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Le
posizioni di Steve Bannon e della traballante leadership europea.
Depistaggi, falsi dilemmi e scelte reali nel “passaggio”
post-liberista. Visioni alternative di sovranità.
I sostenitori della
sovranità nazionale sono assai diversi tra loro, eppure i prevalenti
media fingono che siano uguali, facendo di ogni erba un fascio.
C'è l'erba di Steve
Bannon, stratega della campagna elettorale di Donald Trump ed ora
impegnato in Europa a fianco di Salvini & C. Ci sono poi le erbe
dei no global, di
Alessandro Di Battista del M5S e di France
Insoumise. Sicché metterle tutte nello stesso fascio
risponde solo al desiderio di presentare gli avversari, soprattutto
se avversari delle logiche egemoniche, come un unico velenoso “fascio
nemico”.
Benché questo
atteggiamento si nutra dell'illusione di vincere in un sol colpo e
gli uni e gli altri, le possibili conseguenze possono essere assai
pericolose.
La maggiore tra queste
consiste nel mistificare le posizioni in campo per depistare
l'opinione pubblica. Non ne deriva una minore aspirazione popolare
alla sovranità. Indebolisce solo le forze democratiche,
socializzanti e cooperative che ne reclamano il ripristino. Non
guadagna consenso agli organismi sovranazionali: regala solo spazio
al sovranismo nazionalistico aggressivo1.
Un regalo che esso accetta talmente volentieri da condividere la
rappresentazione dello scontro politico in atto con il vecchio
establishment europeo.
Sembrano in accanito
contrasto tra loro, ma si specchiano e rispecchiano, incentivandosi a
vicenda contro ogni reale cambiamento.
Steve
lo scippatore
Steve Bannon è stato
oggetto da parte del connazionale Michael Moore
di una duplice accusa, in apparenza contraddittoria.
Per
il regista di “Bowling
a Columbine”:2
«Bannon
ha scippato alla sinistra la bandiera della rivoluzione populista.»
Aggiungendo
tra l'altro:
«Ho
parlato a lungo con Steve Bannon, e mi ha fatto capire che
l’obiettivo del suo movimento in Europa è resuscitare il fascismo,
sotto mentite spoglie.»
In
altri termini, il tentativo anche in Europa di resuscitare il
fascismo, pur sotto altre sembianze, si avvale della bandiera della
“rivoluzione populista”, che la sinistra si è fatta scippare,
perché, per così dire, “in altre faccende affaccendata”.
A
darcene involontariamente conto è lo stesso Steve Bannon.
In una
recente intervista a Federico Fubini,3
fervente difensore dell'Unione europea, il buon Steve sostiene che
l'Italia è al centro dell'universo politico ed un modello per la
ridefinizione della politica in questo secolo. Mostra una certa
conoscenza dei problemi italo-europei, quando respinge l'idea che
l'avversione di Bruxelles alla manovra economica del governo italiano
sia originata dalle dimensioni del deficit piuttosto che dalla
«sostanza di quello che fanno: le pensioni, queste cose.»
Dopodiché,
contraddicendosi, auspica imprecisati “aggiustamenti di bilancio”
e che il governo si prenda cura del problema dell'economia, anche in
vista dell'appuntamento delle prossime elezioni europee, ritenuto
essenziale.
La
scelta taroccata
È a
questo punto, sulla scelta posta davanti all'Europa, che Bannon
palesa una inaspettata e sospetta ignoranza dei fatti e della storia
più recente della costruzione dell'Unione.
Non
tanto per la risposta all'accusa di volere indebolire l'Europa per
conto di Washington, sulla quale dissimula, quanto per la
connotazione degli schieramenti posti a cospetto degli elettori
europei:
«C'è
il progetto franco-tedesco, gli Stati Uniti d'Europa: più
integrazione, più burocrazia che detta le regole. Salvini, il leader
ungherese Viktor Orbán e altri sono il contrappeso. Le Europee sono
una scelta tra Stati Uniti d'Europa o un'unione di nazioni sovrane.»
Federico
Fubini si guarda bene dall'approfondire l'argomento ed in quel che
segue sarà chiaro il perché.
Appare
impossibile che un intellettuale americano, presentato come un fine
analista seppure “di parte avversa”, sia all'oscuro dei fatti:
- l'Ue
detta sì le regole ma in assenza
di un reale processo di unificazione politica (dopo alcuni
tentativi andati miseramente falliti) e, soprattutto, in
presenza di un processo inverso all'integrazione, ovvero di
conclamato distacco economico tra Paesi del centro a guida
teutonica e Paesi periferici per lo più mediterranei;
- la
traduzione su scala continentale della globalizzazione liberista
(Unione ed Eurozona) è stata realizzata nel
segno della supremazia tedesca e del suo nazionalismo egemonico.
Il
verme nella mela
Poiché
Bannon non è uno sprovveduto, anche lui, al pari dei difensori
dell'attuale Unione europea, Eurozona compresa, gioca sui due lati
della contraddizione, proponendone una rappresentazione di comodo.
In
primo luogo, deve rendere secondaria la questione sociale che invece
è principale. Il M5S nel governo Conte non può eluderla con
aggiustamenti di budget rinunciatari, come lascia intendere
Bannon, pena il venir meno dell'appoggio delle classi impoverite
dall'austerity europea.
In
secondo luogo, per quanto Washington si professi amica dell'Europa,
certamente non gradisce, al pari di Londra, un'Unione sotto egemonia
tedesca. Ma Bannon non può affermarlo apertamente.4
Altrimenti dovrebbe ammettere di esprimere il punto di vista del
nazionalismo statunitense (America first), il quale avversa la
globalizzazione libero-scambista solo ora che non può più
avvantaggiarsene, come ha fatto per decenni dopo la svolta
internazionale voluta dal duo Reagan-Thatcher.
E pure
il supposto antidoto, rappresentato da una Unione di stati sovrani,
dovrebbe fare i conti con un nazionalismo di supremazia, il quale per
forza di cose ingenera un nazionalismo di autodifesa per la
riconquista della sovranità espropriata. Se scompare l'Unione non
scompaiono d'acchito le contraddizioni che ne hanno generato la
crisi.
A
parti invertite, il dilemma proposto da Bannon s'attaglia
perfettamente alla rappresentazione politica del traballante
establishment continentale: anch'esso vorrebbe che fossimo
posti di fronte alla scelta tra un'Europa sul modello federativo Usa,
di cui non esistono i presupposti minimi, ed una unione di nazioni
sovrane, assolutamente impossibile qualora tra esse continuasse ad
persistere il nazionalismo egemonico, tanto più se divenisse
aggressivo sul piano politico per sopperire alla perdita dei
privilegi economici.
In
realtà non è difficile prevedere che, come han fatto gli Stati
Uniti di Trump verso il mondo, farebbe la Germania Federale verso
l'Europa, nel momento in cui il suo neo-mercantilismo non potesse più
godere dei vantaggi asimmetrici, surplus esportativo in testa, di cui
ora indebitamente gode.
Si
scoprirebbe così il verme
nella mela dell'Unione (il nazionalismo teutonico), come si è
scoperto quello nella mela della globalizzazione liberista (il
nazionalismo yankee).
Polany
moment5
Nonostante
per alcuni importanti aspetti la situazione sia piuttosto diversa da
quella analizzata da Karl Polany, molte sono le analogie che ci
aiutano a comprendere per grandi linee l'attuale “passaggio”
post-liberista.
Come
acutamente scrive Sergio Cesaratto [vedi
finestra “Ordoliberismo e Polany”]
attraverseremmo un “momento Polany”, cioè saremmo alle prese con
i contro-movimenti della società verso lo sfascio provocato da anni
di laissez
faire
liberista.
ORDOLIBERISMO
e POLANY
«Identificherei due
componenti dell'ordoliberismo. La prima è di fiducia estrema nei
meccanismi di mercato affermati dalla teoria neoclassica dominante.
Sebbene tale fiducia non distingua gli ordoliberisti dal tradizionale
pensiero liberista anglosassone, quest'ultimo è certamente più
pragmatico e delega a un ipotetico “lungo periodo” certe virtù
del mercato, ammettendo in pratica una gestione più keynesiana della
politica economica. La seconda componente, che distingue
l'ordoliberismo dalla scuola austriaca di Friedrich von Hayek e
Ludwig von Mises (con la quale condivide la fede indiscussa nel
laissez faire), è nell'idea che il mercato non sarebbe una
creatura naturale, ma richieda per affermarsi la tutela dello Stato
che se l'assume come compito primario. L'ordine economico si fa
ordine costituzionale (rimando per questo al bel libro di Alessandro
Somma, 2014). Come giudicare questa posizione, ovvero il mercato come
istituzione imposta alla società umana, che curiosamente
accomuna gli ordoliberisti a uno studioso agli antipodi come il
celebre antropologo Karl Polany (1886-1964)? Quest'ultimo vedeva
nell'imposizione del laissez faire sfrenato la distruzione
delle relazioni comunitarie, a cui la società avrebbe reagito a
sinistra (con i movimenti socialisti) oppure a destra (col
nazifascismo) chiedendone la fine. Molti hanno richiamato il pensiero
di Polany a proposito delle reazioni popolari di questi anni alla
globalizzazione. “Polany moment” l'ho definito (…).
Polany giudicherebbe dunque un errore l'idea ordoliberista di uno
Stato che impone i principi del laissez faire, invece che
porsi come barriera democratica allo strapotere del mercato (Storey,
2017, p.4).»
da Sergio Cesaratto,
“Chi
non rispetta le regole? - Italia e Germania, le doppie morali
sull'euro”, Imprimatur, 2018, pagg. 70-71.
Sebbene
la Germania pratichi la cosiddetta “economia sociale di mercato”6
e abbia condotto la costruzione europea secondo i precetti
dell'ordoliberismo, una sorta di liberismo ordinato (Ordnung)
dallo Stato, nondimeno ci ritroveremmo dinnanzi ad un “momento
Polany”.
In
altri termini, la fascistizzazione, pur sotto mentite spoglie, non
sarebbe che uno dei possibili sbocchi allo sfascio generato dalla
globalizzazione liberista, che avrebbe come unica alternativa una
ripresa del binomio democrazia-socializzazione, la quale a sua volta
presuppone una ripresa della sovranità nazionale.
Sovranità
alternative
Su
posizioni nettamente divergenti, rispetto a Steve Bannon, è il
messaggio che dal Guatemala lancia Alessandro Di Battista7
del Movimento 5 Stelle, che echeggia il discorso no global di
inizio millennio.
“Il
DiBa” mette in evidenza il problema di fondo agro-alimentare di
Paesi come il Guatemala: l'accesso alla terra dei contadini indigeni;
il diritto di coltivarla e di goderne i frutti economici.
In un
ambito più complessivo che coinvolge anche l'Italia, sostiene:
«La
battaglia del secolo sarà tra chi si vuole riprendere quote di
sovranità e chi invece continua a volerle cedere a organizzazioni
sovranazionali che stanno distruggendo i diritti economici e sociali
della popolazioni.»
Sulla stessa lunghezza
d'onda, pur collocandosi nel classico schema destra-sinistra, si è
espresso
Jean-Luc
Mélenchon, leader
di France
Insoumise [vedi
finestra dedicata] che
alle ultime elezioni politiche ha raccolto quasi il 20% dei suffragi.
Come
France Insoumise ha reagito
alla
bocciatura dell'Italia
da
parte della Commissione europea
«Io preferisco difendere
la sovranità popolare e il governo italiano. Per la prima volta la
Commissione se la prende con il budget votato dal Parlamento di uno
Stato che rispetta i trattati. Si capisce che è una espropriazione
della sovranità dei popoli. Possiamo condannare le scelte politiche
degli italiani, ma non il diritto di decidere quello che è il bene
del loro Paese.»
Jean-Luc Mélenchon,
leader di France Insoumise
(da
Il Fatto Quotidiano, 25 ottobre 2018)
Al
contrario di una sinistra italiana tanto inconsistente nei consensi
quanto sottomessa, France
Insoumise
ha sentito l'obbligo non di sottili distinguo, ma di assumere sulla
sovranità nazionale democratica una posizione netta, indicandola
come prioritaria rispetto ai contenuti stessi della manovra economica
del governo italiano.
D'altro
canto, se la democrazia non può esistere senza sovranità, mentre
quest'ultima può affermarsi facendo a meno della democrazia, l'unica
reale alternativa alla deriva preconizzata da Bannon risiede nel
coniugare la ripresa di sovranità nazionale con l'affermazione del
binomio democrazia+socializzazione per una effettiva cooperazione
continentale ed inter-nazionale.
Note:
1
Distinguendolo dal patriottismo o nazionalismo di autodifesa, con
diretto riferimento alla Resistenza italiana. Essa divenne in pieno
lotta patriottica, quando fu chiaro che il fascismo, sostenitore sin
dalla sua nascita del nazionalismo più aggressivo (bellico), si era
reso protagonista del peggiore disastro nazionale, nonché servo
dell'occupazione tedesca dell'Italia settentrionale. In sintesi:
antitaliano.
2
Paolo Mastrolilli, La Stampa, 17 settembre 2018.
3
Federico Fubini intervista Steve Bannon, “L'Italia è un modello.
Ma il governo ora aggiusti il bilancio”, Corriere della Sera, 22
ottobre 2018.
4
Nella citata intervista, all'accusa di Fubini di voler indebolire
l'Europa, Bannon risponde: «No.
L'America guarda all'Occidente giudeo-cristiano come a un blocco di
nazioni indipendenti. Ma l'amicizia profonda con l'Europa è molto
solida. Pochi in America capiscono la Ue. Capiscono la Germania, la
Francia, l'Italia.»
5
Parafrasi del “momento Minsky” relativo ai meccanismi di
collasso dei mercati finanziari, indagati dall'economista americano
Hyman Philip Minsky (1919-1996).
6
Gli ordoliberisti tedeschi incollarono l'etichetta “sociale”
sulla loro politica economica, il classico verme per fare abboccare
all'amo tutti i benpensanti ai quali basta la parolina politicamente
corretta. Sull'argomento vedi anche Luciano Barra Caracciolo, “La
Costituzione nella Palude”, Imprimatur, 2015, pag. 184.
7
Alessandro Di Battista, “Guatemala, in viaggio con un
guerrigliero”, Il Fatto Quotidiano, 13 ottobre 2018.