lunedì 4 dicembre 2017

Morale catalana

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Morale catalana

La ribellione non violenta della Catalogna – Ruolo dei tribunali spagnoli – Chi ha rotto il patto costituzionale – Il sogno europeista catalano alla prova dell'Unione europea reale – Nella perdita dei riferimenti la questione morale.

Qualche ammaestramento la vicenda catalana può offrircelo.
Uno riguarda la messa a nudo della struttura del potere nella Spagna odierna, che rimanda alla irrisolta transizione dal fascismo ed ai lasciti franchisti non incompatibili con l'appartenenza all'Unione europea.
Un altro ci racconta di quanto pesante sia l'impatto della gestione austera della crisi ed a quali rifugi territoriali induca, in un singolare rovesciamento per cui le piccole patrie tanto furono esaltate ad Est quanto sono aborrite ad Ovest.
In questo contesto l'Unione ed i principali governi europei, tra cui quello italiano, riscoprono le virginali virtù della non ingerenza negli affari interni. Ma cosa sono gli affari interni e quelli esterni all'Europa?
Disperso il “patriottismo costituzionale” che doveva cementarla, l'Europa appare priva di un processo condiviso d'unificazione politica. Non può proiettare nel suo futuro un'identità che non ha, nel mentre le identità preesistenti di partenza, gli Stati-nazione, traballano o rischiano di essere preda di ritorni fascistizzanti, magari in combutta con mafie e malaffare. Ai fini delle oligarchie dominanti, fascismo xenofobia e mafie sono preferibili a qualsiasi apertura al cambiamento: è la morale della mattanza morale.

Sedizione
Il governo della Catalogna è destituito.
I suoi membri ed il presidente sono o rifugiati in Belgio, passibili di estradizione, o detenuti in Spagna. Tutti sono posti sotto accusa dalla giudice della Audiencia National, Carmen Lamela Diaz. La ex presidente del parlamento catalano, Carme Forcadell, invece, è imputata per ordine di un gip del Tribunal Supremo e non più detenuta grazie al versamento di una cauzione, emblematica di una società in cui la libertà (provvisoria) è disponibile in cambio di un pegno in denaro.
Sono accusati di ribellione, sedizione, disobbedienza all'autorità, distrazione di fondi pubblici (un corollario insinuante), con una imputazione rivolta a Carles Puigdemont, l'ex presidente della Generalitat de Catalunya, di aver “promosso e usato la forza, spingendo per l’insurrezione e sfidando l’ordine costituzionale”.
Ciò che più colpisce è l'intervento di corti centrali, con speciali competenze su tutto il territorio dello Stato [vedi nella finestra “Corti speciali”], in stretto legame con l'applicazione dell'articolo 155 della Costituzione da parte del governo Rajoy. Sicché il loro attivarsi in difesa dello Stato appare direttamente conforme alla volontà del potere politico, dal quale non sono affatto indipendenti.
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Corti speciali

A parte il Tribunal Constitutional che vigila sul rispetto della Costituzione, il sistema giuridico spagnolo è piuttosto speciale se paragonato a quello in vigore in altri Paesi dell'Europa occidentale.
Il Fiscal General è un Procuratore generale con giurisdizione sull'intero Stato. Viene nominato dal re su proposta del governo da cui dipende gerarchicamente.
In sostituzione del franchista Tribunal de Orden Público, nel 1977 viene istituita, con decreto-legge reale (!) la Audiencia Nacional, che ne eredita funzionari e funzioni di repressione politica, compresa la sede centrale di Madrid. La sua giurisdizione è allargata all'intero territorio spagnolo, violando il diritto al giudice naturale. Tratta delitti assai differenti e tende ad allagare le proprie competenze, mancando di un fine non equivocabile. Detiene il monopolio sui delitti di terrorismo, in un sistema legale che qualifica come terrorismo delitti che non lo sono. Ai detenuti dell'AN è proibito qualsiasi contatto con avvocati e familiari. 
Dal 1812 opera da Madrid il Tribunal Supremo che ha giurisdizione unica sul territorio dello Stato. Cura i ricorsi di cassazione. È tribunale superiore per gli ambiti civile, penale, contenzioso-amministrativo e sociale. Nel caso Forcadell, appare in conflitto di competenza con il Tribunal Superior de Justicia de Catalogna.
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Non si tratta né di una scelta contingente, in base ad un mero calcolo di convenienza elettorale, né di una pura reazione istituzionale, una specie di atto dovuto di fronte ad un gesto di sedizione. Sia perché, in realtà, il governo indipendentista non ha mai usato od istigato all'uso della forza e della violenza, senza le quali la sedizione non sussiste, sia perché l'innesco del meccanismo repressivo, a cui i tribunali hanno dato consistenza, risponde ad una linea politica del Partido Popular e dei suoi alleati, perseguita con coerenza da molti decenni. Un continuismo politico da cui inizialmente si erano tenuti distanti i socialisti del PSOE, salvo man mano aderirvi, fino alla più recente svolta in sostegno di Rajoy.
Benché a Mariano Rajoy non manchino i motivi immediati per infiammare lo scontro con la Catalogna, come il tentativo di raccogliere tutto il voto di richiamo reazionario, distogliendo l'attenzione dagli scandali per corruzione che coinvolgono il suo esecutivo, tali motivi presentano il grande vantaggio di sposarsi perfettamente con quelli sottostanti di più solida e lunga durata.1
Continuismo politico
La costituzione del 1978 fu conseguenza della conversione del regime fascista di Francisco Franco in una democrazia parlamentare pluripartitica. Si disse che la transición democrática adottata fosse l'unica alternativa alla ripresa della guerra civile. Ma, come dimostrò il fallito golpe del colonnello Tejero, il ricatto era inconsistente e finalizzato esclusivamente a consentire ai gruppi sociali ed agli apparati dello Stato compromessi col fascismo di passare indenni nel gattopardo del cambiamento politico. A tal fine dovettero disporre:
  • del ritorno in regia della monarchia borbonica;
  • di un esecutivo di ex ministri e notabili franchisti, comunque non antifascista;
  • della garanzia di continuità di istituzioni quali le corti speciali di giustizia;
  • della espressa esclusione di ogni misura tesa a regolare i conti col passato regime;
  • di una costituzione a suggello del compromesso pattuito.
A distanza di alcuni decenni, nonostante forti movimenti di piazza conseguenti al crack del 2008 e la crisi della rappresentanza parlamentare (tra il 2015 ed il 2016, circa 10 mesi senza maggioranza), al governo resiste il Partido Popular di Rajoy, in coalizione con Ciudadanos e con l'appoggio esterno dei socialisti del PSOE, sotto forma di astensione. Si noti bene: nell'emiciclo parlamentare nessuna forza sta alla destra del Partito popolare. Inoltre, re Felipe è sceso in campo non per unire ma a favore del governo, immischiandosi direttamente nella contesa politica; le Corti speciali fanno con diligenza estrema il lavoro per cui sono state istituite o, se preferite, re-istituite.
Il patto costituzionale, invece, è stato rotto.
A segnare la rottura è stata la decisione dei popolari di Rajoy, giunto allora al minimo elettorale, di ricorrere al Tribunal Constitutional contro lo Estatut d'Autonomia, voluto dal socialista Zapatero in esecuzione del compromesso costituzionale [vedi nella finestra “Il compromesso”]. Lo Statuto era stato approvato dai parlamenti catalano e spagnolo, poi ratificato da un referendum popolare in Catalogna. Correva l'anno 2006. Nel 2010, giunge la sentenza della Corte, che svuota lo Statuto e nega alla Catalogna la qualità di nazione. Così doveva essere, giacché, nella logica dei giudicanti, se è dalla nazione che sorge lo Stato, riconoscere la Catalogna come nazione le avrebbe conferito automaticamente il diritto di farsi Stato.
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Il compromesso

«Il 14 aprile 1931, i repubblicani spagnoli vinsero le elezioni municipali nella maggior parte delle grandi città, proclamando diverse Repubbliche fra le quali la Repubblica catalana sotto la direzione di Lluís Companys, consigliere municipale di Esquerra Republicana de Catalunya [Erc, …] Applicando un programma federalista, le repubbliche indipendenti proclamarono la Seconda repubblica spagnola, poi schiacciata da Franco. Una volta morto il dittatore, i repubblicani sostennero che la repubblica federale rimaneva il regime legale al quale occorreva tornare. La questione – come quella dell'unità territoriale – si risolse in un compromesso: i catalani rinunciavano a formare una repubblica federale ed accettavano sia il regime monarchico (articolo 1.3 della Costituzione) che “l'unità indissolubile della nazione spagnola” (articolo 2), abbandonando il progetto di dichiarare unilateralmente la propria indipendenza come nel 1931. In cambio ottenevano il diritto di sviluppare uno statuto di autonomia e diritti civili specifici, benché strettamente definiti.»

Estratto da:
Sébastien Bauer, “La crisi catalana è nata a Madrid”, Le Monde diplomatique – il Manifesto, novembre 2017.
Lluis Companys fucilato dai franchisti nel 1940
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In definitiva, ciò che impedì di liquidare i conti col franchismo ed i suoi lasciti, di ordine sociale e nazionale, è tuttora garante del continuismo politico centralista e nazionalista spagnolo, nonché del mantenimento in sella delle vecchie classi ed apparati statali dominanti, seppure aggiornati.
Represión legal
Tuttavia, il compattamento del potere centrale sbarrava la strada non solo all'indipendenza ed al federalismo, ma pure ad una soluzione di tipo autonomistico, conferendo all'articolo 155 ed alle corti speciali un ruolo “necessario”, nel caso in cui l'idea nazionale catalana si fosse comunque riaffermata su basi democratico-istituzionali locali.
Dopo aver osteggiato il referendum del 1° ottobre a tratti in modo violento, le porte del carcere si sono aperte innanzitutto per i leaders dei movimenti indipendentisti della società civile, i due Jordi,2 “esterni” alle istituzioni rappresentative. Poi, in seguito all'attivazione dell'articolo 155, i mandati di arresto si sono abbattuti anche sulle cariche elettive. Nonostante prevalga il racconto di uno svolgimento incruento o si preferisca tenere nascosta nelle pagine interne dell'informazione la espinosa questione catalana, la represión legal pratica la reclusione preventiva e minaccia decenni di galera per azioni politiche non violente e condivise democraticamente da circa metà della popolazione catalana. Un problema politico di prima grandezza è stato trasformato in un problema di ordine pubblico e legalista, con la pretesa di ripristinare la normalità grazie al semplice ricorso ad una nuova consultazione elettorale. È persino banale prevedere che, qualsiasi sia il responso delle urne del 21 dicembre, esse non annulleranno quanto è successo, che peserà sul futuro non solo della Catalogna e della Spagna, ma anche dell'Unione europea.
Fede malriposta
Le oligarchie politiche e finanziarie europee sono refrattarie ai referendum. Dopo quelli del 2005 che in Francia ed Olanda hanno rigettato la cosiddetta Costituzione europea,3 più recentemente nel Regno Unito ha prevalso il leave. In aggiunta, nel referendum italiano del 2016 la Repubblica parlamentare del '48 è stata preferita ad una riforma costituzionale congegnata per rafforzare i poteri dell'esecutivo, proprio in funzione della costruzione di una “Europa degli esecutivi”.
Nel dopo-muro i governi dell'Europa occidentale, in preda alla foga di reconquista dell'Est, si precipitarono a riconoscere in Jugoslavia le piccole patrie etnico-confessionali, sorte da plebisciti secessionisti tenutisi in un clima di sanguinosa e preordinata violenza. Perché, al contrario, quei governi si oppongono ora al pacifico indipendentismo catalano? Perché ad Est e fuori dall'allora Comunità europea non fu adottato il principio di non ingerenza negli affari interni, così evitando di sospingere quei popoli nell'abisso della guerra intestina e nella reciproca pulizia etnica, mentre ora quello stesso principio viene fatto valere intra moenia, tra le mura dell'Unione, pur di disconoscere che la Catalogna sia un problema europeo?
Inutilmente cercheremmo un efficace chiarimento nelle dichiarazioni di Carles Puigdemont [vedi nella finestra “Carles a Concita”]. Come scrive Concita de Gregorio,4 Puigdemont ha invano “continuato in pubblico e in privato a invocare l'intervento dell'Europa”: i vertici dell'Unione ed i governi dei maggiori Paesi hanno fatto orecchie da mercante, letteralmente.
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Carles a Concita


Affermazioni di Carles Puigdemont sull'Europa, riportate da Concita De Gregorio.
«A cosa serve, altrimenti, l'Europa di Altiero Spinelli se non a dirimere le questioni di democrazia, di libertà, di rispetto reciproco e di rispetto del voto dei cittadini degli Stati membri?»
«Un'Europa che risponde solo alle banche, all'interesse economico, alla convenienza dello Stato guida non è quello per cui in tutta la nostra storia ci siamo battuti.»
«Il punto, oggi, è che l'Europa non può tacere. Non può voltare le spalle e liquidare quel che è avvenuto come un fatto interno. Non vogliamo un'Europa dei banchieri, vogliamo un'Europa dei cittadini. Non sono io il problema, è la Catalogna. Io non ci sarò in futuro, la nostra gente sì. La mia missione politica si chiude qui.»
Concita De Gregorio, “Carles, il ribelle riluttante porta la sfida catalana nel cuore dell'Europa”, la Repubblica, 1/11/2017.
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Forse pensava che la professione di fede nell'Europa a moneta unica da parte di un governo dell'area più ricca della Spagna, qual è quello catalano, bastasse a metterlo al riparo dalle ritorsioni madrilene. Puigdemont insiste su ciò che l'Europa dovrebbe essere per non restare “solo” quella che in effetti è. Ma è proprio perché la Catalogna si è trovata dinnanzi ad un'Unione rispondente “solo” alle banche, all'interesse economico loro, alla convenienza nazionale di uno Stato guida e del suo immediato intorno, che essa non può trovare risposte “anche” alle questioni di libertà e democrazia.
Qualora avesse potuto intavolare una trattativa, magari grazie ad una mediazione europea, l'ex governo catalano si sarebbe accontentato di una qualche forma federalista, se non persino di un ripristino dello Statuto di Autonomia del 2006. Chiedeva tutto pur di ottenere il minimo. Ma l'assenza dell'Ue da un terreno che dovrebbe esserle proprio, sancisce il prevalere del punto di vista ad un tempo delle oligarchie finanziarie e delle élites politiche, sotto la guida di uno Stato-nazione. Un prevalere che spiazza Puigdemont.
Non si capisce per quali ragioni quelle oligarchie dovrebbero privarsi dell'appoggio di una Spagna subalterna e soddisfatta nei piani alti della sua società. Perché quei piani alti puzzano di centralismo franchista? Perché dovrebbero operare per un federalismo spagnolo su scala ridotta, quando non nutrono alcuna intenzione di volerne uno su scala continentale? Per favorire, a seguito di un successo di Barcellona, l'affermarsi di un nuovo indirizzo della politica spagnola più attenta alle libertà sociali, da precariato e disoccupazione, piuttosto che alla libertà della grande finanza di fare e disfare a proprio comodo? Sarebbe puro autolesionismo.
Certo, qui sorge una questione: l'Europa mostra di nutrire una morale prêt-à-porter, quando di non favorire addirittura una mattanza della morale.
Scioglimenti nell'acido
A denunciare la deriva è Beppe Grillo in un articolo significativamente intitolato: “L'Europa abolisce la morale: dalla Spagna al ritorno di B.”5
Secondo Grillo6 l'Europa detta una morale di comportamento sul latte da produrre, ma non su “un possibile stravolgimento dei suoi confini interni”, come in Catalogna.
Date le propensioni di “quel gruppo di banchieri che pretende di esserne il faro” forse è meglio così e dovremmo “ringraziare il cielo per questo ma... cos'è un affare interno dell'Europa?”
Per “la svendita dei beni e delle garanzie pubbliche” imposto dall'Unione, non c'è sovranità nazionale che tenga: essa “non esiste più, violentata e risucchiata dai tentacoli europei”. La materia è scottante. Investe sia la dimensione del vivere quotidiano, sia quella istituzionale: le ragioni finanziarie cambiano le Costituzioni e soverchiano quelle popolari. È il caso dell'euro “spada nella roccia”, in apparenza impossibile da estrarre. Ne deriva una conclusione lapidaria, sulla scorta del giudizio espresso dal Nobel Amartya Sen: “Il peccato originale dell'Ue è stato proprio di aver concentrato biecamente i propri sforzi sull'economia 'ingegneristica' anziché su quella 'etica'.”
Amartya Sen, Nobel per l'economia 1998
Grillo mette il dito nella piaga, ma vede uno “scollamento tra economia ed etica” laddove si potrebbe pensare a qualcosa di meno etereo e spirituale. Per esempio, ad un sistema tanto intriso di materialità da non nutrire necessariamente una morale. Anzi di poterla tranquillamente sciogliere nell'acido.
Nella logica propria degli affari capitalistici, i governi dei principali Paesi occidentali alla caduta del muro di Berlino, decisero di espandere la propria egemonia ad Est e nei Balcani, per conto di coloro che, con la successiva trasformazione finanziaria, sarebbero diventati “quel gruppo di banchieri”. Si ingerirono pesantemente negli affari di Paesi allora fuori dalla Comunità, quindi “esterni”. Spinsero alla guerra tra etnie e confessioni religiose. Predicando ipocrita tolleranza, agirono per minare le basi stesse della convivenza. Previo affermazione del “diritto d'ingerenza umanitaria”, scatenarono infine una “guerra umanitaria”.
Erano affari esterni e divennero interni.
Seguendo la stessa logica ora, per il principio di intangibilità non dei confini ma dei propri affari, è preferibile un governo Rajoy nella continuità centralistica del franchismo ad una mediazione europea per una Spagna riunita in federazione, la quale, avviando a soluzione la questione catalana, potrebbe presentarsi unita contro la politica economica europea verso le Periferie, a cui appartiene.
Ecco, allora, che gli affari interni all'Unione divengono esterni.
È la liberal-democrazia reale, non quella sognata, che ha permeato di sé l'Europa odierna, concentrandosi sulla ingegneria del danaro, la finanza, che non conosce etica, se non quella che obbliga il debitore, fino all'autodistruzione, verso il suo creditore. L'uno tanto incorreggibile peccatore, quanto l'altro predestinato alla santità.
Alexis de Tocqueville
Ed il richiamo da parte di Grillo ad uno dei massimi pensatori liberal-democratici, Alexis de Tocqueville, mostra ancor più come l'approdo finale del liberalismo smentisca le sue promesse ottocentesche. Nella sua evoluzione infatti, per sfuggire ai movimenti di lotta delle classi cosiddette subalterne (per ricondurle alla subalternità), ha internazionalizzato il mondo e l'Europa. Il suo scopo era “togliere la terra sotto i piedi dell'avversario”, ovvero luogo e contesto in cui quei movimenti potessero organizzarsi ed essere efficaci. La globalizzazione liberalista ha voluto impedire l'organizzazione politica (e persino sindacale), nonché qualsiasi influenza sugli affari di Stato da parte di quelle classi e di quei movimenti, togliendo innanzitutto sovranità alla democrazia, senza rinunciare a togliere, laddove possibile, democrazia alla sovranità.7
Così facendo, però, ha finito per sottrarre sovranità e democrazia pure all'insieme dei cittadini dello Stato-nazione, destabilizzando il “comun sentire” di una società che, dal sopravvenire della crisi, si riconosce sempre meno in esso.8 Per questo quel cittadino precipita nell'aporia morale, è ridotto a “suddito” ed indotto ad oscillare “tra servitù e licenza”, come nel 1840 Tocqueville pensava potesse succedere unicamente in alcuni Paesi europei, a differenza dell'esemplare America.
Mattatoio morale
Per Grillo non esiste una morale europea rispetto alla Spagna, come non esiste una morale italiana rispetto al ritorno in campo di Berlusconi e financo della mafia, vecchio attrattore sociale in Sicilia.
Nel restringimento della morale di partenza (pre-crisi) in sottogruppi più piccoli, il sistema tende a preservare se stesso e, grazie all'azione fondamentale dei media, si camuffa sotto altre spoglie, “generando una seconda morale profondamente amorale”. “Una morale che, per esempio, digerisce l'osceno ritorno del Re Sòle, un vecchio malvissuto dalla canizie vituperosa, per dirla alla Manzoni (…). E, al contempo, si cercano pretesti per attaccare chi stoicamente insiste nel tentativo (difficilissimo) di mantenere e migliorare quel che resta della morale di partenza del gruppo iniziale, dello Stato italiano o comunque lo si voglia chiamare.”
Sicché Grillo giunge ad una seconda conclusione: “(...) tanto più è rarefatto e spersonalizzato quel vuoto centrale, tanto più profondo sarà l'arretramento dei frammenti che ne derivano. E ancora più intenso il loro rifugiarsi e rinchiudersi intorno a vecchie, putride, logiche: mafia, padre-padrone, fascismo, ecc.” Per porre rimedio alla mattanza della morale e alla “tirannia dell'ignoranza” non v'è che una “educazione NUOVA, che sia elemento costitutivo del cittadino, europeo e nazionale, e possa formarlo nella sua libertà e intelligenza, dandogli gli strumenti per crearsi una morale capace di penetrare la vita sociale.”
Ciò che vorrebbe Grillo è, dunque una rinnovata morale del cittadino che lo tolga dalla condizione di suddito o dal dover oscillare incessantemente tra servitù e licenza. Un nuovo riempimento del vuoto centrale dello Stato nazionale, a presupposto di un'Europa non più in mano a “quel gruppo di banchieri”.
A loro difesa, però, è schierato il vecchio establishment che in Italia, analogamente a quanto avviene in Spagna, preferisce il grande evasore fiscale Berlusconi ed il suo corredo di malaffare, mafia, xenofobia e neofascismo, al pentastellato Di Maio, portatore di uno spazio offerto al cambiamento, alla necessità impellente di voltare pagina.
È quel che serve a ridare sovranità nazionale alla democrazia, per ridarla ai popoli d'Europa. È quel che serve a ribadire la difesa delle libertà democratiche costituzionali.
È quel che temono le élites responsabili di tanto sfacelo e declino, perché offrirebbe alle classi ricondotte alla subalternità l'occasione per riprendere un ruolo di protagoniste, per se stesse e per l'insieme sociale.
Ci sarà bisogno di un più vasto afflato di quello attuale: di rinnovati movimenti di lotta, veicolo di educazione e di organizzazione nel vivo dello scontro sociale e politico. Internet e l'impegno nelle istituzioni non basteranno, senza il contatto di pelle e di parola di una ritrovata socialità degli esclusi (dal lavoro, dal salario e/o da un salario adeguato, dalla pensione, dall'istruzione, dalle cure...) che rifiutino di venire esclusi anche dalla politica.

Note:
1 Per Concita De Gregorio (“Carles, il ribelle riluttante porta la sfida catalana nel cuore dell'Europa”, la Repubblica, 1/11/2017) l'atteggiamento di Rajoy sarebbero invece dettato essenzialmente dagli interessi immediati sia elettorali, sia di occultazione della corruzione.
2 A metà ottobre Carmen Lamela della Audiencia National ha deciso la carcerazione preventiva di Jordi Sánchez e Jordi Cuixart leaders rispettivamente dell’Assemblea Nazionale Catalana (ANC) e di Ómnium, le due più importanti organizzazioni indipendentiste della società civile catalana.
3 In realtà si trattava di un trattato internazionale.
4 Vedi articolo citato alla Nota 1 e nella finestra “Carles a Concita”.
5 Beppe Grillo, “L'Europa abolisce la morale: dalla Spagna al ritorno di B.”, il Fatto Quotidiano, 22 ottobre 2017. Testo integrale rintracciabile su Internet: https://infosannio.wordpress.com/2017/10/22/beppe-grillo-leuropa-abolisce-la-morale-dalla-spagna-al-ritorno-di-b/
6 Parole e frasi virgolettate sono citate dal pezzo di cui alla nota precedente.
7 Non si tratta solo e semplicemente di negazione di un'opportunità evolutiva della democrazia, come sostiene Carles Puigdemont: “L'evoluzione della democrazia nel secolo XXI passa attraverso la partecipazione delle persone alla politica senza dovere essere politici di professione, ma cittadini che partecipano, si autorganizzano e si autoresponsabilizzano. Stiamo dimostrando in Catalogna che ciò può avvenire. In questo aspetto c'è l'opportunità del miglioramento dell'Europa. Però questa opportunità è anche una minaccia per gli Stati nazionali tradizionali, ma anche per i lobbisti di una certa politica degli Stati-nazione, come Tajani e Juncker.” (Da un'intervista di Luis Cabasés, “Riconoscete il nostro voto? Madrid e Ue dicano sì o no”, il Fatto Quotidiano, 24/11/2017).
8 La disaffezione elettorale ne è sintomo.