-->
L'austerità
è impresentabile, benché concordata con l'Europa e più che mai
vigente. In cosa consiste ed a quale futuro ci consegna. Riuscirà un
nuovo inciucio governativo a confermarla? Ricatto e funzione del
debito pubblico. Rinnovati congegni carolingi a danno del Paese.
Miopia delle migliori liste sottoposte al voto.
Non
si sfugge
Non
condivido affatto la soddisfazione con la quale Stefano Feltri su Il
Fatto Economico1
constatava che in campagna elettorale Matteo Salvini era rimasto da
solo a combattere l'euro. Una soddisfazione che trapelava anche da
L'Economia2
del Corriere della Sera,
non a caso.
Infatti,
la coalizione con Forza Italia,
partito messosi sotto tutela dei popolari tedeschi, annulla qualsiasi
possibilità della Lega
di dar seguito pratico al suo “euro-scetticismo”. Al tempo stesso
l'abbandono del problema da parte di M5S,
almeno limitatamente al programma immediato del candidato Presidente
del Consiglio Luigi Di Maio, segna un significativo passo indietro.
Non controbilanciato da altre prese di posizione.
Tra
Liberi e Uguali i
convincimenti in materia di moneta unica di Alfredo D'Attorre e
Stefano Fassina si sono persi nell'indifferenza, se non osteggiati da
quanti sostengono che aderire all'euro è stato forse un errore, ma
rimediare uscendone sarebbe più penalizzante che restarci.
“Più
a sinistra”, benché il programma di Potere
al Popolo sia comprensivo di molte buone cose, manca
dell'essenziale: l'euro rimane tabù, come opportunamente sottolinea
Socialismo 2017.3
Se
escludiamo Lega e
Fd'I, il M5S
era la sola forza politica con largo seguito a non sfuggire al
problema della moneta unica, per lo meno promettendo un referendum
(necessariamente “consultivo”).
Rinunciarvi
è stato opportuno?
Forse
si suppone che solo tramite un'esperienza politica di cambiamento già
avviata, nel corso della quale proposte palesemente “ragionevoli”
di rifiuto dell'austerità e di condivisione europea dei rischi
saranno ostinatamente rifiutate dai partners
europei, la maggioranza comprenda quanto sia inevitabile lo
sganciamento dall'euro.
Oppure
si pensa che il dialogo con Germania, Francia ed altri Paesi, volto a
modificare il Fiscal
Compact,
quando riuscisse a produrre qualche buon risultato, renderebbe
obsoleto il problema strutturale del sistema monetario e
finanziario?4
Comunque
vada, l'economia è politica e non potrà sfuggirle: avere un'idea
illusoria delle classi dominanti di Germania e Francia è rovinoso.
Illusione non imputabile
al professor Bagnai, che ha fatto la sua scelta e si è candidato con
la Lega, avendo già
dato da tempo un giudizio negativo su M5S.
Tuttavia,
lasciare al nuovo araldo del nazionalismo xenofobo e patriottardo
(post-separatista) la difesa della sovranità economico-monetaria del
Paese potrebbe rivelarsi parimenti rovinoso. Soprattutto perché è
necessario affrontare la contraddizione politica rappresentata dal
nazionalismo di supremazia tedesco e francese (carolingio se
insieme), nascosto nelle regole economiche e nei tecnicismi del finto
solidarismo dell'Unione europea.
Chi
vuole l'austerità non può dire di volerla.
Chi
non la vuole non può evitare a lungo di spiegarci come intende
davvero soppiantarla, senza ripercorrere pericolosamente le vie del
passato.
Indicibile
Da
quando il governo Monti dimostrò che di austerità “espansiva”
si poteva morire, le più assennate e responsabili forze di governo
del Paese hanno dissociato il binomio. L'austerità è diventata
parola indicibile, mentre l'espansione sarebbe dietro l'angolo, se
solo si proseguisse sulla linea tracciata dal pragmatico governo
Gentiloni.
Il
che, politicamente, presuppone un rinnovato patto tra Pd e Forza
Italia, un inciucio piuttosto allargato perché lo sciagurato
Rosatellum, dicono i sondaggi, non sembra garantire alla
semplice somma dei due partiti la necessaria maggioranza.
Considerata
impopolare, la parola austerità è pertanto sostituita da richiami
all'ingente debito pubblico (sempre dimenticando quello privato) ed
ai vincoli di bilancio, ai quali dovremmo sottostare di nostra
spontanea volontà anche-se-non-ce-lo-chiede-l'Europa.
Ovviamente
si tace di chi il debito pubblico fu opera e perché esista, a quale
uso sia stato politicamente destinato. Soprattutto si nasconde come e
perché il Paese sia stato chiuso a tenaglia:
- dall'adozione, in cessione di sovranità politica, di un sistema europeo economico, monetario e finanziario che emargina e ci emargina in una delle sue periferie;
- da vincoli di bilancio, questi sì molto sovrani, chiamati a smaltire a livello nazionale le micidiali scorie azotate prodotte dal sovrastante sistema continentale, che definire “a-democratico” è un puro abbellimento accomodante.
La
tenaglia “europeista”, nella quale lavoro e welfare
rimangono schiacciati, è la pratica traduzione su scala continentale
della globalizzazione liberista. Opporsi ad essa, trascurandone la
concreta attuazione europea è un puro esercizio retorico.
Un
governo di somministrazione
L'amara
medicina austerità deve pur trovare un modo politico per essere
somministrata al Paese e, in particolare, alle classi subalterne, in
accordo con l'establishment europeo. La posologia dice che il
2018 è anno decisivo.
In
un'intervista il ministro uscente dell'economia e delle finanze, Pier
Carlo Padoan,5
ha sostenuto che la lotta in corso tra le varie liste era
semplicemente riconducibile a “costruttori” contro “demolitori”,
ben guardandosi dall'inserire Berlusconi e Forza Italia tra questi
ultimi. Sicché, dalle pagine dello stesso quotidiano, Federico
Geremicca poteva vedere nelle affermazioni del ministro, la proposta
di una alleanza per competere nella Unione europea; poiché Germania
e Francia si sono dotate o si doteranno di governi forti:
«L'Italia
(…) rischierebbe moltissimo ad esser da meno: anche se questo
dovesse costare un rinnovato patto Pd-Forza Italia.»6
A tal
fine è stato congegnato il nuovo sistema elettorale Rosatellum
che, premiando finte coalizioni, doveva, ad urne chiuse, aprire le
porte alle forze moderate presenti in ogni schieramento, all'unione
dei competenti, al governo europeista contro i populisti, i
sovranisti, i moderni estremismi: in altri termini garantire il
ritorno all'asse Renzi-Berlusconi.
Benché
all'uso della parola inciucio, di derivazione fastidiosamente plebea,
si preferiscano le più signorili “larghe intese” o
“larghissime”, questo è il fine dell'accordo politico sulla
legge elettorale, alla quale si è prestata lestamente la Lega.
Nell'occasione Salvini ha manifestato le tipiche caratteristiche del
nazionalismo patriottardo italiano, benché fresco reduce da
separatismo: tanto xenofobo contro i più deboli, rom e migranti,
quanto servile verso le oligarchie dominanti, pur di ricavarne un
tornaconto (in seggi) per la ditta del nord.
Ma i
conti, il 5 marzo, potrebbero non tornare...
Nel
qual caso la permanenza in carica di Gentiloni o, in suo
sostituzione, di un governo di scopo che emargini M5S e faccia
l'ennesima legge elettorale, dovrà durare il tempo necessario per
somministrare l'amara medicina europea. Forse con qualche elastica
concessione, data l'imminenza elettorale.
Da
osservare che, nonostante da Berlusconi a Prodi, passando per Renzi e
Gentiloni, si facciano tutti fautori della stabilità “europeista”
del futuro esecutivo italiano, la Kanzlerin e Monsieur le
Président si preparano ad ogni evenienza, progettando misure di
“disciplina fiscale” di cui dirò più avanti.
Per
coloro che non vogliono l'austero inciucio è esiziale fuggire dal
tema dell'Europa, come se bastasse a salvarsi dalle conseguenze
dell'Europa.
Avanzi
di bilancio
In un
report l'Ufficio parlamentare di bilancio (Upb)7
analizza le prospettive della finanza pubblica italiana da qui al
2020, anno nel quale il governo ha programmato il pareggio di
bilancio: il saldo zero tra entrate ed uscite dello Stato, corpo
estraneo inserito in Costituzione.8
Per raggiungere l'obiettivo occorrerà spendere meno di quanto
s'incassa e conseguire un avanzo primario che in 3 anni dovrà
passare dal 1,7% al 3,3% del Pil.
Per
raggiungere il pareggio di bilancio a partire dai suddetti avanzi
primari, l'esborso per interessi sui titoli di Stato dovrà essere
contenuto, sebbene dal 2019 sia prevista la fine Quantitative
easing della Bce da cui ora calmierati. Inoltre, dovranno venire
assorbiti pure i costi dei derivatives, calcolati, da qui al
2020, in circa 55 miliardi.9
Questi
ultimi furono attivati proprio per “assicurarci” contro l'aumento
dei tassi d'interesse sul debito, ma prima del Quantitative easing
di Mario Draghi, col risultato paradossale che la diminuzione dei
tassi d'interesse, prodotta proprio dal Qe, ha condannato lo
Stato italiano a pagare ingenti premi a banche tipo la Morgan
Stanley.
Serve
sottolineare che la crescita dell'avanzo primario comporta una
significativa divaricazione tra le Uscite primarie (linea rossa) e le
Entrate (linea blu)
[vedi grafico “Che cos'è
l'austerità”, qui sopra].
Anche
supponendo che la flebile ripresa del Pil prosegua secondo le
previsioni, stabilizzando il gettito fiscale, vanno trovate le
risorse per scongiurare l'applicazione delle cosiddette “clausole
di salvaguardia”. Esse incombono per aumenti dell'Iva di oltre 30
miliardi, con un duplice effetto perverso: spostare le entrate dalle
imposte dirette a quelle indirette, avvantaggiando i redditi più
elevati;10
penalizzare il mercato ed i consumi interni.
All'ordine
dei disordinanti
L'applicazione
dell'austerità programmata invocherà nuovi tagli alla sanità, che
ha invece bisogno di spendere meglio, evitando di ingrassare quelle
imprese private che godono di rimborsi assolutamente fuori mercato e
lievitati nel numero a causa di interventi chirurgici non necessari o
“consigliati” a danno della salute dei pazienti.11
I
tagli riguarderanno la scuola ed anche le pensioni saranno oggetto di
un morboso ritorno d'interesse, preannunciato dai soliti economisti12
che, per terrorizzare sul debito, non calcolano né il peso specifico
dell'assistenza sui conti INPS, né il ristorno allo Stato delle
imposte sui redditi pensionistici (in Germania le pensioni sono
erogate al netto).
In
sintesi le ipotesi di spending review salvifiche contraddicono
una realtà di spesa già ai limiti, non più riducibile nel
complesso, semmai da reindirizzare, riqualificare e moralizzare al
suo interno.
Incuranti
degli effetti dei tagli, vari rappresentanti dell'establishment
italiano ripetono che il debito va ridotto secondo metodo europeo per
“assicurare la stabilità finanziaria”. Tra loro il governatore
di Bankitalia, Ignazio Visco.13
A parer suo l'Italia non deve temere tanto la fine del Quantitative
easing di Draghi, che aumenterebbe la spesa per interessi passivi
sul debito, quanto il “ritardo” nella correzione dei conti
pubblici.
Al
festival del rigore sulla pelle altrui non potevano mancare i soliti
Alesina & Giavazzi14
che invitano a rispettare il Fiscal Compact (Patto di bilancio
europeo), anche perché, prendete nota:
«La
grande recessione dalla quale siamo appena usciti non sarà purtroppo
l'ultima.»
Sicché,
per non ricadervi, invece di pensare a misure drastiche di controllo
della finanza, ci propongono l'austerità per ridurre oggi il debito
e poterlo, alla prossima crisi, far ricrescere senza destare
preoccupazione nei mercati finanziari. Più
sottomessi alla finanza di così!
Sembra
che agli investitori internazionali interessi soprattutto la
permanenza dell'Italia nell'euro.15
È infatti dall'Eurozona, che il Paese viene tenuto sotto lo schiaffo
del loro dittatoriale giudizio. Al loro cospetto i Paesi indebitati,
devono presentarsi coi “conti in ordine”, come se non fossero
proprio quei mercati
finanziari la radice del sistematico disordine che appesta il globo.
Cartucce
bagnate
Secondo
i dati del Fmi, l'Italia è terza al mondo per entità del debito
pubblico, dietro a Stati Uniti e Giappone.16
Il problema del rientro dal debito sovrano non ha un'unica soluzione.
Ad ogni buon conto, un Paese indebitato, per poter scegliere, deve
affermare una basilare sovranità politica.
Sul
caso italiano pesa la storia di come è stato accumulato ed a quali
destini è stato volutamente consegnato. Aspetti che vanno capiti, in
funzione delle scelte da intraprendere [vedi
finestra “Un divorzio e due funerali”, qui sotto].
Un
divorzio e due funerali
L'esplosione
del nostro debito pubblico deriva dalla decisione della Banca
d'Italia di smettere di acquistare i titoli di Stato invenduti nelle
aste periodiche del Tesoro (mercato primario). Correva il 1981
e da quel “divorzio”, tra Bankitalia e Tesoro, scaturì nel
decennio successivo un forte rialzo dei tassi medi d'interesse e
della spesa per interessi sui titoli di debito pubblico, collocati
sul mercato senza più “paracadute”. Ne derivò un accumulo
eccezionale di debito, passato rapidamente dal 58% al 105%
del Pil.*
Prezzo del petrolio 01/01/1966-31/12/1975 |
Prezzo del petrolio 01/01/1976-31/12/1986 Fonte:http:/www.money.it/Prezzo-del-petrolio-storico-WTI |
Per
ammissione dello stesso Beniamino Andreatta, che insieme a Carlo
Azelio Ciampi, allora governatore di Bankitalia, ne fu protagonista,
il bersaglio reale era costituito dalla scala mobile, ovvero dal
meccanismo, poi attaccato da Craxi (1984), di adeguamento di
salari e stipendi all'aumento del costo della vita. Benché fosse
attivato “a valle”, cioè a posteriori, veniva indicato come
colpevole dell'inflazione, perché avrebbe alimentato incrementi di
prezzo “a monte” in base al gioco delle aspettative. (La scala
mobile venne definitivamente abolita nel 1992).
In
realtà l'inflazione interna, nonostante il solito coro di media ed
esperti, derivava dal rialzo dei prezzi dovuti a due shock
petroliferi (1973
e 1979)
internazionali, come dimostrano i due grafici sul prezzo del petrolio
nei due periodi coinvolti.
A
conti fatti, il “divorzio” condusse a due “funerali”: del
controllo nazionale sui tassi d'interesse e dunque sul debito
pubblico; della difesa automatica dei salari dall'inflazione.
*
Sull'argomento vedi in questo Blog, “La corda e il nodo scorsoio”,
febbraio 2015. Va ricordato che quando la Bce, nell'ambito del
Quantitative
easing,
acquista (sul mercato secondario) titoli di debito pubblici e
privati, produce l'effetto di calmierare i tassi d'interesse, in
modo simile a quello che avveniva in Italia prima del “divorzio”.
Agli inizi del 2013 si
leggeva su ilSole24ore:
«Ma
come mai il Giappone - che resta la terza economia del pianeta e può
esibire un tasso di disoccupazione del 4,5% contro l'11% europeo -
può permettersi di far galoppare la spesa pubblica pur convivendo da
tempo con parametri di indebitamento molto simili a quelli della
Grecia?
(…)
Perché rispetto alla Grecia, o a un qualunque Paese dell'Eurozona,
ha almeno due cartucce in più da giocare: la possibilità di
stampare moneta della Bank of Japan e la protezione del debito
pubblico da parte dei cittadini e degli investitori interni che ne
detengono la quasi totalità.»:17
Il “divorzio” contribuì
a trasferire in mano estera parte del debito pubblico esploso nel
decennio successivo al 1981. A fine 2016 era detenuto da
investitori esteri per il 35%, di cui il 9% in capo alla Bce. Il
“divorzio” doveva consegnare alla nostra Banca centrale il pieno
controllo dell'offerta di moneta. Ma, come
scrisse Andreatta stesso, quella scelta fu la conseguenza inevitabile
della adesione italiana (1979)
al Serpente monetario europeo (Sme), padre dei cambi fissi e nonno
dell'euro. Sicché quel controllo fu trasferito a livello europeo.
In
questo modo veniva tolta all'Italia la possibilità di avvalersi
della flessibilità del cambio,18
definita dai suoi detrattori “svalutazione competitiva”,
obbligandola alla deflazione interna, di prezzi e salari, per
sostenere la competitività del made in Italy. Ciò ha
depresso la produttività che ha sofferto anche di una caduta degli
investimenti, attualmente in fase di insufficiente ripresa.
Quanto
fosse falso e pretestuoso il richiamo alla pura concorrenzialità sui
mercati, contro la “svalutazione competitiva” della liretta verso
il marco e le altre monete forti pre-euro, lo testimonierà il
Quantitative easing della Bce che svaluterà l'euro verso il
dollaro, a vantaggio soprattutto della Germania, e facendo infuriare
la Casa Bianca già ai tempi di Obama.
Affamare
la “bestia”
Oltre
ogni considerazione critica, rimane il fatto che il debito pubblico
dell'Italia è stato in gran parte originato da un'atto di lotta di
classe contro i lavoratori, orchestrata per via governativa ed
attuata mediante strumenti monetari ed europei presentati come
asetticamente “tecnici”.
Ne
subirono le conseguenze le retribuzioni da lavoro sia salariato che
autonomo, ed il welfare
che dipende dal bilancio dello Stato. Affamare lo Stato, la “bestia”
onirica che negli incubi dei liberisti alla
von Hayek si tramuta in cavallo di Troia del socialismo, fu il
presupposto per attaccare con le conquiste
sociali la stessa sovranità nazionale democratica, nella quale le
classi subalterne possono uscire dalla loro subalternità per
esercitare un proprio potere politico. A differenza del processo di
globalizzazione che è stato ed è funzionale all'esatto contrario:
la vanificazione di questo potere.
Dal
2010, in seguito ai crolli del 2007-2008, si racconta che il debito
sovrano costituisca un problema perché gli Stati, in seguito alla
crisi, hanno dovuto farsi carico di un eccesso di spesa sociale.
Ragione per cui i supposti beneficiari dovrebbero ora sottoporsi ad
ogni sorta di sacrifici per restituire e compensare ciò che hanno
ricevuto. Ecco una nuova fake
story
diffusa in spregio ai fatti:
quell'eccesso di spesa è imputabile quasi per intero ai salvataggi
del sistema bancario.19
E
l'Italia, come dimostrano le recenti cronache, in quei salvataggi è
rimasta ed è ancora piuttosto impegolata, giacché l'ingente debito
privato20
si è tradotto in numerose insolvenze verso le banche, le quali,
soccorse dallo Stato, producono a loro volta un incremento di debito
pubblico, oltreché perdite secche per migliaia di piccoli
risparmiatori.
Va
osservato che la consegna senza “paracadute”, del debito pubblico
al giudizio dei mercati finanziari globali, avvenne molti anni prima
che l'Unione europea l'assumesse come regola fondante. Fece scuola.
Il
giudizio ultimo
Nel
2014 Frédéric Lordon scriveva:
«Non
si dirà mai abbastanza quanto – con la complicità della Francia,
a metà passiva, a metà ideologicamente consenziente – la Germania
abbia pesato per fare della esposizione delle politiche economiche
nazionali al giudizio dei mercati finanziari la pietra angolare
dell'organizzazione del sistema europeo di politica economica.»21
Poiché
allora come oggi si discute di condivisione dei rischi, il problema
carolingio è come riconciliare tale condivisione con la disciplina
di mercato. Pressapoco il titolo del paper firmato da 14
economisti francesi e tedeschi, radunati da Merkel e Macron, affinché
proponessero come riformare la governance fiscale e
finanziaria dell'eurozona. Il documento evita di dare indicazioni
sulla disoccupazione e si concentra sui temi dell'unione bancaria,
delle regole di bilancio e del quadro istituzionale.
A
giudizio del professor Cesaratto,22
le proposte ivi contenute sono volte esclusivamente a mettere
l'Italia sotto scacco, consegnando al mercato la vigilanza sulla
disciplina fiscale dei Paesi indebitati.
«La
logica punitiva offre il massimo di sé nel principio schaubliano per
cui ogni assistenza finanziaria da parte del fondo salva-Stati Esm
(European Stability Mechanism), assistenza che può rendersi
indispensabile nel caso che per uno Stato fosse proibitivo
rifinanziarsi sul mercato a tassi accettabili, andrebbe subordinata a
una ristrutturazione del debito (…). Ciò vuol dire che sotto la
minaccia di una ristrutturazione dei debiti saranno i mercati a
vigilare sul rigore fiscale dei Paesi ad alto debito imponendo tassi
più elevati, senza più bisogno di applicare sanzioni, operazione
politicamente complicata.»
Le
osservazioni sul paper sono giunte qualche giorno dopo la
pubblicazione di un documento della Commissione europea volto ad
inserire il Fiscal compact nei trattati, legalizzando e
rendendo eterna l'austerità.
Dell'auspicata
condivisione dei rischi non c'è reale traccia. A fronte di una
moneta unica per tutti, ciascuno è poi chiamato singolarmente a
pagare un differenziato tasso d'interesse (sotto minaccia di spread)
sul proprio debito sovrano. Così si accentua la divergenza tra
Paesi, anziché perseguire la convergenza promessa dalla retorica
europeista.
Note
1
Stefano Feltri, “Contro l'euro Matteo Salvini è rimasto solo”,
Il Fatto Economico, 24 gennaio 2018.
2
Maurizio Ferrera e Giovanni Pagano, “Euro sì, euro no –
Dibattito utile solo ai sociali”, Corriere della Sera L'Economia,
22 gennaio 2018.
3
http://www.socialismo2017.it/2018/01/09/potere-al-popolo-deja-vu-quasi/#more-602
4
Come lascia intendere Andrea Roventini, candidato ministro
all'Economia del M5S, intervistato da Manuela Perrone, “Ecco come
ridurrò il debito”, ilSole24Ore del 1° marzo 2018.
5
Intervista di Alessandro Barbera, “Padoan: 'Costruttori
e demolitori, questa è la vera battaglia'”, La Stampa, 19 gennaio
2018.
6
Federico Geremicca, “Un'alleanza per competere nell'Ue”, La
Stampa, 19 gennaio 2018.
7
Carlo Di Foggia, “Non si può più tagliare la spesa: lo dicono i
dati”, il Fatto Quotidiano, 14 febbraio 2018.
8
Il pareggio di bilancio è stato inserito in Costituzione col voto
favorevole di tutti i gruppi parlamentari e solo 11 astenuti.
9
Marco Ruffolo, “Debito, una trappola da 55 miliardi” e Walter
Galbiati, “Derivati, quel 'buco nero' nel bilancio dello Stato”,
la Repubblica Affari & Finanza, 22 gennaio 2018.
10
La flat tax produce effetti
analoghi.
11
Ai dati di Milena Gabanelli pubblicate dal Corriere della Sera,
vanno aggiunti quelli della Organizzazione mondiale della sanità
sui cesarei.
12
Tra loro Federico Fubini, “Pensioni, uno squilibrio di 88
miliardi”, Corriere della Sera, 29 novembre 2017.
13
Di fronte ad una platea di banchieri ed operatori finanziari, al 24°
Assiom Forex, il 10 febbraio 2018.
14
Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, “Il rigore non è un freno”,
Corriere della Sera, 19 gennaio 2018.
15
Federico Fubini, “La quiete dei mercati: basta che l'Italia resti
nell'area euro”, Corriere della Sera, 19 gennaio 2018.
16
Gli Stati Uniti hanno una esposizione per 18.237 mld di dollari, il
Giappone a 10.557 mld e l'Italia a quasi 2.407 mld di dollari. In
rapporto al Pil l'Italia è seconda solo al Giappone.
17
Vito Lops, “Perché con un rapporto debito/Pil al 236% il Giappone
spende e spande mentre l'Italia va giù a colpi di austerity?”,
ilSole24ore, 15 gennaio 2013.
18
Sostenere una certa elasticità dei tassi di cambio non significa
aderire alla loro liberalizzazione selvaggia, a vantaggio delle
attività speculative della finanza.
19
Vedi anche Luciano Gallino, “Il colpo di Stato di banche e
governi”, Einaudi 2013, pagg. 180-185.
20
La crisi mondiale del 2007-2008 ebbe origine da debito privato.
21
Frédéric Lordon, “La
malfaçon – Monnaie européenne et souvraineté démocratique”,
Le liens qui libèrent, 2014, pag. 57. Traduzione mia.
22
Sergio Cesaratto, “L'idea franco-tedesca per ingabbiare l'Italia”,
il Fatto Economico, 24 gennaio 2018.