venerdì 21 ottobre 2022

BASI NEGOZIALI per porre fine alla guerra in Ucraina

 La proposta di Elon Musk e l'appello di un gruppo di intellettuali italiani. Contraddizioni ed implicazioni. Cosa osta.

In ordine sparso si susseguono numerose le iniziative in risposta al “caro-bollette”, al carovita e contro la guerra.

L'anelito di pace viene declinato in modo politico diverso, orientato sia dal giudizio sulle cause del conflitto, su chi è l'aggressore e chi l'aggredito, sia dalla necessità di trovare una soluzione negoziale, che ponga fine ad una escalation suscettibile di condurre ad uno scontro nucleare.

Vi sono forze che chiedono lo stop all'invio di armi all'Ucraina, per “non gettare benzina sul fuoco”, ed altre che vogliono anche la fine delle sanzioni alla Russia, collegando l'obiettivo alla difesa degli strati popolari più esposti al loro effetto boomerang.

Non mancano le posizioni ambigue. Europe for Peace1 ha convocato una manifestazione per il 5 novembre su una base talmente generica da poter includere anche il PD, che vi ha aderito, nonostante sia sostenitore della strategia della Nato per cui soldi ed armi all'Ucraina e sanzioni alla Russia, vale a dire la prosecuzione ad oltranza della guerra sia la via che conduce... alla pace.

In parallelo e congiuntamente ferve il dibattito sulle possibili basi per aprire il negoziato di pace.

Per affrontare questo tema ho scelto di porre l'attenzione sulla proposta di Elon Musk e sull'appello “Un negoziato credibile per fermare la guerra”, firmato da alcune personalità italiane.2

Il loro esame mi ha portato a fare alcune considerazioni non strettamente pertinenti.

Due proposte

La proposta Elon Musk è degli inizi di ottobre. Il fatto ha suscitato una certa sorpresa. Di solito personaggi di questo tipo, miliardari dell'Olimpo mondiale della ricchezza, non intervengono negli affari politici in modo così diretto.

Si dà il caso, però, che Musk sia coinvolto nella guerra come supplier di mezzi per combatterla. Una sua società, la Starlink, fornisce circa la metà dei terminali operativi in Ucraina connessi alla sua rete di satelliti commerciali: un servizio Internet che consente a Kiev di disporre di un sistema di comunicazione molto avanzato e di guidare le proprie operazioni militari ed in particolare le missioni contro postazioni e carri armati russi.

Dopo aver risposto positivamente alle richieste del Ministero della transizione digitale di Kiev, Musk ha recentemente chiesto al Pentagono di pagare gli ingenti costi della controllata, per poi ambiguamente ritrattare qualche giorno dopo.3 Sono in corso “procedure” per arrivare a coprire i costi del servizio da parte degli alleati occidentali.

Musk ritiene che la trattativa debba svolgersi sulle seguenti basi:4 rifare le elezioni delle regioni annesse dalla Russia sotto la supervisione dell'Onu; ritiro della Russia in caso di scelta pro Ucraina da parte delle popolazioni interessate; riconoscimento alla Russia della Crimea e garanzia del suo approvvigionamento idrico; neutralità dell'Ucraina, ovvero rinuncia alla sua adesione alla Nato.

Da parte occidentale si sono levate accuse a Musk di filo-putinismo e pure che si fosse messo d'accordo personalmente con Putin.

Sebbene non siano circostanziate, le basi negoziali suggerite dal magnate sudafricano non sono affatto campate in aria e riflettono il punto di vista di alcuni settori dell'élite dominante in disaccordo con la Casa Bianca.5

Da quelle di Musk si differenziano in parte le sei linee negoziali tratteggiate da un gruppo “trasversale” di intellettuali italiani. Il loro appello6 parte dalla contestazione dell'idea che solo una «resa dei conti» nucleare possa far nascere un nuovo e stabile ordine mondiale, giacché «nessuna guerra può imporre un ordine sotto le cui macerie non restino il pianeta, i popoli, l'umanità tutta.»

«Divampato con l'aggressione russa al di là delle gravissime tensioni nel Donbass», il conflitto «non può avere la vittoria tutta da una parte e la sconfitta tutta dall'altra.»

I governi responsabili dovrebbero muoversi su queste basi: 1) neutralità dell'Ucraina che entra nella Ue, ma non nella Nato; 2) riconoscimento della Crimea alla Federazione Russa; «3) autonomia delle regioni russofone di Lugansk e Donetsk entro l'Ucraina secondo i Trattati di Minsk, con reali garanzie europee o, in alternativa, referendum popolari sotto la supervisione dell'Onu; 4) definizione dello status amministrativo degli altri territori contesi del Donbass per gestire il melting pot russo-ucraino che nella storia di quelle regioni si è dato ed eventualmente con la creazione di un ente paritario russo-ucraino che gestisca le ricchezze minerarie di quelle zone nel loro reciproco interesse; 5) simmetrica de-escalation delle sanzioni europee e internazionali e dell'impegno militare russo nella regione; 6) piano di ricostruzione internazionale dell'Ucraina.»

Opzioni per Mosca

Entrambe le proposte partono da due punti generalmente accettati nel “dibattito realistico”: la neutralità dell'Ucraina ed il riconoscimento della Crimea alla Russia.

Non sto qui a ricordare appartenenze storiche di territori e popolazioni, corredate da impegni internazionali non rispettati. Né quale significato abbia il conflitto ucraino nello scontro mondiale.

Trovo singolare che la proposta negoziale dell'appello abbia sentito il bisogno di pronunciarsi, preliminarmente, su chi è l'aggredito e chi l'aggressore, quasi temesse di apparire, in sua mancanza, troppo “neutrale”.

Segnalo altresì che l'allargamento dell'alleanza militare atlantica verso Est e l'annunciata adesione dell'Ucraina (prestabilita in Costituzione) a completare l'accerchiamento della Russia, insieme al sabotaggio degli accordi di Minsk – tramite la negazione dei diritti linguistici e culturali dei russofoni e l'aggressione alle popolazioni russofone del Donbass -, rendono insostenibile la tesi della “aggressione russa”.

Ci si dovrebbe interrogare su quali erano le possibili opzioni per Mosca.

Si può rimproverare alla dirigenza russa di non aver saputo agire politicamente, in modo tempestivo e con altri mezzi non bellici, per contrastare il colpo di Stato detto di Euromaidan - orchestrato nel 2014 dal plenipotenziario statunitense Victoria Nuland - e la deriva successiva.

Si può persino imputare al Cremlino di non aver saputo in tale azione politica contemplare e sollecitare il possibile appoggio del pacifismo internazionale7 per costringere i governi occidentali a dare esecuzione effettiva agli accordi di Minsk, arrestando l'escalation ai primi scalini. Tuttavia, non è accettabile porre a fondamento del proprio ragionamento sulle attuali basi negoziali, la elusione delle condizioni reali in cui la dirigenza russa si è trovata a decidere come reagire alle mosse ostili.

Al netto delle proprie incapacità o inadempienze, le restavano tre opzioni:

  1. dare avvio ad una limitata operazione bellica, come ha fatto non senza incertezze, con una invasione condizionata dalle “mani legate dietro la schiena”;

  2. condurre una operazione bellica tipo Desert Storm, come volevano alcuni settori estremisti;

  3. attendere passivamente il momento in cui la minaccia esterna di una forza sovrastante (tale è la potenza del binomio Usa-Nato) si fosse concretizzata sino a mettere a rischio la stessa esistenza della Federazione Russa.

Sicché dobbiamo constatare che, oggettivamente, la prima lascia almeno il tempo per non precipitare nella terza. Ossia il tempo per una effettiva de-escalation dal rischio di una guerra nucleare.

Minsk: un ritorno assai problematico

Al punto a cui siamo, il ritorno seppur parziale agli accordi di Minsk (punto 4 dell'appello) appare piuttosto impraticabile.

Quattro oblasti sono stati inglobati formalmente nella Federazione Russa. Difficilmente quest'ultima potrebbe accettare la ripetizione dei referendum, sotto l'egida dell'Onu, unicamente nel Lugansk e nel Donetsk (punto 3), escludendo quelli di Cherson e Zaporižžja. Inoltre, il rispetto del voto - si suppone valido a sé per ciascuna di queste regioni – dovrebbe comportare l'eventuale ritiro tanto dei russi quanto degli ucraini, che hanno riguadagnato il controllo di una parte di quei territori.

D'altro canto, il fallimento degli accordi di Minsk è dipeso in buona parte dalla rinuncia dei governi di Germania e Francia a svolgervi il ruolo di garanti, assunto insieme alla OSCE. Un ruolo che la soverchiante strategia Usa-Nato ha di fatto annullato e di cui non si vede volontà di ripristino.

Quanto al punto 5), la de-escalation per essere simmetrica deve investire sia le sanzioni, sia l'impegno militare di tutte le parti implicate nella guerra, non solo di quella russa.

Il rifornimento idrico della Crimea (proposta Musk), la gestione compartecipata delle risorse minerarie del Donbass e la ricostruzione (punti 4 e 6 dell'appello) dipendono dal modo in cui il negoziato risolverà il contenzioso politico territoriale.

Implicazioni

È in questione il diritto di autodeterminazione dei popoli e della esclusione di interferenze egemoniche imperialiste.

Qualora un popolo non veda rispettato il diritto alla propria lingua, cultura e rappresentanza politica da parte dello Stato nel quale vive in minoranza, l'autodeterminazione può spingersi sino al punto di di separare un territorio ed aderire ad un altro Stato, e farne parte, oppure costituirsi in Stato indipendente?

Gli Stati Uniti hanno stabilito che questo diritto andava esercitato dal Kosovo separandolo dalla Serbia, previo bombardamento di Belgrado, mentre si oppone, armando l'Ucraina da anni, acché il medesimo diritto sia esercitato dai russi di Crimea e del Donbass. E qui prescindo sia dal misurare l'effettivo livello d'oppressione e di discriminazione esistente nei due casi, sia dall'analizzare l'incontestabile uso in entrambi i casi di milizie e battaglioni fascisti per terrorizzare i civili.

Il caso di Taiwan è di altra natura. Non attiene alla convivenza etnica, linguistica e religiosa: la contesa è solo di ordine politico, benché non siano mancati i tentativi di connotare la sua popolazione come una nazione altra da quella cinese.

Nonostante ciò sia chiaro, la Cina rimane assai prudente sul tema del separatismo e all'Onu si è astenuta sulla mozione di condanna dei referendum di adesione alla Russia degli oblasti del Donbass. Lo stesso Elon Musk ha sentito il bisogno di raccomandare il riconoscimento di Taiwan come provincia della Cina, secondo il modello della “doppia amministrazione” di Hong Kong.8

Un altro caso è costituito dalla Palestina. Poiché la soluzione dei “due Stati” si è rilevata impraticabile, per porre fine al conflitto non rimane che la creazione di uno Stato plurinazionale e plurireligioso, politicamente laico, sorgente dall'inclusione in un unico Stato israelo-palestinese dei territori palestinesi di fatto sotto pluriennale occupazione.

In ogni caso, la condivisione territoriale tra etnie e religioni, la pari dignità politica istituzionale, linguistica e culturale possono essere affermate solo sconfiggendo il nazionalismo para-fascista, spesso eterodiretto. Altrimenti prevale la guerra civile, la disgregazione interna e la feroce pratica della pulizia etnica. Come è avvenuto nella ex-Jugoslavia.

Cosa osta

In realtà l'apertura del negoziato e la definizione delle sue linee guida dipende dalla volontà politica degli Stati Uniti. Zelensky non dispone di alcuna autonomia.

Cosa potrebbe indurre Washington a fermarsi, rinunciando all'escalation ed in quale momento?

In larga parte, ma non tutti gli obiettivi strategici della Casa Bianca sono falliti.

È fallito il tentativo di destabilizzare Putin per insediare un nuovo Eltsin e mettere le mani sulle enormi ricchezze di suolo e sottosuolo russe.

È fallito il tentativo di neutralizzare la Russia per privare la Cina di ogni “entroterra strategico” - ritenuta il bersaglio principale - e meglio colpirla, anche grazie alla decisione di un settore dell'establishment di riattizzare il contenzioso su Taiwan. Il Pentagono sa bene di non poter reggere una confrontation simultanea sui due fronti dell'Atlantico e del Pacifico.

Cina e Russia hanno rinsaldato, con gli incontri allargati di Pechino e Samarcanda, il loro sistema di legami e di cooperazione internazionale con gli altri emergenti ed i Paesi in via di sviluppo. Traballa l'egemonia del dollaro. Il G7 non rappresenta la “comunità internazionale”, come ancora pretendono i nostri prevalenti media.

Scricchiola persino la fedeltà delle monarchie petrolifere, mentre la Turchia, Paese della Nato, agisce in crescente autonomia geo-politica per i propri interessi nazionali.

Analogamente si comporta la piccola Ungheria.

Appare chiaro, per bocca del Fmi, che l'economia russa non risente delle sanzioni se non in misura secondaria, essendosi rivolta ad Oriente, in virtù della propria posizione geografica euro-asiatica.

Intanto l'economia nord-americana attraversa una forte crisi interna, mentre il “cuore dell'Europa” (Germania, Italia e Francia) è sull'orlo di una recessione distruttiva.

In entrambi i casi l'inflazione da offerta non è rimediabile dalle misure delle banche centrali, volte invece a raffreddare la domanda.

La guerra va bene per la finanza guerrafondaia e per il sottostante apparato produttivo di armi, ma i conti generali economici e politici non tornano.

Rimane un solo obiettivo realizzabile, per stabilizzare il quale sono necessari ancora lunghi mesi di guerra: la piena subalternità dei maggiori Paesi manifatturieri d'Europa verso gli Stati Uniti, tramite la rottura dei rifornimenti dalla Russia e la dipendenza energetica da importazione di gas liquido nord-americano, da rigassificare a destino.

Washington non ha ancora preso pienamente atto degli obiettivi falliti e, comunque, vuole tener fermo l'unico rimasto alla portata. Pertanto la escalation bellica prosegue e con essa cresce il rischio di un conflitto nucleare.

Le base politica per aprire al più presto il negoziato, porre fine alla carneficina ucraina e segnare il tempo di una pace purtroppo solo temporanea e locale, dipenderà da due principali fattori.

Il primo, interno al potere statunitense, che non è compatto e vede la presidenza Biden in difficoltà presentarsi alle prossime elezioni di Midterm.

Il secondo, dal rifiuto dei popoli e dai Paesi europei di pagare lo scotto della crisi e della subalternità a quanto rimane della strategia Nato-Usa.

Nel migliore dei casi, il parto di un nuovo ordine mondiale multipolare sarà ancora lungo e doloroso. Per non soffrire inutilmente va accompagnato ed accelerato.

1 Acli, Arci, Cgil, comunità di Sant'Egidio, Pax Christi, Una tavola per la pace e molti altri.

2 Antonio Baldassarre, Pietrangelo Buttafuoco, Massimo Cacciari, Franco Cardini, Agostino Carrino, Francesca Izzo, Mauro Magatti, Eugenio Mazzarella, Giuseppe Vacca, Marcello Veneziani, Stefano Zamagni.

3 “Pagherò ancora satelliti Starlink”, il Fatto Quotidiano, 16 ottobre 2022.

4 https://www.farodiroma.it/elon-musk-presenta-un-piano-di-pace-russia-ucraina-una-proposta-molto-intelligente-equilibrata-e-concreta/

5 https://www.newsweek.com/us-needs-change-course-right-now-ukraine-opinion-1749740?fbclid=IwAR1oPYrY9umQPzCwtubzWcGxY7qZgJJWupQCPvFS2VzDv62MnGXwWCXX_nI

7 Nel secondo dopoguerra, sotto la minaccia dell'unica potenza detentrice della bomba atomica, in una situazione politica piuttosto diversa, l'Urss si appoggiò al pacifismo internazionale per scongiurare la guerra.

8 https://www.corriere.it/esteri/22_ottobre_10/elon-musk-taiwan-a28bc7a8-4884-11ed-9137-2a999573b4c6.shtml

giovedì 21 aprile 2022

Cosa passa per la guerra in Ucraina

COSA PASSA PER LA GUERRA IN UCRAINA

2014, inizia la guerra - La “finestra” temporanea - Il problema USA della simultaneità - L'inclinazione russa al martello - Nazionalismo banderano - Dal campo di battaglia - Un confine sanguinante - Effetti imprevisti - La fede nel dollaro vacilla - Maccartismo Dem - Italiani che rifiutano l'elmetto - Pacifismo


La crisi ucraina ci spinge sull'orlo della guerra generale e nucleare. Ne siamo sorpresi perché per oltre otto anni fatti e segnali, provenienti da quel Paese, sono stati ignorati o occultati.

Ora, l'invasione russa ci pone direttamente di fronte - insieme al tremendo spettacolo della distruzione umana anche di questa guerra -, alla possibile deriva delle contraddizioni globali nel concentrato geopolitico del 2° grande conflitto europeo dal 1945.

Una furibonda campagna mediatica supporta la strategia della presidenza Biden di impantanare la Russia e rovesciare Putin. Perciò Gli USA impediscono ogni accordo di pace e spingono sino al sacrificio dell'ultimo ucraino, tenendo in scacco gli Stati forti dell'Europa continentale, mentre l'Unione è in preda al maccartismo guerrafondaio.

Nella escalation di accuse, sanzioni e corsa al riarmo si distingue il governo Draghi: fornisce armi a Kiev e viola la Costituzione; condivide sanzioni che si ritorcono contro il Paese; ne scarica le conseguenze sugli strati popolari.

Autodifesa ed incidenza politica delle classi subordinate dipendono dalla comprensione di cosa passa per la guerra in Ucraina e dalla forza che può assumere il movimento per la pace.


2014, inizia la guerra

Sebbene il mantra mediatico dominante insista nel datare lo scatenamento del conflitto al 24 febbraio 2022, giorno dell'invasione russa, esso ha realmente inizio con il rovesciamento del presidente Viktor Janukovyč, in seguito al colpo di Stato di Euromaidan (2013-1014).

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Elezioni parlamentari 2012

Il sistema elettorale è misto. Dei 450 seggi totali, 225 sono assegnati dai collegi uninominali (156 sono vinti dai maggiori partiti), gli altri 225 con ripartizione proporzionale su scala nazionale e sbarramento al 5%. 

Il Partito delle Regioni, espressione del primo ministro uscente Mykola Azarov e del presidente Viktor Janukovyč, vince con il 30% dei voti e 187 deputati. 

La coalizione tra Patria, partito della Tymošenko, ed il cartello Opposizioni Unite ottiene il 24,5%. 

All'Alleanza Democratica Ucraina per la Riforma (UDAR), del pugile campione mondiale dei pesi massimi  Vitalij Klyčko, va il 14% dei consensi.

Al quarto posto di colloca il Partito Comunista Ucraino che supera il 13%.

Il partito di estrema destra SVOBODA (Unione Pan-Ucraina “Libertà”), violentemente xenofobo, antirusso ed anticomunista, guadagna il 10,4%.

Ha raggiunto un accordo pre-elettorale con Patria. Il partito Ucraina – Avanti! dell'ex calciatore Andriy Schevchenko non supera l'1,6% e la soglia di sbarramento.

L'espressione regionale del voto ricalca le divisioni etnico-linguistiche nella Mappa. 

Il Partito delle Regioni ottiene i maggiori successi nelle aree russofone, mentre l'opposizione prevale in quelle ucrainofone.

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Due vittorie elettorali avevano stabilito la sua legittimità democratica: le presidenziali del 2010 e le parlamentari del 2012. Avevano evidenziato una distribuzione del voto legata all'appartenenza etnico-linguistica [vedi dati e mappa nella finestra], indicando al contempo un possibile percorso unitario, dopo la rottura della “rivoluzione arancione” del 2004. Euromaidan ruppe quel percorso e Janukovyč fu rovesciato.

In risposta al putsch, la Russia si riprese la Crimea, “dono” kruscioviano (1954) all'allora repubblica Ucraina dell'Unione Sovietica, e nel Donbass sorsero le repubbliche indipendentiste di Donetsk e Luhansk.

Le forze armate ucraine iniziano contro queste due entità autonome una guerra che provocherà circa 15 mila morti. Nell'area del Donbass e più a Sud, si verificano episodi di pulizia etnica anti-russa, come quello della Casa dei sindacati di Odessa, perpetrato da gruppi neo-nazisti.1

Nascondere all'opinione pubblica i fatti antecedenti l'attacco russo, avvenuti nell'arco di otto anni, ha lo scopo di convalidare la tesi che la guerra è iniziata nel febbraio del 2022.

Poiché la prima guerra europea dalla fine della guerra mondiale nel 1945, nella ex-Jugoslavia (1991-2001) è stata messa nel dimenticatoio, lo sono anche le sue “anticipazioni”.

Nel 1999, in coda a quella guerra, per la prima volta la NATO interviene in modo diretto, in appoggio al Kosovo albanese, separatista dalla Serbia. Il conflitto per le piccole patrie etnico-confessionali, istigato dalla politica dei riconoscimenti, aveva condotto allo smembramento della Federazione jugoslava del dopo Tito. L'intervento della NATO, voluto da Clinton, segna il definitivo passaggio alla internazionalizzazione del conflitto: da un lato gli Stati della NATO e dall'altro la Serbia di Milosevic, a cui una Russia ancora debole non può prestare aiuto.

Allo stesso modo, la voluta “guerra civile” tra le due principali componenti etnico-linguistiche in Ucraina ha preparato l'attuale guerra con la Russia. Ma la Russia non è la piccola Serbia.

La “finestra” temporanea

Pur non ritornando sui fatti del 2013-2014 ed immediatamente successivi,2 è necessario riprendere alcuni aspetti del quadro conflittuale venutosi a determinare.

Il primo riguarda l'estensione della NATO ai confini della Federazione Russa, in violazione degli accordi che lo escludevano,3 risalenti al summit di Malta del 2-3 dicembre 1989, tra Gorbaciov e Bush padre.

Dopo il più grande allargamento nella storia dell'alleanza (2004), al compimento dell'accerchiamento militare della Russia mancava il tassello dell'Ucraina. Sicché appurare il reale ruolo degli Stati Uniti e della NATO nelle vicende di Euromaidan è dirimente.

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Fuck the Ue!

Da più parti è stato ripreso il contenuto di una conversazione telefonica, su YouTube tuttora in rete, di cui fu protagonista Victoria J. Nuland, oggi sottosegretario agli Affari politici di Biden, già consigliere di Cheney, ambasciatrice Nato ed assistente di Kerry.

Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 20/3/2022, scrive “L'amica geniale”, su cui baso questa sintesi.

Nuland dichiara nel dicembre 2013: «Gli USA hanno investito 5 miliardi di dollari per dare all’Ucraina il futuro che merita.»

Nel febbraio 2014 promuove la rivolta di Euromaidan. Yanukovic è filo russo ma anche filo-Ue.

Un mese prima della caduta di Janukovyč, Nuland è al telefono con Geoffrey Pyatt, ambasciatore Usa in Ucraina. Sanno già che Janukovyč cadrà e decidono chi dei suoi oppositori dovrà fare il premier del futuro governo. Nuland indica Arsenij Jacenjuk, come effettivamente avverrà, escludendo la candidatura dell’ex pugile Vitali Klitschko [Ndr: alle elezioni parlamentari del 2012 non aveva accettato di mettersi in coalizione con la destra, insieme ai fascisti].

Nuland confida di aver esposto il suo piano di pacificazione dell’Ucraina a Jeffrey Feltman, sottosegretario per gli Affari politici dell’Onu che intende nominare un inviato speciale, d’intesa col vicepresidente Biden. L’ambasciatore vorrebbe consultare la Ue e la Nuland replica: «Fuck the Ue!»

Travaglio rileva che la Merkel ha protestato, ma «non perché gli Usa decidono il governo ed il futuro dell’Ucraina».

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La registrazione della conversazione della signora Nuland [vedi “Fuck the Ue!” nel riquadro in pagina] con l'allora ambasciatore americano in Ucraina, Geoffrey Pyatt, è assai significativa in quanto dimostra che:

  • a dirigere le operazioni sul campo (non ad “influenzarle”) sono gli Stati Uniti;
  • chi subentrerà al governo è già deciso, in accordo tra USA e destra nazionalista ucraina;
  • il grado di autonomia ed indipendenza della nascente Ucraina è vicino allo zero;
  • gli Stati Uniti agiscono all'insaputa ed a dispetto della Unione europea e della Germania.

Nel 2019 l'Ucraina inserisce in Costituzione l'obbligo per i futuri governi di aderire alla NATO. Il 1° settembre 2021 è firmata la Dichiarazione Congiunta sulla Partnership Strategica USA-Ucraina. Alla dichiarazione fa seguito una vasta esercitazione NATO in terra ucraina (Rapid Trident) a cui partecipa anche l'Italia, preceduta da una analoga nell'estate del 2021, denominata Sea Breeze.

In questi ultimi anni, sulla via dell'integrazione atlantica, l'Ucraina ha ricevuto addestramento ed equipaggiamento dall'alleanza e la Gran Bretagna si è impegnata ad allestire basi navali sul Mar Nero.

Di recente è emerso sulla stampa internazionale che in Ucraina erano sorti laboratori per la guerra batteriologica. Nel 2016 il procuratore generale ucraino che indagava sulle attività del figlio di Biden, implicato nella faccenda, è stato rimosso.

Otto giorni prima del 24 febbraio 2022, il governo di Kiev ha dato avvio, con il bombardamento di Donetsk, ad una offensiva militare nel Donbass.

Tutto ciò aveva lo scopo di provocare una risposta militare da parte della Russia.

Per farla cadere in una trappola? O era un bluff per indurla semplicemente a rinunciare?

La decisione di Putin è stata di “andare a vedere le carte”, arrischiando di finire in trappola.

Falliti i ripetuti tentativi diplomatici, ha ritenuto di disporre unicamente della possibilità di decidere di passare all'uso diretto della forza. Per farlo gli era stata lasciata una “finestra” temporanea e, sicuramente soppesando gli alti rischi a cui esponeva il Paese, il suo governo e persino sé stesso, ha scelto di non indugiare oltre, di agire prima che si compisse l'adesione piena e formale dell'Ucraina alla NATO. Ovvero prima di dover reagire come il ratto della sua esperienza giovanile.4

Avrebbe potuto evitare l'invasione, agendo per tempo e non riducendosi a quella “finestra”?

Il problema USA della simultaneità

Nella crisi ucraina confluiscono strategie mondiali e spesso sottostimate specifiche dinamiche locali. Vado per ordine.

In una conversazione pubblicata da Limes,5 l'uomo politico americano A. Wess Michell, entra nel merito dei tempi dello scontro con Russia e Cina per riaffermare il primato statunitense, nei quali viene a collocarsi la crisi ucraina.

«Gli Stati Uniti dovrebbero riconoscere che le tabelle di marcia di Putin e di Xi Jinping non sono allineate. La Cina (…) necessita ancora di tre o quattro anni per raggiungere la sofisticatezza militare necessaria a prevalere in un conflitto.

Washington dovrebbe sfruttare questa finestra di tempo per infliggere a Mosca dei costi altissimi, così da costringerla a ripensare la propria espansione occidentale.

L'Ucraina è il cuore di questa strategia. Gli Stati Uniti devono utilizzarla per sfibrare, prosciugare ed impoverire la Russia (...). Putin ha esposto il fianco (…). Una strategia intelligente, semplicemente, dovrebbe provare a punirlo. E in maniera esemplare, affinché Pechino intenda (…).»

Mitchell suppone che Putin voglia installare a Kiev una “satrapia allineata a Mosca”. Stati Uniti ed alleati europei devono aiutare gli ucraini a difendere se stessi. L'Europa va incoraggiata a liberarsi dalla dipendenza energetica, attraverso l'energia nucleare ed impianti di rigassificazione, il che richiede tempo.

«Sebbene la maggior parte degli europei fatichi a capirlo, l'America è entrata in una fase di profonda tensione geografica tra Asia ed Europa. (…) gli Stati Uniti attualmente non posseggono le capacità per combattere e vincere una guerra contro Cina e Russia simultaneamente. (…) Si stanno equipaggiando per contrastare il rivale più pericoloso, correttamente identificato nella Repubblica Popolare.»

La simultaneità è il problema del Pentagono.

Mitchell esamina poi le diverse correnti politiche presenti negli States sia tra i repubblicani che tra i democratici. In seno a questi ultimi ci sono coloro che:

«riconoscono l'urgenza delle rivalità internazionali e pensano di gestirle ricalcando gli schemi della guerra fredda. I suoi membri si focalizzano quindi sulla coesione delle democrazie, da opporre alla schiera dei regimi autocratici.»

Comprese le affermazioni a cui neanche lui può credere - l'inesistente capacità di espansione verso Ovest della Russia per nascondere la evidente massiccia espansione della NATO verso Est6 -, le linee guida suggerite da Mitchell sono quelle praticate dalla Casa Bianca.

Biden vuole una nuova guerra fredda, basata sui “valori” delle “democrazie” contrapposte alle “autocrazie”. Una parata ideologica annunciata dal presidente nord-americano al vertice dei G7 11-13 giugno 2021, tenutosi in Cornovaglia.7

In realtà la guerra in Ucraina serve a neutralizzare la Russia. Dopodiché sarà la volta della Cina, il nemico principale designato.

L'inclinazione russa al martello

Putin sostiene di non avere avuto scelta.

Non ha potuto averla o non ha saputo costruirsela, prima di essere ridotto alla sola “finestra” temporanea, utile all'intervento militare?

Inoltre, fine a che punto la struttura interna del potere russo è vincolante per indirizzare il suo pensare ed agire politico?

La storia del recente decennio mostra che alla crescita della forza militare non è corrisposto una adeguata strategia politica e comunicativa.

Fa sorridere l'ingenuità di promuovere la propria immagine in Occidente, finanziando pagine su quotidiani come “La Repubblica”.8

Al momento del putsch di Euromaidan la Russia si è fatta trovare impreparata, sia sul piano dei servizi di intelligence, sia soprattutto su quello politico e di politica economica.

Appoggia il programma di Janukovyč che rifiuta l'adesione alla NATO, ma al tempo stesso é aperto alla Ue, senza rompere i legami economici con la Russia. Un precario “equilibrismo” sotto l'incalzare della grave crisi economica del Paese.

Si può dubitare della comprensione da parte russa, degli effettivi rapporti interni alla Ue, e tra Ue e NATO .

Entrare nell'Ue significa aderire al liberalismo occidentale e, al tempo stesso, collocarsi in posizione periferica rispetto ai Paesi centrali. Questi, pur di disporre di Stati deboli che non ostacolino la penetrazione ed espansione dei propri capitali, sono disposti ad avallare i più radicali etnicismi disgregatori e pure le “rivoluzioni arancione” ed i colpi di Stato diretti dagli Stati Uniti. Sennonché, una volta innescati o scientemente provocati i conflitti, gli amici prescelti passano sotto tutela militare della NATO e, quando sono inclusi nell'Unione europea, vanno a rafforzare il partito nord-americano al suo interno.

A questo proposito, la storia della voluta disgregazione jugoslava costituisce un precedente emblematico. Con poche differenze è ripetuto quando gli USA adottano il nazionalismo banderano, appoggiati dall'Ue, che, tramite il parlamento di Bruxelles, si salva l'anima con una ipocrita “condanna” dell'eroe nazista Bandera.

Forse al Cremlino hanno fatto eccessivo affidamento sull'autonomia reale di Germania e Francia (il centro europeo).

Non è privo di rilievo che Euromaidan (novembre 2013) prese le mosse da una protesta popolare contro la politica economica del governo di Mykila Azarov. Protesta nella quale la destra ucraina si inserì accusando il governo di non volere uscire dalla crisi economica perché anti-europeo, solo per non aver dato immediato via libera all'associazione di libero scambio con l'Ue.

Dopo Euromaidan, l'opposizione filo-russa si attesterà su posizioni di più netta scelta anti-occidentale, rappresentate dal partito di Viktor Medvedchuk (Scelta Ucraina), il quale, in ascesa di consensi, verrà arrestato nel 2021 con l'accusa di tradimento.9

La dirigenza russa non ha avuto altra scelta, perché non ha saputo procurarsela. E qui veniamo all'assetto strutturale che condiziona il potere in Russia.

Nel tendere la trappola, gli analisti statunitensi sapevano bene che tale assetto interno del potere inclina e riduce la Russia più facilmente alla soluzione militare.

Esso, dopo i disastri di Eltsin, poggia su alcuni pilastri: il controllo sovrano delle enormi risorse del suolo e del sottosuolo, che permette il loro prioritario uso in funzione nazionale; il potenziamento della capacità militare10 sia strategica (armi atomiche e tecnologia dei missili ipersonici), sia di intervento nei teatri di conflitto (Cecenia, Siria ed altrove); lo spostamento, in quanto potenza euro-asiatica, del proprio baricentro dall'Europa all'Asia; l'ideologia della grande Russia, forte di una propria tradizione identitaria storica e culturale.

L'uso sovrano delle risorse minerarie, agricole e naturali contempla la coesistenza capitalistica di monopoli statali e di grandi proprietà private. Gli oligarchi possono accumulare, ma non globalizzarsi oltre i limiti di questo uso. Sanno di dover godere della protezione di un forte apparato militare, rispetto ad una economia relativamente poco sviluppata. Senza il “martello” quelle risorse sarebbero facile preda della voracità espansiva degli oligopoli occidentali.

Guardare ad Oriente significa allearsi con la Cina, emergente superpotenza economica, che non dispone però di corrispondente capacità militare, e poggiare sull'interesse degli altri emergenti, nonché dei molti Paesi che anelano ad un autonomo sviluppo nazionale.

L'ideologo russo Aleksandr Dugin, che ha un buon seguito ai vertici, vede la Russia in contrapposizione al Grande Reset – considerato il piano dei “globalisti” per ottenere il controllo liberale su tutta l'umanità – ed avvalora le culture tradizionali radicate, come quella cinese.

L'orgoglioso richiamo identitario si nutre sia della vittoria sovietica nella Grande Guerra Patriottica, sia del passato imperiale zarista. Allo scontro tra democrazie liberali e regimi autocratici di Biden, oppone la “guerra alle oligarchie mondiali”.11

Nazionalismo banderano

Torniamo alla scena ucraina.

Il governo Zelensky difende l'indipendenza e la democrazia contro l'”autocrazia” russa. Questa rappresentazione implica l'accettazione di alcuni assunti.

Il primo è che l'Ucraina post Euromaidan sia indipendente e, in assenza pressoché totale di sovranità nazionale, possa essere democratica.

Il secondo assunto è che una democrazia possa sussistere pur in presenza di una discriminazione etnico-linguistica e culturale sancita sul piano istituzionale. Nel caso ucraino attuata contro una “minoranza” tanto consistente da raccogliere quasi la metà dei cittadini e rompendo con una storia ed un legame culturale di secoli.

Nel Donbass ed in tutte le province con forte presenza di parlanti russo, in violazione degli accordi di Minsk II, è stato negato il bilinguismo e la pari dignità etnico-culturale.

Prima dell'invasione russa e della legge marziale, le principali forze d'opposizione del paese sono state bandite, a cominciare dalla messa fuori legge (2015) del Partito comunista, che nel 2012 aveva raccolto più del 13% dei voti. Tutte le principali televisioni e media dissidenti (vale a dire russofili) sono stati chiusi. In Ucraina esiste il reato di “nemico del popolo”, imputazione che puntualmente colpisce chi avversa il “servitore del popolo”.12 In buona sostanza, un russofilo ucraino è considerato anti-ucraino, traditore della Patria.

Il terzo assunto è sintetizzato dalla affermazione per cui: “il governo Zelensky si serve dei neonazisti, ma non è nazista”. Ebbene, qual è il reale portato della presenza neonazista nella coalizione politica che regge il governo di Kiev dal 2014?

Insistere sul suo peso militare ed elettorale è significativo, ma non coglie l'aspetto principale.

È significativo perché mette in luce che i neonazisti nelle istituzioni sono forti e regolari. Il battaglione Azof13 appartiene alla Guardia Nazionale e l'ordine di Centuria è trasversale a tutte le forze armate ucraine e le rifornisce dei cadetti.14

D'altro canto, il maggior consenso la ultra-destra, comunemente identificata in Pravyj Sektor (Settore Destro), lo raggiunse alle parlamentari del 2012 col 10,4% dei voti alla lista SVOBODA alleata con Patria, il partito della Tymošenko. Nel 2014 ottiene solo il 4,71% dei voti.

Va messo invece in preminente rilievo che il processo di costruzione politica nazionale dell'Ucraina (Nation building), pienamente messo in atto dal 2014, scorre sul filo istituzionale e della continuità storico-ideologica con la “dichiarazione d'indipendenza” di cui fu protagonista Stepan Bandera. Collaboratore degli occupanti tedeschi nel corso del secondo conflitto mondiale, sterminatore di ebrei, nazista con velleità di “autonomia” e perciò tenuto sotto chiave dai suoi alleati o, alla bisogna, utilizzato contro il nemico russo-sovietico, Bandera è stato elevato ad “eroe nazionale” ed emblema di tale continuità, come testimoniano i monumenti eretti in suo onore [vedi foto].


È fuorviante trascurare la costruzione “banderana” della Nazione ucraina, su cui è fondata l'alleanza politica oggi al potere, ferocemente antirussa e fautrice di una contrapposta “civiltà occidentale”, in una campagna di odio per dividere la popolazione ucraina.

In effetti, in Ucraina si scontrano due continuità storiche e due idee politiche dello Stato, incompatibili tra loro: una multietnica, dei parlanti ucraino e russo (e di altre minoranze), ereditata dalla ex Urss e non sufficientemente difesa dalla Russia di Putin che ha parlato dell'”errore di Lenin”; l'altra monoetnica dei parlanti ucraino, basata sulla sottomissione/assimilazione forzata dei russofoni, ereditata dalla velleitaria “dichiarazione d'indipendenza” dell'Ucraina del nazista Bandera.15 Ovviamente divergenti sul piano delle relazioni intra-europee e mondiali.

Importanti uomini politici (Kissinger,16 Prodi, Chevènement) avevano avvertito a non spingere allo scontro le componenti etniche, religiose e linguistiche presenti in Ucraina, allo scopo di sottrarla al suo ruolo geopolitico di ponte di congiunzione tra Europa e Russia, per annetterla alla NATO.

Per alcuni, la democrazia dell'Ucraina di Zelensky soffrirebbe unicamente di un ritardo di maturazione. Verrebbe da dire, considerando la deriva autoritaria, liberticida, maccartista delle “liberal-democrazie mature” occidentali, che l'Ucraina di oggi sta maturando in tempi record.

Dal campo di battaglia



Il reale andamento della guerra è avvolto nelle nebbie della propaganda di parte.

Secondo i grandi media occidentali la resistenza ucraina ha tenuto testa all'attacco russo, che ha subito arresti e rovesci dai quali fatica a riprendersi. Benché l'invasione russa non sia stata condotta come una guerra lampo (Blitzkrieg), né abbia adottato la tattica “colpisci e terrorizza” (Shock and Awe) cara al Pentagono, il suo lento dispiegarsi testimonierebbe che ha dovuto mutare a causa degli smacchi subiti.

Poche le voci dissonanti che, subito catalogate spregiativamente di essere filo-putiniane, appaiono nondimeno più realistiche ed attendibili.

Mi riferisco, in particolare, a Fabio Mini17 ed Alessandro Orsini,18 in un contesto in cui i generali19 si mostrano più pacifisti della stampa.

Orsini, in una trasmissione televisiva, ha detto di sentirsi “un uomo di sinistra schifato” per l'atteggiamento assunto dall'area da cui proviene.20

Per quest'ultimo:21

«(...) Putin sta combattendo con le mani dietro la schiena per una scelta ponderata. Nelle ultime ore, la tesi pessimistica ha trovato più conferme della sua rivale. (…) Che cosa dobbiamo attenderci nei prossimi giorni? Non ci sono dubbi: un aggravamento del conflitto. Biden ha, infatti, deciso di rifornire l'Ucraina con nuove armi letali. Non appena si è diffusa la notizia, Putin ha fatto sfoggio dei suoi missili ipersonici, che non hanno pari sotto il profilo tecnologico. Nemmeno gli Stati Uniti sono riusciti a sviluppare un missile così sofisticato. Il messaggio di Putin è chiaro: “Per ogni nuovo armamento che invierete all'Ucraina, sono in grado di decuplicare il vostro carico”. Questa è la logica dell'escalation militare, che può culminare nell'incubo nucleare. Le armi inviate da Biden all'Ucraina, in poco più di un anno, sono più numerose di quelle inviate dai governi americani nel periodo 2014-2020. (…) Il fine è impantanare la Russia per dissanguarla. È appena il caso di notare che il dissanguamento della Russia comporta anche quello dell'Europa.»

Sulla stessa lunghezza d'onda si esprime l'ex generale Mini,22 che riprende il bollettino n. 27 di Jacques Baud,23 colonnello dell'intelligence svizzera, ora analista strategico di professione.

«Secondo Baud la questione russo-ucraina non è sorta a causa del separatismo o indipendentismo del Donbass. (…) Dal 2014, con i fatti di Maidan e i massacri in Donbass e Odessa, si dimostra la debolezza delle forze armate ucraine (…). L'esercito ucraino, teoricamente forte di quasi trecentomila uomini, era in uno stato disastroso. [Segue elenco del 2018 delle perdite dei “regolari” nel Donbass]. In compenso, dal 2014 in Donbass operavano milizie mercenarie ed estremiste che dopo aver trasformato Maidan in una trappola per migliaia di cittadini incluse le forze regolari di polizia si spostarono ad est per massacrare i presunti “separatisti”.»

Ne è derivata la scelta del governo ucraino e della NATO, chiamata in aiuto, di rafforzare le milizie paramilitari.

Nel 2014, senza sparare un colpo, la Russia annette la Crimea e la base navale di Sebastopoli.

«Nessuno interviene e il segnale per gli ucraini è che gli americani, la Nato e l'Europa non sono disposti a sacrificare un solo uomo per l'Ucraina. Tantomeno per il Donbass, ma se si trattasse di colpire direttamente la Russia, allora sì, si potrebbe sacrificare l'intera Europa. Tutti ricordiamo il fuck Europe della Victoria Nuland.»

Dal 2018 in poi le forze armate ucraine ricevono in armamenti e “consulenti” più di un miliardo di dollari. Si dislocano a Sud, dove operano le bande paramilitari e private finanziate dell'oligarca Kolomiosky, padrone di Dnipro, centro della produzione di armamenti di tutta la ex-Urss. Queste forze costituiscono il 40% delle forze ucraine e contano 102.000 uomini.

«Sono armati, finanziati e addestrati anche da Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada e Francia.»

La propaganda russa li qualifica come neonazisti, un giudizio non distante da quello del Times of Israel del Centro Simon Wiesenthal.

Mini riprende l'immagine di Baud, per il quale l'offensiva russa progredisce su diversi assi, secondo il principio dell'”acqua che scorre” laddove incontra minore resistenza, lasciando per dopo le città. L'intenzione di Putin [ndr L'analisi è del 22/3/2022] non è di impadronirsi di Kiev e di rovesciare Zelensky, ma di negoziare con lui.

Essendo il grosso dell'esercito ucraino schierato a Sud, in preparazione di una grande operazione nel Donbass:

«(...) le forze russe sono state in grado di circondarle dall'inizio di marzo nel 'calderone' tra Slavyansk, Kramatorsk e Severodonetsk , con una spinta da nord-est attraverso Kharkiv e un'altra da sud dalla Crimea.»

Il rallentamento dei russi non deriva da cattiva logistica, ma dall'aver raggiunto i loro obiettivi.

«La Russia non sembra volersi impegnare in un'occupazione dell'intero territorio ucraino. In effetti, sembra che la Russia stia cercando di limitare la sua avanzata al confine linguistico del paese.»

Poiché si tratta di una guerra fatta di scatti e partenze, Mini conclude che probabilmente si trascinerà a lungo, secondo l'auspicio di chi fa affari sul suo prolungamento.

Un confine sanguinante

Putin, dunque, ha premuto sul governo Zelensky per trattare, senza volere, sin dall'inizio, prendere Kiev per instaurarvi un suo governo fantoccio. Contava su un ribaltamento interno non verificatosi? Era il piano A.

L'azione militare russa sul campo ricalca la strategia politica. È rivolta a collegare il Donbass alla Crimea, tende a Sud verso Odessa, evitando di spingersi oltre il “confine” linguistico russofono, verso l'interno ad Ovest. Missili e bombardamenti aerei sono indirizzati principalmente a colpire basi, linee di rifornimento e depositi. La “denazificazione” annunciata riguarda l'area del Donbass e città come Mariupol, dove sono asserragliate le ex milizie irregolari di estrema destra.

La trappola preparata dalla NATO per impantanare l'invasore è sventata?

È troppo presto per dirlo, ma è stupido supporre che Mosca non abbia attentamente valutato questa eventualità, senza intraprendere contromisure.

Imposta dagli eventi bellici, sul tavolo del negoziato in Turchia si è ripresentata per Kiev l'accettazione della “soluzione base”, che non si discostava troppo da quella ripetutamente già chiesta da Mosca prima dell'invasione, con l'aggravio della minaccia costituita dal progredire dell'azione militare. Il messaggio era esplicito: se non l'accetti i tuoi “costi” territoriali saranno maggiori, sino al punto massimo di arrivare a sottrarre all'Ucraina il controllo di tutta l'area russofona.

La “soluzione base” consiste: nel riconoscimento della Crimea russa, della indipendenza delle repubbliche del Donbass, del bilinguismo e delle autonomie regionali; nel disarmo della capacità offensiva e nella rinuncia in Costituzione ad entrare nella NATO (neutralità militare).

Sul piano dell'integrità territoriale, rispetto agli inattuati accordi di Minsk II, è chiesto il riconoscimento dell'indipendenza delle repubbliche del Donbass.

Sul piano politico significa una diversa costruzione politica istituzionale ed una nuova Costituzione (già presente in Minsk II), la sconfitta del nazionalismo “banderano” e delle formazioni neo-naziste e di nazionalismo estremo.

Benché questa soluzione abbia bisogno di complicate garanzie internazionali, essa era l'unica percorribile a breve, se si voleva evitare di mantenere aperto il conflitto sine die. L'alternativa, infatti, è di una perdurante e sanguinante guerra di confini e di una permanente instabilità.

Attestandosi sui limiti etnico-linguistici sanciti sul terreno, il prolungamento dell'azione militare darebbe origine ad una entità ucraina russofona, potenzialmente estesa dal Donbass alla Repubblica separatista della Transnistria, ai confini orientali della Moldavia.

Non verrebbe riconosciuta dai patrocinanti nord-americani del governo Zelensky.

Il conflitto tra due Ucraine in una sorta di divisione coreana,24 diverrebbe una ferita aperta in Europa, oggetto di una lunga contesa armata, e sempre suscettibile di trasformarsi in una guerra generalizzata.

Questo è il rischio che corre il piano B di Putin. Ha denunciato l'”errore di Lenin” o della Unione Sovietica: una nazione Ucraina che riconosce i gruppi etnico-linguistici in convivenza. Ma aderendo di fatto alla loro divisione territoriale, finirebbe per rimanerne invischiato e prigioniero.

Nel fomentare la guerra prima e nel rifiuto oggi della pace possibile, Biden ed il Pentagono sembrano in posizione win win. Comunque vada, Putin, invadendo uno Stato riconosciuto a livello internazionale ne ha trasgredito l'ordine; è aggressore in cattiva luce anche rispetto a quegli ucraini russofoni sui quali credeva di poter comunque contare (il disastro umanitario cade subito e soprattutto su di loro); il suo regime interno rischia di venire destabilizzato; l'insieme dell'Europa è ridotta alla mercé di NATO e USA.

Biden a Varsavia ha detto di Putin ciò che non doveva: “Per l'amor di Dio, non può restare al potere!”. Ha esplicitato il suo vero obiettivo: fargli fare la stessa fine riservata a Saddam, il quale per essere attaccato doveva disporre di fantomatiche “armi di distruzione di massa”, ma, aspetto essenziale, non disponeva dell'arma nucleare.

Cinicamente la NATO rifornisce di armi l'Ucraina che deve combattere sino all'ultimo uomo per una vittoria che non può ottenere, ma ha lo scopo di dissanguare il nemico russo, il bersaglio strategico da neutralizzare per imporre la ripresa dell'egemonia degli Stati Uniti sull'intero mondo, che non deve essere multipolare.

Zelensky recita una parte scritta a Washington.

Eppure tenere in scacco l'Europa (ed il mondo), facendosi carico di non sottoscrivere ogni accordo di pace, logorerebbe il sistema delle alleanze euro-atlantiche, impedendo di staccare la Russia dalla Cina e concentrare il tiro su quest'ultima, il nemico principale designato.

Effetti imprevisti

Biden non fa mistero di volere che i “predestinati” Stati Uniti governino i destini del mondo. Un mondo mono-polare che, tuttalpiù, concede sorvegliati spazi alla “multilaterità”, in avversione alla invisa “multipolarità”.

Le esternazioni “esagerate” del presidente nord-americano hanno richiesto, da parte del segretario di Stato, Antony Blinken, una correzione di facciata, per non urtare ancor più i governi europei occidentali, alla disperata ricerca di una via d'uscita.

La strategia degli States comporta effetti collaterali prevedibili e programmati, ma anche imprevisti ed imprevedibili.

Tra gli effetti programmati c'è sia la subalternità politica dell'Ue in regime di continua emergenza bellica, sia pesanti conseguenze economiche, in particolare per la Germania e l'Italia, dovute alle sanzioni che, viceversa, avvantaggiano l'export sostitutivo nord-americano. Un modo “ottimale”, seppur tardivo, per riequilibrare la propria bilancia commerciale.

Molte sono le ragioni per cui lo schieramento euro-atlantico, in apparenza compatto, nel sottostante non lo è affatto.

Il boomerang sull'Ue delle sanzioni alla Russia riguarda i rifornimenti di gas e petrolio ed investe l'assetto import-export, dalle importazioni di materie prime minerarie ed agricole alle esportazioni, su cui si è prevalentemente basato il modello di sviluppo.

È in forse la stessa fattibilità degli investimenti del capitale finanziario nelle riconversioni produttive green pianificate dall'Unione. Che slittino nel tempo non è affatto trascurabile. A parziale rimedio il governo Scholz ha deciso un riarmo in proprio di 100 miliardi di euro, mentre la sbandierata forza armata europea è poca cosa e non può essere “autonoma” finché sottostà alla cappa della NATO.

Il neoliberismo viene integrato dal “keynesismo bellico”? In assoluto non sarebbe una novità.25

In conseguenza della nuova emergenza, quale sarà la sorte dei vincoli di Maastricht, congelati dal Recovery plan for Europe per la guerra alla pandemia e la riconversione economica? Quale seguito avrà, ad esempio, la fine del Pepp?26

Altro può acuire i contrasti continentali: la rottura con la Russia aumenta il peso condizionante dei governi dell'Est europeo, il vero partito nord-americano in seno all'Ue, mentre il Regno Unito, fuori dall'Unione europea, cerca di ricavarsi una propria area d'influenza a Nord con gli Stati sul Baltico.27

Tra gli effetti imprevisti, a livello globale, alcuni già si manifestano.

Sebbene i Paesi apertamente schierati con la Russia siano pochi, quelli che o si sono astenuti sulla mozione di condanna dell'invasione all'ONU o non hanno obbedito alle pretese sanzionatorie della Casa Bianca, racchiudono la maggioranza della popolazione mondiale. Soprattutto gli “emergenti” prendono le distanze e molti Paesi scoprono i vantaggi del non allineamento.

La linea integralista Dem di Washington rischia di accelerare il processo di affermazione di un mondo multipolare, proprio nel momento in cui crede d'impedirlo.

Negli Stati Uniti cominciano ad esprimersi voci atlantiste (Wall Street Journal)28 duramente critiche verso un presidente dalle “facoltà in affievolimento”. Biden è imputato: di nutrire l'illusione di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo; di offrire troppo poco, in rifornimenti energetici, rispetto alle necessità europee; di alimentare tensioni in Medio Oriente con il “pasticcio” dell'accordo sul nucleare con l'Iran; di essersi fatto trovare in questa crisi con le relazioni al minimo con l'Arabia Saudita; di lasciare che l'India assuma sempre più una posizione terza.

Lo stesso WSJ29 pubblica il racconto di una fonte riservata secondo cui il cancelliere tedesco Olaf Scholz il 19 febbraio ha offerto a Zelensky di rinunciare alla NATO e “dichiarare la neutralità come parte di un più ampio accordo europeo di sicurezza tra Occidente e Russia”, ottenendone un rifiuto. Si segnala, altresì, che molto probabilmente Kamala Harris si trovava nello stesso albergo dove avvenne la conversazione. Detta altrimenti, Scholz si fa negare da Zelensky ciò che Biden non può direttamente, evidenziando al tempo stesso che la Harris non è un'alternativa adeguata al presidente in difficoltà cognitive.

La fede nel dollaro vacilla

La fede nel dollaro - a base “fiduciaria” dalla dichiarazione d'inconvertibilità in oro di Nixon nell'agosto del 1971 - e la centralità della finanza statunitense sono messe a dura prova.

Mentre l'escalation delle misure contro la Russia può portare alla chiusura dei rubinetti del gas, in anticipo sul piano di reperimento sull'allestimento dei rigassificatori e sulla riesumazione del carbone e del nucleare,30 assistiamo ad una destabilizzazione del sistema monetario basato sul dollaro.

Sul tema è intervenuto Wolfgang Münchau. Apertamente schierato per soluzioni estreme, il noto giornalista ed economista, a proposito della sanzioni, lancia un allarme motivato,31 sul quale Gabriele Pastrello ha richiamato l'attenzione:32

«Condivido in pieno l'analisi di Münchau, politicamente guerrafondaio, ma essendo una persona intelligente quando vuole ragiona. Richiamo l'attenzione sul congelamento delle riserve russe.33 Una misura pericolosa per la stabilità monetaria mondiale che può aprire a scenari di crisi impensabili.»

Dalle colonne del China Daily, un importante analista cinese, il professor Lau Siu-kai,34 ha osservato:

«La rottura delle regole da parte degli Usa porta al declino dell'ordine mondiale (...).

L'inesorabile e strisciante processo di de-dollarizzazione è destinato ad accelerare nei prossimi anni. (…) Violando frequentemente e in flagranza le regole dell'ordine internazionale, ostentatamente sotto il suo controllo, gli Stati Uniti hanno danneggiato la loro reputazione, credibilità e valore davanti alle altre nazioni, debilitando l'ordine post bellico stabilito. (…) oggi l'ordine internazionale non è più in grado di promuovere la pace, l'economia globale e la cooperazione internazionale. Il conseguente disordine mondiale andrà a detrimento degli Usa. (…)»

A Pechino, insieme alle monarchie del Golfo, non hanno apprezzato l'escalation di sanzioni che, in un istante, ha congelato tutti i beni personali, le riserve e di conti correnti degli oligarchi legati a Putin ma anche a semplici cittadini.

«Tali misure punitive imposte ai civili sono un segnale che l'Occidente non è più un paradiso per i beni delle persone. Nei prossimi anni, fughe di capitali dall'Occidente saranno un trend inevitabile. (…)

Le sanzioni volte a strangolare la Russia saranno sicuramente viste come una militarizzazione illegittima e senza scrupoli del dollaro e del sistema finanziario internazionale da esso sostenuto.(...).

La Russia, e altri Paesi, costruiranno un ordine internazionale parallelo e competitivo in Eurasia, con annesso ecosistema finanziario parallelo che indebolirà l'ordine internazionale retto dagli Usa.»

L'11 marzo l'Unione economica euroasiatica – Russia, Kazakistan, Kirghistan, Bielorussia e Armenia – e la Cina hanno avviato il progetto di un sistema monetario e finanziario internazionale indipendente.

Maccartismo Dem

Il governo Draghi poggia principalmente sul sostegno del PD.

Staccandosi completamente dalle sue radici storiche, come ha osservato Massimo Cacciari, il PD è diventato la sezione italiana dei Dem statunitensi, di cui ha sposato il maccartismo.

Non hai diritto di parola pubblica se non premetti, con riflesso pavloviano, che “la Russia è l'aggressore e l'Ucraina è l'aggredita”.

Se provi ad argomentare che la guerra non inizia il 24 febbraio con l'invasione russa, o solo osi mettere sullo stesso piano chi ha minacciato e chi ha reagito alla minaccia, o accennare alla inquietante presenza neonazista nelle forze armate ucraine, vieni immediatamente tacciato di stare dalla parte del “criminale Putin” e contro il diritto all'autodifesa della “democratica Ucraina” e del suo legittimo governo.

Alla caccia ai renitenti alla leva vaccinale, ancora viva, subentra la caccia ai renitenti alla “giusta guerra”. Con un carico accresciuto di acrimonia ed intolleranza, che lascia allibiti e “schifati” coloro che, dalle stesse fila della sinistra istituzionale, avanzano dubbi e mostrano disaccordo.

Cosa sta succedendo alla liberal-democrazia non solo italiana?

Qual è la profondità della divaricazione in corso tra liberalismo e democrazia?

Il dibattito è ormai aperto e la via critica, tracciata da molti intellettuali, viene sempre più battuta ed allargata. I movimenti di pensiero si connettono a quelli nella società, prospettando un'alternativa politica oramai matura.

Ne avremo la libertà ed il tempo?

Sempre più ampia è la ribellione alla fascistizzazione della vita in ogni ambito, attuata dalla deformazione e disinformazione dei preponderanti mezzi della propaganda delle élites dominati, rispondenti agli interessi ed alle visioni dello 0,01% in cima alla piramide della diseguaglianza italiana e mondiale.

Quale sia il loro modo di intendere la libertà di espressione, lo si può desumere emblematicamente dal trattamento riservato a Julian Assange che, avendo rivelato fatti realmente accaduti, perciò stesso viene incarcerato, volendolo seppellire a vita. Non a caso fatti di guerra.

Tanta pervasiva propaganda, dalle televisioni ai giornaloni, dalle università alle scuole primarie, sottende una intima crisi capitalistica strutturale ed insieme la paura degli oligarchie dominanti di perdere il controllo dei popoli delle classi e delle nazioni subordinate.

La stato di guerra è l'antidoto alla crisi sistemica ed alla loro paura.

Italiani che rifiutano l'elmetto

Basta guardare a cosa emerge dai sondaggi, pur condotti dando per scontati alcuni “presupposti”, per capire che i loro cannoni mediatici non riescono a centrare il bersaglio.

Da una parte l'élite, dall'altra la gente: il riarmo è una follia”, constata Marco Revelli.35

I sondaggi non confermano le aspettative dei propagandisti di regime [vedi “Sondaggio IZI” nel riquadro a seguire].

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Sondaggio IZI

Ecco una sintesi delle risposte a 7 domande.*

  1. Qual è la sua opinione sul conflitto in corso?
    La Russia è il Paese invasore senza alcuna giustificazione: 44,4%. La Russia sta difendendo i propri interessi, ma non giustifico la guerra: 22,1%. Le responsabilità sono da attribuire a entrambi i Paesi in guerra: 18,4%. La Russia è stata provocata dall'Ucraina e/o dalla NATO e si sta legittimamente difendendo: 8,4%. Non so: 6,7%.
  2. È d'accordo con la proposta di innalzamento delle spese militari in Italia fino al 2% del PIL (oggi quasi all'1,6%)?
    Molto: 5,9%. Abbastanza: 14,4%. Poco: 30,7%. Per nulla, è la strada per la terza guerra mondiale o nuovi conflitti: 42,2%. Non so: 6,8%.
  3. La guerra in corso in Ucraina sta facendo aumentare il costo di diversi alimenti nel nostro Paese, tra questi il grano per la produzione di pasta e altri prodotti, il mais per i mangimi animali. Qual è la sua opinione in merito?
    Sono molto preoccupato: 70,4%. Non credo costituisca un problema a lungo termine la solo temporaneo: 23,6%. Non ho percepito variazione significative dei prezzi: 3%. Non so: 3%.
  4. Quanto è disposto a mutare i suoi abituali consumi alimentari per far fronte ad un cambiamento dei prezzi?
    Il tempo necessario affinché la guerra abbia termine: 50,1%. Poco, il governo dovrebbe intervenire per calmierare i prezzi alimentari come avvenuto per i carburanti fossili: 30,5%. Non sono affatto disposto a cambiare le mie abitudini alimentari: 11,1%. Non so: 8,3%.
  5. Crede che l'Italia e la Nato debbano difendere la libertà del popolo ucraino e la sua autodeterminazione ad ogni costo?
    Sì, anche se questo comporterà dei sacrifici: 30,6%. Non ad ogni costo ma solo se è sostenibile: 46,1%. Assolutamente no: 14,3%. Non so: 9%.
  6. Secondo lei, in che modo l'Italia dovrebbe aiutare l'Ucraina?
    Sia con un aiuto economico che con la fornitura di armi: 20,2%. Solo economicamente e con le sanzioni alla Russia: 21,8%. Solo diplomaticamente per arrivare ad un cessate il fuoco: 46,3%. Non dovrebbe aiutare l'Ucraina: 2,5%. Non so: 9,2%.
  7. Ha fiducia nei media che raccontano e testimoniano gli sviluppi della guerra in Ucraina e la situazione in Russia?
    Molto, i media stanno facendo un ottimo lavoro: 7,8%. Abbastanza: 38,5%. Poco: 25,8%. Per nulla: 20,5%. Non so: 7,4%.

* Sondaggio IZI esclusivo per Il Fatto quotidiano, pubblicato il 31/3/2022.

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Dalle risposte date si evince che per il 44,4% la Russia è l'invasore senza giustificazione alcuna, a fronte del 48,9% per i quali essa o difende i propri interessi o condivide pari responsabilità nel conflitto o, provocata, ha legittimamente reagito.

Forse agli intervistati si poteva offrire disponibile un'altra risposta: la causa principale della guerra risiede nella minaccia portata dalla NATO, tramite l'Ucraina di Zelensky, ma la Russia ha scelto la guerra pur non essendo l'unica possibile.

Una minoranza di poco più del 20% condivide (domanda 2) l'aumento delle spese militari, approvato dal parlamento. La stessa che (domanda 6) condivide l'invio di armi.

È lo zoccolo duro che vede con favore il sacrificio del sangue altrui, ma crede che i propri non debbano durare a lungo.

Colpisce una diffusa sfiducia nell'affidabilità dei media, che è pari (46,3%) a chi ne è molto o abbastanza soddisfatto. Perciò nuove aumentate dosi di falsità e di paura devono essere somministrate in un crescendo wagneriano.

Te le porta il “lattaio” quotidianamente sulle soglie di casa. I servizi d'intelligence confezionano, insieme a quelli di Kiev, filmati e testimonianze delle atrocità del nemico, nella ripetizione (senza apprezzabili variazioni) di un palinsesto già mandato cento volte in onda nelle precedenti guerre di civiltà dell'Occidente.

Immancabile l'invocazione di inchieste per mettere a giudizio i già prestabiliti colpevoli e di intervento del Tribunale dell'Aja. Un Tribunale che, in relazione alla guerra nella ex-Jugoslavia, riuscì a condannare quasi solo serbi ed a scagionare i tanti criminali cari alla NATO.

Pacifismo

Il pacifismo italiano è in subbuglio.

C'è chi vede resistenza ed autodifesa di un Paese indipendente nella lotta capeggiata dal governo Zelensky, a fronte di un'aggressione straniera. Sicché non rimarrebbe che sostenerla con sanzioni, aiuti in armi e non solo umanitari. Esattamente come vuole il governo e l'élite dominante.

Nella chiarezza di come sono andate le cose e delle responsabilità, il pacifismo non può identificarsi in nessuna delle parti in conflitto e, se non vuole risultare perfettamente inutile nel perseguire la sua finalità, deve muoversi con risolutezza contro il governo Draghi e l'élite bellicista dominante.

Fermo deve essere il rifiuto categorico della escalation militare, delle forniture belliche, dell'incremento delle spese per il riarmo, delle sanzioni. Tutto ciò viene a ricadere pesantemente sulle classi subordinate, chiamate a pagare il prezzo per la “loro guerra”.

Questa opposizione è anche l'unico modo per contribuire a sventare un conflitto generalizzato dalla disastrose conseguenze per tutta l'umanità ed aprire ad un nuovo ordine multipolare.

Forte e crescente è il sentimento antibellicista presente in Italia. Ad esso va data risposta politica sia in termini di movimento unitario di massa che di opposizione organizzata anche nelle istituzioni. Tocca alle forze socialiste agire per coniugare difesa ed emancipazione di classe alla rinascita nazionale.

Alzare la bandiera della nostra Costituzione non basterà, occorre impegnarsi da subito perché pane e lavoro siano affermati insieme a pace e democrazia.


La fase della guerra inaugurata dall'attacco militare russo segna un ineludibile spartiacque.

Le implicazioni di questo storico passaggio - per il pacifismo e la lotta politica nel nostro Paese - sono di tale importanza, che questo articolo può avere solo il significato di un contributo volto a ricomporre un quadro preliminare da cui partire per un dibattito più allargato.


Note

1 https://it.wikipedia.org/wiki/Strage_di_Odessa#:~:text=La%20strage%20di%20Odessa%20%C3%A8,opponevano%20al%20nuovo%20governo%20instauratosi [poi sbianchettato per supportare la narrazione anti-russa].

2 https://berniniric.blogspot.com/; “Krajne e dintorni”, novembre 2014; “La seconda guerra europea”, settembre 2015.

3 Accordi non scritti, ma attestati da un verbale - rinvenuto nei British National Archives dal politologo Joshua Shifrinson – della riunione dei Direttori politici dei ministeri degli Esteri di USA, UK, Francia e Germania, tenutasi a Bonn, il 6 marzo 1991.

4 https://www.liberoquotidiano.it/news/personaggi/30777117/vladimir-putin-topo-bastone-aneddoto-spiega-tutto-zar.html

5 Curata da Federico Petroni, “Trasformiamo l'Ucraina nell'Afghanistan di Putin”, Limes 2/2022, pagg. 63-69.

A. Wess Mitchell fu assistente segretario di Stato USA per gli Affari europei ed eurasiatici (2017-19).

6 Basta confrontare i budgets militari degli Stati occidentali, rispetto a quello della Russia, per rendersi conto da dove proviene la “minaccia”.

7 Vedi a questo proposito Andrea Zhok, “La difesa dei nostri valori” su FaceBook, un post del 15 giugno 2021, che venne rilanciato da Beppe Grillo.

8 Tra il 2010 e il 2015 l'inserto mensile “Russia Oggi” è stato pubblicato dal quotidiano, ora passato sotto il controllo della famiglia Elkann-Agnelli.

9 Fuggito dai domiciliari al momento della invasione russa, viene riarrestato il 13 aprile 2022.

10 Ciononostante, nel 2020 la spesa militare russa è di 61,7 mld di dollari (4,6% del PIL), mentre quella USA è di 778 mld di dollari (3,7% del PIL), ossia 13 volte tanto.

11 Vedi intervista di F. Borgonovo a Aleksandr Dugin, “È una guerra alle oligarchie mondiali”, LaVerità, 21/3/22.

12 Notoriamente Zelensky è diventato presidente con una lista intitolata come il serial televisivo, di cui era stato attore protagonista.

13 Sono 1000 uomini inquadrati dal 2015 nella Guardia Nazionale. Al momento dell'invasione russa radunava 22 nazionalità. Come gruppo paramilitare ha attaccato i civili russofoni. Simbolo il Wolfangel, insegna usata dalle SS.

14 Toni Capuozzo, LaVerità, 14 marzo 2022.

15 https://berniniric.blogspot.com/; vedi in “La seconda guerra europea”, 9/2015, la finestra “Un eroe europeo?”.

16 https://www.washingtonpost.com/opinions/henry-kissinger-to-settle-the-ukraine-crisis-start-at-the-end/2014/03/05/46dad868-a496-11e3-8466-d34c451760b9_story.html

17 Fabio Mini, scrittore, generale di corpo d'armata, è stato capo di Stato maggiore del Comando NATO per il Sud Europa. A partire dal gennaio 2001 ha guidato il Comando Interforze delle Operazioni nei Balcani. Dall'ottobre 2002 all'ottobre 2003 è stato comandante delle operazioni di pace a guida NATO in Kosovo.

18 Alessandro Orsini è direttore e fondatore dell'Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale della LUISS e del quotidiano Sicurezza Internazionale.

19 Oltre a Fabio Mini, Marco Bertolini, Leonardo Tricarico, Giuseppe Cucchi e Claudio Graziano.

20 https://www.youtube.com/watch?v=kYDtzTYgrJU.

21 A. Orsini, “Ma quale ottimismo, Putin potrebbe sventrare l'Ucraina in ogni momento”, Il Fatto Quotidiano, 22 marzo 2022.

22 F. Mini, “Milizie nazi, armi e stragi di civili: i veli sulla guerra”, Il Fatto Quotidiano, 23 marzo 2022.

23 https://www.startmag.it/mondo/la-guerra-russia-ucraina-vista-da-un-ex-nato/

24 Stefano Citati, “Bombe e referendum”, Il Fatto quotidiano, 28/3/22. «Naturalmente è all'est che la “fase due” dell'”operazione militare” (…) ha il suo fulcro. (…) Solo allora [ndr. compiuta l'operazione], sostengono diversi analisti occidentali, Mosca potrebbe intavolare concrete trattative con Kiev e procedere con l'annessione dei territori a maggioranza russofona (…). Uno “scenario coreano” con il Paese diviso nettamente in due, sosteneva ieri il capo dell'intelligence di Kiev.»

25 Anche Ronald Reagan adottò il “keynesismo bellico”.

26 https://www.money.it/Panico-ufficiale-Pepp-Pigs-Consiglio-Ue

27 https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2022/02/23/uk-repubbliche-baltiche-annunciano-esercitazioni-militari-preventive-nel-nord-europa/

28 Le riporta LaVerità, il 29 marzo 2022.

29 Lo riporta Il Fatto Quotidiano del 5 aprile 2022.

30 L'emergenza ecologica passa in secondo piano. Il gas liquido dagli USA è da scisti bituminosi. Il traffico navale inquinante si moltiplicherebbe. Ritorna in auge l'energia da centrali nucleari.

31 https://www.corriere.it/opinioni/22_marzo_15/perche-russia-sembra-immune-sanzioni-efe8d8b8-a3c2-11ec-9af1-c1077f9ccdda.shtml

32 Gabriele Pastrello, Post su FaceBook del 16/3/22.

33 Ndr. Si tratta del congelamento di quasi metà dei 640 miliardi di dollari della Banca centrale russa in riserve finanziarie.

34 Beatrice Nencha, La Cina osa:«E' l'ora dell'Eurasia», LaVerità, 10 aprile 2022.

35 Intervista di Lorenzo Giarelli sul Fatto Quotidiano del giorno di pubblicazione del sondaggio IZI (31/3/2022).