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Regole di casa nostra
Breve riflessione su una frase ricorrente che esplicita ciò che bocche più esperte sottendono. Principi costituzionali e nascondimenti funzionali.
La frase a fianco si può sentire sul tram, in un bar, in un talk-show televisivo. Riflette un punto di vista e va presa sul serio.
Siamo
bianchi
Appare
scontato: in maggioranza gli italiani lo sono, ma non tutti. Dipende
da cosa s'intende per “noi italiani”.
Dal
momento che negli ultimi decenni è cresciuto il numero degli
abitanti della penisola con la pelle di un altro colore, con
caratteri somatici tempo fa localizzati in altre aree del pianeta, si
presentano situazioni agli antipodi. Essi possono avere la
cittadinanza ed essere nati qui, sentirsi a casa propria,
padroneggiare la nostra lingua e parlare con l'accento della regione
in cui vivono. O, invece, privi di cittadinanza e persino del
permesso di soggiorno, avere difficoltà di lingua ed “integrazione”.
Comunque,
“italiano” non coincide con “bianco” e nemmeno con
“cristiano”. Banalmente, sia perché un bianco può essere
musulmano o buddista o di altra fede, sia, viceversa, perché un
cristiano può essere di pelle nera o variamente pigmentata.
Che
il problema stia nella pelle? Il ricorso all'identità della pelle
cela un non detto: ai caratteri somatici corrisponderebbe anche una
diversità di “razza” o, in automatico, una diversa appartenenza
culturale.
Razze
umane
Sull'esistenza
o meno delle “razze umane” non viene mai fatta sufficiente
chiarezza.
«Le
razze umane non esistono.
L’esistenza
delle razze umane è un’astrazione derivante da una cattiva
interpretazione di piccole differenze fisiche fra persone, percepite
dai nostri sensi, erroneamente associate a differenze “psicologiche”
e interpretate sulla base di pregiudizi secolari. Queste astratte
suddivisioni, basate sull’idea che gli umani formino gruppi
biologicamente ed ereditariamente ben distinti, sono pure invenzioni
(…).»1
Anche la nostra Costituzione
concorre alla scarsa chiarezza ed alimenta l”equivoco”.
Nell'articolo
3 [Testo nel riquadro]
l'opposizione
alla discriminazione di razza viene associata a quella di sesso,
lingua, religione, di opinioni politiche e condizioni personali e
sociali. Tutte diversità esistenti e reali, ad eccezione della
“razza”. Essa è una mera invenzione ideologica2,
da molto tempo in campo e ancora molto viva. Ma come tale va
considerata. La qual cosa implica non solo e tanto un riferimento
alla “comprovata verità scientifica”, quanto e soprattutto il
riconoscimento dell'origine storica del razzismo nell'idea di razza.
Nella
storia i movimenti politici impegnati nella lotta al razzismo,
infatti, non hanno avuto bisogno delle prove scientifiche di
comparazione del DNA3
per condurre le loro lotte, avendone svelato il carattere ideologico,
funzionale a giustificare, sulla base della presupposta inferiorità
delle razze non-bianche, la riduzione in schiavitù e lo sfruttamento
del corpo schiavo. Nel lavoro soprattutto.
Infatti,
non a caso, la finalità anti-discriminatoria dell'Articolo 3 si
esplicita nell'impegno repubblicano a rimuovere gli “ostacoli di
ordine economico e sociale” derivanti dalla distinzione di razza,
con chiaro riguardo al lavoro e, quindi, nell'affermazione della pari
dignità politica fra tutti i lavoratori (oltreché fra tutti i
cittadini).
Pur
qui rinunciando all'approfondimento critico dell'ideologia del
razzismo, della sua storia e genesi, non possiamo prescindere dal suo
lascito all'interno della cosiddetta “Civiltà occidentale”.
Perché se, per un verso, il razzismo viene solennemente ripudiato,
dall'altro, continua ad alimentare il pensiero e le menti, talvolta
al di là delle intenzioni.
Ciò
avviene quando il pregiudizio si sposta dall'ambito delle sembianze
somatiche a quello delle “diversità psicologiche e culturali”,
delle quali una “razza”, in quanto tale, sarebbe comunque
portatrice, per inesplorate ragioni ereditarie e indipendentemente
dall'ambiente culturale in cui una persona (un gruppo) è nata e
vissuta. E qui arriviamo alla seconda identità “nostra”: quella
cristiana.
Noi
cristiani
Benché
condizionati dal millenario predominio della cultura cattolica, una
specifica variante di quella cristiana europea per alcuni aspetti
divergente, molti italiani “bianchi”, al pari degli italiani
“non-bianchi” non si sentono né cattolici, né cristiani, né di
altra religione. Una parte di loro può nutrire una fede senza chiesa
o non nutrirla affatto.
Per
appartenere al popolo italiano, d'altronde, non è richiesta
l'adesione ad alcuna confessione e nemmeno sarebbe auspicabile che
ciascun cittadino, religioso e non, dovesse, per essere tale,
dichiarare la propria fedeltà allo Stato laico.4
Allo
Stato spetta l'esercizio in esclusiva della forza per affermare il
rispetto delle sue leggi, benché, in misura della pratica
democratica, sia consentito dissentirne e muoversi sul piano
organizzativo e politico per mutarle. A tale proposito, nelle parole
conclusive, l'Articolo 3 ci soccorre chiaramente.
Pertanto,
di quali regole si parla quando si dice che esse devono essere
rispettate dal “musulmano” che viene “a casa nostra”?
Leggi
È
evidente che non di un semplice musulmano si tratta, ma di un
immigrato musulmano e più precisamente di un immigrato musulmano
arabo o, per richiamarci allo spunto iniziale, magari non-bianco.
A
questo immigrato viene chiesto il rispetto delle regole di casa
nostra. Quando queste regole sono scritte nelle leggi, basta
invocarne l'applicazione, se disattesa.
È
quanto succede allorché alcune forze politiche predicano una
speciale “tolleranza zero” verso le illegalità degli immigrati,
a cominciare dal reato di clandestinità.
Non
sapendo, poi, come imporla coattivamente.
Allo
scopo, lo Stato dovrebbe catturare tutti i “clandestini”,
rinchiuderli in appositi centri (come in parte avviene) e sobbarcarsi
il costo di rimpatri di massa nei Paesi d'origine, qualora fossero
noti e “raggiungibili”5.
Essendo l'impresa pressoché impossibile, non rimane allora che
cingere il territorio nazionale di barriere di filo spinato, al più
riservando l'accoglienza ai soli profughi dalle sole guerre
“riconosciute dalla comunità internazionale”. Proprio quanto va
accadendo nei Paesi continentali. Ma una penisola, con migliaia di
chilometri di coste esposte all'approdo, non può farlo, quand'anche
rinunciasse al dovuto soccorso umanitario. Da ciò la divergenza tra
Paesi “cristiani” sull'applicazione degli accordi di Schengen...
Regole
In
mancanza di volontà e capacità politica di risolvere i problemi,
rimuovendone le cause alla radice, si ricorre alle regole morali,
comportamentali, in uso prevalente tra la “comunità ospitante”,
a cui i nuovi arrivati dovrebbero uniformarsi, nel processo di
“integrazione”. E qui il ventaglio si fa molto ampio.
Si
va dal modo di vestirsi, se con o senza velo, alla convivenza
condominiale, dal diritto alla casa al rispetto delle tradizioni
nelle ricorrenze religiose (presepi inclusi), ai rapporti di lavoro e
tra i sessi. Per alcuni versi si tratta di contrasti derivanti da
diverse abitudini, tipici dell'immigrazione e già sperimentate
quando i “terroni” dovettero raggiungere il Nord.
Per
altri può essere un problema di convivenza tra usanze “etniche”,
risolvibili abbandonando opposti integralismi (anche laici).
Per altri ancora, sottendono
conflitti economici, religiosi e di genere, che investono la nostra
società alle fondamenta e ben oltre l'eventuale coinvolgimento di
immigrati non-bianchi e musulmani. Un esempio per tutti: la violenza
contro le donne in Europa, nonostante la rilevanza data ai recenti
fatti in Germania, è praticato soprattutto dai maschi autoctoni.
D'altro canto, il fenomeno
del terrorismo jihadista collegato alle guerre mediorientali e
quello, di più ampia portata, dei grandi flussi migratori ci
interrogano
su noi stessi e generano paure di cambiamenti a cui possiamo
sentirci impreparati.
Bersagli
Insistendo
su leggi, regole e difese sicuritarie ed identitarie, nessuno dei
nodi essenziali viene in teoria e in pratica seriamente affrontato,
spostando ed occultando il bersaglio.
È
spostato quando si vuole trasformare ogni contrasto, anche il più
banale litigio condominiale, in scontro aperto antagonista tra
“etnie”, “culture”, “Civiltà”.
È
occultato quando si indica
l'albero per nascondere la foresta. A cominciare dalle cause reali
dei grandi flussi migratori e dalle guerre spacciate per “locali”,
da cui deriva il terrorismo internazionale jihadista. Non si trae
bilancio alcuno del fallimento dei declamati processi d'integrazione
(vedi Francia). Del procurato disastro delle aree agricole in larga
parte del mondo, originato dall'imposizione di modelli economici e
sociali subalterni ai Paesi ricchi, generatore dei grandi flussi
migratori, non si discute.
Quasi si potesse ripetere,
su scala mondiale, quanto fu fatto con il decollo industriale del
secondo dopoguerra, su scala nazionale, in Paesi come l'Italia.
Per non parlare della
scelta, corrispondente allo spopolamento planetario delle campagne,
di allargare l'esercito di riserva, di mano d'opera anche
qualificata, in funzione del ricatto occupazionale e salariale.
A casa nostra, appunto.
1
Manifesto degli scienziati antirazzisti, 10/07/2008. Vedi nel Blog
Scheda “Manifesti a confronto” con il Manifesto degli scienziati
fascisti in difesa della razza, del 14/07/1938.
2
Vedi anche Guido Barbujani, L'invenzione delle razze, Bompiani,
2006.
3
Grazie alle quali le infinitesimali differenze tra “bianchi”,
che vivono nello stesso condominio, possono essere talvolta
superiori a quelle esistenti tra “neri” e “bianchi” viventi
in continenti diversi.
4
A tale proposito vedi in questo Blog “Aut Aut dell'ipocrisia” e
la polemica innescata dalle affermazioni di Massimo Gramellini.
5
Anche nel rispetto degli accordi bilaterali sottoscritti dell'Italia
con molti Paesi.