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Cul de sac
Deflazione
– Burro & Cannoni – L'Europa sognata e quella che c'è –
Come si è formata – Poteri oligarchici contro democrazia e
sovranità in legame.
- Tre punti di vista (De Cecco, Panebianco e Varoufakis) su aspetti diversi della crisi si offrono ad una visione critica d'insieme.
- Colta dal “mal sottile” della deflazione, la ripresa degli zero virgola invoca un'Europa di cui non c'è traccia.
- Servirebbe l'Europa Politica. Per farla valgono più i cannoni del burro?
- Democratizzare l'Unione con un movimento pan-europeo transnazionale?
- Divisioni economiche, muri e spinte disgregative esigono una risposta.
La
malattia
Com'è
noto negli anni successivi ai crolli in sequenza dei mutui subprime
e di Lehman Brothers (2007-2008), l'Italia è andata in recessione
per due volte [vedi
grafico "Andamento del PIL in Italia 2007-2015"]
e ha perso un quarto della sua struttura industriale.
In
realtà, il crack finanziario internazionale venne ad accentuare una
crisi strutturale nazionale in fase acuta, derivante in particolare
dalla adozione della moneta unica e dall'impossibilità di adeguare
il cambio (svalutando se necessario) alla nostra economia.
Fatto
sta che, dato il ritorno di una congiuntura mondiale sfavorevole ed i
limitati effetti del Quantitative
easing
della Banca Centrale Europea (che svaluta l'euro), l'attuale pur
debole ripresa appare sotto la minaccia di una terza ricaduta. La
malattia si chiama deflazione1
ed il virus imputato di causarla: “politica del credito”.
Cercando
una ricostruzione storica, Marcello De Cecco2 [nella foto] dalle colonne di la
Repubblica
spiega che l'adesione a patti e vincoli europei indusse le industrie
e il commercio italiani allo “sciopero fiscale”, per cui allo
Stato toccò di rimediare alle entrate mancanti «con l'emissione di
titoli di debito pubblico per provvedere alle spese e al welfare».
Tralasciando
la questione fiscale, si può osservare che l'antecedente “divorzio
all'italiana” tra Tesoro e Bankitalia (1981)3
aveva posto le peggiori premesse all'esplosione del debito pubblico,
prima della deriva in regime di moneta unica. Inoltre, la riduzione
del debito dello Stato, a spese del welfare,
fu
ripetutamente praticata da diversi governi, attraverso pesanti
politiche di bilancio ed avanzi primari piuttosto consistenti.
All'inaugurazione dell'anno giudiziario 2016, il presidente della
Corte dei Conti, Raffaele Squitieri, l'ha pubblicamente riconosciuto,
mettendo in guardia dal peggioramento dei servizi.
A
De Cecco, tuttavia, importa tracciare un parallelo tra la situazione
di questi ultimi 25 anni e quella in cui si ritrovò il Paese a
cavallo tra gli anni venti e trenta dello scorso secolo, in tempi di
Gold
Standard.
Anche in quel frangente il vincolo monetario, della parità aurea,
comportò (da parte del Mussolini di “quota 90”4)
«l'imposizione di una parità elevata a una struttura industriale
venuta ad essere in tempi di svalutazione.» «Con il ritorno al
cambio quasi fisso, l'enorme crescita bellica dell'industria entrò
in crisi.»
E
qui arriva al nocciolo.
Allora
la soluzione fu (tardivamente, ndr) trovata, con la riforma del
sistema finanziario attuata da Alberto Beneduce, demiurgo della
politica economica fascista.
«Il
sistema fu messo in piedi come un insieme di banche di proprietà
statale, organicamente vigilate dalla Banca d'Italia e da organi
statuali. (…) Alle grandi banche fu impedito di mettersi in
contatto con la raccolta del risparmio. Come negli Stati Uniti, la
loro attività sul mercato delle azioni e delle obbligazioni fu
severamente limitata.»
Di
quel sistema si avvantaggiò pure l'Italia post-fascista. Ma, secondo
De Cecco, era un sistema “chiuso”. Al contrario, negli anni
ottanta e novanta, il sistema si aprì e la riforma della finanza
europea ridette la stura alla speculazione finanziaria in regime di
moneta unica, con la conseguente svendita delle imprese pubbliche e
private. Sicché agli industriali italiani non rimase che darsi a
loro volta alla finanza.
Per
inciso, un esempio tra i tanti può venirci dalla storia personale di
Cesare Romiti5,
il quale inizialmente si oppose alla moneta unica, per poi
felicemente adeguarsi al nuovo contesto di business.
Conclude
De Cecco: «Nemmeno Beneduce sarebbe riuscito a salvare la struttura
industriale di fronte ad una politica finanziaria europea che voleva
la deflazione e la perseguiva con decisi interventi di politica
monetaria e finanziaria e con misure di mutamento istituzionale.»
Alla
fine della “lezione”, il professore infila una frase “sibillina”:
«Si potrebbe chiedere perché nessun altro ha chiesto la fine della
politica di attiva deflazione. Nemmeno di fronte al cataclisma
scatenato in Siria proprio dalle potenze europee. Ci si aspetta che
la deflazione sia la politica adatta al cataclisma della guerra e
all'esodo biblico dei popoli.»
In
evidenza una duplice connessione: tra deflazione e politica monetaria
e finanziaria europea, da un lato, e guerra siriana, dall'altro.
La
cura
Muovendo
direttamente dalla guerra in Medio Oriente e dal pericolo del
terrorismo dell'Isis in Libia, Angelo Panebianco6 [nella foto]
dalla prima del Corriere
della sera
affronta il tema dell'Europa in rapporto all'Italia a partire dalla
“sicurezza”.
Nella
sua succinta disamina costata innanzitutto: «In Italia, pare, non
abbiamo ancora compreso che cosa significhi, per la nostra sicurezza,
il declino politico-militare degli Stati Uniti, la loro perdita di
influenza in Medio Oriente (e non soltanto).»
Secondo
Panebianco siamo impreparati a svolgere il ruolo di leadership
in Libia contro l'Isis, a cui ci siamo candidati, e supponiamo il
soccorso di un'Europa di cui non si vede traccia.
«Ciò
che accade intorno a noi, dovrebbe convincerci di quanto
inconsistenti siano le giaculatorie sulla necessità di una “Europa
politica”, la quale, come è noto, viene sempre evocata solo quando
si parla di euro e di banche. Si dimentica che le unificazioni
politiche non si fanno col burro ma con i cannoni. Sono sempre state
guerre e minacce geopolitiche a innescarle.»
Benché
non tratti di economia, l'indicazione è chiara: si smetta di
invocare inutilmente l'Unione Politica a partire dalla moneta e dalle
sofferenze bancarie (il “burro”?); si privilegi, invece, il
terreno della sicurezza, del militare, perché le unificazioni
politiche si fanno con i cannoni o non si fanno affatto.
Un dilemma italiano ricorrente |
Non
è più in discussione una singola pur importante spesa, qual era
quella degli F-25: qui si invita il Paese ad imboccare una soluzione
politica generale. È evidente, infatti, che una Unione europea
capace di farsi finalmente Politica, adottando questa priorità
bellica trascinerebbe con sé, adeguandole, anche le sue sub-ordinate
economiche.
Proprio
l'articolo di De Cecco, citato poc'anzi, riferisce dell'“enorme
crescita bellica dell'industria” dovuta all'entrata dell'Italia nel
primo conflitto mondiale, sulla cui “necessità”, costata più di
600mila morti in combattimento, il professore non avanza critiche
anche al fine del completamento dell'unità nazionale.7
In
ogni caso, i cannoni (ai tempi coloniali si chiamavano “cannoniere”)
sarebbero imburrati a dovere per le componenti economico-sociali in
grado di trarne vantaggio, lasciando a tutti gli altri i disastri
conseguenti. La storia d'Italia e d'Europa è, a tale proposito,
assai illuminante...
Qui
si fa l'Europa Politica o si muore!
La
tesi è sviluppata da un'angolatura totalmente diversa da Yanis
Varoufakis in un'intervista volta a presentare la sua proposta di un
nuovo soggetto politico, la “Democrazia
nel Movimento Europeo 2025 (Diem
2025)”.8
[Vedi “Sostiene Varoufakis”.]
Poiché
singoli e non sincronizzati partiti, come Syriza e Podemos, dalle
rispettive posizioni nazionali hanno mostrato di non poterla imporre
e, al tempo stesso, non è possibile il ritorno alle condizioni
antecedenti gli accordi di Maastricht, Varoufakis propone un
movimento paneuropeo transnazionale. Ad esso il compito di
democratizzare l'Ue, dall'alto verso il basso; ciò che solo dal
basso non è riuscito al governo Tsipras di cui faceva parte.
Nei
casi in cui prevalesse il ritorno alle monete nazionali e agli
Stati-nazione, o fallisse la democratizzazione, sarebbe la catastrofe
mondiale. Questo è il quadro prospettico dipinto nell'intervista.
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Sostiene Varoufakis
L'intervista
rilasciata a Nick Bruxton in pillole. [Sottolineature mie.]
- Le istituzioni dell'Unione europea a Bruxelles (la Banca centrale europea e altre) sono «state create progettualmente come zone aliene alla democrazia».
- «(...) l’intera attività di Bruxelles è basata su un processo di depoliticizzazione della politica che consiste nel prendere quelle che sono essenzialmente decisioni profondamente e irrevocabilmente politiche e forzarle nel regno di una tecnocrazia dominata dalle regole (…).»
- « (…) Questo è quel succede quando si abbandona un processo politico a favore di un processo dominato da norme: finiamo con un processo di depoliticizzazione che porta a politiche tossiche e ad una cattiva economia.»
- «(...) diversamente dagli Stati statunitense, tedesco o britannico che sono emersi da secoli di evoluzione, attraverso i quali lo Stato si è evoluto come strumento funzionale per risolvere diversi generi di conflitti sociali, l’UE ha seguito una strada diversa.»
- L'euro è stato introdotto con il Trattato di Maastricht. «Ma nel momento in cui hanno fatto ciò (senza disporre di alcun modo per gestire politicamente questa area monetaria), improvvisamente il processo di depoliticizzazione della politica (che era sempre stato parte integrante dell’Unione europea) è divenuto estremamente potente e ha cominciato a distruggere la sovranità politica.»
- «(...) siamo riusciti a costruire un mostro in Europa, dove l’eurozona è supremamente potente come entità, ma in nessuno ha veramente il controllo. Le istituzioni e le regole che sono state poste in essere al fine di conservare l’equilibrio politico che ha avviato l’intero progetto dell’euro paralizzano qualunque attore che ha qualcosa a che fare con la legittimazione democratica.»
- «Non c’è alcuna differenza in termini dell’importanza del settore finanziario e della sua tirannide sulla democrazia tra gli Stati Uniti e l’Europa, ma la differenza è che negli USA c’è un insieme di istituzioni che sono meglio capaci di gestire crisi come queste e di evitare che si trasformino in una crisi umanitaria. Gli statunitensi hanno appreso le loro lezioni negli anni ’30.»
- «(...) l’idea tornare allo Stato-nazione per creare una società migliore per me è sciocca e implausibile. (…) È vero che l’euro è stato un disastro. (…) Ma, detto questo, c’è differenza tra dire che non avremmo dovuto creare l’euro e dire che ora dovremmo uscirne. (…) uscire non ci riporterà a dove eravamo prima o a dove saremmo stati se non fossimo entrati.»
- «Uscire dall’euro significherebbe una nuova moneta, il che richiede quasi un anno da introdurre, per poi svalutarla. (…) Sarebbe catastrofico (...) Tutte le economie ad est del Reno ed a nord delle Alpi finirebbero in depressione ed il resto dell’Europa sprofonderebbe in una stagflazione economica caratterizzata da elevata disoccupazione e inflazione. Potrebbe addirittura scoppiare una nuova guerra (…) l’Europa farebbe ancora una volta affondare l’economia mondiale. La Cina sarebbe devastata (…) e la fiacca ripresa statunitense svanirebbe. (…) Eventi di questo tipo non vanno mai a vantaggio della sinistra. Saranno sempre gli ultranazionalisti, i razzisti, i fanatici ed i nazisti a trarne profitto.»
- «L’Europa può essere democratizzata? Sì, penso di sì. (…) Penso che il processo di democratizzazione abbia pochissime possibilità di successo. Nel qual caso avremo una disintegrazione ed un futuro molto cupo. (…) Ma quando si tratta di società e di politica abbiamo un dovere morale e politico di essere ottimisti (…).»
- «La sovranità dei parlamenti è stata dissolta dall’eurozona e dall’Eurogruppo; (…) perciò qualsiasi manifesto rivolto ai cittadini di un particolare Stato membro diventa un esercizio teorico. (…) Così, invece di passare dal livello dello Stato-nazione a quello europeo, abbiamo pensato che dovevamo fare l’inverso; che dovevamo costruire un movimento paneuropeo transnazionale, (...)»
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Sarebbe
scorretto ed ingeneroso attribuire a Varoufakis idee ed intenzioni
che non ha.
Yanis Varoufakis |
Forse
la sua critica all'attuale Unione può essere ritenuta insufficiente
o incompleta, quando sostiene che nessuno la controlla. Inoltre, il
rischio di naufragio del Titanic-euro potrebbe non dipendere dalla
saldezza del comando di cui sarebbe privo, ma dalla struttura stessa
della nave e dalla rotta intrapresa.
Forse
la sua disamina sulle conseguenze di un ritorno alle monete nazionali
appare troppo deterministica, nonché priva di riscontri storici.9
Ed è contraddetta dai fatti l'affermazione che gli statunitensi
abbiano imparato dalla lezione del '29, visto il crollo del 2008 e le
successive inconsistenti limitazioni allo strapotere della finanza.
Di
certo incorre in una contraddizione logica allorché sostiene che
l'uscita dall'euro non riporterebbe “a dove eravamo prima”, pur
riportandoci sicuramente alla stagflazione, ovvero esattamente alla
stessa malattia di cui soffriva tutto il capitalismo occidentale,
“prima” della mondializzazione finanziaria, dell'avvento del
liberismo e della moneta unica.
Tuttavia,
una riflessione s'impone attorno all'imperativo morale di fare
l'Unione Politica (democratica, of
course),
traendola dal pantano in cui è finita.
È
da capire come alla sovranità ceduta, sottratta o derubata ai popoli
degli Stati-nazione, possa succedere una conquistata sovranità del
popolo europeo ed in virtù di quale percorso d'identificazione
politica.
Nel
caso dei cannoni anteposti al burro tale percorso appare chiaro,
sebbene non auspicabile né facile. Da chiarire quello indicato dal
movimento paneuropeo transnazionale.
Varoufakis
ci soccorre:
«Quando
chiedo ai miei amici Tory: “Ma e la Scozia? Gli scozzesi non sono
una nazione vera? E in tal caso non dovrebbero avere uno Stato e una
moneta separate?”, la risposta che ottengo assume la forma
seguente: “Naturalmente ci sono una nazione scozzese, gallese e
inglese e non c’è una nazione britannica, ma c’è un’identità
comune, forgiata come esito di guerre di conquista, partecipazione
all’impero e via di seguito”. Se questo è vero, e può esserlo,
allora è possibile dire che nazionalità diverse possono essere
legate da un’identità comune in evoluzione. Dunque è così che mi
piacerebbe vederla. Non avremo mai una nazione europea, ma possiamo
avere un’identità europea che corrisponda ad un popolo europeo
sovrano.»
Ecco,
francamente, le concrete modalità sopra descritte, attraverso le
quali (il “come”) il Regno Unito ha forgiato la propria comune
identità, unendo inglesi, gallesi e scozzesi, non si differenziano
affatto dalla Unione europea dei Cannoni e dalla prospettiva
neo-coloniale in salsa anti-terrorista.
D'altro
canto, se Varoufakis avesse portato l'esempio degli Stati Uniti, di
come trovarono la loro identità e il loro stesso territorio
nazionale, avrebbe dovuto evocare lo sterminio dei popoli indigeni
che lo popolavano, lo schiavismo ed il razzismo, le successive
“evoluzioni” rispetto all'America Latina e al resto del mondo, il
loro preteso “eccezionalismo”, ribadito anche da Obama10...
Comunque,
al fondo di ogni esperienza storica, l'ex ministro delle Finanze
greco rintraccia una “evoluzione” degli Stati moderni, della loro
sovranità e della loro funzione, che merita un approfondimento oltre
i limiti di questo scritto.
Senza
controllo
Secondo
Varoufakis ci troveremmo di fronte ad una eurozona di cui nessuno ha
il controllo.
All'Unione,
priva di sovranità (anche intesa “in senso tradizionale”) ed in
balia della tecnocrazia della “norma”, solo in apparenza
depoliticizzata, corrisponderebbe la sovranità democratica
depotenziata dei singoli Stati. Sicché del vuoto di comando e
sovranità approfitterebbero le peggiori tendenze
(ultra-nazionalismo, razzismo, nazismo), fautrici del ritorno agli
Stati-nazione. Una rappresentazione incompleta.
La
norma è posta al di sopra delle sovranità democratiche di ciascun
Paese: non è affatto un vuoto di potere poiché regge l'esercizio
concreto e “dispotico” del potere sopra quelle sovranità, da
essa limitate.
Prova
ne sia che i posti chiave della tecnocrazia, a rigido presidio della
norma, sono saldamente in mano a soggetti agenti per conto di due
padroni in stretto legame d'interesse: le oligarchie
economico-finanziarie ed i governi degli Stati centrali. Infatti, la
cessione di sovranità è asimmetrica, avviene a scapito del potere
democratico dei popoli soprattutto (e non solo) dei Paesi periferici,
mentre impera la cinghia di trasmissione tra Stati centrali e
tecnocrazia della norma, per gestire regole e vincoli a scapito dei
deboli.
Nel
triangolo Francoforte-Bruxelles-Berlino si è formato un grumo di
potere oligarchico, al quale, per tornare al discorso di De Cecco,
hanno aderito anche gli ex-industriali italiani che fecero cassa
vendendo le loro proprietà e utilmente dedicandosi alla finanza in
tempi di moneta unica.
Per
democratizzare l'Unione, elevandola ad una superiore identità
Politica (si suppone federale), occorrerebbe un simultaneo dirompente
moto dell'insieme dei popoli del vecchio continente, accompagnato da
forti movimenti e “partiti progressisti” in ciascuno dei Paesi
aderenti all'Unione.
L'Europa
che c'è
L'Unione
e la zona euro al suo interno non si sono costruite semplicemente
nell'ambito dei patti economico-monetari o di “libera
circolazione”. L'Europa attuale è frutto del modo in cui
politicamente si è affermata, allargandosi dal suo nucleo iniziale.
A
minarla dall'interno e dall'esterno sono le medesime forze che dal
“nucleo iniziale” furono sostenute ed utilizzate per disgregare e
dominare, dal Baltico al Medio Oriente, ai Balcani.
In
Medio Oriente ed in Africa settentrionale le potenze europee hanno
combattuto ogni anelito d'indipendenza e di autonomo sviluppo,
favorendo quelle più subalterne ai propri interessi, anche le più
retrive ed integraliste sul piano religioso. Insieme agli Stati Uniti
non hanno risparmiato a quei popoli devastanti interventi ed
invasioni militari; tuttora fanno affidamento su alleati come il
Regno dell'Arabia Saudita, la Turchia di Erdogan e l'Egitto di
al-Sisi.
Ad
Est e nei Balcani sono stati appoggiati gli ultra-nazionalismi,
incluse forze apertamente fasciste, riconoscendo le patrie etniche,
sospingendole alla guerre inter-etniche, anche in nome dell'identità
religiosa. Non caso dalla narrazione europea si cancella in modo
sistematico ciò che accadde nella ex-Jugoslavia, fino all'epilogo
dell'intervento “umanitario” (che fece migliaia di morti sotto i
bombardamenti della Nato) nel Kosovo.
Di
conseguenza, a seguito del cataclisma provocato in Siria-Iraq, ora
quelle stesse forze erigono nuovi muri di filo spinato, disattendono
i patti dell'Unione, addossandone la responsabilità a profughi e
migranti, o, dal Kosovo e dalla Bosnia, forniscono foreign
figthers
al terrorismo dell'Isis.
In
questo contesto continentale, si vada dall'alto al basso, o
viceversa, poco cambia: ciascuno sta già andando per proprio conto.
La prospettiva di democratizzare l'insieme simultaneamente o
sincronicamente non è per niente realistica e l'imperativo morale
non la rende politicamente tale.
Dulcis
in fundo è arrivato l'accordo con il Regno Unito. Già estraneo
all'euro, per “restare dentro” all'Unione (referendum alle porte)
pattuisce per sé solo uno statuto speciale,11
mentre tutti gli altri continuano a litigare sul “burro” delle
misure economiche e sulle immigrazioni.
Giaculatorie
Al
di là di ogni giudizio negativo (per parte mia più che mai), anche
l'appello a fare l'Europa Politica, anteponendo i cannoni al burro,
rischia di essere una inutile giaculatoria.
Pur
essendo una delle tre colonne, insieme a Usa e Giappone, su cui
poggia la traballante supremazia occidentale sul globo, l'Europa non
godrebbe di piena sovranità politico-militare, essendo costretta
nelle maglie della Nato e condizionata dalle basi statunitensi
disseminate sul continente.
In
ogni caso, per dare vita a forze armate europee autonome, non
eterodirette dagli Usa, potrebbe fare a meno del riarmo della potenza
tedesca?
A
tale riguardo Berlino ostenta disinteresse e, come nel caso della
moneta unica, dovrebbe essere indotta, “suo malgrado”, ad
accettare di riarmarsi dagli altri partners
europei.
Chi
è disposto a sottoscrivere una tale scelta?
Diversamente,
sarebbero le stesse attuali potenze europee (per De Cecco,
responsabili del cataclisma scatenato in Siria), ovvero Francia e
Regno Unito, a dover reggere l'Europa Politica dei cannoni. Per la
Germania una posizione non dissimile da quella che occupa nella Nato,
ma che la porrebbe in posizione subalterna all'interno di una Unione
di fatto ristrutturata anche sul piano economico-finanziario.
Non
l'accetterebbe.
Uscire
dal cul
de sac
Dalla
crisi economica, dalle dicotomie tra Centro e Periferie, dalle liti
interne, dalla disgregazione nazionalistica, l'Europa non appare in
grado di uscire, né di disporre di una adeguata strategia per farlo.
Non
è detto che tutto ciò comporti a breve repentini svolgimenti
catastrofici, né che siano in assoluto da escludere novità
risolutrici, sulla cui natura, comunque, dovremmo misurarci.
Se,
come avviene, ciascun Paese è lasciato a se stesso nel far fronte
alle difficoltà generate da una costruzione comunitaria siffatta, si
assuma almeno la responsabilità di farlo nel migliore dei modi,
disponendo appieno delle proprie risorse.
Innanzitutto,
non lasci alle forze ultra-nazionaliste, xenofobe e neo-fasciste il
terreno della sovranità nazionale, ma ne affermi il carattere
democratico e popolare. Difenda, come nel caso dell'Italia, la
propria Costituzione da riforme autoritarie che la depotenzierebbero
ulteriormente.
Non
permetta a queste stesse forze di far leva sulla disoccupazione e sul
disagio sociale: abbandoni in tempo con la moneta unica, l'austerità
e la deflazione.
Affronti
con coraggio la “parte distruttiva” della vecchia Europa, se
vuole effettivamente dare vita alla “parte costruttiva”
dell'Europa nuova.
1
Riduzione del livello dei prezzi, accompagnata di solito da
flessione dell'attività economica e disoccupazione.
2
Marcello De Cecco, “Deflazione il mal sottile”, la Repubblica
Affari & Finanza, 8 febbraio 2016.
3
In questo Blog: “La corda e il nodo scorsoio”, 2/2015.
4
In questo Blog: “Storia recente che parla al presente”, 10/2014.
5
Cesare Romiti, “Storia segreta del capitalismo italiano”,
Longanesi, aprile 2012.
6
Angelo Panebianco, “Noi in Libia saremo mai pronti?”, Corriere
della sera, 15 febbraio 2016.
7
Angelo Del Boca, (“Italiani, brava gente?”, Neri Pozza Editore,
2005, pagg. 129-130) sostiene che nel 1915 l'Italia, in trattative
con Vienna, avrebbe potuto conseguire quel fine senza entrare in
guerra, «ma
le richieste italiane andavano ben oltre le “aspirazioni
nazionali” e contemplavano anche obiettivi imperialistici del
tutto estranei alla visione risorgimentale del conflitto.»
8
“Democrazia, potere e sovranità nell’Europa di oggi”, 29
gennaio 2016,
intervista di Nick Bruxton del Transnational Institute (TNI),
http://www.eunews.it/
9
La svalutazione della moneta, solo per fare un esempio, non comporta
affatto una pari inflazione interna, come ha dimostrato Alberto
Bagnai (Il tramonto dell'euro, Imprimatur, 2012).