Può
la sinistra italiana essere accusata di tradimento? Lo spunto ci
viene offerto dal dibattito sul Blog di Alberto Bagnai. Risposte tra
morale e politica nei mutamenti sociali.
Il tradimento è l'atto (il fatto “oggettivo”) del venir meno ad un patto morale, ad un impegno volontariamente preso (“soggettivamente”). Esso viene compiuto dal traditore mascherando le proprie reali intenzioni verso il tradito, portato a fidarsi di lui. Spesso, ma non sempre, la vittima è colta di sorpresa dal tradimento.
Il tradimento è l'atto (il fatto “oggettivo”) del venir meno ad un patto morale, ad un impegno volontariamente preso (“soggettivamente”). Esso viene compiuto dal traditore mascherando le proprie reali intenzioni verso il tradito, portato a fidarsi di lui. Spesso, ma non sempre, la vittima è colta di sorpresa dal tradimento.
Sicché
il tradimento implica diversi ingredienti: il rapporto tra l'atto
oggettivo conclamato ed il patto morale soggettivo, la fiducia del
tradito nel traditore, il momento specifico in cui il tradimento
trova attuazione.
Fin
qui ci soccorre il dizionario.
Polemos
A
cavallo degli anni sessanta e settanta il Pci fu accusato di tradire
il comunismo. I democratici di sinistra (DS) furono accusati di
tradire il dettato pacifista della Costituzione all'art. 11 quando a
fine millennio (in rapida sequenza, prima Prodi e poi D'Alema)
impegnarono il Paese nella “guerra umanitaria” della Nato in
Kosovo.
Attualmente
il PD (governo Renzi) è accusato di tradire la propria Carta dei
Valori, con riferimento al combinato disposto delle modifiche
costituzionali (Senato) e della legge elettorale (Italicum).
Da
questo punto di vista, ci troveremmo di fronte, sul piano storico, ad
un “tradimento continuato” da parte di personale politico che,
mutando nome, tuttavia persevera nella stessa deriva politico-morale
attraverso più generazioni.
Tralasciando
la questione del comunismo, per restare al punto, ossia al tradimento
della sinistra (che dovrebbe avere a cuore la democrazia come suo
indispensabile habitat), dei tre ingredienti sopra elencati,
mancano sia il “fattore sorpresa” che quello decisivo della
“fiducia”.
Come
può dirsi sorpresa la vittima, se il voltagabbana non si rivela tale
all'improvviso? Come può accadere che l'inganno continui per così
lungo tempo (vari decenni) senza che l'ingannato se ne sia potuto
rendere conto? In questi casi, per lo meno, il sussulto
d'indignazione e l'accusa di tradimento appaiono assai tardivi e
“sospetti”.
Inevitabilmente
viene chiamato in causa il terzo e più importate “ingrediente”:
il rapporto tra il fatto oggettivo e quello soggettivo.
Posta
seccamente, come la pone Bagnai, la questione non lascia scampo
[vedi riquadro “Tra oggettivo e soggettivo”]
e la sentenza di condanna non è scontata solo perché non
appare altrettanto scontata la consapevolezza soggettiva, da parte
del traditore, di ciò che va combinando.
Saremmo
di fronte ad un “tradimento oggettivo”, dalla verifica del quale
non si potrà sfuggire, dal momento che, nel loro divenire, i fatti
oggettivi, inesorabili, riproporranno al pettine i nodi irrisolti.
Come le contraddizioni dell'Eurozona ripropongono puntuali il riesame
della scelta della sinistra di aderire alla moneta unica.
Eppure,
può chiamarsi tale un tradimento che manca del carico morale
soggettivo nell'atto del tradire? Se il traditore non si rende conto
di tradire, moralmente sarebbe scusabile, purché riconosca l'errore
(fatto diverso dal tradimento) e vi ponga adeguato rimedio.
Labilità
dei ceti medi
Forse,
gioverebbe comprendere che in qualche modo il tradito non è poi così
ingannato dal traditore, giacché l'esperienza gli avrebbe più volte
dimostrato quanto mal riposta sia stata la sua fiducia. Dal che si
può risalire a diverse concause, nelle quali l'oggettivo ed il
soggettivo si intrecciano e non si presentano in forma tanto chiara e
distinta.
L'ingannato
potrebbe essere stato cointeressato, coinvolto nel gioco. Una sorta
di autoinganno per non riconoscere una falsa coscienza di sé. Sul
piano sociale attiene all'ipotesi che in molti, nel popolo di
sinistra, si siano sentiti parte della cosiddetta middle class,
una categoria sociologica del consumo, attenta allo status
che oscura quella della proprietà (dei marxiani “mezzi di
produzione”). In tal caso quel popolo avrebbe supposto di essere
ricco, per via di un fuggevole benessere da potere d'acquisto,
restando però di fatto povero, in particolare nel momento in cui si
è reso conto di non disporre più, o in misura ridottissima,
dell'essenziale: lavoro, pensione, sanità, università, ambiente...
E magari ai figli si prospetta un avvenire peggiore del proprio
passato.
Alla
radice, l'ipotesi contempla una trasformazione della società,
avvenuta nei decenni appena trascorsi, mutando l'idea che essa nutre
di se stessa: la classe operaia che non si auto-riconosce tale; in
una società in apparenza non più divisa in classi, resa a tal punto
“fluida” da escludere dalla sua coscienza una sua parte, un
crescente numero di poveri ridotti ai margini come “scarti”. Una
società in cui tutti sono imprenditori autonomi dal capitale, liberi
prestatori d'opera, e persino una nonna italiana può credersi
“imprenditrice” se paga una badante immigrata.
Quando
la crisi ha rimesso ciascuno coi piedi a terra, è iniziato un
salutare disinganno?
Non
è automatico. I margini del “benessere” non sono ovunque e
comunque totalmente erosi. Alcune generazioni senza la guerra
addosso, in un tempo chiamato pace, hanno consentito l'accumulo di
tanti risparmi (e la casa di proprietà)... Siamo nel
post-industriale, in un Paese in stagnazione, tuttavia parte del club
dei più ricchi al mondo...
E
se la natura della società è cambiata, non percependosi nemmeno più
come “società” ma unicamente come insieme di individui rivali,
come può non cambiare “la sinistra in natura”1?
Il
consumatore si consuma
Per
attenerci all'attualità delle vicende politiche istituzionali e
delle rappresentanze elettorali, possiamo scorgere “mutamenti
paralleli”.
Da
Berlusconi in poi le elezioni sono trattate come un mercato delle
illusioni (mercantili). Tramite la pubblicità, soprattutto
televisiva, l'elettore diventa un consumatore al quale viene chiesto
di comprare una merce astratta (politica) invece di un'altra. Sicché
in una perenne campagna elettorale, conta più l'immagine di un
prodotto che il suo reale valore d'uso, sempre che il voto non
divenga puro valore di scambio. Tuttavia, l'elettore, al pari del
consumatore, sa già che di tutto ciò che gli viene promesso in
campagna elettorale, come nelle pubblicità,
solo una piccola parte verrà mantenuta, quando l'eletto non farà
addirittura il contrario di quanto “pattuito” a suo tempo.
Dopodiché
il gioco, pur reiterato da uno scafato politico di professione (il
giovane Matteo Renzi)2
e dal suo “governo del fare”, si è palesemente logorato. Una
democrazia elettorale, nutrita
da partiti e liste di solo “apparire”, finisce per alimentare la
disaffezione da sé o/e contro-movimenti, di rottura con l'andazzo
dominante. E ai falsi mediatici, necessariamente, si accompagna il
concreto della stretta anticostituzionale ed antidemocratica, nella
logica politica di classe più tradizionale.
In
Italia la crescente disaffezione al voto ed il successo di M5S
evidenziano un logoramento del gioco elettorale-istituzionale
condotto con le modalità dell'immagine, al pari di quanto avviene in
Europa, con Syriza (prima che rientrasse nei ranghi), di
Podemos, o di Corbyn nel Labour inglese. Stando alle
classificazioni canoniche, il fenomeno non riguarda solo la sinistra
e il centro-sinistra, ma pure la destra. Il che, esponendoci a rischi
di autoritarismo e fascismo, dovrebbe indurci ad indagare meglio la
realtà.
Nomi
Insistere
sul tradimento della sinistra, pertanto, mi pare un vuoto esercizio,
secondo paradigmi politici oramai scompigliati dal divenire pratico.
La
sinistra da lunga pezza attua politiche negli interessi delle
oligarchie finanziarie, con lievissime
differenze non sempre percepibili tra liberal-liberismi e
social-liberismi, con l'aggravante che alla sinistra sono permesse,
per mancanza di opposizione, nefandezze a suo tempo impedite alla
destra.
Il
destino del significante “sinistra” segue fatalmente il
significato politico dato dal pluridecennale operato dei suoi
“interpreti ufficiali”. E la polemica, scontato il passo, giunge
fuori tempo massimo.
Come
se, a decenni di distanza, passati tra divorzi e matrimoni, con i
figli adulti e magari con un nutrito stuolo di nipoti in una famiglia
oramai “allargata” più o meno felice, in una fu-coppia un
fu-coniuge rinfacciasse all'altro fu, di non aver tenuto fede
all'antico patto coniugale. Tutti leggeremmo la vicenda come un
ritorno di gelosia (e patetico amore), alla vana ricerca del tempo
perduto.
Può
succedere, sarebbe senescenza.
Non
consegniamoci al passato dei “nomi” per continuare a recriminare.
Badiamo alle contraddizioni reali con tutta l'inventiva di movimento
e linguaggio. Non rassegnamoci ad un futuro eternamente ripetitivo
del passato e delle sue forme.
Voltare
pagina non significa dimenticare.
1
L'idea che la “sinistra esiste in natura” e di P. Bersani.
2
Renzi, grazie alle primarie del PD, ha bypassato le elezioni ed è
stato nominato premier in quanto segretario di partito.
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