giovedì 25 febbraio 2016

Cul de sac

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Cul de sac

Deflazione – Burro & Cannoni – L'Europa sognata e quella che c'è – Come si è formata – Poteri oligarchici contro democrazia e sovranità in legame.
  • Tre punti di vista (De Cecco, Panebianco e Varoufakis) su aspetti diversi della crisi si offrono ad una visione critica d'insieme.
  • Colta dal “mal sottile” della deflazione, la ripresa degli zero virgola invoca un'Europa di cui non c'è traccia.
  • Servirebbe l'Europa Politica. Per farla valgono più i cannoni del burro?
  • Democratizzare l'Unione con un movimento pan-europeo transnazionale?
  • Divisioni economiche, muri e spinte disgregative esigono una risposta.
La malattia
Com'è noto negli anni successivi ai crolli in sequenza dei mutui subprime e di Lehman Brothers (2007-2008), l'Italia è andata in recessione per due volte [vedi grafico "Andamento del PIL in Italia 2007-2015"] e ha perso un quarto della sua struttura industriale.

In realtà, il crack finanziario internazionale venne ad accentuare una crisi strutturale nazionale in fase acuta, derivante in particolare dalla adozione della moneta unica e dall'impossibilità di adeguare il cambio (svalutando se necessario) alla nostra economia.
Fatto sta che, dato il ritorno di una congiuntura mondiale sfavorevole ed i limitati effetti del Quantitative easing della Banca Centrale Europea (che svaluta l'euro), l'attuale pur debole ripresa appare sotto la minaccia di una terza ricaduta. La malattia si chiama deflazione1 ed il virus imputato di causarla: “politica del credito”.
Cercando una ricostruzione storica, Marcello De Cecco2 [nella foto] dalle colonne di la Repubblica
spiega che l'adesione a patti e vincoli europei indusse le industrie e il commercio italiani allo “sciopero fiscale”, per cui allo Stato toccò di rimediare alle entrate mancanti «con l'emissione di titoli di debito pubblico per provvedere alle spese e al welfare».
Tralasciando la questione fiscale, si può osservare che l'antecedente “divorzio all'italiana” tra Tesoro e Bankitalia (1981)3 aveva posto le peggiori premesse all'esplosione del debito pubblico, prima della deriva in regime di moneta unica. Inoltre, la riduzione del debito dello Stato, a spese del welfare, fu ripetutamente praticata da diversi governi, attraverso pesanti politiche di bilancio ed avanzi primari piuttosto consistenti. All'inaugurazione dell'anno giudiziario 2016, il presidente della Corte dei Conti, Raffaele Squitieri, l'ha pubblicamente riconosciuto, mettendo in guardia dal peggioramento dei servizi.
A De Cecco, tuttavia, importa tracciare un parallelo tra la situazione di questi ultimi 25 anni e quella in cui si ritrovò il Paese a cavallo tra gli anni venti e trenta dello scorso secolo, in tempi di Gold Standard. Anche in quel frangente il vincolo monetario, della parità aurea, comportò (da parte del Mussolini di “quota 90”4) «l'imposizione di una parità elevata a una struttura industriale venuta ad essere in tempi di svalutazione.» «Con il ritorno al cambio quasi fisso, l'enorme crescita bellica dell'industria entrò in crisi.»
E qui arriva al nocciolo.
Allora la soluzione fu (tardivamente, ndr) trovata, con la riforma del sistema finanziario attuata da Alberto Beneduce, demiurgo della politica economica fascista.
«Il sistema fu messo in piedi come un insieme di banche di proprietà statale, organicamente vigilate dalla Banca d'Italia e da organi statuali. (…) Alle grandi banche fu impedito di mettersi in contatto con la raccolta del risparmio. Come negli Stati Uniti, la loro attività sul mercato delle azioni e delle obbligazioni fu severamente limitata.»
Di quel sistema si avvantaggiò pure l'Italia post-fascista. Ma, secondo De Cecco, era un sistema “chiuso”. Al contrario, negli anni ottanta e novanta, il sistema si aprì e la riforma della finanza europea ridette la stura alla speculazione finanziaria in regime di moneta unica, con la conseguente svendita delle imprese pubbliche e private. Sicché agli industriali italiani non rimase che darsi a loro volta alla finanza.
Per inciso, un esempio tra i tanti può venirci dalla storia personale di Cesare Romiti5, il quale inizialmente si oppose alla moneta unica, per poi felicemente adeguarsi al nuovo contesto di business.
Conclude De Cecco: «Nemmeno Beneduce sarebbe riuscito a salvare la struttura industriale di fronte ad una politica finanziaria europea che voleva la deflazione e la perseguiva con decisi interventi di politica monetaria e finanziaria e con misure di mutamento istituzionale.»
Alla fine della “lezione”, il professore infila una frase “sibillina”: «Si potrebbe chiedere perché nessun altro ha chiesto la fine della politica di attiva deflazione. Nemmeno di fronte al cataclisma scatenato in Siria proprio dalle potenze europee. Ci si aspetta che la deflazione sia la politica adatta al cataclisma della guerra e all'esodo biblico dei popoli.»
In evidenza una duplice connessione: tra deflazione e politica monetaria e finanziaria europea, da un lato, e guerra siriana, dall'altro.
La cura
Muovendo direttamente dalla guerra in Medio Oriente e dal pericolo del terrorismo dell'Isis in Libia, Angelo Panebianco6 [nella foto] dalla prima del Corriere della sera affronta il tema dell'Europa in rapporto all'Italia a partire dalla “sicurezza”.

Nella sua succinta disamina costata innanzitutto: «In Italia, pare, non abbiamo ancora compreso che cosa significhi, per la nostra sicurezza, il declino politico-militare degli Stati Uniti, la loro perdita di influenza in Medio Oriente (e non soltanto).»
Secondo Panebianco siamo impreparati a svolgere il ruolo di leadership in Libia contro l'Isis, a cui ci siamo candidati, e supponiamo il soccorso di un'Europa di cui non si vede traccia.
«Ciò che accade intorno a noi, dovrebbe convincerci di quanto inconsistenti siano le giaculatorie sulla necessità di una “Europa politica”, la quale, come è noto, viene sempre evocata solo quando si parla di euro e di banche. Si dimentica che le unificazioni politiche non si fanno col burro ma con i cannoni. Sono sempre state guerre e minacce geopolitiche a innescarle.»
Benché non tratti di economia, l'indicazione è chiara: si smetta di invocare inutilmente l'Unione Politica a partire dalla moneta e dalle sofferenze bancarie (il “burro”?); si privilegi, invece, il terreno della sicurezza, del militare, perché le unificazioni politiche si fanno con i cannoni o non si fanno affatto.
Un dilemma italiano ricorrente
Non è più in discussione una singola pur importante spesa, qual era quella degli F-25: qui si invita il Paese ad imboccare una soluzione politica generale. È evidente, infatti, che una Unione europea capace di farsi finalmente Politica, adottando questa priorità bellica trascinerebbe con sé, adeguandole, anche le sue sub-ordinate economiche.
Proprio l'articolo di De Cecco, citato poc'anzi, riferisce dell'“enorme crescita bellica dell'industria” dovuta all'entrata dell'Italia nel primo conflitto mondiale, sulla cui “necessità”, costata più di 600mila morti in combattimento, il professore non avanza critiche anche al fine del completamento dell'unità nazionale.7
In ogni caso, i cannoni (ai tempi coloniali si chiamavano “cannoniere”) sarebbero imburrati a dovere per le componenti economico-sociali in grado di trarne vantaggio, lasciando a tutti gli altri i disastri conseguenti. La storia d'Italia e d'Europa è, a tale proposito, assai illuminante...
Qui si fa l'Europa Politica o si muore!
La tesi è sviluppata da un'angolatura totalmente diversa da Yanis Varoufakis in un'intervista volta a presentare la sua proposta di un nuovo soggetto politico, la “Democrazia nel Movimento Europeo 2025 (Diem 2025)”.8 [Vedi “Sostiene Varoufakis”.]
Poiché singoli e non sincronizzati partiti, come Syriza e Podemos, dalle rispettive posizioni nazionali hanno mostrato di non poterla imporre e, al tempo stesso, non è possibile il ritorno alle condizioni antecedenti gli accordi di Maastricht, Varoufakis propone un movimento paneuropeo transnazionale. Ad esso il compito di democratizzare l'Ue, dall'alto verso il basso; ciò che solo dal basso non è riuscito al governo Tsipras di cui faceva parte.
Nei casi in cui prevalesse il ritorno alle monete nazionali e agli Stati-nazione, o fallisse la democratizzazione, sarebbe la catastrofe mondiale. Questo è il quadro prospettico dipinto nell'intervista.
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Sostiene Varoufakis

L'intervista rilasciata a Nick Bruxton in pillole. [Sottolineature mie.]
  • Le istituzioni dell'Unione europea a Bruxelles (la Banca centrale europea e altre) sono «state create progettualmente come zone aliene alla democrazia».
  • «(...) l’intera attività di Bruxelles è basata su un processo di depoliticizzazione della politica che consiste nel prendere quelle che sono essenzialmente decisioni profondamente e irrevocabilmente politiche e forzarle nel regno di una tecnocrazia dominata dalle regole (…).»
  • « (…) Questo è quel succede quando si abbandona un processo politico a favore di un processo dominato da norme: finiamo con un processo di depoliticizzazione che porta a politiche tossiche e ad una cattiva economia.»
  • «(...) diversamente dagli Stati statunitense, tedesco o britannico che sono emersi da secoli di evoluzione, attraverso i quali lo Stato si è evoluto come strumento funzionale per risolvere diversi generi di conflitti sociali, l’UE ha seguito una strada diversa.»
  • L'euro è stato introdotto con il Trattato di Maastricht. «Ma nel momento in cui hanno fatto ciò (senza disporre di alcun modo per gestire politicamente questa area monetaria), improvvisamente il processo di depoliticizzazione della politica (che era sempre stato parte integrante dell’Unione europea) è divenuto estremamente potente e ha cominciato a distruggere la sovranità politica.»
  • «(...) siamo riusciti a costruire un mostro in Europa, dove l’eurozona è supremamente potente come entità, ma in nessuno ha veramente il controllo. Le istituzioni e le regole che sono state poste in essere al fine di conservare l’equilibrio politico che ha avviato l’intero progetto dell’euro paralizzano qualunque attore che ha qualcosa a che fare con la legittimazione democratica.»
  • «Non c’è alcuna differenza in termini dell’importanza del settore finanziario e della sua tirannide sulla democrazia tra gli Stati Uniti e l’Europa, ma la differenza è che negli USA c’è un insieme di istituzioni che sono meglio capaci di gestire crisi come queste e di evitare che si trasformino in una crisi umanitaria. Gli statunitensi hanno appreso le loro lezioni negli anni ’30.» 
  • «(...) l’idea tornare allo Stato-nazione per creare una società migliore per me è sciocca e implausibile. (…) È vero che l’euro è stato un disastro. (…) Ma, detto questo, c’è differenza tra dire che non avremmo dovuto creare l’euro e dire che ora dovremmo uscirne. (…) uscire non ci riporterà a dove eravamo prima o a dove saremmo stati se non fossimo entrati.»
  • «Uscire dall’euro significherebbe una nuova moneta, il che richiede quasi un anno da introdurre, per poi svalutarla. (…) Sarebbe catastrofico (...) Tutte le economie ad est del Reno ed a nord delle Alpi finirebbero in depressione ed il resto dell’Europa sprofonderebbe in una stagflazione economica caratterizzata da elevata disoccupazione e inflazione. Potrebbe addirittura scoppiare una nuova guerra (…) l’Europa farebbe ancora una volta affondare l’economia mondiale. La Cina sarebbe devastata (…) e la fiacca ripresa statunitense svanirebbe. (…) Eventi di questo tipo non vanno mai a vantaggio della sinistra. Saranno sempre gli ultranazionalisti, i razzisti, i fanatici ed i nazisti a trarne profitto.»
  • «L’Europa può essere democratizzata? Sì, penso di sì. (…) Penso che il processo di democratizzazione abbia pochissime possibilità di successo. Nel qual caso avremo una disintegrazione ed un futuro molto cupo. (…) Ma quando si tratta di società e di politica abbiamo un dovere morale e politico di essere ottimisti (…).»
  • «La sovranità dei parlamenti è stata dissolta dall’eurozona e dall’Eurogruppo; (…) perciò qualsiasi manifesto rivolto ai cittadini di un particolare Stato membro diventa un esercizio teorico. (…) Così, invece di passare dal livello dello Stato-nazione a quello europeo, abbiamo pensato che dovevamo fare l’inverso; che dovevamo costruire un movimento paneuropeo transnazionale, (...)»
Da “Democrazia, potere e sovranità nell'Europa di oggi” 29 gennaio 2016
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Sarebbe scorretto ed ingeneroso attribuire a Varoufakis idee ed intenzioni che non ha.
Yanis Varoufakis
Forse la sua critica all'attuale Unione può essere ritenuta insufficiente o incompleta, quando sostiene che nessuno la controlla. Inoltre, il rischio di naufragio del Titanic-euro potrebbe non dipendere dalla saldezza del comando di cui sarebbe privo, ma dalla struttura stessa della nave e dalla rotta intrapresa.
Forse la sua disamina sulle conseguenze di un ritorno alle monete nazionali appare troppo deterministica, nonché priva di riscontri storici.9 Ed è contraddetta dai fatti l'affermazione che gli statunitensi abbiano imparato dalla lezione del '29, visto il crollo del 2008 e le successive inconsistenti limitazioni allo strapotere della finanza.
Di certo incorre in una contraddizione logica allorché sostiene che l'uscita dall'euro non riporterebbe “a dove eravamo prima”, pur riportandoci sicuramente alla stagflazione, ovvero esattamente alla stessa malattia di cui soffriva tutto il capitalismo occidentale, “prima” della mondializzazione finanziaria, dell'avvento del liberismo e della moneta unica.
Tuttavia, una riflessione s'impone attorno all'imperativo morale di fare l'Unione Politica (democratica, of course), traendola dal pantano in cui è finita.
È da capire come alla sovranità ceduta, sottratta o derubata ai popoli degli Stati-nazione, possa succedere una conquistata sovranità del popolo europeo ed in virtù di quale percorso d'identificazione politica.
Nel caso dei cannoni anteposti al burro tale percorso appare chiaro, sebbene non auspicabile né facile. Da chiarire quello indicato dal movimento paneuropeo transnazionale.
Varoufakis ci soccorre:
«Quando chiedo ai miei amici Tory: “Ma e la Scozia? Gli scozzesi non sono una nazione vera? E in tal caso non dovrebbero avere uno Stato e una moneta separate?”, la risposta che ottengo assume la forma seguente: “Naturalmente ci sono una nazione scozzese, gallese e inglese e non c’è una nazione britannica, ma c’è un’identità comune, forgiata come esito di guerre di conquista, partecipazione all’impero e via di seguito”. Se questo è vero, e può esserlo, allora è possibile dire che nazionalità diverse possono essere legate da un’identità comune in evoluzione. Dunque è così che mi piacerebbe vederla. Non avremo mai una nazione europea, ma possiamo avere un’identità europea che corrisponda ad un popolo europeo sovrano.»
Ecco, francamente, le concrete modalità sopra descritte, attraverso le quali (il “come”) il Regno Unito ha forgiato la propria comune identità, unendo inglesi, gallesi e scozzesi, non si differenziano affatto dalla Unione europea dei Cannoni e dalla prospettiva neo-coloniale in salsa anti-terrorista.
D'altro canto, se Varoufakis avesse portato l'esempio degli Stati Uniti, di come trovarono la loro identità e il loro stesso territorio nazionale, avrebbe dovuto evocare lo sterminio dei popoli indigeni che lo popolavano, lo schiavismo ed il razzismo, le successive “evoluzioni” rispetto all'America Latina e al resto del mondo, il loro preteso “eccezionalismo”, ribadito anche da Obama10...
Comunque, al fondo di ogni esperienza storica, l'ex ministro delle Finanze greco rintraccia una “evoluzione” degli Stati moderni, della loro sovranità e della loro funzione, che merita un approfondimento oltre i limiti di questo scritto.
Senza controllo
Secondo Varoufakis ci troveremmo di fronte ad una eurozona di cui nessuno ha il controllo.
All'Unione, priva di sovranità (anche intesa “in senso tradizionale”) ed in balia della tecnocrazia della “norma”, solo in apparenza depoliticizzata, corrisponderebbe la sovranità democratica depotenziata dei singoli Stati. Sicché del vuoto di comando e sovranità approfitterebbero le peggiori tendenze (ultra-nazionalismo, razzismo, nazismo), fautrici del ritorno agli Stati-nazione. Una rappresentazione incompleta.
La norma è posta al di sopra delle sovranità democratiche di ciascun Paese: non è affatto un vuoto di potere poiché regge l'esercizio concreto e “dispotico” del potere sopra quelle sovranità, da essa limitate.
Prova ne sia che i posti chiave della tecnocrazia, a rigido presidio della norma, sono saldamente in mano a soggetti agenti per conto di due padroni in stretto legame d'interesse: le oligarchie economico-finanziarie ed i governi degli Stati centrali. Infatti, la cessione di sovranità è asimmetrica, avviene a scapito del potere democratico dei popoli soprattutto (e non solo) dei Paesi periferici, mentre impera la cinghia di trasmissione tra Stati centrali e tecnocrazia della norma, per gestire regole e vincoli a scapito dei deboli.
Nel triangolo Francoforte-Bruxelles-Berlino si è formato un grumo di potere oligarchico, al quale, per tornare al discorso di De Cecco, hanno aderito anche gli ex-industriali italiani che fecero cassa vendendo le loro proprietà e utilmente dedicandosi alla finanza in tempi di moneta unica.
Per democratizzare l'Unione, elevandola ad una superiore identità Politica (si suppone federale), occorrerebbe un simultaneo dirompente moto dell'insieme dei popoli del vecchio continente, accompagnato da forti movimenti e “partiti progressisti” in ciascuno dei Paesi aderenti all'Unione.
L'Europa che c'è
L'Unione e la zona euro al suo interno non si sono costruite semplicemente nell'ambito dei patti economico-monetari o di “libera circolazione”. L'Europa attuale è frutto del modo in cui politicamente si è affermata, allargandosi dal suo nucleo iniziale.
A minarla dall'interno e dall'esterno sono le medesime forze che dal “nucleo iniziale” furono sostenute ed utilizzate per disgregare e dominare, dal Baltico al Medio Oriente, ai Balcani.
In Medio Oriente ed in Africa settentrionale le potenze europee hanno combattuto ogni anelito d'indipendenza e di autonomo sviluppo, favorendo quelle più subalterne ai propri interessi, anche le più retrive ed integraliste sul piano religioso. Insieme agli Stati Uniti non hanno risparmiato a quei popoli devastanti interventi ed invasioni militari; tuttora fanno affidamento su alleati come il Regno dell'Arabia Saudita, la Turchia di Erdogan e l'Egitto di al-Sisi.
Ad Est e nei Balcani sono stati appoggiati gli ultra-nazionalismi, incluse forze apertamente fasciste, riconoscendo le patrie etniche, sospingendole alla guerre inter-etniche, anche in nome dell'identità religiosa. Non caso dalla narrazione europea si cancella in modo sistematico ciò che accadde nella ex-Jugoslavia, fino all'epilogo dell'intervento “umanitario” (che fece migliaia di morti sotto i bombardamenti della Nato) nel Kosovo.
Di conseguenza, a seguito del cataclisma provocato in Siria-Iraq, ora quelle stesse forze erigono nuovi muri di filo spinato, disattendono i patti dell'Unione, addossandone la responsabilità a profughi e migranti, o, dal Kosovo e dalla Bosnia, forniscono foreign figthers al terrorismo dell'Isis.
In questo contesto continentale, si vada dall'alto al basso, o viceversa, poco cambia: ciascuno sta già andando per proprio conto. La prospettiva di democratizzare l'insieme simultaneamente o sincronicamente non è per niente realistica e l'imperativo morale non la rende politicamente tale.
Dulcis in fundo è arrivato l'accordo con il Regno Unito. Già estraneo all'euro, per “restare dentro” all'Unione (referendum alle porte) pattuisce per sé solo uno statuto speciale,11 mentre tutti gli altri continuano a litigare sul “burro” delle misure economiche e sulle immigrazioni.
Giaculatorie
Al di là di ogni giudizio negativo (per parte mia più che mai), anche l'appello a fare l'Europa Politica, anteponendo i cannoni al burro, rischia di essere una inutile giaculatoria.
Pur essendo una delle tre colonne, insieme a Usa e Giappone, su cui poggia la traballante supremazia occidentale sul globo, l'Europa non godrebbe di piena sovranità politico-militare, essendo costretta nelle maglie della Nato e condizionata dalle basi statunitensi disseminate sul continente.
In ogni caso, per dare vita a forze armate europee autonome, non eterodirette dagli Usa, potrebbe fare a meno del riarmo della potenza tedesca?
A tale riguardo Berlino ostenta disinteresse e, come nel caso della moneta unica, dovrebbe essere indotta, “suo malgrado”, ad accettare di riarmarsi dagli altri partners europei.
Chi è disposto a sottoscrivere una tale scelta?
Diversamente, sarebbero le stesse attuali potenze europee (per De Cecco, responsabili del cataclisma scatenato in Siria), ovvero Francia e Regno Unito, a dover reggere l'Europa Politica dei cannoni. Per la Germania una posizione non dissimile da quella che occupa nella Nato, ma che la porrebbe in posizione subalterna all'interno di una Unione di fatto ristrutturata anche sul piano economico-finanziario.
Non l'accetterebbe.

Uscire dal cul de sac
Dalla crisi economica, dalle dicotomie tra Centro e Periferie, dalle liti interne, dalla disgregazione nazionalistica, l'Europa non appare in grado di uscire, né di disporre di una adeguata strategia per farlo.
Non è detto che tutto ciò comporti a breve repentini svolgimenti catastrofici, né che siano in assoluto da escludere novità risolutrici, sulla cui natura, comunque, dovremmo misurarci.
Se, come avviene, ciascun Paese è lasciato a se stesso nel far fronte alle difficoltà generate da una costruzione comunitaria siffatta, si assuma almeno la responsabilità di farlo nel migliore dei modi, disponendo appieno delle proprie risorse.
Innanzitutto, non lasci alle forze ultra-nazionaliste, xenofobe e neo-fasciste il terreno della sovranità nazionale, ma ne affermi il carattere democratico e popolare. Difenda, come nel caso dell'Italia, la propria Costituzione da riforme autoritarie che la depotenzierebbero ulteriormente.

Non permetta a queste stesse forze di far leva sulla disoccupazione e sul disagio sociale: abbandoni in tempo con la moneta unica, l'austerità e la deflazione.
Affronti con coraggio la “parte distruttiva” della vecchia Europa, se vuole effettivamente dare vita alla “parte costruttiva” dell'Europa nuova.

1 Riduzione del livello dei prezzi, accompagnata di solito da flessione dell'attività economica e disoccupazione.
2 Marcello De Cecco, “Deflazione il mal sottile”, la Repubblica Affari & Finanza, 8 febbraio 2016.
3 In questo Blog: “La corda e il nodo scorsoio”, 2/2015.
4 In questo Blog: “Storia recente che parla al presente”, 10/2014.
5 Cesare Romiti, “Storia segreta del capitalismo italiano”, Longanesi, aprile 2012.
6 Angelo Panebianco, “Noi in Libia saremo mai pronti?”, Corriere della sera, 15 febbraio 2016.
7 Angelo Del Boca, (“Italiani, brava gente?”, Neri Pozza Editore, 2005, pagg. 129-130) sostiene che nel 1915 l'Italia, in trattative con Vienna, avrebbe potuto conseguire quel fine senza entrare in guerra, «ma le richieste italiane andavano ben oltre le “aspirazioni nazionali” e contemplavano anche obiettivi imperialistici del tutto estranei alla visione risorgimentale del conflitto.»
8 “Democrazia, potere e sovranità nell’Europa di oggi”, 29 gennaio 2016, intervista di Nick Bruxton del Transnational Institute (TNI), http://www.eunews.it/
9 La svalutazione della moneta, solo per fare un esempio, non comporta affatto una pari inflazione interna, come ha dimostrato Alberto Bagnai (Il tramonto dell'euro, Imprimatur, 2012).
10 Barack Obama, Discorso alla Nazione, 10 settembre 2013.
11 Welfare limitato per gli immigrati anche comunitari; svincolo da qualsivoglia processo di unione politica più stretta; protezione della propria finanza (City) da ogni decisione comunitaria che possa danneggiarla. 

Si fa presto a dire bail-in

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Si fa presto a dire bail-in

Crediti deteriorati e crisi bancarie, ma niente bad bank. Vigilanze inerti. Piccoli risparmiatori truffati. Regole europee sul bail-in, ma rischi nazionali. Spolpamenti.
  • Sia il caso delle 4 banche regionali “sanate” per decreto, sia il fallito tentativo di dare vita ad una “bad bank di sistema” hanno evidenziato problemi strutturali tra Italia ed Europa.
  • Le regole dell'Ue impediscono soccorsi di Stato alle banche nazionali in difficoltà, benché non esista nell'eurozona alcun “schema” comune di assicurazione dei depositi.
  • Il significato politico della mozione approvata dal Parlamento europeo a Strasburgo sul valore di Bot e Btp nei bilanci delle banche.
  • Risparmi garantiti sotto i 100mila euro?
[Per i termini inglesi usati in questo articolo, vedi riquadro dedicato.]
Bad bank bocciata
Il sistema bancario nazionale, non solo a causa della recessione, risulta oberato da una montagna di non performing loans pari al 17,1 % del Pil, contro una media europea del 5,6%.1 Sull'ammontare complessivo di di 360 miliardi di crediti deteriorati, 201 sono in stato di più grave sofferenza.
Al nobile scopo di rimettere le banche nelle condizioni di erogare credito alla “economia reale”, il Governo doveva intervenire. Per quasi un anno ha cercato, dall'Unione europea, il nulla osta per scaricare questi crediti deteriorati in una bad bank. Una sorta di grande pattumiera del “tal quale” privato, con retro-garanzia di Stato (bail-out) e, proprio per questo, bocciato dalla Commissione.
Essa, di contro, ha imposto il rispetto del bail-in, una modalità di gestione dei salvataggi volta a:
  • garantire la parità di condizioni nel mercato concorrenziale;
  • escludere l'impiego di risorse esterne alle imprese coinvolte, senza aver prima dato fondo a quelle interne;
  • escludere, di conseguenza e in questo caso, il ricorso a garanzie pubbliche per coprire fallimenti privati.
Il bail-in è stato sottoscritto anche dall'Italia che ne ha condiviso i tempi di entrata in vigore, sin quando non ha impattato sulle sue banche. Per scongiurarlo, a nulla è valso il richiamo ai “precedenti casi” in cui la Germania ed altri Paesi avevano usato la fiscalità generale per soccorrere, a suon di miliardi, le proprie banche dissestate all'indomani del crack finanziario del 2007-2008 [vedi grafico].
Fondi pubblici dei Paesi europei a favore delle banche
Marco Cobianchi,
http://www.panorama.it/economia/numeri-blog/banche-aiuti-di-stato-salvataggi/
Comunque, al grande pubblico il significato delle nuove regole europee è stato reso chiaro dalle conseguenze del decreto governativo per il risanamento di 4 banche locali dissestate.2
Nel mezzo di rimpalli di responsabilità tra enti tenuti alla vigilanza (Bankitalia e Consob), esercitata nell'occasione in modo assai “opaco”, ben 2,6 miliardi euro sono stati accollati a circa 130mila famiglie, tra cui molte di assai piccoli risparmiatori.
Senonché la loro vibrata protesta ha allarmato la finanza ed il governo, soprattutto per il possibile “effetto domino” derivante dal dilagare della sfiducia. Da qui le rassicurazioni sulla “solidità del nostro sistema bancario”, ripetute con un'insistenza inversamente proporzionale alla loro credibilità.
In conclusione il ministro Padoan ha dovuto contrattare con Margrethe Vertager, la commissaria dell'Unione europea alla Concorrenza, un piano alternativo, di smaltimento “della differenziata” stoccata in “ecoballe”.3
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Parole inglesi
Non performing loans
Si tratta di crediti (loans) per i quali la riscossione appare incerta alla loro scadenza e nel loro ammontare, perciò non performanti (non performing).
Bad bank
Quando una banca è in crisi, perché detiene troppi crediti deteriorati, si sdoppia e crea una “cattiva banca” (bad bank) su cui scaricarli.
Bail-out
Se la garanzia su tale operazione relativa a banche private è data dallo Stato si parla di bail (cauzione) out (esterna).
Bail-in
Se le risorse per coprire il buco provengono dall'interno della banca o dal sistema bancario, si parla di bail-in. È quanto impongono le regole europee, oggi in vigore, alle banche italiane privatizzate dagli anni novanta. In pratica, come nel caso delle 4 banche regionali (Etruria, Marche, Ferrara e Chieti) oggetto del decreto governativo del 22 novembre 2015, vengono azzerati nell'ordine prioritario: le azioni; le obbligazioni subordinate; le obbligazioni normali.
Eventualmente si ricorre al prelievo forzoso sui conti correnti superiori alla “soglia protetta” di 100mila euro.
What if
La proposta di prodotti finanziari (p.e.: le obbligazioni subordinate) dovrebbe dai venditori essere esposta ai risparmiatori, prospettando loro i diversi “scenari di rischio” in relazione ai rendimenti. Ossia: cosa succede nel caso in cui … (what if...).
Non sembra proprio che le 4 succitate abbiano ai loro clienti chiarito what if..., in buona sostanza truffandoli.
SPV: Special Purpose Vehicle
Società veicolo, costituita appositamente per operazioni di cartolarizzazione (securitisation). Dalla banca riceve i prestiti in sofferenza e, a sua volta, emette obbligazioni chiamate ABS (Asset-backed security) garantite da quei prestiti.
EDIS: European Deposit Insurance Scheme
Schema di assicurazione europea dei depositi bancari, al quale si oppongono i governi dei Paesi centrali.
Spread
In italiano “differenziale”, con questo termine viene ormai comunemente indicata la forbice di differenza tra il rendimento offerto dal Btp a 10 anni e dal suo omologo tedesco, il Bund.
Quantitative easing (Qe)
Alleggerimento quantitativo”. Si tratta di immissione di grandi liquidità di danaro da parte di una Banca Centrale, coperte dall'acquisto di Titoli di Stato ed altri titoli.
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Vecchie conoscenze
I crediti deteriorati verrebbero suddivisi in fasce, secondo il loro grado di solvibilità, impacchettati separatamente con il marchio della banca di provenienza e ceduti a “società veicolo”. Queste a loro volta emetterebbero obbligazioni da proporre al mercato, con redimenti commisurati al rischio. Il ricavato dalle “società veicolo” ritornerebbe alle banche di provenienza. Basterà a riempire i loro buchi?
Restano anche da chiarire i gradi di garanzia offerti dallo Stato e l'effettivo rischio di denaro pubblico.
Per inciso, va ricordato che le “società veicolo” sono i tristemente noti SPV (Special Purpose Vehicles), vecchie conoscenze della finanza negli anni dell'euforia. Strumenti rivelatisi propagatori più che limitatori (di messa in sicurezza) dei rischi d'insolvenza. Come nel caso dei mutui sub-prime negli Usa, impacchettati e veicolati in SPV.
Tuttavia, non è in questione solo l'affidabilità per l'ambiente economico di queste modalità di smaltimento in “ecoballe”, o, tramontati i tempi dell'euforia finanziaria, la loro reale capacità di raccogliere risparmio dal mercato e dei connessi rischi per le casse statali. In questione è il significato politico generale della soluzione imposta all'Italia e quanto ne consegue.
Apparente paradosso
Un aspetto in apparenza paradossale non è sfuggito al Prof. Bagnai4, il quale ha notato che se l'azionista è pubblico, le sue banche possono essere salvate con denaro pubblico. Si tratterebbe non già di bail-out ma di bail-in, in quanto le risorse di garanzia verrebbero reperite “all'interno” dall'azionista stesso (in questo caso lo Stato). Pertanto, ci converrebbe nazionalizzare il credito come in Germania, al 45% in mano a Landesbanken (banche regionali) e Sparkassen (casse di risparmio), perciò fuori dai radar europei.
Un breve flash-back ci può aiutare a meglio comprendere. Le banche italiane furono privatizzate nei primi anni novanta. Governo e Parlamento diedero il via libera, ma chi decise come, quando e a vantaggio di chi l'operazione dovesse attuarsi fu l'allora direttore generale del Tesoro, Mario Draghi5, poi divenuto capo della Banca d'ItaliaBanca (2005) e della Banca Centrale Europea (2011), dopo un breve e significativo passaggio in Goldman Sachs (2002) in posizione di vicepresidente e managing director.
Al crack del 2007-2008 non seguirono né un bilancio sul binomio privatizzazioni-liberalizzazioni, mai sottoposto al controllo di risultato, né misure di adeguato riordino della finanza, come accadde dopo il crollo di Wall Street del '29.
Salvo poche correzioni, il sistema internazionale è rimasto intatto. La risposta al crack è stata imperniata tutta o quasi sull'emissione, da parte delle Banche centrali, di grandi quantità di danaro (Quantitative easing) con effetti, al momento, apprezzabili solo per gli Stati Uniti, la Fed ed il dollaro nord-americano.
Inoltre, a dispetto dei fatti, l'Eurozona persevera cinicamente, applicando fino alle estreme conseguenze il liberismo teutonico (ordo-liberismo). Ne deriva, da un lato, l'applicazione del bail-in a sistemi bancari nazionali in difficoltà, privatizzati quasi6 per intero come l'italiano, dall'altro, il persistente rifiuto di dare vita ad uno «schema europeo di assicurazione dei depositi (Edis, European Deposit Insurance Scheme), offrendoci, in alternativa, il ricorso alla Troika.»7
Report Balz
A rafforzare l'indirizzo politico ordo-liberista dell'Unione è sopraggiunto il Report Balz. Si tratta di un documento, non di una norma, per la quale occorrerà attendere qualche anno. È stato licenziato il 19 gennaio dal Parlamento europeo riunito a Strasburgo, con il consenso bipartisan del Partito Popolare Europeo (Ppe) e del Partito Socialista Europeo (Pse) e la sola opposizione, per l'Italia, di M5S, Lega Nord e Lista Tsipras. Il report riguarda anch'esso le banche, ma parte dal valore dei titoli di debito pubblico iscritti nei loro bilanci.
Ad occuparsene anche Libero.
«(...) l'idea di fondo è rivedere, rendendoli più stringenti, alcuni parametri dei bilanci delle banche; verrebbe richiesta una garanzia più alta sull'ammontare di Bot e btp comprati dagli istituti di credito, addirittura al 70 per cento del valore nominale.»8
Giacché le banche italiane detengono oggi circa 400 miliardi di titoli pubblici, l'inserimento di questi ultimi tra i titoli “a rischio”, secondo valutazioni di mercato, imporrebbe loro ulteriori accantonamenti per oltre 15 miliardi di euro.
È inutile qui dilungarsi sui possibili effetti: di attesa negativa dei mercati finanziari che accentuano lo spread e la differenza di rendimento tra Buoni tedeschi e Buoni italiani, aumentando l'esborso di interessi da parte del Tesoro; di corsa a disfarsene degli istituti di credito; di difficoltà create al Quantitative easing della Bce, basato sull'acquisto di titoli di Stato al loro valore nominale.
Interessa piuttosto rimarcare il fatto che la mozione incorpora appieno quanto deciso dal Consiglio degli esperti economici di Berlino [vedi riquadro] e dal ministro Wolfgang Schäuble: l'estensione del bail-in dalle banche agli Stati.
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Saggi questi tedeschi

Rapporto del Consiglio degli esperti economici.
«Si legge nel rapporto dei saggi: “È necessaria un’applicazione coerente delle regole di insolvenza per gli Stati, in modo da ridurre i livelli di debito e rendere credibile la clausola che esclude i salvataggi” (inclusa nel trattato di Maastricht, ndr). È il corrispettivo per gli Stati delle norme già in vigore per le banche: sospensione del versamento di interessi e del rimborso dei titoli se un Paese chiede un salvataggio europeo. Ne consegue la richiesta tedesca sugli istituti di credito: “Va posta fine al privilegio concesso ai titoli pubblici nella regolazione bancaria”, si legge nel rapporto.
(…) Per le banche italiane, e il finanziamento del debito pubblico di Roma, l’impatto sarebbe profondo. Sul tavolo c’è l’ipotesi che gli investimenti fatti in titoli di Stato inizino a erodere il capitale delle banche non appena la loro esposizione in debito pubblico del loro Paese supera il 25% del patrimonio. In sostanza, visti gli oltre 400 miliardi di titoli del Tesoro di Roma detenuti, le banche italiane dovrebbero accantonare denaro contro eventuali perdite per circa il 70% del loro portafoglio di titoli di Stato. In alternativa, dovrebbero vendere buoni italiani e magari comprarne di più solidi, per esempio i tedeschi. La svolta sarebbe graduale, ma il mercato non può che anticiparne gli effetti con una stretta al credito.
Per l’economista Peter Bofinger, tutto questo significa sottrarre alle banche dell’Europa del Sud il pilastro sul quale si fonda qualunque istituto al mondo: dei titoli sicuri in bilancio, che non possono fallire. “Può essere dinamite per l’area euro”, dice Bofinger. Ma l’unico esponente degli esperti tedeschi a votare contro il piano è stato proprio lui.»
Estratti da:
"E Schäuble raddoppia la posta. Ora la stretta sui titoli di Stato” http://www.corriere.it/economia/16_febbraio_05/





Wolfgang Schäuble
Dopo le elezioni federali del 2009 è stato nominato Ministro delle finanze nel secondo governo Merkel.
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Pertanto, questi ultimi, non disponendo di moneta propria e della conseguente autonomia di movimento del Tesoro, si troverebbero nella condizione obbligata di applicare le ricette tedesche fino ad accettare la supervisione della Troika.
Schäuble non ha mai fatto mistero delle sue intenzioni di fondo: arrivare ad un'area euro limitata ai Paesi centrali, declassando i Paesi periferici ad un euro subordinato, in un'Europa a differenziate “velocità”. Il che, data la crisi degli accordi di Schengen, calzerebbe alla perfezione con un nuovo regime differenziato delle frontiere.
Se, nel frattempo, i “pigri e sfaccendati” popoli mediterranei accettano, tramite i loro governi e rappresentanti politici graziosamente consenzienti, di venire spolpati, è affar loro.
Come nel caso dell'introduzione dell'euro, la Germania subirebbe “suo malgrado”, ma ne approfitta al presente e si mette al sicuro per il futuro, evitando di condividere rischi in ambito comunitario.9
La battaglia degli “zero virgola”
Con regole comuni e conseguenze a carico di ciascuno, il più forte si rafforza e il più debole si indebolisce. Nel divenire politico ciò significa rendere ancora più profonde le dicotomie strutturali tra Paesi centrali e periferici.
Intanto, non passa giorno senza che le cronache mass-mediali ci informino sulle baruffe tra Renzi e Juncker o tra governo ed “eurocrati” di Bruxelles. La traballante scelta politica di sposare questa Europa condanna ad un'impotenza che induce a pericolosi nervosismi nazionalistici e al cimento in mille litigi e sui “dettagli”, sugli “zero virgola”.
“Zero virgola”, che il Governo Renzi, quando verrebbero a testimoniare la svolta italiana sulla via della ripresa, considera assai “significativi” (per esempio: i dati sul Pil e sull'occupazione). Viceversa, polemizza con Bruxelles quando lesina margini di flessibilità, nell'ordine appunto di “zero virgola”, di sforamento del deficit di bilancio precedentemente promesso.
Non deve sfuggire il nocciolo della contesa.
Ad essa ci riconduce Il Sole-24 ore, che invita il Governo a farsene ragione [vedi riquadro].
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Farsene ragione

«È sacrosanta infatti la disciplina Ue sugli aiuti di Stato come la severità nella tutela della concorrenza nel mercato unico. Ma è almeno altrettanto sacrosanta la stabilità finanziaria della terza economia dell’euro: un suo crack travolgerebbe inevitabilmente quella dell’eurozona. In ogni caso i due piani non possono entrare in rotta di collisione. Tanto più quando sullo sfondo c’è un’unione bancaria europea alle prime armi e nata zoppa, senza il terzo pilastro, la garanzia comune sui depositi al di sotto dei 100mila euro, indispensabile per controllare il panico in coincidenza con l’entrata in vigore delle nuove regole di bail-in. Ma se oggi manca il paracadute psicologico e fisico, è per il ben noto rifiuto dei Paesi del Nord, Germania in testa, a mutualizzare qualsiasi tipo di rischio in Europa.
(…) ogni falla aperta nel sistema italiano è un pericolo per tutto il sistema europeo.
Se l’interdipendenza finanziaria in questo caso può darci una mano, quella stessa interdipendenza ci impone però precisi oneri, in primis massima responsabilità sul fronte debito: questione strutturale e non largamente ciclica come i cattivi crediti. Oggi i tassi bassi di interesse combinati con il generoso quantitative easing della Bce ne facilitano la gestione ma non la riduzione, dal 133% al 60%, come da fiscal compact. E domani?
Per tagliarlo di 20 punti, bisognerebbe mantenere al 2,5% del Pil l’avanzo primario per i prossimi 10 anni. Per toccare il traguardo si dovrebbe salire al 4% annuo, dicono i calcoli di Bruxelles, che ritiene però irrealistica la seconda ipotesi. Ma avverte: “Una contrazione dello 0,5% della crescita nominale e un aumento dei tassi del’1% si tradurrebbero in un incremento di 7 punti del debito italiano”.
Sono questi i numeri della debolezza dell’Italia, gli stessi che spiegano le riluttanze europee a concederle piena flessibilità di bilancio, se non sotto stretta sorveglianza. (...)
Non è facile farsene una ragione. Ma sarebbe suicida pretendere di ribaltare da soli una realtà europea che, per prestare orecchio alle nostre istanze, prima pretende di convivere con un’Italia con carte e cifre in piena regola. Dopodomani il vertice Renzi-Merkel a Berlino, c’è da giurarci, non farà che confermarlo.»
Estratti da:
Adriana Cerretelli,”Le ragioni dell’Italia e quelle dell’Europa”, il Sole-24 ore, 27 gennaio 2016.
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In sintesi, Adriana Cerretelli premette:
  • i due piani, della disciplina Ue sul bail-in e della stabilità finanziaria dell'Italia, non possono entrare in collisione;
  • l'interdipendenza finanziaria se da un lato ci dà una mano, dall'altra ci impone precisi oneri sul fronte del debito pubblico che, a differenza dei cattivi crediti, ha carattere strutturale;
  • la riduzione del debito dal 133% al 60% in 10 anni è impresa temeraria;10
  • sarebbe suicida pretendere di fare da soli.
Le premesse conducono ad una sola conclusione: ragione e forza sono dalla parte di Bruxelles.
Eppure, al di là degli appelli su ciò che dovrebbe essere, i succitati due piani sono in contraddizione.
Inoltre, sono proprio i vincoli europei a conferire al debito pubblico (affatto il nostro problema principale) un carattere strutturale, sottoponendoci ad una sua gestione confacente agli interessi dei “Paesi del Nord”. Sono questi vincoli ad entrare in contraddizione con la necessità nazionale di disporre di una nostra autonoma politica economica e monetaria per uscire dalla crisi.
Infine: suicida per chi? Cosa comporta darsi questa ragione, non tanto per Renzi quanto per coloro che non appartengono alle oligarchie? Di accettare salassi di tipo greco, buoni per rendere esangue il malato?
1, 100, 100mila
Torniamo ai depositi in conto corrente.
Al di sopra dei 100mila, oramai è chiaro, i depositi non sono al sicuro. Al di sotto di tale importo essi sono senz'altro garantiti. Per ora. In Italia esiste, a loro protezione, il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD), nato su base volontaria nel 1987 e reso obbligatorio dal 2011.
Senza allarmismi, si faccia comunque attenzione alla solidità della banca in cui si tengono anche le più piccole somme. Quando essa dovesse venire sottoposta a procedura di salvataggio, tutti i depositi, in attesa di sblocchi selettivi, potrebbero restare congelati per mesi, con grave danno per chi ne ha bisogno per il proprio quotidiano.
Nessuno può augurarsi che l'accesso ai conti correnti venga inibito o limitato. Sono rimaste a tutti impresse le immagini dalla Grecia delle file davanti ai bancomat durante le fasi più acute della crisi del 2015. Stante il dissesto generale del sistema bancario ellenico, la Bce centellinò la liquidità monetaria, generando il realistico sospetto di un ricatto sulle imminenti decisioni del governo Tsipras.
Sarebbe bene, come consigliò Paolo Savona11, disporre di un piano B sulla moneta, per non dover sottostare ad analoghi ricatti degli “amici europei”.
Ma quale affidamento possiamo fare sulle attuali élites dirigenti italiane che, tanto tempestive e “rigorose” quando si tratti di colpevolizzare lavoratori e pensionati, lo siano altrettanto nel proteggere i loro depositi bancari?

1 Dati Eba al 30 giugno 2015.
2 Etruria, Marche, CariFerrara e CariChieti.
3 Fabio Scacciavillani, “Sofferenze, l'incognita prezzo delle ecoballe creditizie”, Il Fatto Economico, 03/02/2016. Nell'articolo sono elencati gli otto passaggi chiave dello smaltimento.
4 Alberto Bagnai, “Banche, nel panico pure le élite. E Berlino ci consiglia la Troika”, il Fatto Economico, 24 dicembre 2015.
6 Fa eccezione, per esempio, BancoPosta.
7 Alberto Bagnai, ibidem.
8 Francesco de Dominics, “Mozione capestro su Bot e Btp – Attacco tedesco alle banche”, Libero,6 febbraio 2016.
9 In modo sistematico: la moneta unica, che produce disoccupazione nei Paesi più deboli, è senza sussidi comuni; il fiscal compact (patto di bilancio) è senza eurobond (titoli pubblici europei); l'unione bancaria è senza garanzia comune sui depositi.
10 Al rispetto del patto di bilancio Schäuble non crede, altrimenti non punterebbe ad estendere il bail-in agli Stati.
11 P. Savona,”La Germania è il vero Paese inaffidabile”, Vita, 13/07/20015. Intervista di Lorenzo Maria Alvaro.