venerdì 29 gennaio 2016

Regole di casa nostra

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Regole di casa nostra


Breve riflessione su una frase ricorrente che esplicita ciò che bocche più esperte sottendono. Principi costituzionali e nascondimenti funzionali.


 La frase a fianco si può sentire sul tram, in un bar, in un talk-show televisivo. Riflette un punto di vista e va presa sul serio.

Siamo bianchi
Appare scontato: in maggioranza gli italiani lo sono, ma non tutti. Dipende da cosa s'intende per “noi italiani”.
Dal momento che negli ultimi decenni è cresciuto il numero degli abitanti della penisola con la pelle di un altro colore, con caratteri somatici tempo fa localizzati in altre aree del pianeta, si presentano situazioni agli antipodi. Essi possono avere la cittadinanza ed essere nati qui, sentirsi a casa propria, padroneggiare la nostra lingua e parlare con l'accento della regione in cui vivono. O, invece, privi di cittadinanza e persino del permesso di soggiorno, avere difficoltà di lingua ed “integrazione”.

Comunque, “italiano” non coincide con “bianco” e nemmeno con “cristiano”. Banalmente, sia perché un bianco può essere musulmano o buddista o di altra fede, sia, viceversa, perché un cristiano può essere di pelle nera o variamente pigmentata.
Che il problema stia nella pelle? Il ricorso all'identità della pelle cela un non detto: ai caratteri somatici corrisponderebbe anche una diversità di “razza” o, in automatico, una diversa appartenenza culturale.
Razze umane
Sull'esistenza o meno delle “razze umane” non viene mai fatta sufficiente chiarezza.
«Le razze umane non esistono.
L’esistenza delle razze umane è un’astrazione derivante da una cattiva interpretazione di piccole differenze fisiche fra persone, percepite dai nostri sensi, erroneamente associate a differenze “psicologiche” e interpretate sulla base di pregiudizi secolari. Queste astratte suddivisioni, basate sull’idea che gli umani formino gruppi biologicamente ed ereditariamente ben distinti, sono pure invenzioni (…).»1
Anche la nostra Costituzione concorre alla scarsa chiarezza ed alimenta l”equivoco”.
Nell'articolo 3 [Testo nel riquadro]
l'opposizione alla discriminazione di razza viene associata a quella di sesso, lingua, religione, di opinioni politiche e condizioni personali e sociali. Tutte diversità esistenti e reali, ad eccezione della “razza”. Essa è una mera invenzione ideologica2, da molto tempo in campo e ancora molto viva. Ma come tale va considerata. La qual cosa implica non solo e tanto un riferimento alla “comprovata verità scientifica”, quanto e soprattutto il riconoscimento dell'origine storica del razzismo nell'idea di razza.
Nella storia i movimenti politici impegnati nella lotta al razzismo, infatti, non hanno avuto bisogno delle prove scientifiche di comparazione del DNA3 per condurre le loro lotte, avendone svelato il carattere ideologico, funzionale a giustificare, sulla base della presupposta inferiorità delle razze non-bianche, la riduzione in schiavitù e lo sfruttamento del corpo schiavo. Nel lavoro soprattutto.
Infatti, non a caso, la finalità anti-discriminatoria dell'Articolo 3 si esplicita nell'impegno repubblicano a rimuovere gli “ostacoli di ordine economico e sociale” derivanti dalla distinzione di razza, con chiaro riguardo al lavoro e, quindi, nell'affermazione della pari dignità politica fra tutti i lavoratori (oltreché fra tutti i cittadini).
Pur qui rinunciando all'approfondimento critico dell'ideologia del razzismo, della sua storia e genesi, non possiamo prescindere dal suo lascito all'interno della cosiddetta “Civiltà occidentale”. Perché se, per un verso, il razzismo viene solennemente ripudiato, dall'altro, continua ad alimentare il pensiero e le menti, talvolta al di là delle intenzioni.
Ciò avviene quando il pregiudizio si sposta dall'ambito delle sembianze somatiche a quello delle “diversità psicologiche e culturali”, delle quali una “razza”, in quanto tale, sarebbe comunque portatrice, per inesplorate ragioni ereditarie e indipendentemente dall'ambiente culturale in cui una persona (un gruppo) è nata e vissuta. E qui arriviamo alla seconda identità “nostra”: quella cristiana.
Noi cristiani
Benché condizionati dal millenario predominio della cultura cattolica, una specifica variante di quella cristiana europea per alcuni aspetti divergente, molti italiani “bianchi”, al pari degli italiani “non-bianchi” non si sentono né cattolici, né cristiani, né di altra religione. Una parte di loro può nutrire una fede senza chiesa o non nutrirla affatto.
Per appartenere al popolo italiano, d'altronde, non è richiesta l'adesione ad alcuna confessione e nemmeno sarebbe auspicabile che ciascun cittadino, religioso e non, dovesse, per essere tale, dichiarare la propria fedeltà allo Stato laico.4
Allo Stato spetta l'esercizio in esclusiva della forza per affermare il rispetto delle sue leggi, benché, in misura della pratica democratica, sia consentito dissentirne e muoversi sul piano organizzativo e politico per mutarle. A tale proposito, nelle parole conclusive, l'Articolo 3 ci soccorre chiaramente.
Pertanto, di quali regole si parla quando si dice che esse devono essere rispettate dal “musulmano” che viene “a casa nostra”?

Leggi
È evidente che non di un semplice musulmano si tratta, ma di un immigrato musulmano e più precisamente di un immigrato musulmano arabo o, per richiamarci allo spunto iniziale, magari non-bianco.
A questo immigrato viene chiesto il rispetto delle regole di casa nostra. Quando queste regole sono scritte nelle leggi, basta invocarne l'applicazione, se disattesa.
È quanto succede allorché alcune forze politiche predicano una speciale “tolleranza zero” verso le illegalità degli immigrati, a cominciare dal reato di clandestinità.
Non sapendo, poi, come imporla coattivamente.
Allo scopo, lo Stato dovrebbe catturare tutti i “clandestini”, rinchiuderli in appositi centri (come in parte avviene) e sobbarcarsi il costo di rimpatri di massa nei Paesi d'origine, qualora fossero noti e “raggiungibili”5. Essendo l'impresa pressoché impossibile, non rimane allora che cingere il territorio nazionale di barriere di filo spinato, al più riservando l'accoglienza ai soli profughi dalle sole guerre “riconosciute dalla comunità internazionale”. Proprio quanto va accadendo nei Paesi continentali. Ma una penisola, con migliaia di chilometri di coste esposte all'approdo, non può farlo, quand'anche rinunciasse al dovuto soccorso umanitario. Da ciò la divergenza tra Paesi “cristiani” sull'applicazione degli accordi di Schengen...
Regole
In mancanza di volontà e capacità politica di risolvere i problemi, rimuovendone le cause alla radice, si ricorre alle regole morali, comportamentali, in uso prevalente tra la “comunità ospitante”, a cui i nuovi arrivati dovrebbero uniformarsi, nel processo di “integrazione”. E qui il ventaglio si fa molto ampio.
Si va dal modo di vestirsi, se con o senza velo, alla convivenza condominiale, dal diritto alla casa al rispetto delle tradizioni nelle ricorrenze religiose (presepi inclusi), ai rapporti di lavoro e tra i sessi. Per alcuni versi si tratta di contrasti derivanti da diverse abitudini, tipici dell'immigrazione e già sperimentate quando i “terroni” dovettero raggiungere il Nord.
Per altri può essere un problema di convivenza tra usanze “etniche”, risolvibili abbandonando opposti integralismi (anche laici).
Per altri ancora, sottendono conflitti economici, religiosi e di genere, che investono la nostra società alle fondamenta e ben oltre l'eventuale coinvolgimento di immigrati non-bianchi e musulmani. Un esempio per tutti: la violenza contro le donne in Europa, nonostante la rilevanza data ai recenti fatti in Germania, è praticato soprattutto dai maschi autoctoni.
D'altro canto, il fenomeno del terrorismo jihadista collegato alle guerre mediorientali e quello, di più ampia portata, dei grandi flussi migratori ci interrogano su noi stessi e generano paure di cambiamenti a cui possiamo sentirci impreparati.
Bersagli
Insistendo su leggi, regole e difese sicuritarie ed identitarie, nessuno dei nodi essenziali viene in teoria e in pratica seriamente affrontato, spostando ed occultando il bersaglio.
È spostato quando si vuole trasformare ogni contrasto, anche il più banale litigio condominiale, in scontro aperto antagonista tra “etnie”, “culture”, “Civiltà”.
È occultato quando si indica l'albero per nascondere la foresta. A cominciare dalle cause reali dei grandi flussi migratori e dalle guerre spacciate per “locali”, da cui deriva il terrorismo internazionale jihadista. Non si trae bilancio alcuno del fallimento dei declamati processi d'integrazione (vedi Francia). Del procurato disastro delle aree agricole in larga parte del mondo, originato dall'imposizione di modelli economici e sociali subalterni ai Paesi ricchi, generatore dei grandi flussi migratori, non si discute.
Quasi si potesse ripetere, su scala mondiale, quanto fu fatto con il decollo industriale del secondo dopoguerra, su scala nazionale, in Paesi come l'Italia.
Per non parlare della scelta, corrispondente allo spopolamento planetario delle campagne, di allargare l'esercito di riserva, di mano d'opera anche qualificata, in funzione del ricatto occupazionale e salariale.
A casa nostra, appunto.

1 Manifesto degli scienziati antirazzisti, 10/07/2008. Vedi nel Blog Scheda “Manifesti a confronto” con il Manifesto degli scienziati fascisti in difesa della razza, del 14/07/1938.
2 Vedi anche Guido Barbujani, L'invenzione delle razze, Bompiani, 2006.
3 Grazie alle quali le infinitesimali differenze tra “bianchi”, che vivono nello stesso condominio, possono essere talvolta superiori a quelle esistenti tra “neri” e “bianchi” viventi in continenti diversi.
4 A tale proposito vedi in questo Blog “Aut Aut dell'ipocrisia” e la polemica innescata dalle affermazioni di Massimo Gramellini.
5 Anche nel rispetto degli accordi bilaterali sottoscritti dell'Italia con molti Paesi.

Scheda: Manifesti a confronto

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Scheda: Manifesti a confronto


1938 – Manifesto degli scienziati fascisti

Razzismo italiano”

1. Le razze umane esistono. La esistenza delle razze umane non è già una astrazione del nostro spirito, ma corrisponde a una realtà fenomenica, materiale, percepibile con i nostri sensi. Questa realtà è rappresentata da masse, quasi sempre imponenti di milioni di uomini simili per caratteri fisici e psicologici che furono ereditati e che continuano ad ereditarsi.
Dire che esistono le razze umane non vuol dire a priori che esistono razze umane superiori o inferiori, ma soltanto che esistono razze umane differenti.
2. Esistono grandi razze e piccole razze. Non bisogna soltanto ammettere che esistano i gruppi sistematici maggiori, che comunemente sono chiamati razze e che sono individualizzati solo da alcuni caratteri, ma bisogna anche ammettere che esistano gruppi sistematici minori (come per es. i nordici, i mediterranei, i dinarici, ecc.) individualizzati da un maggior numero di caratteri comuni. Questi gruppi costituiscono dal punto di vista biologico le vere razze, la esistenza delle quali è una verità evidente.
3. Il concetto di razza è concetto puramente biologico. Esso quindi è basato su altre considerazioni che non i concetti di popolo e di nazione, fondati essenzialmente su considerazioni storiche, linguistiche, religiose. Però alla base delle differenze di popolo e di nazione stanno delle differenze di razza. Se gli Italiani sono differenti dai Francesi, dai Tedeschi, dai Turchi, dai Greci, ecc., non è solo perché essi hanno una lingua diversa e una storia diversa, ma perché la costituzione razziale di questi popoli è diversa. Sono state proporzioni diverse di razze differenti, che da tempo molto antico costituiscono i diversi popoli, sia che una razza abbia il dominio assoluto sulle altre, sia che tutte risultino fuse armonicamente, sia, infine, che persistano ancora inassimilate una alle altre le diverse razze.
4. La popolazione dell'Italia attuale è nella maggioranza di origine ariana e la sua civiltà ariana. Questa popolazione a civiltà ariana abita da diversi millenni la nostra penisola; ben poco è rimasto della civiltà delle genti preariane. L'origine degli Italiani attuali parte essenzialmente da elementi di quelle stesse razze che costituiscono e costituirono il tessuto perennemente vivo dell'Europa.
5. È una leggenda l'apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici. Dopo l'invasione dei Longobardi non ci sono stati in Italia altri notevoli movimenti di popoli capaci di influenzare la fisionomia razziale della nazione. Da ciò deriva che, mentre per altre nazioni europee la composizione razziale è variata notevolmente in tempi anche moderni, per l'Italia, nelle sue grandi linee, la composizione razziale di oggi è la stessa di quella che era mille anni fa: i quarantaquattro milioni d'Italiani di oggi rimontano quindi nella assoluta maggioranza a famiglie che abitano l'Italia da almeno un millennio.
6. Esiste ormai una pura "razza italiana". Questo enunciato non è basato sulla confusione del concetto biologico di razza con il concetto storico-linguistico di popolo e di nazione ma sulla purissima parentela di sangue che unisce gli Italiani di oggi alle generazioni che da millenni popolano l'Italia. Questa antica purezza di sangue è il più grande titolo di nobiltà della Nazione italiana.
7. È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti. Tutta l'opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di razza. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose. La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l'indirizzo ariano-nordico. Questo non vuole dire però introdurre in Italia le teorie del razzismo tedesco come sono o affermare che gli Italiani e gli Scandinavi sono la stessa cosa. Ma vuole soltanto additare agli Italiani un modello fisico e soprattutto psicologico di razza umana che per i suoi caratteri puramente europei si stacca completamente da tutte le razze extra-europee, questo vuol dire elevare l'Italiano ad un ideale di superiore coscienza di se stesso e di maggiore responsabilità.
8. È necessario fare una netta distinzione fra i Mediterranei d'Europa (Occidentali) da una parte gli Orientali e gli Africani dall'altra. Sono perciò da considerarsi pericolose le teorie che sostengono l'origine africana di alcuni popoli europei e comprendono in una comune razza mediterranea anche le popolazioni semitiche e camitiche stabilendo relazioni e simpatie ideologiche assolutamente inammissibili.
9. Gli ebrei non appartengono alla razza italiana. Dei semiti che nel corso dei secoli sono approdati sul sacro suolo della nostra Patria nulla in generale è rimasto. Anche l'occupazione araba della Sicilia nulla ha lasciato all'infuori del ricordo di qualche nome; e del resto il processo di assimilazione fu sempre rapidissimo in Italia. Gli ebrei rappresentano l'unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli Italiani.
10. I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli Italiani non devono essere alterati in nessun modo. L'unione è ammissibile solo nell'ambito delle razze europee, nel quale caso non si deve parlare di vero e proprio ibridismo, dato che queste razze appartengono ad un ceppo comune e differiscono solo per alcuni caratteri, mentre sono uguali per moltissimi altri. Il carattere puramente europeo degli Italiani viene alterato dall'incrocio con qualsiasi razza extra-europea e portatrice di una civiltà diversa dalla millenaria civiltà degli ariani.


2008 – Manifesto di San Rossore

degli scienziati italiani anti-razzisti


I.
Le razze umane non esistono. L’esistenza delle razze umane è un’astrazione derivante da una cattiva interpretazione di piccole differenze fisiche fra persone, percepite dai nostri sensi, erroneamente associate a differenze “psicologiche” e interpretate sulla base di pregiudizi secolari. Queste astratte suddivisioni, basate sull’idea che gli umani formino gruppi biologicamente ed ereditariamente ben distinti, sono pure invenzioni da sempre utilizzate per classificare arbitrariamente uomini e donne in “migliori” e “peggiori” e quindi discriminare questi ultimi (sempre i più deboli), dopo averli additati come la chiave di tutti i mali nei momenti di crisi.

II.
L’umanità, non é fatta di grandi e piccole razze. È invece, prima di tutto, una rete di persone collegate. È vero che gli esseri umani si aggregano in gruppi d’individui, comunità locali, etnie, nazioni, civiltà; ma questo non avviene in quanto hanno gli stessi geni ma perché condividono storie di vita, ideali e religioni, costumi e comportamenti, arti e stili di vita, ovvero culture.  Le aggregazioni non sono mai rese stabili da DNA identici; al contrario, sono soggette a profondi mutamenti storici: si formano, si trasformano, si mescolano, si frammentano e dissolvono con una rapidità incompatibile con i tempi richiesti da processi di selezione genetica.

III.
Nella specie umana il concetto di razza non ha significato biologico. L’analisi dei DNA umani ha dimostrato che la variabilità genetica nelle nostra specie, oltre che minore di quella dei nostri “cugini” scimpanzé, gorilla e orangutan, è rappresentata soprattutto da differenze fra persone della stessa popolazione, mentre le differenze fra popolazioni e fra continenti diversi sono piccole. I geni di due individui della stessa popolazione sono in media solo leggermente più simili fra loro di quelli di persone che vivono in continenti diversi. Proprio a causa di queste differenze ridotte fra popolazioni, neanche gli scienziati razzisti sono mai riusciti a definire di quante razze sia costituita la nostra specie, e hanno prodotto stime oscillanti fra le due e le duecento razze.

IV.
È ormai più che assodato il carattere falso, costruito e pernicioso del mito nazista della identificazione con la “razza ariana”, coincidente con l’immagine di un popolo bellicoso, vincitore, “puro” e “nobile”, con buona parte dell’Europa, dell’India e dell’Asia centrale come patria, e una lingua in teoria alla base delle lingue indo-europee. Sotto il profilo storico risulta estremamente difficile identificare gli Arii o Ariani come un popolo, e la nozione di famiglia linguistica indo-europea deriva da una classificazione convenzionale. I dati archeologici moderni indicano, al contrario, che l’Europa è stata popolata nel Paleolitico da una popolazione di origine africana da cui tutti discendiamo, a cui nel Neolitico si sono sovrapposti altri immigranti provenienti dal Vicino Oriente. L’origine degli Italiani attuali risale agli stessi immigrati africani e mediorientali che costituiscono tuttora il tessuto perennemente vivo dell’Europa. Nonostante la drammatica originalità del razzismo fascista, si deve all’alleato nazista l’identificazione anche degli italiani con gli “ariani”.

V.
È una leggenda che i sessanta milioni di italiani di oggi discendano da famiglie che abitano l’Italia da almeno un millennio. Gli stessi Romani hanno costruito il loro impero inglobando persone di diverse provenienze e dando loro lo status di cives romani. I fenomeni di meticciamento culturale e sociale, che hanno caratterizzato l’intera storia della penisola, e a cui hanno partecipato non solo le popolazioni locali, ma anche greci, fenici, ebrei, africani, ispanici, oltre ai cosiddetti ”barbari”, hanno prodotto l’ibrido che chiamiamo cultura italiana. Per secoli gli italiani, anche se dispersi nel mondo e divisi in Italia in piccoli Stati, hanno continuato a identificarsi e ad essere identificati con questa cultura complessa e variegata, umanistica e scientifica.

VI.
Non esiste una razza italiana ma esiste un popolo italiano. L’Italia come Nazione si é unificata solo nel 1860 e ancora adesso diversi milioni di italiani, in passato emigrati e spesso concentrati in città e quartieri stranieri, si dicono e sono tali. Una delle nostre maggiori ricchezze, é quella di avere mescolato tanti popoli e avere scambiato con loro culture proprio “incrociandoci” fisicamente e culturalmente. Attribuire ad una inesistente “purezza del sangue” la “nobiltà” della “Nazione” significa ridurre alla omogeneità di una supposta componente biologica e agli abitanti dell’attuale territorio italiano, un patrimonio millenario ed esteso di culture.

VII.
Il razzismo é contemporaneamente omicida e suicida. Gli Imperi sono diventati tali grazie alla convivenza di popoli e culture diverse, ma sono improvvisamente collassati quando si sono frammentati. Così é avvenuto e avviene nelle Nazioni con le guerre civili e quando, per arginare crisi le minoranze sono state prese come capri espiatori. Il razzismo é suicida perché non colpisce solo gli appartenenti a popoli diversi ma gli stessi che lo praticano. La tendenza all’odio indiscriminato che lo alimenta, si estende per contagio ideale ad ogni alterità esterna o estranea rispetto ad una definizione sempre più ristretta della “normalità”. Colpisce quelli che stanno “fuori dalle righe”, i “folli”, i “poveri di spirito”, i gay e le lesbiche, i poeti, gli artisti, gli scrittori alternativi, tutti coloro che non sono omologabili a tipologie umane standard e che in realtà permettono all’umanità di cambiare continuamente e quindi di vivere. Qualsiasi sistema vivente resta tale, infatti, solo se é capace di cambiarsi e noi esseri umani cambiamo sempre meno con i geni e sempre più con le invenzioni dei nostri “benevolmente disordinati” cervelli.

VIII.
Il razzismo discrimina, nega i collegamenti, intravede minacce nei pensieri e nei comportamenti diversi. Per i difensori della razza italiana l’Africa appare come una paurosa minaccia e il Mediterraneo è il mare che nello stesso tempo separa e unisce. Per questo i razzisti sostengono che non esiste una “comune razza mediterranea”.  Per spingere più indietro l’Africa gli scienziati razzisti erigono una barriera contro “semiti” e “camiti”, con cui più facilmente si può entrare in contatto. La scienza ha chiarito che non esiste una chiara distinzione genetica fra i Mediterranei d’Europa (Occidentali) da una parte gli Orientali e gli Africani dall’altra. Sono state assolutamente dimostrate, dal punto di vista paleontologico e da quello genetico, le teorie che sostengono l’origine africana dei popoli della terra e li comprendono tutti in un’unica razza.

IX.
Gli ebrei italiani sono contemporaneamente ebrei ed italiani. Gli ebrei, come tutti i popoli migranti ( nessuno é migrante per libera scelta ma molti lo sono per necessità) sono sparsi per il Mondo ed hanno fatto parte di diverse culture pur mantenendo contemporaneamente una loro identità di popolo e di religione. Così é successo ad esempio con gli Armeni, con gli stessi italiani emigranti e così sta succedendo con i migranti di ora: africani, filippini, cinesi, arabi dei diversi Paesi, popoli appartenenti all’Est europeo o al Sud America ecc. Tutti questi popoli hanno avuto la dolorosa necessità di dover migrare ma anche la fortuna, nei casi migliori, di arricchirsi unendo la loro cultura a quella degli ospitanti, arricchendo anche loro, senza annullare, quando é stato possibile, né l’una né l’altra. 

X.
L’ideologia razzista é basata sul timore della “alterazione” della propria razza eppure essere “bastardi” fa bene. È quindi del tutto cieca rispetto al fatto che molte società riconoscono che sposarsi fuori, perfino con i propri nemici, è bene, perché sanno che le alleanze sono molto più preziose delle barriere. Del resto negli umani i caratteri fisici alterano più per effetto delle condizioni di vita che per selezione e i caratteri psicologici degli individui e dei popoli non stanno scritti nei loro geni.  Il “meticciamento” culturale é la base fondante della speranza di progresso che deriva dalla costituzione della Unione Europea. Un’Italia razzista che si frammentasse in “etnie” separate come la ex-Jugoslavia sarebbe devastata e devastante ora e per il futuro. Le conseguenze del razzismo sono infatti epocali: significano perdita di cultura e di plasticità, omicidio e suicidio, frammentazione e implosione non controllabili perché originate dalla ripulsa indiscriminata per chiunque consideriamo “altro da noi”.

Da "La difesa della razza", direttore Telesio Interlandi, anno I, numero 1, 5 agosto 1938, p. 2:
«Il ministro segretario del partito ha ricevuto, il 26 luglio XVI, un gruppo di studiosi fascisti, docenti nelle università italiane, che hanno, sotto l’egida del Ministero della Cultura Popolare, redatto o aderito, alle proposizioni che fissano le basi del razzismo fascista.»1

Il Manifesto degli scienziati razzisti era già stato pubblicato su Il giornale d'Italia il 14 luglio 1938 e sottoscritto da 180 scienziati del regime.
Immediatamente sotto è riportato il Manifesto di San Rossore degli scienziati italiani anti-razzisti, del 10 Luglio 2008.2
Il Manifesto anti-razzista risponde paragrafo per paragrafo alle affermazioni di quello fascista. Suoi primi firmatari: Enrico Alleva, Guido Barbujani, Marcello Buiatti, Elena Gagliasso, Rita Levi Montalcini, Massimo Livi Bacci, Alberto Piazza, Agostino Pirella, Francesco Remotti, Filippo Tempia, Flavia Zucco.

1 http://www.deportati.it/archivio/manifesto_razza.html

martedì 19 gennaio 2016

2016

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2016


Poiché ogni giorno ci viene ripetuto che stiamo uscendo dalla grande recessione e pure in Italia siamo in ripresa, la strana sopravvivenza dell'egemonia culturale del liberismo, clamorosamente sconfessato dalla crisi innescata dal crack finanziario del 2007-2008, è questione passata nel dimenticatoio.
Intanto, come se nulla fosse, gli esperti economici di fondazioni, università ed istituti liberisti (i think tanks, serbatoi del pensiero) continuano a pontificare nelle trasmissioni televisive e sui giornali. Magari per sostenere, con qualche giro di parole in più, che le “riforme di struttura” furono somministrate in dosi non bastevoli. Di conseguenza, sia necessario perseverare nel taglio della spesa statale (spending review) e nelle privatizzazioni del patrimonio pubblico, ma con una novità tutta legata alla crisi del sistema finanziario, ragione per cui assistiamo ad un singolare fenomeno: il liberismo italico s'è fatto nazionalista. Il governo italiano ha scoperto1 che le regole europee attuali non permettono più (al contrario di quanto avvenne per la Germania) di sversare i crediti deteriorati, da cui sono oberate le “nostre” banche”2, in una pattumiera o bad bank, servendosi del danaro pubblico.
Quando l'Unione mette a rischio “certi” interessi, e non solo lavoro e pensioni, diventa matrigna?
D'altro canto i volonterosi ottimismi sull'andamento dell'economia sono subissati dal resoconto di continue nuove insorgenze: il terrorismo, le ondate di profughi e migranti, la guerra in Siria-Iraq e in Ucraina, il crollo delle borse cinesi, i diesel truccati, i ribassi del prezzo del barile e quant'altro.
Insomma, nell'opinione pubblica potrebbe insinuarsi la pericolosa idea della crisi politica generale di un mondo che, dopo la caduta del Muro, si supponeva fosse mono-polare (dell'Occidente ricco e vittorioso) e invece mostra di non volere né potere essere tale. Crisi solo acuita dal crack finanziario e relativa ad insostenibili assetti internazionali, perciò in preda a conflitti commerciali, monetari e finanziari, sempre più frequentemente accompagnati dal ricorso alla guerra.
Ecco allora comparire sugli schermi un'ulteriore genia di esperti, quella degli studi internazionali e della resuscitata geo-politica. Sicché, messo in secondo piano il mantra liberista, sale alla ribalta il tentativo di imporci un'altra egemonia culturale: un sano bagno di realismo dopo le devastanti “utopie” della globalizzazione liberale?
Per spiegare l'attuale guerra in Siria-Iraq ed il dilagare del terrorismo, questi esperti sostengono la tesi che Arabia Saudita, Emirati e Turchia abbiano foraggiato e protetto l'Isis e lo jihadismo in base a calcoli e vocazioni geo-politiche locali, approfittando del loro strategico ruolo di alleati dei governi occidentali e coinvolgendoli loro malgrado. Pertanto, la lunga sanguinosa sequenza degli interventi militari degli Stati Uniti e degli amici d'Occidente viene rubricata nella categoria degli ”errori”, come se le “vecchie potenze” dominanti non mirassero in modo sistematico alle risorse naturali mediorientali ed africane, in reciproca rivalità e concorrenza. Come se per i disastri umanitari, provocati da bellicosi ed incontrollabili agenti locali, fosse chiamata a soccorso la pacificante provvidenza della “comunità internazionale”.
Secondo i subentranti think tanks, la storia, invece di finire, vivrebbe ora una perenne ripetizione di vecchie tensioni, determinate a monte da cause geografiche ed ambientali e, a valle, da atavici scontri tra Etnie, Religioni e Civiltà: unità “essenziali”, al loro interno non contraddittorie, rispetto alle quali le contese egemoniche ed imperialiste degli Stati, gli interessi delle multinazionali e delle oligarchie finanziarizzate, assai meno conterebbero...
Per fortuna, soprattuto nella Rete, continuano a circolare idee contro-corrente.
Suo tramite si diffonde la rivolta degli espropriati da una completa e non manipolata informazione, nonché la voglia di riappropriarsi del dibattito pubblico e di strumenti di analisi adeguati alla formazione del giudizio politico. Così sono alimentate le pratiche di nuovi movimenti, come nel caso della grande manifestazione di Berlino contro il TTIP3, ed il risorgere di un pensiero alternativo.
In questo movimento di riappropriazione-ricostruzione delle idee-forza, in opposizione alle ideologie dominanti, trova senso l'impegno per questo Blog.
Non di battute ed estemporanei cinguettii abbiamo bisogno, tantomeno di saccenti lezioni e sbrigativi giudizi. Al contrario, allo scopo servono studio, confronto e modestia.
Non mancano luoghi della Rete a cui collegarsi, né testi, studi ed articoli giornalistici, da me ripetutamente richiamati nei pezzi sin qui pubblicati.
Il percorso è avviato. Ciascuno partecipi come crede, può e vuole.

P.S. Il Blog cambia nome e diventa “CRISIeGUERRA”.
Per chi voglia scrivermi il recapito è: berniniric@gmail.com

1 In occasione del fallimento delle 4 Banche: Etruria, Marche, Chieti e Ferrara.
2 Pari al 16% dei loro attivi.
3 Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (Transatlantic Trade and Investment Partnership = TTIP), vedi nel Blog l'articolo: “Il TTIP sorge ad Oriente”.