lunedì 16 maggio 2016

Appendice 3 - La riforma costituzionale

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Sovranità a referendum - Appendice 3 
Entrare nel merito è essenziale per orientare la propria scelta. 


Il ddl Boschi a referendum


La Camera è l'unica a votare la fiducia al governo. I deputati restano 630 ed eletti a suffragio universale.
Il Senato è composto da 95 membri (74 senatori e 21 sindaci), eletti dai Consigli regionali, più 5 nominati dal Capo dello Stato in carica per 7 anni. Spariscono i senatori a vita, salvo quelli nominati prima della riforma.
Ogni Regione ha diritto ad un numero di senatori in base al proprio peso demografico.
I Consigli regionali eleggono i senatori con metodo proporzionale tra i propri componenti e uno per ciascuna Regione dev'essere un sindaco.
Spetta ai cittadini, al momento di eleggere i Consigli Regionali, indicare quali consiglieri saranno anche senatori e, una volta insediati, i Consigli ne ratificano la scelta. La durata del loro mandato è quella dei Consigli Regionali.
I senatori godono della stessa immunità dei deputati e non possono essere arrestati o sottoposti ad intercettazione senza l'autorizzazione del Senato.
Il Senato è dotato di piena competenza legislativa solo su riforme e leggi costituzionali, mentre sulle leggi ordinarie può chiedere alla Camera di modificarle, ma quest'ultima non è tenuta a dar seguito alla richiesta. Se il Senato chiede alla Camera di modificare una legge riguardante il rapporto tra Stato e Regioni, la Camera può respingere la richiesta solo a maggioranza assoluta.
Corte Costituzionale. Su 15 giudici Costituzionali (come oggi), 3 sono eletti dalla Camera e 2 dal Senato.
Elezione del Presidente della Repubblica.
Con la riforma resta la seduta comune dei due rami del Parlamento (730 grandi elettori) senza delegati aggiuntivi (oggi 58). Per eleggere il Presidente nei primi quattro scrutini servono i due terzi; dal quinto scrutinio bastano i tre quinti; dal nono in poi è sufficiente la maggioranza assoluta.
Il Presidente supplente (seconda carica dello Stato) è il Presidente della Camera, non più il Presidente del Senato.
Decreti Legge. Vengono introdotti limiti sui contenuti dei decreti legge del governo (ddl), con tempi certi di approvazione indicati dai Regolamenti parlamentari.
Leggi elettorali. È introdotto il ricorso preventivo sulle leggi elettorali alla Corte Costituzionale, su richiesta di un quarto dei deputati. Tra le norme transitorie c'è anche la possibilità (pure per l'Italicum) di ricorso preventivo già in questa legislatura alla suprema Corte.
Competenze Stato-Regioni. Sono riportate in capo allo Stato alcune competenze come energia, infrastrutture strategiche e protezione civile nazionale. Su proposta del governo, la Camera può approvare leggi nei campi di competenza delle Regioni, “quando lo richieda la tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell'interesse nazionale.”
Province. Già declassate a Enti di secondo livello, ossia ad organismo esecutivo formato dai sindaci, la 110 Province sono cancellate dalla Costituzione.
Il Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro (CNEL) è abrogato.
Referendum*. Con almeno 800mila firme raccolte il quorum del 50%+1 (oggi calcolato sugli aventi diritto) verrà calcolato sul numero dei votanti dell'ultima tornata elettorale.
Per iniziativa popolare oggi sono permessi solo referendum abrogativi, con la riforma sono introdotti anche i referendum propositivi.
Leggi di iniziativa popolare*. Per presentarle le firme necessarie salgono da 50mila a 150mila. Spetta ai Regolamenti parlamentari indicarne i tempi certi di esame.

* La normativa su questi ultimi due punti è rimandata ad una nuova legge costituzionale.

Pochi aspetti positivi
La riforma costituzionale Boschi, insieme all'Italicum, genera il “combinato disposto”.
Una volta dismesso il “bicameralismo perfetto” ed il relativo “ping-pong tra Camera e Senato”, il percorso legislativo sarebbe snellito, reso più rapidamente produttivo, più efficace ed efficiente.
Secondo argomentate critiche la maggiore funzionalità non sarebbe per nulla garantita dalla nuova normativa. Dagli attuali due procedimenti legislativi, uno per le leggi ordinarie e l'altro per quelle costituzionali, si passerebbe a 12.
Numerose competenze vengono sottratte alle Regioni e riprese dallo Stato centrale, mettendo in soffitta il cosiddetto federalismo regionale. In ogni momento il governo può attribuire ad un proprio provvedimento la superiore ragione della “tutela dell'interesse nazionale”, soprattutto in campo economico.
In particolare l'aver avocato a sé energia ed infrastrutture strategiche significa disporre del territorio e dell'ambiente. Come è già successo per trivellazioni ed oleodotti, avrebbe piena facoltà di imporre “grandi opere” sulla testa delle popolazioni locali.
Di converso, poiché l'immunità parlamentare viene mantenuta anche al Senato, esso rischia di diventare il rifugium peccatorum di molti politici regionali e locali implicati nel malaffare e legati alle mafie.
A rendere più trasparente e rapido il meccanismo legislativo può concorrere sia l'introduzione di limiti di contenuti e tempi certi rispetto alla conversione dei decreti legge (ddl) del governo, sia il ricorso preventivo alla Corte costituzionale sulle leggi elettorali.
Mentre la cancellazione delle Province non è che un atto formale, l'abrogazione del CNEL, palesemente inutile, meriterebbe alcune considerazioni di ordine generale sul motivo per cui lo è diventato.
Sicuramente apprezzabile è la parte dedicata alle leggi d'iniziativa popolare e ai referendum. Peccato che la normativa sia rimandata ad una futura riforma costituzionale, alla condizione che prima sia convalidata quella odierna.
Il cerchio del potere
«La riforma costituzionale va letta, analizzata e bocciata insieme all'Italicum (…) che squilibra tutto il sistema politico a favore del capo del governo. Toglie al presidente della Repubblica il potere reale (non quello formale) di nominare il presidente del Consiglio. Gli toglie anche (...) il potere di non sciogliere il Parlamento, ovvero la Camera, nella quale sarà la maggioranza di governo, ovvero il suo capo, a stabilire se e quando sciogliersi e comunicarlo al presidente della Repubblica (...).»1
Il cerchio del potere politico dello Stato risulta così raccordato:
  1. anche una minoranza di ¼ degli elettori può insediare il 55% dei deputati della Camera;
  2. questa Camera (630 seggi) vota la fiducia al Governo, legifera e sceglie il presidente della Repubblica, il suo Supplente, 8 membri su 26 del Consiglio superiore della magistratura, 3 giudici su 15 della Corte costituzionale;
  3. il Senato è di 100 seggi, 95 eletti in secondo grado dai Consigli regionali (74 su indicazione degli elettori e 21 sindaci di città) e 5 nominati dal presidente della Repubblica; è secondario rispetto alla Camera e ha competenze limitate, eppure sceglie 2 giudici costituzionali;
  4. il presidente della Repubblica non può che incaricare il leader del partito-lista vincente, oltre a nominare 5 senatori e 5 giudici costituzionali;
  5. il leader del partito-lista vincente nomina la maggior parte dei deputati (quanti senatori?) e, pertanto, loro tramite assume il controllo di tutte le elezioni e le nomine che ne conseguono.
Il ddl Boschi investe più di 40 articoli della Costituzione e muta la forma di governo: alla Repubblica parlamentare subentra una Repubblica imperniata sull'esecutivo e sul suo Capo. Non è una semplice revisione, prevista dall'art. 138 della Carta in vigore dal 1° gennaio 1948. Viene introdotta un'altra Costituzione.

1 Appello al No al referendum costituzionale di Gianfranco Pasquino, Carlo Galli, Marco Valbruzzi e Maurizio Viroli. Versione integrale su www.ilfattoquotidiano.it.

Appendice 2 - Porcellum & Italicum

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Sovranità a referendum - Appendice 2

Porcellum & Italicum 

Porcellum

Nel 2013 andammo a elezioni politiche con la legge Calderoli, chiamata Porcellum.
  • Si trattava di un proporzionale corretto, a coalizione, con premio di maggioranza ed elezione di più parlamentari contemporaneamente in collegi estesi, senza possibilità di indicare preferenze.
  • Per la Camera la legge prevedeva che la lista o la coalizione risultata prima per numero di voti, qualora non avesse conseguito 340 seggi (su 630, di cui 12 riservati all'Estero e 1 alla Valle d'Aosta) avesse diritto ad un premio di maggioranza sì da raggiungere, comunque, il numero di 340 deputati.
  • Per il Senato la legge prevedeva che lo stesso meccanismo di conteggio e premiale fosse applicato in ogni Regione, fatta eccezione per: 6 seggi dell'Estero,1 seggio della Valle d'Aosta, 2 del Molise e 7 del Trentino Alto-Adige, attribuiti con regole diverse.
  • Contestualmente alla presentazione dei simboli elettorali, ciascuna forza politica aveva l'obbligo di depositare il proprio programma e di indicare il proprio capo.
  • In caso di coalizione tra più liste, programma e capo dovevano essere unici, con l'indicazione del capo della coalizione.
Bocciatura della Corte costituzionale

La sentenza n° 1 2014 della Consulta ha invalidato due istituti del Porcellum:
    - le liste bloccate, formate dai cosiddetti “nominati” dai partiti, per restituire agli elettori il diritto di scegliersi i propri rappresentati esprimendo (almeno) una preferenza;
    - il premio di maggioranza attribuito alla coalizione o lista minoritaria risultata prima per numero di voti (vincente), senza una soglia minima percentuale.

Italicum


La legge 6 maggio 2015, n° 52, riforma il sistema delle elezioni politiche nazionali prima in vigore (Porcellum), dichiarato incostituzionale dalla Suprema Corte.
Se la riforma costituzionale sarà confermata dal Referendum d'autunno, l'Italicum varrà solo per la Camera dei deputati.
Novità più importanti dell'Italicum:
- sulla scheda compaiono solo liste (niente coalizioni);
- se una lista supera il 40% (soglia minima di maggioranza) scatta il premio di maggioranza, per cui ottiene seggi pari al 55% dei voti (340 seggi su 630, di cui 12 riservati all'Estero);
- se nessuna lista raggiunge la soglia minima al 1° turno, le due liste più votate passano al ballottaggio (2° turno);
- soglia di sbarramento del 3% per accedere al Parlamento;
- ad ogni Regione spetta un numero di seggi proporzionato alla propria popolazione;
- l'Italia è suddivisa in 100 collegi (eleggono da 3 a 9 deputati);
- il capolista è bloccato (perciò “nominato”), mentre gli altri candidati, in ogni lista alternati per genere, potranno essere scelti in base a massimo due preferenze (un uomo e una donna).
Permangono nell'Italicum le candidature plurime, ovvero la possibilità di venire candidati in diversi collegi (massimo 10), consentendo, al candidato risultato eletto in più di uno di questi, di scegliere a posteriori quale seggio tenersi, di converso determinando a quale candidato, risultato “primo non eletto”, andrà il seggio.

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Quozienti


Effetti del Porcellum (elezioni del 2013)
Quoziente di maggioranza => 29.552,37 voti per 1 seggio.
Quoziente di minoranza => 81.306,63 voti per 1 seggio.
Rapporto tra quozienti: 2,75.

Possibili effetti dell'Italicum
Simulazione A:
Lista 1: voti 7.500.000 (25%), vincente al 2° turno: 340 seggi;
Lista 2: voti 7.500.000 (25%), perdente al 2° turno: 93 seggi;
Lista 3: voti 7.490.000 (24,97%): 93 seggi;
Lista 4: voti 4.000.000 (13,33%): 49 seggi;
Lista 5: voti 3.510.000 (11,7%): 43 seggi.
Quoziente di maggioranza => 22.058 voti per 1 seggio.
Quoziente di minoranza => 80.935 voti per 1 seggio.
Rapporto tra quozienti: 3,67.
Simulazione B:
Lista 1: voti 10.000.000 (33%), perdente al 2° turno: 121 seggi;
Lista 2: voti 7.000.000 (23,33%), vincente al 2° turno: 340 seggi;
Lista 3: voti 6.000.000 (20%): 73 seggi;
Lista 4: voti 4.000.000 (13,33%): 48 seggi;
Lista 5: voti 3.000.000 (10%): 36 seggi.
Quoziente di maggioranza => 20.588 voti per 1 seggio.
Quoziente di minoranza => 82.733 voti per 1 seggio.
Rapporto tra quozienti: 4,02.

Tratto da “Il Fatto Quotidiano”, 9 aprile 2016
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Il premio di maggioranza
In un sistema elettorale proporzionale comporta almeno due limiti: a monte, un minimo di consensi da parte del corpo elettorale; a valle, un massimo di seggi aggiuntivi a quelli proporzionalmente ottenuti.
Inoltre, se si vuole che ciascun parlamentare goda della propria autonomia nella libertà di giudizio e voto, la sua candidatura non può dipendere dalla “nomina” di partito, a cui dover poi ubbidire una volta eletto, ma dal consenso diretto degli elettori espresso nelle preferenze.
Questa è la logica seguita dalla Suprema Corte allorché ha dichiarato incostituzionale il Porcellum e, di conseguenza, gli obblighi sostanziali ai quali dovevano attenersi i legislatori della nuova legge. Il premio di maggioranza poteva essere assegnato solo in presenza di una lista che avesse conseguito un corposo consenso, altrimenti esso avrebbe distorto ogni proporzionalità di rappresentanza e vanificato la scelta politica effettuata dei cittadini. Al tempo stesso, ad essi doveva essere dato il diritto di preferenza tra i diversi candidati di una stessa lista.
Forma e sostanza della sentenza della Consulta vengono aggirate dal governo con una serie di escamotages.
Ballottaggio e nomine
Poiché le ultime elezioni politiche e ogni sondaggio attestano il consenso delle principali forze molto al di sotto del 40-50% dei votanti (assai meno tra gli aventi diritto), è stato introdotto il secondo turno di ballottaggio tra le due liste che al primo turno abbiano raccolto i maggiori consensi.
Per riservare alle segreterie partitiche la effettiva scelta di chi deve essere eletto, i collegi estesi vengono spezzettati in tanti micro-collegi, con capolista bloccato (“nominato”). In più è data facoltà ad un candidato di presentarsi in più collegi (candidatura plurima), con il diritto di scegliersi, una volta eletto in più di un collegio, chi gli deve subentrare come primo non eletto. Pertanto, a conti fatti, la preferenza dei cittadini viene ridotta a un numero di seggi marginale e, comunque, non tale da sfuggire al controllo delle segreterie partitiche e, soprattutto, all'esecutivo.
Per inciso, l'eventuale differenza di risultato tra le due Camere, come nel 2013, viene scongiurata, giacché la riforma costituzionale esclude il Senato dalla elezione diretta a suffragio universale.
Dal confronto tra le due leggi elettorali emerge una linea di continuità d'intenti e contenuti, addirittura con alcuni “perfezionamenti” apportati dall'Italicum al Porcellum.
Del Senato si è già detto. Per la Camera il ballottaggio, tanto più esaltato dalla lista secca e dalla esclusione delle liste di coalizione, finisce per aumentare la distorsione della volontà degli elettori, laddove incrementa la differenza tra il quoziente di maggioranza ed il quoziente di minoranza. Vale a dire tra il numero di voti necessari ad eleggere un rappresentante di maggioranza e quelli necessari ad eleggere un rappresentante di minoranza.
È quanto risulta da realistiche simulazioni dei possibili esiti elettorali, qui riportate.
Se il Porcellum nelle elezioni del 2013 permise che 1 elettore di maggioranza valesse quanto 2,75 elettori di minoranza, il voto con l'Italicum consentirebbe ad 1 elettore di maggioranza di valere quanto 3,67 o persino più di 4 elettori di minoranza!
Storia patria
Appare tutt'altro che insensato affermare che siamo in presenza di uno stravolgimento della proporzionalità tra elettori ed eletti, superiore alla “legge truffa” dei primi anni cinquanta e paragonabile alla legge Acerbo del 1923, voluta da Benito Mussolini.
Con il Partito Nazionale Fascista votarono a favore della legge Acerbo buona parte del Partito Popolare e dei liberali, oltre alla quasi totalità della destra. Si opposero socialisti, comunisti, la sinistra liberale ed i popolari di don Sturzo. Alla Camera i no furono 123, contro 223 sì.
In precedenza, quando si discusse del quorum minimo, superato il quale assegnare il premio di maggioranza pari a 2/3 dei seggi, il governo Mussolini impose di non elevarlo al di sopra del 25%, ricorrendo, pure allora, al voto di fiducia.
Per quasi due anni, dopo la marcia su Roma (iniziata il 28 ottobre del 19221), nella società, in parlamento e nelle istituzioni regnò un vasto consenso di classe e politico attorno al decisionismo mussoliniano, condito, si disse anni dopo, da una certa “sottovalutazione del pericolo”. Solo di fronte al delitto Matteotti, nel giugno del 1924, alcuni, tardivamente, cominciarono a porsi qualche serio problema...
A queste appunti critici, di solito, si oppone la “profonda diversità della situazione attuale” rispetto a quella degli anni venti, nonché la maggiore affidabilità delle forze politiche oggi in campo e, soprattutto, al governo.
In risposta si contro-obietta che, quando è in questione una legge elettorale, siamo tenuti a prescindere dal momento specifico, potendo il contesto subire repentini mutamenti e forse volgere al peggio.
Una risposta che non mi pare sufficiente.
Sia sul piano dell'esperienza storica, sia su quello della reale motivazione politica che oggi porta alla riproposizione, in queste forme, del maggioritario.
Raramente i protagonisti di questo genere di cambiamento, se completati, escono poi di scena senza approfittare, spesso oltremisura, dei meccanismi da loro stessi messi in opera.
Inoltre, ciascuno si ponga la domanda: per quale scopo e per quali interessi si vuole, nell'attuale contesto di crisi, far prevalere il maggioritario per una minoranza sulla rappresentanza della grande maggioranza?

1 Già 24 ore prima dell'arrivo nella capitale delle squadre fasciste, Re Vittorio Emanuele III aveva incaricato Mussolini di formare il nuovo governo.

Appendice 1 - Uno strano 2013

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Sovranità a referendum - Appendice 1 
Dalle elezioni politiche al governo Renzi. 
Cronologia commentata degli eventi. 

  • 24 e 25 febbraio 2013 – Elezioni politiche nazionali in base alla legge Calderoli, detta Porcellum. La coalizione di centro-sinistra di Pier Luigi Bersani ottiene alla Camera il 29,55% (345 deputati su 630) contro la coalizione di centro-destra di Silvio Berlusconi al 29,18% (125/630) ed il M5S (senza coalizione) al 25,56% (109/630). Ma al Senato può contare solo su 123 seggi su 315, contro i 117 del centro-destra e i 54 del M5S. Pertanto, Bersani non dispone di una base parlamentare in entrambe le camere sufficiente a reggere un proprio governo.
  • Febbraio-marzo 2013 – Dal giro di consultazioni e confronti emerge l'impossibilità di un'alleanza tra PD e M5S per dare vita ad una maggioranza governativa. Né l'uno né l'altro la vogliono.
  • 19 aprile 2013 – Sono in corso le votazioni per l'elezione del Capo dello Stato. A seguito della bocciatura delle candidature i Franco Marini e, soprattutto di Romano Prodi (defezione dei 101), Bersani si dimette da segretario del PD.
  • 20 aprile 2013 – Rielezione di Giorgio Napolitano a Presidente della Repubblica con il voto di tutti, tranne di M5S, SEL e Fratelli d'Italia.
  • 28 aprile 2013 – Incaricato da Napolitano, Enrico Letta vara il “governo delle larghe intese”. Emarginata SEL, rotta la coalizione elettorale risultata prima ed incassato il premio di maggioranza, l'esecutivo di Letta si avvale, oltre al PD, dell'appoggio interno ed esterno di varie formazioni di centro e centro-destra risultate “perdenti”.
  • 27 Novembre 2013 – Berlusconi, in applicazione della legge Severino, viene dichiarato decaduto dal seggio del Senato. Nel mese si consuma la scissione in seno al Partito della Libertà, da cui si stacca il Nuovo Centro Destra di Alfano, che rimane al governo. La rinata Forza Italia si proclama all'opposizione.
  • 4 dicembre 2013 - La Corte costituzionale boccia il Porcellum, in base al quale il Parlamento era stato eletto a febbraio. Depurato dal premio di maggioranza e dalle liste di “nominati”, resta in vigore un sistema elettorale puro con voto di preferenza.
  • 8 dicembre 2013 – Il PD ha un nuovo segretario: Matteo Renzi. È risultato il più votato con il 67,6% su più di 2.800.000 partecipanti a “primarie” di partito. Ai congressi di circolo (poco meno di 300.000 votanti) Renzi aveva ottenuto il 45,3%, seguito da Gianni Cuperlo al 39,4%.
  • 18 gennaio 2014 – Patto del Nazareno tra il PD di Renzi e FI di Berlusconi. Non riguarda il governo ma la riforma costituzionale (del Senato e del Titolo V) e del sistema elettorale.
  • 22 febbraio 2014 – Il governo Renzi succede al governo Letta.
Notoriamente, a seguito dei dissidi sull'elezione a Presidente della Repubblica di Sergio Mattarella, nel febbraio 2015, il Patto del Nazareno viene sciolto da Silvio Berlusconi. Da lì in poi Forza Italia subisce uno “sfilacciamento” che porterà il gruppo parlamentare di Verdini (ALA) ad appoggiare dall'esterno il governo.
***
Nel novembre del 2012 Bersani, al ballottaggio delle primarie di coalizione, aveva distanziato Renzi di ben 22 punti percentuali. Grazie al Porcellum il centro-sinistra da lui capeggiato, ottiene un premio di maggioranza enorme, visto che rimase al di sotto del 30% dei voti. Ma la legge Calderoli prevedeva che il premio di maggioranza, al Senato, fosse applicato su base regionale. Disponendo di soli 123 senatori su 315, Bersani si ritrovò bloccato. Tuttavia, viene messo veramente “fuori gioco” da una manovra di Palazzo, quando 101 franchi tiratori del suo partito affondano la candidatura di Prodi e aprono la via alla rielezione di Napolitano.
Le larghe intese raggiunte per il reinsediamento di Napolitano forniscono anche la base per procedere alla formazione del governo Letta, sulla quale convergono buona parte dei “vincenti” e dei “perdenti”, nonostante il maggioritario promettesse esattamente il contrario, ossia la fine degli “inciuci”.
Tuttavia, la concatenazione degli eventi non trova un assesto stabile fino alla elezione di Renzi alla guida del PD, con “primarie” di partito svolte con criteri accomodati ad hoc sul momento e “aperte”.
Giusto il tempo di contrarre il Patto del Nazareno e, nel giro di un mese, Letta viene scaricato da Renzi, che, Napolitano appena reinsediato, diviene primo ministro senza aver mai affrontato una prova elettorale, non deputato egli stesso.
Il Patto del Nazareno verte su temi istituzionali rispetto ai quali le due forze contraenti si erano presentate agli elettori su posizioni antitetiche, salvo poi ritrovarsi in sintonia (con Renzi al posto di Bersani) e in un ambito dal quale viene escluso l'emergente M5S, il terzo incomodo.
In conclusione, Renzi può disporre di una maggioranza parlamentare garantita, alla Camera, dal premio di maggioranza ottenuto dal PD di Bersani in base ad un programma e ad una coalizione presto abbandonati, e, al Senato, da una parte degli eletti nel centro-destra sulla base di un programma e in una coalizione presentatasi come alternativa.
Miracoli della “mediazione istituzionale”.

Sovranità a referendum

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Lasciti del referendum sulle trivelle. Governabilità, riforma costituzionale ed elettorale. Il voto diseguale. Poteri concentrati. Repubblica dell'esecutivo. Modalità referendarie.
  • Dal referendum sulle trivelle un'anticipazione dello scontro d'autunno sulla riforma costituzionale.
  • Uno strano 2013. Ripercorrerne gli eventi aiuta a meglio focalizzare il contesto politico da cui sono scaturite la riforma elettorale e quella costituzionale.
  • L'eventuale convalida del ddl Boschi conduce, come affermano i suoi ideatori, alla nascita della Seconda Repubblica.
  • È in gioco la sovranità.
Un referendum preliminare
La rottamazione è un concetto di epoca industriale. Nel senso comune richiama immediatamente il fine vita di un'auto oramai consumata e, appunto, da rottamare. Secondo il dettame ecologico post-industriale, politicamente corretto, alla dismissione deve seguire recupero e riciclaggio.
Trasferita nell'ambito politico, la rottamazione renziana ha avuto un'applicazione particolare. A venire recuperata e riciclata non è stata, diciamo così, la “carrozzeria”, bensì il “motore”, rappresentato, nel caso, dal gruppo di interessi lobbistico dell'energia fossile nazionale ed internazionale, nella persona del ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan.1
Pier Carlo Padoan
Questi,
liberista e docente universitario, era stato direttore della Fondazione Italianieuropei, il centro di ricerca dedicato ai temi di politica economica e sociale voluto da Massimo D'Alema, il “rottamato” per eccellenza. 
Una scelta non occasionale e coerente col decreto legge “Sblocca Italia”, volto a ridare fiato all'economia all'insegna di “non importa come, purché si faccia”. In questo modo il governo ha “sbloccato” trivellazioni ed oleodotti, elevandoli al rango strategico-nazionale e sottraendoli alle prerogative locali; ma, incontrando l'opposizione di ben 7 Regioni2 anche governate dal PD, si sia dovuto ricredere, lasciando comunque nel piatto la polpetta avvelenata (residuale, se si considera quanto ha dovuto rimangiarsi) di un solo quesito referendario su cui rivalersi. L'espediente gli ha permesso la vittoria. Nel referendum del 17 sulle trivelle ha prevalso l'astensione, ma l'immagine innovativa ed ambientalista del governo ne è uscita deturpata.
Oltretutto, è emersa la sua propensione a sottrarre alle Regioni importanti poteri, accentrandoli a Roma. In questo modo ha offerto un'anticipazione delle conseguenze pratiche della riforma costituzionale Boschi, laddove riordina, in particolare sull'energia e sulle infrastrutture, il rapporto con le autonomie locali a favore del governo. Un concreto assaggio di cosa significhi la riforma rispetto alla sovranità popolare sui territori.
Infine, cosa implica una vittoria conseguita tramite l'invito esplicito, da parte del governo, a disertare le urne dalle quali istituzionalmente dovrebbe passare l'esercizio della volontà popolare?
Senza dubbio si è trattato di un referendum di posizionamento, in vista del prossimo appuntamento referendario d'autunno sulla Costituzione e nell'ambito di uno scontro politico di più vasta portata, di cui vanno indagati i termini reali.
A cominciare dal modo in cui si è affermato l'esecutivo attualmente in carica.
Mezzi giustificati dal fine
Una rilettura del 2013, più precisamente del periodo intercorso tra le elezioni politiche e la nascita del governo Renzi3, può indurre a due errori.
O individuare una specie di “complotto” nel suo “strano” svolgimento, come se l'esatta concatenazione degli eventi fosse stata preordinata da una “cupola segreta”; o, per l'estrema difficoltà di preordinare una così intricata sequenza, concludere sbrigativamente che fu un “farsi quotidiano”, privo di una sua trama di fondo e di poteri capaci di tesserla.
Le elezioni politiche del 2013 si erano tenute secondo il maggioritario di coalizione della legge Calderoli (Porcellum), non conducendo né al bipolarismo “destra” versus “sinistra”, né alla stabilità di governo basata su una maggioranza il cui programma avesse raccolto il consenso degli elettori.
Questo fallimento avrebbe potuto portare l'insieme delle forze politiche e la presidenza della Repubblica a riconsiderare sia il maggioritario sia le liste bloccate, prima che fosse la Corte costituzionale a farlo. Tanto più in considerazione del consistente successo del M5S e dell'assetto “tripolare” assunto dal sistema, segnato da una “fuga dalle urne” di portata storica4.
In altri termini, avrebbe potuto spingere la “classe politica” a rinnovarsi, per cercare di rigenerare i legami tra “rappresentanti e rappresentati”.
Assistemmo, al contrario, al ripetersi di vecchie logiche di Palazzo, al precipitoso abbandono dei vantati programmi5, serviti al dunque solo per “acchiappare” consensi, e, poi, ad una serie infinita di “cambiamenti di casacca” dei parlamentari, da un partito e da uno schieramento all'altro, quasi sempre in direzione del governo e del sottogoverno.
Assistemmo al Patto del Nazareno su riforme istituzionali rispetto alle quali le due forze contraenti si erano presentate agli elettori su posizioni antitetiche, salvo poi ritrovarsi in sintonia (con Renzi al posto di Bersani).
Ma fu solo il prologo di un'ulteriore torsione in direzione della “governabilità”, perseguita con ostinazione e attraverso mezzi anche “non convenzionali”.
Questi mezzi gettano un'inquietante luce sul fine.
Giorgio Napolitano
Si pensi sia al modo in cui fu reinsediato pro tempore Napolitano, sia al modo in cui Matteo Renzi è diventato presidente del Consiglio. Nel primo caso, la defezione dei 101, che bocciò Romano Prodi aprendo la via a Napolitano, comportò le dimissioni di Bersani da segretario del PD. Nel secondo, Renzi divenne premier su incarico di Napolitano, in quanto nuovo segretario del PD stesso. Un valzer sorprendente.
Tra i due avvenimenti, il “governo delle larghe intese” di Letta appare come il viatico temporalmente necessario per perseguire l'obiettivo.
Sicché, stando ai fatti, l'attuale governo e la sua fase ri-costituente sono stati avviati in base a:
  1. Una oscura manovra di Palazzo (la predetta defezione dei 101).
  2. Un cambiamento di programma, di linea e di leadership interna ad un partito, il PD, determinato da regole sue “private” e non “pubbliche”, in barba alle elezioni appena svolte.
  3. La dote di un premio di maggioranza conseguito dal PD, da un lato grazie al Porcellum ed in violazione della Costituzione, e dall'altro in virtù di un programma e di una coalizione (di Bersani) ripudiati.
Quanto vale un voto
Dagli svolgimenti dello strano 2013 abbiamo ereditato un duplice peso specifico arbitrario assegnato al voto dei cittadini: l'uno, derivante da un voto particolare e parziale, “privato”, nelle elezioni riguardanti il solo PD (con regole sue autodefinite, ad hoc), posto al di sopra di quello repubblicano per decisione del Presidente; l'altro, derivante dal premio di maggioranza conseguito in base al Porcellum.
Senonché, la successiva legge elettorale (Italicum)6 ha confermato il meccanismo premiale ed accentuato la differenza di peso specifico assegnato al voto. Per eleggere un rappresentante di minoranza serviranno ancor più voti di quelli necessari ad eleggere un rappresentante di maggioranza. La divaricazione, che contraddice il fondamentale principio di uguaglianza dei cittadini, è evidenziata dal rapporto tra i due quozienti: un deputato di minoranza risulterebbe eletto con 3,67 voti o addirittura 4,02, mentre nel 2013 ne sono bastati 2,75.
Ne consegue che le opposizioni vengono marginalizzate. Ad esse, pur godendo tra il 75% ed 65% dei suffragi al primo turno, toccherebbe, comunque e nel loro insieme, il 45% dei deputati.
Di converso il futuro governo godrebbe di una base parlamentare ampia e, tramite il prevalere del numero di “nominati” sui “preferiti”, docile ed obbediente.
Secondo l'ideologo renziano della Seconda Repubblica, dovremmo essere felici di tutto ciò. Già in Francia, ai tempi in cui era commissariata da Charles De Gaulle in occasione della crisi algerina, il rapporto tra Parlamento e Governo venne brillantemente risolto a favore di quest'ultimo, rafforzando la “Europa della decisione” e sconfiggendo quella della “impotenza”. Colmeremmo semplicemente un ritardo storico, completando una “transizione” lunga 70 anni.7
Efficienze
Veniamo alla riforma costituzionale Boschi8 che, insieme all'Italicum, genera il “combinato disposto”.
Anche per la riforma costituzionale la motivazione addotta, ovunque rintracciabile, è di natura pragmatico-funzionale.
Una volta dismesso il “bicameralismo perfetto” e la relativa “navetta tra Camera e Senato”, il percorso legislativo sarebbe snellito, reso più rapidamente “produttivo”, in altri termini più “efficiente”.
Secondo argomentate critiche la maggiore funzionalità non sarebbe per nulla garantita dalla nuova normativa, perché scritta in modo farraginoso e prefigurante una pluralità di «procedimenti legislativi differenziati, a seconda delle diverse modalità di intervento del nuovo Senato.»9
Il persistere di una zona grigia tra le competenze affidate alle Regioni rispetto a quelle dello Stato, è rafforzata dalla mutevole durata del mandato dei senatori, non coincidente con quella dei deputati della Camera, perché dipendenti dalla durata dei Consigli Regionali in carica. Con il variare della composizione di questi ultimi cambierebbero le maggioranze politiche al loro interno e, dunque, gli orientamenti del Senato. Ciò, dato il numero di senatori ed i poteri loro rimanenti, non destabilizzerà il governo, ma potrebbe complicare ulteriormente i rapporti tra i due rami del Parlamento, invece di semplificarli.
Michele Ainis
Sull'efficienza, dalle colonne del Corriere della sera, il costituzionalista Michele Ainis10 obietta: «Una maggior concentrazione del potere dovrebbe assicurarla, però non è detto, dipende dalle complicazioni della semplificazione. L’iter legis, per esempio: qui danno le carte soltanto i deputati, tuttavia il Senato può emendare, la Camera a sua volta può respingere a maggioranza semplice, ma talora a maggioranza assoluta. Mentre rimangono pur sempre 22 categorie di leggi bicamerali. Insomma, dalla teoria alla prassi il principio efficientista rischia di rivelarsi inefficiente. E voi, siete teorici o pragmatici?»
Poteri concentrati
Tuttavia, l'aspetto principale consiste proprio nell'accennata concentrazione dei poteri, derivante dalla combinazione con la nuova legge elettorale.
Attraverso il maggioritario di lista “secca” (coalizioni escluse), i deputati della lista vincente al ballottaggio, si troverebbero nella condizione, da un lato, di votare la fiducia al governo e di legiferare e, dall'altro, di scegliersi il Presidente della Repubblica, il suo Supplente, un determinante numero di giudici della Consulta11 e di membri laici del Consiglio superiore della Magistratura (Csm).
Ne esce sconvolto la pluralità dei poteri, dei “pesi” e “contrappesi”, di governo e di controllo, ma anche il loro decentramento.
Nello stesso articolo, Michele Ainis scrive: «Primo: il potere. La riforma lo concentra, lo riunifica. Una sola Camera politica (l’altra è una suocera: elargisce consigli non richiesti). Un governo più stabile e più forte, senza la fossa dei leoni del Senato, che ha divorato Prodi e masticato tutti i suoi epigoni, nessuno escluso. E uno Stato solitario al centro della scena. Via le Province, pace all’anima loro. Via le Regioni, cui la riforma toglie di bocca il pasto servito nel 2001, sequestrandone funzioni e competenze: dal federalismo al solipsismo. Perciò il decisionista Carl Schmitt voterebbe questo testo, l’autonomista Carlo Cattaneo lo disapproverebbe. Voi da che parte state?»
Oligarchie
Roberto Scarpinato
Un chiarimento a questo proposito ci viene direttamente da un magistrato in prima linea. Roberto Scarpinato, procuratore di Palermo, in un'intervista a la Repubblica12, afferma: «Si è avviato un complesso e sofisticato processo di reingegnerizzazione oligarchica del potere che si declina a livello sovranazionale e nazionale lungo due direttrici. La prima è quella di sovrapporre i principi cardini del liberismo a quelli costituzionali trasfondendo i primi in trattati internazionali e trasferendoli poi nelle costituzioni nazionali.»
A questo proposito Scarpinato propone, come esempio cardine, l'inserimento dell'articolo 81 nella Costituzione, che fissa l'obbligo del pareggio di bilancio sopra ogni altro diritto sancito nei valori fondanti.
Quindi prosegue: «La seconda direttrice consiste nel trasferimento dei centri decisionali strategici negli esecutivi nazionali, declassando i Parlamenti a organi di ratifica delle decisioni governative e sganciandoli dai territori tramite la selezione del personale parlamentare per cooptazione elitaria grazie a leggi elettorali ad hoc.»
In termini più stringenti, le “forze che governano i mercati”, ossia le oligarchie economico-finanziarie internazionali ed europee, mirano a creare un sistema politico oligarchico a propria immagine e somiglianza. Per raggiungere lo scopo devono rendere subalterne le Costituzioni ai loro interessi e disporre di esecutivi che possano decidere senza dovere rendere conto ai popoli, ai parlamenti e ad altre istituzioni dello Stato. Devono esautorare la sovranità democratica, nazionale e territoriale, per imporre una “nuova” sovranità dello Stato confacente al loro potere oligarchico.
Come si vede il problema è sì di efficienza, ma funzionale a poteri “altri” e opposti a quelli popolari.
Plebiscito
La riforma Boschi investe più di 40 articoli della Costituzione e muta la forma di governo: alla Repubblica parlamentare subentra una Repubblica imperniata sull'esecutivo e sul Capo dell'esecutivo.
Non è una semplice revisione, prevista dall'art. 138 della Carta del 1° gennaio 1948. Viene introdotta un'altra Costituzione. Essa ordina nella normalità la forza decisionale di un accentrato potere governativo, che è già stato e viene praticato. Ne è la convalida.
Il premier trasforma il referendum in plebiscito, su di sé perché si è auto-attribuito l'interpretazione autentica della volontà popolare: si sente il portatore della “legittimità” ri-costituente della Seconda Repubblica rispetto alla “legalità” costituita della Prima.
Al decisionismo non può che corrispondere, a suggello, un plebiscito ultimativo. Infatti, il governo Renzi vuole non sia concesso ai cittadini di convalidare singole parti della riforma Boschi oppure respingerle: o tutto o niente.
Il suo carattere ultimativo è nell'aut aut “o con me o contro di me”, ascrivibile al ferreo dualismo amico-nemico. Il gergo appare bonariamente calcistico. I nemici sono chiamati “gufi”, ma, per il loro “tifo” contro il “gioco di squadra” del governo che “prova a governare”, sono imputati del peggior crimine politico-morale: di anteporre il proprio tornaconto particolare e fazioso al bene generale e supremo dell'Italia.13
Una volta ripristinata l'unità di forma e contenuto nella ri-costituita Repubblica, alla maggioranza del demos e all'esercizio della sua sovranità resterebbe, sul piano istituzionale, solo l'eventuale ricorso a strumenti diretti14 e, per le rappresentanze all'opposizione, il diritto di tribuna.
Nel governo, e in capo al premier, si concentrano i poteri della Repubblica. Rimane in campo una rimaneggiata indipendenza della Magistratura, sulla quale si vanno concentrando i più furiosi attacchi.
Tutto ciò in un Paese già considerato a scarsa libertà d'informazione cartacea e televisiva, con un personale politico partitico screditato dalla penetrazione mafiosa e dalla corruzione.
Incertezze
È ancora incerto se il referendum si svolgerà secondo le intenzioni del governo, con un Sì/No secco a tutta la riforma Boschi.
La riforma non ha ottenuto la maggioranza parlamentare dei due terzi, sicché, secondo le norme vigenti15, la richiesta di referendum può essere presentata da un quinto dei membri di una Camera, da 500.000 elettori o da cinque Consigli regionali.
I parlamentari della minoranza PD non hanno firmato la richiesta approntata dal governo perché: ”E' giusto che siano le opposizioni a farlo altrimenti sembra si voglia il plebiscito.”
Pure la data della consultazione è incerta.
Tempi e modi influiranno sulla consultazione, spostando l'accento sui contenuti della riforma o sul “prendere o lasciare” di riforma ed annesso governo.
Qualsiasi sia l'esito anche di questa contesa, ritengo che, in caso di vittoria del Sì, vada preso sul serio l'allarme lanciato da Nadia Urbinati: «Se finisse nelle mani sbagliate, con un'altra maggioranza, ci sarebbe da rabbrividire».16
Con un'osservazione aggiuntiva.
Non mi pare indispensabile paventare il peggio per essere allarmati, quando si comprenda come è maturata la svolta, in cosa consista la Seconda Repubblica e quali poteri reali porti con sé.
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Appendici:
  1. Uno strano 2013
  2. Porcellum & Italicum
  3. La riforma costituzionale
1 Come si evince dalle affermazioni dell'ex ministro dello Sviluppo Federica Guidi, nelle intercettazioni telefoniche riguardanti l'inchiesta giudiziaria sul suo ex compagno Gianluca Gemelli.
2 Le Regioni che hanno posto in essere i referendum abrogativi.
3 Vedi nel Blog: “Uno strano 2013”, Appendice 1 di questo post.
4 A questo proposito si veda: Federico Fornaro, “Fuga dalle urne”, Epoké, 2016.
5 La legge elettorale Calderoli ne imponeva il deposito contestuale alla presentazione delle liste.
6 Vedi il confronto tra i due sistemi elettorali nel Blog: “Porcellum & Italicum”, Appendice 2 di questo post.
7 È quanto si evince dal libro “La transizione è (quasi) finita” di Stefano Ceccanti, Giappichelli editore, 2016. Un testo sul quale è necessario ritornare.
8 Vedi in questo Blog: “La riforma costituzionale”, Appendice 3 di questo post.
9 Appello per No al ddl Boschi firmato da 56 costituzionalisti, La Repubblica, 24 aprile 2016.
10 Michele Ainis, “Le spine e la rosa: al referendum vince o perde l’Italia (non Renzi)”, Corriere della sera, 11 aprile 2016.
11 I 15 giudici costituzionali sono nominati: 5 dal Presidente, 5 dal Parlamento; 5 dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrativa.
12 Roberto Scarpinato, “Il nostro compito è vigilare sui politici fedeli alla Carta più che alla legge”, la Repubblica, 11 maggio 2016, intervista di Liana Milella.
13 Sia il rapporto tra “legale” e “legittimo” che quello tra “amico” e “nemico” sono agiti secondo le “categorie del politico” presenti nel testo di Carl Schmitt citato prima in questo scritto e, non a caso, assunto a riferimento critico anche da Michele Ainis.
14 La riforma Boschi promette di ampliare lo spazio dei diritti referendari, rimandandone però la normativa ad un'ulteriore riforma costituzionale.
15 Art. 138 della Carta, con procedura disciplinata dal titolo I della legge 25 maggio 1970, n. 352
16 Nadia Urbinati, neo-presidente di Libertà e Giustizia, “Renzi vuole il plebiscito per non spiegare la verità”, Il Fatto Quotidiano, 23 aprile 2016, intervista di Luca De Carolis.

Appunto quasi teorico
I sostenitori dello Stato come “sovranità della mediazione politica” avrebbero di che rallegrarsi. Le tensioni tra Società e Politica sono state contenute e mantenute nella Norma, grazie al Presidente.
Il Paese non è caduto nella ingovernabilità; ha potuto superare lo stallo politico e rispondere alle urgenze interne della crisi; ha fatto fronte ai suoi improcrastinabili impegni europei ed internazionali. E, comunque la si pensi, pur sempre al popolo è rimandata la decisione, l'ultima parola referendaria.
Tutto quadra? Sia lecito dubitarne.
La mediazione si è avvalsa di mezzi ad un tempo istituzionali, extra-costituzionali ed extra-parlamentari, per nulla trasparenti, elevando la governabilità ad un pressoché assoluto imperativo categorico, rispetto alla fonte prima dalla quale dovrebbe sgorgare la sovranità: il popolo italiano.
Si badi bene: la governabilità si presenta come un'astratta e superiore ragione pragmatico-funzionale, ma corrisponde poi all'affermazione concreta di un governo politico, affatto neutrale e slegato dai poteri delle “cerchie” dominanti, fattosi primo motore di riforme istituzionali tali da rimodellare la Repubblica.
Il governo si è pre-costituito come potere costituente. Non restituisce al popolo, in una nuova Carta, il frutto della sua lotta democratica. Gli chiede di convalidare a posteriori non una revisione, ma una vera e propria ri-costituzione dall'alto, prodotta in dubbia legalità, su misura di oligarchie economico-finanziarie e sotto la pressione dello stato di crisi.
Lampante è la contraddizione tra le scelte politiche a cui fu chiamato il popolo italiano, nell'esercizio elettorale della propria sovranità, ed il risultato di governo in cui i vari passaggi, intra ed extra-istituzionali, hanno tradotto il suffragio universale.
Palese la contraddizione sostanziale con l'articolo 1 della Costituzione.
Pertanto, insieme ai sostenitori della “sovranità della mediazione”, avrebbero ragione di rallegrarsi anche i sostenitori della “decisione sovrana”, che vorrebbe imporsi sulla Resistenza dei popoli, oggi come ieri.