sabato 3 marzo 2018

La scomparsa dell'austerità

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L'austerità è impresentabile, benché concordata con l'Europa e più che mai vigente. In cosa consiste ed a quale futuro ci consegna. Riuscirà un nuovo inciucio governativo a confermarla? Ricatto e funzione del debito pubblico. Rinnovati congegni carolingi a danno del Paese. Miopia delle migliori liste sottoposte al voto.
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Non si sfugge
Non condivido affatto la soddisfazione con la quale Stefano Feltri su Il Fatto Economico1 constatava che in campagna elettorale Matteo Salvini era rimasto da solo a combattere l'euro. Una soddisfazione che trapelava anche da L'Economia2 del Corriere della Sera, non a caso.
Infatti, la coalizione con Forza Italia, partito messosi sotto tutela dei popolari tedeschi, annulla qualsiasi possibilità della Lega di dar seguito pratico al suo “euro-scetticismo”. Al tempo stesso l'abbandono del problema da parte di M5S, almeno limitatamente al programma immediato del candidato Presidente del Consiglio Luigi Di Maio, segna un significativo passo indietro. Non controbilanciato da altre prese di posizione.

Tra Liberi e Uguali i convincimenti in materia di moneta unica di Alfredo D'Attorre e Stefano Fassina si sono persi nell'indifferenza, se non osteggiati da quanti sostengono che aderire all'euro è stato forse un errore, ma rimediare uscendone sarebbe più penalizzante che restarci.
Più a sinistra”, benché il programma di Potere al Popolo sia comprensivo di molte buone cose, manca dell'essenziale: l'euro rimane tabù, come opportunamente sottolinea Socialismo 2017.3
Se escludiamo Lega e Fd'I, il M5S era la sola forza politica con largo seguito a non sfuggire al problema della moneta unica, per lo meno promettendo un referendum (necessariamente “consultivo”).
Rinunciarvi è stato opportuno?
Forse si suppone che solo tramite un'esperienza politica di cambiamento già avviata, nel corso della quale proposte palesemente “ragionevoli” di rifiuto dell'austerità e di condivisione europea dei rischi saranno ostinatamente rifiutate dai partners europei, la maggioranza comprenda quanto sia inevitabile lo sganciamento dall'euro.
Oppure si pensa che il dialogo con Germania, Francia ed altri Paesi, volto a modificare il Fiscal Compact, quando riuscisse a produrre qualche buon risultato, renderebbe obsoleto il problema strutturale del sistema monetario e finanziario?4
Comunque vada, l'economia è politica e non potrà sfuggirle: avere un'idea illusoria delle classi dominanti di Germania e Francia è rovinoso.
Illusione non imputabile al professor Bagnai, che ha fatto la sua scelta e si è candidato con la Lega, avendo già dato da tempo un giudizio negativo su M5S.
Tuttavia, lasciare al nuovo araldo del nazionalismo xenofobo e patriottardo (post-separatista) la difesa della sovranità economico-monetaria del Paese potrebbe rivelarsi parimenti rovinoso. Soprattutto perché è necessario affrontare la contraddizione politica rappresentata dal nazionalismo di supremazia tedesco e francese (carolingio se insieme), nascosto nelle regole economiche e nei tecnicismi del finto solidarismo dell'Unione europea.
Chi vuole l'austerità non può dire di volerla.
Chi non la vuole non può evitare a lungo di spiegarci come intende davvero soppiantarla, senza ripercorrere pericolosamente le vie del passato.
Indicibile
Da quando il governo Monti dimostrò che di austerità “espansiva” si poteva morire, le più assennate e responsabili forze di governo del Paese hanno dissociato il binomio. L'austerità è diventata parola indicibile, mentre l'espansione sarebbe dietro l'angolo, se solo si proseguisse sulla linea tracciata dal pragmatico governo Gentiloni.
Il che, politicamente, presuppone un rinnovato patto tra Pd e Forza Italia, un inciucio piuttosto allargato perché lo sciagurato Rosatellum, dicono i sondaggi, non sembra garantire alla semplice somma dei due partiti la necessaria maggioranza.

Considerata impopolare, la parola austerità è pertanto sostituita da richiami all'ingente debito pubblico (sempre dimenticando quello privato) ed ai vincoli di bilancio, ai quali dovremmo sottostare di nostra spontanea volontà anche-se-non-ce-lo-chiede-l'Europa.
Ovviamente si tace di chi il debito pubblico fu opera e perché esista, a quale uso sia stato politicamente destinato. Soprattutto si nasconde come e perché il Paese sia stato chiuso a tenaglia:
  1. dall'adozione, in cessione di sovranità politica, di un sistema europeo economico, monetario e finanziario che emargina e ci emargina in una delle sue periferie;
  2. da vincoli di bilancio, questi sì molto sovrani, chiamati a smaltire a livello nazionale le micidiali scorie azotate prodotte dal sovrastante sistema continentale, che definire “a-democratico” è un puro abbellimento accomodante.
La tenaglia “europeista”, nella quale lavoro e welfare rimangono schiacciati, è la pratica traduzione su scala continentale della globalizzazione liberista. Opporsi ad essa, trascurandone la concreta attuazione europea è un puro esercizio retorico.
Un governo di somministrazione
L'amara medicina austerità deve pur trovare un modo politico per essere somministrata al Paese e, in particolare, alle classi subalterne, in accordo con l'establishment europeo. La posologia dice che il 2018 è anno decisivo.
In un'intervista il ministro uscente dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan,5 ha sostenuto che la lotta in corso tra le varie liste era semplicemente riconducibile a “costruttori” contro “demolitori”, ben guardandosi dall'inserire Berlusconi e Forza Italia tra questi ultimi. Sicché, dalle pagine dello stesso quotidiano, Federico Geremicca poteva vedere nelle affermazioni del ministro, la proposta di una alleanza per competere nella Unione europea; poiché Germania e Francia si sono dotate o si doteranno di governi forti:
«L'Italia (…) rischierebbe moltissimo ad esser da meno: anche se questo dovesse costare un rinnovato patto Pd-Forza Italia.»6
A tal fine è stato congegnato il nuovo sistema elettorale Rosatellum che, premiando finte coalizioni, doveva, ad urne chiuse, aprire le porte alle forze moderate presenti in ogni schieramento, all'unione dei competenti, al governo europeista contro i populisti, i sovranisti, i moderni estremismi: in altri termini garantire il ritorno all'asse Renzi-Berlusconi.
Benché all'uso della parola inciucio, di derivazione fastidiosamente plebea, si preferiscano le più signorili “larghe intese” o “larghissime”, questo è il fine dell'accordo politico sulla legge elettorale, alla quale si è prestata lestamente la Lega. Nell'occasione Salvini ha manifestato le tipiche caratteristiche del nazionalismo patriottardo italiano, benché fresco reduce da separatismo: tanto xenofobo contro i più deboli, rom e migranti, quanto servile verso le oligarchie dominanti, pur di ricavarne un tornaconto (in seggi) per la ditta del nord.
Ma i conti, il 5 marzo, potrebbero non tornare...
Nel qual caso la permanenza in carica di Gentiloni o, in suo sostituzione, di un governo di scopo che emargini M5S e faccia l'ennesima legge elettorale, dovrà durare il tempo necessario per somministrare l'amara medicina europea. Forse con qualche elastica concessione, data l'imminenza elettorale.
Da osservare che, nonostante da Berlusconi a Prodi, passando per Renzi e Gentiloni, si facciano tutti fautori della stabilità “europeista” del futuro esecutivo italiano, la Kanzlerin e Monsieur le Président si preparano ad ogni evenienza, progettando misure di “disciplina fiscale” di cui dirò più avanti.
Per coloro che non vogliono l'austero inciucio è esiziale fuggire dal tema dell'Europa, come se bastasse a salvarsi dalle conseguenze dell'Europa.
Avanzi di bilancio
In un report l'Ufficio parlamentare di bilancio (Upb)7 analizza le prospettive della finanza pubblica italiana da qui al 2020, anno nel quale il governo ha programmato il pareggio di bilancio: il saldo zero tra entrate ed uscite dello Stato, corpo estraneo inserito in Costituzione.8 Per raggiungere l'obiettivo occorrerà spendere meno di quanto s'incassa e conseguire un avanzo primario che in 3 anni dovrà passare dal 1,7% al 3,3% del Pil.
Per raggiungere il pareggio di bilancio a partire dai suddetti avanzi primari, l'esborso per interessi sui titoli di Stato dovrà essere contenuto, sebbene dal 2019 sia prevista la fine Quantitative easing della Bce da cui ora calmierati. Inoltre, dovranno venire assorbiti pure i costi dei derivatives, calcolati, da qui al 2020, in circa 55 miliardi.9
Questi ultimi furono attivati proprio per “assicurarci” contro l'aumento dei tassi d'interesse sul debito, ma prima del Quantitative easing di Mario Draghi, col risultato paradossale che la diminuzione dei tassi d'interesse, prodotta proprio dal Qe, ha condannato lo Stato italiano a pagare ingenti premi a banche tipo la Morgan Stanley.
Serve sottolineare che la crescita dell'avanzo primario comporta una significativa divaricazione tra le Uscite primarie (linea rossa) e le Entrate (linea blu)
[vedi grafico “Che cos'è l'austerità”, qui sopra].
Anche supponendo che la flebile ripresa del Pil prosegua secondo le previsioni, stabilizzando il gettito fiscale, vanno trovate le risorse per scongiurare l'applicazione delle cosiddette “clausole di salvaguardia”. Esse incombono per aumenti dell'Iva di oltre 30 miliardi, con un duplice effetto perverso: spostare le entrate dalle imposte dirette a quelle indirette, avvantaggiando i redditi più elevati;10 penalizzare il mercato ed i consumi interni.
All'ordine dei disordinanti
L'applicazione dell'austerità programmata invocherà nuovi tagli alla sanità, che ha invece bisogno di spendere meglio, evitando di ingrassare quelle imprese private che godono di rimborsi assolutamente fuori mercato e lievitati nel numero a causa di interventi chirurgici non necessari o “consigliati” a danno della salute dei pazienti.11
I tagli riguarderanno la scuola ed anche le pensioni saranno oggetto di un morboso ritorno d'interesse, preannunciato dai soliti economisti12 che, per terrorizzare sul debito, non calcolano né il peso specifico dell'assistenza sui conti INPS, né il ristorno allo Stato delle imposte sui redditi pensionistici (in Germania le pensioni sono erogate al netto).
In sintesi le ipotesi di spending review salvifiche contraddicono una realtà di spesa già ai limiti, non più riducibile nel complesso, semmai da reindirizzare, riqualificare e moralizzare al suo interno.
Incuranti degli effetti dei tagli, vari rappresentanti dell'establishment italiano ripetono che il debito va ridotto secondo metodo europeo per “assicurare la stabilità finanziaria”. Tra loro il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco.13 A parer suo l'Italia non deve temere tanto la fine del Quantitative easing di Draghi, che aumenterebbe la spesa per interessi passivi sul debito, quanto il “ritardo” nella correzione dei conti pubblici.
Al festival del rigore sulla pelle altrui non potevano mancare i soliti Alesina & Giavazzi14 che invitano a rispettare il Fiscal Compact (Patto di bilancio europeo), anche perché, prendete nota:
«La grande recessione dalla quale siamo appena usciti non sarà purtroppo l'ultima.»
Sicché, per non ricadervi, invece di pensare a misure drastiche di controllo della finanza, ci propongono l'austerità per ridurre oggi il debito e poterlo, alla prossima crisi, far ricrescere senza destare preoccupazione nei mercati finanziari. Più sottomessi alla finanza di così!
Sembra che agli investitori internazionali interessi soprattutto la permanenza dell'Italia nell'euro.15 È infatti dall'Eurozona, che il Paese viene tenuto sotto lo schiaffo del loro dittatoriale giudizio. Al loro cospetto i Paesi indebitati, devono presentarsi coi “conti in ordine”, come se non fossero proprio quei mercati finanziari la radice del sistematico disordine che appesta il globo.
Cartucce bagnate
Secondo i dati del Fmi, l'Italia è terza al mondo per entità del debito pubblico, dietro a Stati Uniti e Giappone.16 Il problema del rientro dal debito sovrano non ha un'unica soluzione. Ad ogni buon conto, un Paese indebitato, per poter scegliere, deve affermare una basilare sovranità politica.
Sul caso italiano pesa la storia di come è stato accumulato ed a quali destini è stato volutamente consegnato. Aspetti che vanno capiti, in funzione delle scelte da intraprendere [vedi finestra “Un divorzio e due funerali”, qui sotto].

Un divorzio e due funerali
L'esplosione del nostro debito pubblico deriva dalla decisione della Banca d'Italia di smettere di acquistare i titoli di Stato invenduti nelle aste periodiche del Tesoro (mercato primario). Correva il 1981 e da quel “divorzio”, tra Bankitalia e Tesoro, scaturì nel decennio successivo un forte rialzo dei tassi medi d'interesse e della spesa per interessi sui titoli di debito pubblico, collocati sul mercato senza più “paracadute”. Ne derivò un accumulo eccezionale di debito, passato rapidamente dal 58% al 105% del Pil.*
Prezzo del petrolio 01/01/1966-31/12/1975
Prezzo del petrolio 01/01/1976-31/12/1986

Fonte:http:/www.money.it/Prezzo-del-petrolio-storico-WTI
Per ammissione dello stesso Beniamino Andreatta, che insieme a Carlo Azelio Ciampi, allora governatore di Bankitalia, ne fu protagonista, il bersaglio reale era costituito dalla scala mobile, ovvero dal meccanismo, poi attaccato da Craxi (1984), di adeguamento di salari e stipendi all'aumento del costo della vita. Benché fosse attivato “a valle”, cioè a posteriori, veniva indicato come colpevole dell'inflazione, perché avrebbe alimentato incrementi di prezzo “a monte” in base al gioco delle aspettative. (La scala mobile venne definitivamente abolita nel 1992).
In realtà l'inflazione interna, nonostante il solito coro di media ed esperti, derivava dal rialzo dei prezzi dovuti a due shock petroliferi (1973 e 1979) internazionali, come dimostrano i due grafici sul prezzo del petrolio nei due periodi coinvolti.
A conti fatti, il “divorzio” condusse a due “funerali”: del controllo nazionale sui tassi d'interesse e dunque sul debito pubblico; della difesa automatica dei salari dall'inflazione.

    * Sull'argomento vedi in questo Blog, “La corda e il nodo scorsoio”, febbraio 2015. Va ricordato che quando la Bce, nell'ambito del Quantitative easing, acquista (sul mercato secondario) titoli di debito pubblici e privati, produce l'effetto di calmierare i tassi d'interesse, in modo simile a quello che avveniva in Italia prima del “divorzio”.
Agli inizi del 2013 si leggeva su ilSole24ore:
«Ma come mai il Giappone - che resta la terza economia del pianeta e può esibire un tasso di disoccupazione del 4,5% contro l'11% europeo - può permettersi di far galoppare la spesa pubblica pur convivendo da tempo con parametri di indebitamento molto simili a quelli della Grecia?
(…) Perché rispetto alla Grecia, o a un qualunque Paese dell'Eurozona, ha almeno due cartucce in più da giocare: la possibilità di stampare moneta della Bank of Japan e la protezione del debito pubblico da parte dei cittadini e degli investitori interni che ne detengono la quasi totalità.»:17
Il “divorzio” contribuì a trasferire in mano estera parte del debito pubblico esploso nel decennio successivo al 1981. A fine 2016 era detenuto da investitori esteri per il 35%, di cui il 9% in capo alla Bce. Il “divorzio” doveva consegnare alla nostra Banca centrale il pieno controllo dell'offerta di moneta. Ma, come scrisse Andreatta stesso, quella scelta fu la conseguenza inevitabile della adesione italiana (1979) al Serpente monetario europeo (Sme), padre dei cambi fissi e nonno dell'euro. Sicché quel controllo fu trasferito a livello europeo.
In questo modo veniva tolta all'Italia la possibilità di avvalersi della flessibilità del cambio,18 definita dai suoi detrattori “svalutazione competitiva”, obbligandola alla deflazione interna, di prezzi e salari, per sostenere la competitività del made in Italy. Ciò ha depresso la produttività che ha sofferto anche di una caduta degli investimenti, attualmente in fase di insufficiente ripresa.
Quanto fosse falso e pretestuoso il richiamo alla pura concorrenzialità sui mercati, contro la “svalutazione competitiva” della liretta verso il marco e le altre monete forti pre-euro, lo testimonierà il Quantitative easing della Bce che svaluterà l'euro verso il dollaro, a vantaggio soprattutto della Germania, e facendo infuriare la Casa Bianca già ai tempi di Obama.
Affamare la “bestia”
Oltre ogni considerazione critica, rimane il fatto che il debito pubblico dell'Italia è stato in gran parte originato da un'atto di lotta di classe contro i lavoratori, orchestrata per via governativa ed attuata mediante strumenti monetari ed europei presentati come asetticamente “tecnici”.
Ne subirono le conseguenze le retribuzioni da lavoro sia salariato che autonomo, ed il welfare che dipende dal bilancio dello Stato. Affamare lo Stato, la “bestia” onirica che negli incubi dei liberisti alla von Hayek si tramuta in cavallo di Troia del socialismo, fu il presupposto per attaccare con le conquiste sociali la stessa sovranità nazionale democratica, nella quale le classi subalterne possono uscire dalla loro subalternità per esercitare un proprio potere politico. A differenza del processo di globalizzazione che è stato ed è funzionale all'esatto contrario: la vanificazione di questo potere.
Dal 2010, in seguito ai crolli del 2007-2008, si racconta che il debito sovrano costituisca un problema perché gli Stati, in seguito alla crisi, hanno dovuto farsi carico di un eccesso di spesa sociale. Ragione per cui i supposti beneficiari dovrebbero ora sottoporsi ad ogni sorta di sacrifici per restituire e compensare ciò che hanno ricevuto. Ecco una nuova fake story diffusa in spregio ai fatti: quell'eccesso di spesa è imputabile quasi per intero ai salvataggi del sistema bancario.19
E l'Italia, come dimostrano le recenti cronache, in quei salvataggi è rimasta ed è ancora piuttosto impegolata, giacché l'ingente debito privato20 si è tradotto in numerose insolvenze verso le banche, le quali, soccorse dallo Stato, producono a loro volta un incremento di debito pubblico, oltreché perdite secche per migliaia di piccoli risparmiatori.
Va osservato che la consegna senza “paracadute”, del debito pubblico al giudizio dei mercati finanziari globali, avvenne molti anni prima che l'Unione europea l'assumesse come regola fondante. Fece scuola.
Il giudizio ultimo
Nel 2014 Frédéric Lordon scriveva:
«Non si dirà mai abbastanza quanto – con la complicità della Francia, a metà passiva, a metà ideologicamente consenziente – la Germania abbia pesato per fare della esposizione delle politiche economiche nazionali al giudizio dei mercati finanziari la pietra angolare dell'organizzazione del sistema europeo di politica economica.»21
Poiché allora come oggi si discute di condivisione dei rischi, il problema carolingio è come riconciliare tale condivisione con la disciplina di mercato. Pressapoco il titolo del paper firmato da 14 economisti francesi e tedeschi, radunati da Merkel e Macron, affinché proponessero come riformare la governance fiscale e finanziaria dell'eurozona. Il documento evita di dare indicazioni sulla disoccupazione e si concentra sui temi dell'unione bancaria, delle regole di bilancio e del quadro istituzionale.
A giudizio del professor Cesaratto,22 le proposte ivi contenute sono volte esclusivamente a mettere l'Italia sotto scacco, consegnando al mercato la vigilanza sulla disciplina fiscale dei Paesi indebitati.
«La logica punitiva offre il massimo di sé nel principio schaubliano per cui ogni assistenza finanziaria da parte del fondo salva-Stati Esm (European Stability Mechanism), assistenza che può rendersi indispensabile nel caso che per uno Stato fosse proibitivo rifinanziarsi sul mercato a tassi accettabili, andrebbe subordinata a una ristrutturazione del debito (…). Ciò vuol dire che sotto la minaccia di una ristrutturazione dei debiti saranno i mercati a vigilare sul rigore fiscale dei Paesi ad alto debito imponendo tassi più elevati, senza più bisogno di applicare sanzioni, operazione politicamente complicata.»
Le osservazioni sul paper sono giunte qualche giorno dopo la pubblicazione di un documento della Commissione europea volto ad inserire il Fiscal compact nei trattati, legalizzando e rendendo eterna l'austerità.
Dell'auspicata condivisione dei rischi non c'è reale traccia. A fronte di una moneta unica per tutti, ciascuno è poi chiamato singolarmente a pagare un differenziato tasso d'interesse (sotto minaccia di spread) sul proprio debito sovrano. Così si accentua la divergenza tra Paesi, anziché perseguire la convergenza promessa dalla retorica europeista.

Note
1 Stefano Feltri, “Contro l'euro Matteo Salvini è rimasto solo”, Il Fatto Economico, 24 gennaio 2018.
2 Maurizio Ferrera e Giovanni Pagano, “Euro sì, euro no – Dibattito utile solo ai sociali”, Corriere della Sera L'Economia, 22 gennaio 2018.
3 http://www.socialismo2017.it/2018/01/09/potere-al-popolo-deja-vu-quasi/#more-602
4 Come lascia intendere Andrea Roventini, candidato ministro all'Economia del M5S, intervistato da Manuela Perrone, “Ecco come ridurrò il debito”, ilSole24Ore del 1° marzo 2018.
5 Intervista di Alessandro Barbera, “Padoan: 'Costruttori e demolitori, questa è la vera battaglia'”, La Stampa, 19 gennaio 2018.
6 Federico Geremicca, “Un'alleanza per competere nell'Ue”, La Stampa, 19 gennaio 2018.
7 Carlo Di Foggia, “Non si può più tagliare la spesa: lo dicono i dati”, il Fatto Quotidiano, 14 febbraio 2018.
8 Il pareggio di bilancio è stato inserito in Costituzione col voto favorevole di tutti i gruppi parlamentari e solo 11 astenuti.
9 Marco Ruffolo, “Debito, una trappola da 55 miliardi” e Walter Galbiati, “Derivati, quel 'buco nero' nel bilancio dello Stato”, la Repubblica Affari & Finanza, 22 gennaio 2018.
10 La flat tax produce effetti analoghi.
11 Ai dati di Milena Gabanelli pubblicate dal Corriere della Sera, vanno aggiunti quelli della Organizzazione mondiale della sanità sui cesarei.
12 Tra loro Federico Fubini, “Pensioni, uno squilibrio di 88 miliardi”, Corriere della Sera, 29 novembre 2017.
13 Di fronte ad una platea di banchieri ed operatori finanziari, al 24° Assiom Forex, il 10 febbraio 2018.
14 Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, “Il rigore non è un freno”, Corriere della Sera, 19 gennaio 2018.
15 Federico Fubini, “La quiete dei mercati: basta che l'Italia resti nell'area euro”, Corriere della Sera, 19 gennaio 2018.
16 Gli Stati Uniti hanno una esposizione per 18.237 mld di dollari, il Giappone a 10.557 mld e l'Italia a quasi 2.407 mld di dollari. In rapporto al Pil l'Italia è seconda solo al Giappone.
17 Vito Lops, “Perché con un rapporto debito/Pil al 236% il Giappone spende e spande mentre l'Italia va giù a colpi di austerity?”, ilSole24ore, 15 gennaio 2013.
18 Sostenere una certa elasticità dei tassi di cambio non significa aderire alla loro liberalizzazione selvaggia, a vantaggio delle attività speculative della finanza.
19 Vedi anche Luciano Gallino, “Il colpo di Stato di banche e governi”, Einaudi 2013, pagg. 180-185.
20 La crisi mondiale del 2007-2008 ebbe origine da debito privato.
21 Frédéric Lordon, “La malfaçon – Monnaie européenne et souvraineté démocratique”, Le liens qui libèrent, 2014, pag. 57. Traduzione mia.
22 Sergio Cesaratto, “L'idea franco-tedesca per ingabbiare l'Italia”, il Fatto Economico, 24 gennaio 2018.