chi è “fuori” ma anche
chi è “dentro”. Al partner debole e “minacciato” si offre la
“benevola protezione” dell'amico più forte ed armato. In questo
modo i conflitti commerciali, valutari, economico-finanziari
rientrano, o vengono ricondotti, nelle alleanze politico-militari
degli Stati. Con queste premesse, tuttavia, si mettono in moto tutti
i meccanismi che possono sfociare nelle guerre aperte.
Inoltre,
è pur vero che «Più in generale, sia il Ttip
che il Tpp mirano a contenere il tentativo dei Brics di creare un
blocco economico alternativo a quello occidentale.»2
Ma, in effetti, i neutrali, se desiderosi di non essere
coinvolti nelle contese, vengono spinti a scegliere, a schierarsi,
magari a dividersi. In questo caso sono i BRICS3,
i Paesi emergenti, ai quali appartengono i due grandi esclusi dai
due Trattati, a venire presi di mezzo.
Globalizzazione
senza adrenalina
Al
Fondo Monetario Internazionale (Fmi) c'era un moderato ottimismo che
alimentava analisi e proiezioni dei vari think tanks locali,
anche governativi, come l'ICE [vedi grafico].
Fonte ultima: "L'Italia nell'economia internazionale" Rapporto ICE 2014.2015 |
Riferisce
ilSole-24ore del 28 settembre: «Una crescita del 3,3% per
quest'anno non è più realistica. E neppure del 3,8% per l'anno
prossimo. Resteremo sopra il 3%, comunque», secondo Christine
Lagarde. E aggiunge: «Il 3% viene considerato dagli economisti la
soglia al di sotto della quale l'economia mondiale è in recessione.»
Nel contempo l’Organizzazione
mondiale del commercio (Wto),
ha rivisto al ribasso le stime sugli scambi per l’anno in corso
2015: invece del 3,3% la crescita sarà del 2,8%, la più bassa sin
dal 1982.
Secondo
i libero-scambisti, tra cui Fabio Scacciavillani,4
il TPP
è un'iniezione di adrenalina ed apre la strada ad un nuovo periodo
di espansione. Abbatte inefficienze e soffoca privilegi, nella misura
in cui elimina dazi e protezioni lobbistiche, introduce standard
comuni per l'ambiente, i diritti intellettuali e dei lavoratori.
Non
è qui il momento per ribattere nei particolari, sebbene non si
scorgano segni di deterioramento protezionistico.5
Vale
constatare, in generale, che nei decenni trascorsi la globalizzazione
liberista ad alta densità finanziaria ha generato una crisi epocale,
mentre i privilegi sono esplosi, i diritti dei lavoratori sono stati
calpestati e le inefficienze, commisurate ai costi sociali ed
ambientali su scala globale, hanno assunto dimensioni disastrose.
Interessa
piuttosto mettere in evidenza che le economie avanzate (ex economie
industriali avanzate) si reggono oramai prevalentemente sui servizi
che rappresentano più di due terzi del loro Pil. Al contrario la
quota dei servizi nel commercio mondiale si attesta attorno al 20%,
mentre il restante 80% è dovuto agli scambi di manufatti e materie
prime che coprono “solo” il 16% del Pil mondiale.6
Questo
è il punto vero, se si vuole ristabilire la supremazia dei Paesi
post-industriali, occorre liberalizzare i settori in cui sono più
forti: finanza ed assicurazioni, ma anche sanità, trasporti, servizi
legali, software, telecomunicazioni, commercio on-line. Aggiungerei,
giusto per non tralasciare l'espansione illimitata del business,
anche le acque, ça
va sans dire da
privatizzare.
Tutto
fila secondo un semplice ragionamento: ciò che fa bene a noi (a
tutti noi?), fa bene al mondo intero (alla maggioranza dei popoli del
mondo?).
Metafisica
liberista
Senonché
le enormi emissioni quantitative di moneta da parte delle banche
centrali7
non sono state e non sono delle misure di semplice rivitalizzazione
delle economie, a dispetto delle quali il Pil mondiale crolla. Esse
si iscrivono nella lotta ingaggiata sul piano valutario per
sostenere, deprimendo i propri tassi di cambio, le rispettive
posizioni nelle guerre commerciali in pieno svolgimento.
Questa
è la realtà. Prova ne sia che la locomotiva tedesca, anche per lo
scandalo Volkswagen partecipe delle contese esportative, si è
inceppata in una «guerra di valute che non conosce sosta».8
Peraltro, non può sfuggire la stretta relazione tra surplus
commerciale tedesco e crescita dei consumi cinesi, per cui venendo
meno questi ultimi, anche il modello tedesco orientato all'export ne
risente grandemente. Destini incrociati: colpendo gli uni si mettono
i bastoni tra le ruote all'altro.
Alle
guerre valutarie e commerciali, che investono petrolio e materie
prime, si associano quelle militari.9
Checché ne dicano i cantori del libero-scambio, l'esclusione della
Cina dal TPP,
accompagnata dal riarmo giapponese, assume un ben preciso significato
nella lotta per l'egemonia mondiale, affatto pacifico e libero da
vincoli statali.
Per
comprendere il reale portato dei Trattati commerciali in itinere
si ricorre sempre più alla politica, alla geografia e alla
geopolitica.
Gioverebbe
non trascurare la storia.
Giusto
per fare un esempio storico: Bretton Woods. Ha scritto Benn Steil:
«Negli anni trenta e quaranta gli Stati
Uniti contrastavano le pressioni del mercato sul dollaro attraverso i
cambi fissi, mentre oggi cercano di compensare le pressioni di segno
opposto sulla loro moneta facendo fluttuare i cambi. Gli Usa non
erano coinvolti negli “squilibri globali” quando, negli anni
quaranta erano un paese fornitore, ma lo sono molto ora, come paese
cronicamente in disavanzo. Il denominatore comune dei due periodi è
un dollaro debole per aiutare gli esportatori americani e proteggere
i produttori dalla concorrenza di altri paesi.»10
L'odierno
attaccamento tedesco all'euro, un sistema di cambi fissi
intra-europeo, ha bisogno di ulteriori spiegazioni?
Manifestazione pacifista in Giappone |
L'economia
di Shinzo Abe
Il
primo ministro giapponese è noto per la Abenomics, ossia per
il Quantitative easing della Banca centrale nipponica, in
concorrenza-rivalità con le emissioni quantitative di moneta delle
altre banche centrali dei Paesi ricchi.
Meno
nota è la sua propensione al riarmo.
In
pieno accordo con gli Stati Uniti, nel 2015 la spesa militare del
Giappone è salita a 36 miliardi di euro, la più alta dalla fine
della guerra mondiale. Tokyo prevede un budget per le spese militari
di circa 25 trilioni di Yen, (circa 250 miliardi di Dollari), nel
periodo 2014-2019.11
Parallelamente,
il governo nipponico reinterpreta la costituzione all’articolo 9,
che afferma la “rinuncia perpetua alla guerra come mezzo di
risoluzione delle dispute internazionali” (in Italia l'art. 11
afferma lo stesso principio: è il forzato pacifismo postbellico
degli sconfitti) e proclama l'adozione di un nuovo “pacifismo
attivo”. Per non lasciare nulla al caso, annuncia di volere ridurre
il quorum necessario alle modifiche costituzionali (art. 96)
dai due terzi attuali al 50% dei voti.
Washington
ha lavorato, da un lato, per il libero scambio e l'apertura
concorrenziale dei mercati con le esclusioni di Russia e Cina, e,
dall'altro, affinché il Giappone assumesse un ruolo militare
primario in estremo Oriente. In Europa è la Nato a svolgere il
ruolo, senza che sia necessario armare la Germania.
Liberismo
militare
Poiché
negli ultimi decenni il centro mondiale dell'espansione capitalistica
si è spostato ad Est, qual è il significato dell'imperativo
ricorrente negli States:
“Anyone but not China”12?
Nell'esclusione
si può intravvedere una scelta economica e, al tempo stesso,
politica e militare, approfittando dei una fase di passaggio della
Cina [Vedi riquadro “TPP: il triangolo
noo...”].
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TPP:
il triangolo noo...
«Per
capire quanto sia stato usato il negoziato per escludere la Cina si
può ricordare quanto si sia rovesciata su se stessa la politica del
primo ministro giapponese Shinzo Abe nei confronti di Pechino. E, in
maniera anche più decisa, quella dell'Amministrazione Obama, passata
dal tradizionale favore verso l'intero corso pluridecennale delle
riforme economiche cinesi alla presa di distanza delle stesse, viste
ora caso per caso, come favorevoli o dannose per la potenza degli
Stati Uniti. (...)
«Americani
e giapponesi, anticipando una durata non piccola del tempo di
cambiamento, scommettendo dunque sulla fase di attesa, cercando di
guadagnare posizioni nei confronti dei cinesi accumulando vantaggi,
come quelli consentiti dalla nuova configurazione data dal Trattato
appena approvato agli scambi entro l'area demarcata dal nuovo
accordo. Escludendo la Cina anticipano quello che avverrà nel futuro
prossimo, ovvero la volontà di Pechino di fondare la prossima fase
di crescita sulla domanda interna, portata avanti dal processo di
redistribuzione verso i lavoratori.
Americani
e giapponesi ritengono inoltre di poter fare a meno, almeno in parte,
della domanda cinese per i propri beni di consumo e di investimento.
(…)
Si
potrebbe però vedere un ulteriore significato nell'atteggiamento di
americani e giapponesi: mettere in rilievo la minaccia cinese per
giustificare la costruzione di un super-avanzato settore della difesa
in Giappone e negli Stati Uniti, a sostituire in parte il ruolo
tradizionalmente svolto dai consumi e dagli investimenti fissi.
La
crescita del commercio internazionale è ormai da qualche anno
inferiore ai tassi di sviluppo del prodotto lordo globale. Si
pensa che comunque ormai la fase di veloce globalizzazione si sia
conclusa e leader come Shinzo Abe avviano ormai anche in Giappone la
sostituzione del settore del commercio con quello dell'industria
degli armamenti
[grassetto
mio],
facendo notare l'appropriatezza della fase storica, quando un paese
come il Giappone deve temere una politica di potenza attiva da parte
della Cina.
Nello
stesso modo è probabile che in un veloce riarmo cinese la leadership
di Pechino possa anch'essa trovare una risposta alla caduta del tasso
di sviluppo, sceso a tassi ormai ridotti al confronto di quelli dei
decenni precedenti.
Allora
tutto bene? (…) Può essere che la nuova autostrada non presenti
ostacoli ma potrebbe accadere il contrario. Tenendo a mente che se il
prezzo da pagare per il nuovo equilibrio è una nuova corsa agli
armamenti, potrebbe alla fine rivelarsi troppo alto.»
Marcello
De Cecco
Estratti
da “L'asse del Pacifico senza la Cina – Usa, Giappone, Cina: il
triangolo non c'è”, la Repubblica Affari&Finanza, 12/10/2015.
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Nel
lasso di tempo che Pechino impiegherà a reindirizzare il proprio
sviluppo verso il mercato e la domanda interni, la risposta alla
crisi di sbocco del capitalismo avanzato del tandem Usa-Giappone,
sembra puntare sull'industria degli armamenti per sostituire almeno
in parte “consumi ed investimenti fissi”.
Trascinata
nella contesa anche grazie al TPP,
la Cina sarebbe spinta a sua volta ad optare per una corsa al riarmo
(non mancano propensioni in tale direzione nella leadership
cinese13),
rimandando sine die
la redistribuzione verso i lavoratori ed il conseguente allargamento
dei consumi interni. Ovvero a preferire i cannoni al burro.
Pertanto,
Washington e Tokio conseguirebbero molteplici obiettivi: uscire
dalla crisi e dalla “stagnazione secolare”; rinsaldare la propria
alleanza egemonica nel Pacifico, riarmando il Giappone e ponendolo a
presidio dell'area; sub-ordinare i Paesi amici; costringere il
governo cinese a disattendere le promesse della “società
armoniosa”, già oggi scossa da una diffusa conflittualità
sociale.
Sicché
il liberismo uscirebbe dalla propria crisi, rilanciandosi nel
liberoscambismo transoceanico e finalizzando le commesse di Stato
(alle cui risorse non rinuncia mai, in barba ai propri declamati
principi) agli investimenti bellici high
technology,
ad alta tecnologia.
Non
è una novità: negli anni ottanta del novecento questa strategia fu
adottata con successo da Reagan, campione di liberismo, che, contando
su una reazione pavloviana dell'Urss, dominata dalle aspirazioni
egemoniche mondiali della sua dirigenza e dalla sua prevalente
industria pesante, fu indotta a preferire al burro i cannoni.
Contesti
mutati
Ma
le reazioni cinesi non sono affatto scontate, né lo sono le chances
degli Usa di poter reggere il gioco a lungo e in modo compatto. La
Cool War14,
la “guerra fresca” appare come un equilibrio solo teorico tra
convivenza e scontro, un desiderata, al termine della quale la
supremazia mondiale della superpotenza unica verrebbe riconfermata.
Intanto,
l'interdipendenza tra le due economie, le più importanti sul piano
globale, è assai forte.
Alla
base dello sviluppo convesso, rivolto alle esportazioni, ci fu uno
sviluppo concavo, capace cioè di attrarre investimenti e di
cointeressare ingenti capitali stranieri, anche statunitensi,
nell'andamento dell'economia cinese. Annota Rampini:
«L'establishment economico-finanziario degli
Stati Uniti ha sempre avuto una visione più positiva della Cina
rispetto al Pentagono e al Dipartimento di Stato.»15
La Cina ha in portafoglio la cifra record di circa 1.300 miliardi di
dollari di debito americano.
Muovendosi
per tempo, il governo cinese ha preso le sue contromisure, come il
Corridoio economico
Cina-Pakistan (Cpec), l'estensione delle relazioni di
scambio bilaterali, il fondo di sviluppo Asian infrastructure
investiment bank (Aiib) con sede
a Shanghai (57 Paesi aderenti). Rinnovata è l'attenzione verso
l'Europa, rafforzata dall'adesione dei più importanti Paesi europei
alla Aiib.
Inoltre,
la Cina ha mostrato a più riprese di volere e saper sfuggire alla
logica del confronto-scontro, seguendo una linea defilata nelle
relazioni internazionali, non per questo meno “insidiosa” per la
supremazia occidentale.
Due
movimenti?
Sinora
la critica del movimento europeo al Grande Mercato Transatlantico è
stato incentrata sui contenuti (il peggioramento degli standard di
consumo e servizi) e sugli istituti di “arbitraggio”, chiamati a
farne rispettare le regole, peraltro in via di definizione. Nonché,
più radicalmente, sui presupposti libero-scambisti e liberisti e sul
metodo con cui i negoziati vengono condotti, a porte semi-chiuse.
I
negoziati, per parte europea, sono condotti sotto la responsabilità
di un tecno-burocrate di Bruxelles, Mr.
Ignacio Garcia Bercero, e di
Cecilia Malmström commissaria per il commercio, la quale ha
dichiarato: «Io
non prendo il mio mandato dal popolo europeo»,
per dire che prende ordini solo dai governi.
Dato
lo stuolo di lobbisti affaccendati attorno ai negoziati, è dubbio
che anche alle multinazionali sia proibito di mettere il becco.
Infine,
richiamo l'attenzione su uno “strano” fenomeno: il movimento
contro il TTIP registra una partecipazione ed una
sensibilità diversa nei Paesi europei16,
assai marcata al Centro e via via più debole nelle Periferie. E
proprio nei mesi in cui, con forza inversamente proporzionale, più
spiccata nelle Periferie rispetto al Centro, si è manifestata
l'opposizione all'austerità dell'Europa di Bruxelles.
Quasi
due movimenti.
Eppure,
a ben vedere e con le ovvie differenze tra i due ambiti, le ragioni
di fondo sono le stesse: per il welfare ed i diritti sociali,
in difesa dell'ambiente e della salute, contro l'austerità; contro
le oligarchie e il liberismo, per la democrazia e la sovranità
popolare.
Berlino, 10 ottobre 2015 La bomba TTIP è collocata nella sede del Parlamento |
Certo,
un conto è dover subire immediatamente sulla propria pelle le
imposizioni dei creditori, un altro paventare l'impatto di un
trattato ancora imprecisato e futuro.
Vi
si può scorgere pure la difficoltà di comprendere problemi
complessi ed apparentemente lontani. D'altro canto, l'opacità delle
trattative è pensata per far passare tutto alla chetichella, “come
se nulla fosse”, tra tecnicismi decifrabili solo dai soliti
“esperti”.
Per
superare tali difficoltà, riappropriarsi dell'informazione e del
dibattito politico serve la Rete, mezzo al quale è più agevole
ricorrere in Germania, Francia o Inghilterra. Anche le modalità
dell'inaspettata ascesa di Corbyn nel
Labour inglese stanno a dimostrarlo.
Due
cose appaiono certe:
- il TPP ha già anticipato il senso politico e annunciato la “sostanza” del TTIP prossimo venturo; dall'Oriente all'Occidente, in legame di interessi;
- il TTIP non farà che peggiorare le condizioni dei popoli dell'Eurozona ancor più nelle sue Periferie, in Grecia, Spagna ed Italia.
E
tra i due movimenti si dovrà trovare la via del dialogo e della
compenetrazione, se si vorranno fare significativi passi avanti nella
direzione auspicata da entrambi.
1
Viene usato anche l'acronimo TTP.
2
Walden Bello,
“Ttip e Tpp sono soprattutto strumenti geopolitici”,
http://www.sbilanciamoci.info,
17/10/2014.
3
Acronimo per: Brasile, Russia, India, Cina, SudAfrica.
4
Fabio Scacciavillani, Gli opposti estremismi contro il Ttp tra
America e Asia, Il Fatto Economico, 21/10/2015, pag. 17.
5
Uri Dadush, Perché il commercio mondiale è in crisi, L'Espresso,
2/09/2015: «Vari
esperti hanno verificato gli indicatori di un possibile nuovo
protezionismo, e tra questi i dati e le statistiche del segretariato
dell’Organizzazione del commercio mondiale, della Banca mondiale e
dell’ong Global Trade Alert. Non hanno trovato prove di un
deterioramento generalizzato.»
6
Fabio Scacciavillani, ibidem.
7
Il
Quantitative easing della Fed americana, della Banca Centrale
Europea (in corso) e della Banca
Centrale del
Giappone(BOJ)
detta “Abenomics”.
8
Marcello Minenna, Corriere Economia, 19 ottobre 2015, pag. 11.
9
Vedi anche in questo Blog: “Petrolio & Bombe”.
10
Benn Steil, La battaglia di Bretton Woods, Donzelli, 2015 (2013),
pag. 136.
11
http://www.geopolitica.info/riarmo-del-giappone/
12
Traducibile in: Chiunque ma non la Cina.
13
Nel 2014 il bilancio militare cinese è salito a 132 miliardi di
dollari (+ 12% rispetto al 2013).
14
Noah Feldman, Cool War, il Saggiatore, 2014 (2013).
15
Federico Rampini, L'ossessione americana per i sussulti
dell'Oriente, La Repubblica Affari&Finanza, 19 ottobre 2015,
pag. 13.
16
A. Canonne e J. Tyszler, Gli europei sfidano il libero scambio, Le
Monde diplomatique – il Manifesto, ottobre 2015, pag. 15.
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