mercoledì 31 ottobre 2018

Sovranità vo' cercando

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Le posizioni di Steve Bannon e della traballante leadership europea. Depistaggi, falsi dilemmi e scelte reali nel “passaggio” post-liberista. Visioni alternative di sovranità.
I sostenitori della sovranità nazionale sono assai diversi tra loro, eppure i prevalenti media fingono che siano uguali, facendo di ogni erba un fascio.
C'è l'erba di Steve Bannon, stratega della campagna elettorale di Donald Trump ed ora impegnato in Europa a fianco di Salvini & C. Ci sono poi le erbe dei no global, di Alessandro Di Battista del M5S e di France Insoumise. Sicché metterle tutte nello stesso fascio risponde solo al desiderio di presentare gli avversari, soprattutto se avversari delle logiche egemoniche, come un unico velenoso “fascio nemico”.
Benché questo atteggiamento si nutra dell'illusione di vincere in un sol colpo e gli uni e gli altri, le possibili conseguenze possono essere assai pericolose.
La maggiore tra queste consiste nel mistificare le posizioni in campo per depistare l'opinione pubblica. Non ne deriva una minore aspirazione popolare alla sovranità. Indebolisce solo le forze democratiche, socializzanti e cooperative che ne reclamano il ripristino. Non guadagna consenso agli organismi sovranazionali: regala solo spazio al sovranismo nazionalistico aggressivo1. Un regalo che esso accetta talmente volentieri da condividere la rappresentazione dello scontro politico in atto con il vecchio establishment europeo.
Sembrano in accanito contrasto tra loro, ma si specchiano e rispecchiano, incentivandosi a vicenda contro ogni reale cambiamento.

Steve lo scippatore
Steve Bannon è stato oggetto da parte del connazionale Michael Moore di una duplice accusa, in apparenza contraddittoria.
Per il regista di Bowling a Columbine”:2
«Bannon ha scippato alla sinistra la bandiera della rivoluzione populista.»
Aggiungendo tra l'altro:
«Ho parlato a lungo con Steve Bannon, e mi ha fatto capire che l’obiettivo del suo movimento in Europa è resuscitare il fascismo, sotto mentite spoglie.»
In altri termini, il tentativo anche in Europa di resuscitare il fascismo, pur sotto altre sembianze, si avvale della bandiera della “rivoluzione populista”, che la sinistra si è fatta scippare, perché, per così dire, “in altre faccende affaccendata”.
A darcene involontariamente conto è lo stesso Steve Bannon.
In una recente intervista a Federico Fubini,3 fervente difensore dell'Unione europea, il buon Steve sostiene che l'Italia è al centro dell'universo politico ed un modello per la ridefinizione della politica in questo secolo. Mostra una certa conoscenza dei problemi italo-europei, quando respinge l'idea che l'avversione di Bruxelles alla manovra economica del governo italiano sia originata dalle dimensioni del deficit piuttosto che dalla «sostanza di quello che fanno: le pensioni, queste cose.»
Dopodiché, contraddicendosi, auspica imprecisati “aggiustamenti di bilancio” e che il governo si prenda cura del problema dell'economia, anche in vista dell'appuntamento delle prossime elezioni europee, ritenuto essenziale.
La scelta taroccata
È a questo punto, sulla scelta posta davanti all'Europa, che Bannon palesa una inaspettata e sospetta ignoranza dei fatti e della storia più recente della costruzione dell'Unione.
Non tanto per la risposta all'accusa di volere indebolire l'Europa per conto di Washington, sulla quale dissimula, quanto per la connotazione degli schieramenti posti a cospetto degli elettori europei:
«C'è il progetto franco-tedesco, gli Stati Uniti d'Europa: più integrazione, più burocrazia che detta le regole. Salvini, il leader ungherese Viktor Orbán e altri sono il contrappeso. Le Europee sono una scelta tra Stati Uniti d'Europa o un'unione di nazioni sovrane.»
Federico Fubini si guarda bene dall'approfondire l'argomento ed in quel che segue sarà chiaro il perché.
Appare impossibile che un intellettuale americano, presentato come un fine analista seppure “di parte avversa”, sia all'oscuro dei fatti:
- l'Ue detta sì le regole ma in assenza di un reale processo di unificazione politica (dopo alcuni tentativi andati miseramente falliti) e, soprattutto, in presenza di un processo inverso all'integrazione, ovvero di conclamato distacco economico tra Paesi del centro a guida teutonica e Paesi periferici per lo più mediterranei;
- la traduzione su scala continentale della globalizzazione liberista (Unione ed Eurozona) è stata realizzata nel segno della supremazia tedesca e del suo nazionalismo egemonico.
Il verme nella mela
Poiché Bannon non è uno sprovveduto, anche lui, al pari dei difensori dell'attuale Unione europea, Eurozona compresa, gioca sui due lati della contraddizione, proponendone una rappresentazione di comodo.
In primo luogo, deve rendere secondaria la questione sociale che invece è principale. Il M5S nel governo Conte non può eluderla con aggiustamenti di budget rinunciatari, come lascia intendere Bannon, pena il venir meno dell'appoggio delle classi impoverite dall'austerity europea.
In secondo luogo, per quanto Washington si professi amica dell'Europa, certamente non gradisce, al pari di Londra, un'Unione sotto egemonia tedesca. Ma Bannon non può affermarlo apertamente.4 Altrimenti dovrebbe ammettere di esprimere il punto di vista del nazionalismo statunitense (America first), il quale avversa la globalizzazione libero-scambista solo ora che non può più avvantaggiarsene, come ha fatto per decenni dopo la svolta internazionale voluta dal duo Reagan-Thatcher.
E pure il supposto antidoto, rappresentato da una Unione di stati sovrani, dovrebbe fare i conti con un nazionalismo di supremazia, il quale per forza di cose ingenera un nazionalismo di autodifesa per la riconquista della sovranità espropriata. Se scompare l'Unione non scompaiono d'acchito le contraddizioni che ne hanno generato la crisi.
A parti invertite, il dilemma proposto da Bannon s'attaglia perfettamente alla rappresentazione politica del traballante establishment continentale: anch'esso vorrebbe che fossimo posti di fronte alla scelta tra un'Europa sul modello federativo Usa, di cui non esistono i presupposti minimi, ed una unione di nazioni sovrane, assolutamente impossibile qualora tra esse continuasse ad persistere il nazionalismo egemonico, tanto più se divenisse aggressivo sul piano politico per sopperire alla perdita dei privilegi economici.
In realtà non è difficile prevedere che, come han fatto gli Stati Uniti di Trump verso il mondo, farebbe la Germania Federale verso l'Europa, nel momento in cui il suo neo-mercantilismo non potesse più godere dei vantaggi asimmetrici, surplus esportativo in testa, di cui ora indebitamente gode.
Si scoprirebbe così il verme nella mela dell'Unione (il nazionalismo teutonico), come si è scoperto quello nella mela della globalizzazione liberista (il nazionalismo yankee).
Polany moment5
Nonostante per alcuni importanti aspetti la situazione sia piuttosto diversa da quella analizzata da Karl Polany, molte sono le analogie che ci aiutano a comprendere per grandi linee l'attuale “passaggio” post-liberista.
Come acutamente scrive Sergio Cesaratto [vedi finestra “Ordoliberismo e Polany”] attraverseremmo un “momento Polany”, cioè saremmo alle prese con i contro-movimenti della società verso lo sfascio provocato da anni di laissez faire liberista.

ORDOLIBERISMO e POLANY
«Identificherei due componenti dell'ordoliberismo. La prima è di fiducia estrema nei meccanismi di mercato affermati dalla teoria neoclassica dominante. Sebbene tale fiducia non distingua gli ordoliberisti dal tradizionale pensiero liberista anglosassone, quest'ultimo è certamente più pragmatico e delega a un ipotetico “lungo periodo” certe virtù del mercato, ammettendo in pratica una gestione più keynesiana della politica economica. La seconda componente, che distingue l'ordoliberismo dalla scuola austriaca di Friedrich von Hayek e Ludwig von Mises (con la quale condivide la fede indiscussa nel laissez faire), è nell'idea che il mercato non sarebbe una creatura naturale, ma richieda per affermarsi la tutela dello Stato che se l'assume come compito primario. L'ordine economico si fa ordine costituzionale (rimando per questo al bel libro di Alessandro Somma, 2014). Come giudicare questa posizione, ovvero il mercato come istituzione imposta alla società umana, che curiosamente accomuna gli ordoliberisti a uno studioso agli antipodi come il celebre antropologo Karl Polany (1886-1964)? Quest'ultimo vedeva nell'imposizione del laissez faire sfrenato la distruzione delle relazioni comunitarie, a cui la società avrebbe reagito a sinistra (con i movimenti socialisti) oppure a destra (col nazifascismo) chiedendone la fine. Molti hanno richiamato il pensiero di Polany a proposito delle reazioni popolari di questi anni alla globalizzazione. “Polany moment” l'ho definito (…). Polany giudicherebbe dunque un errore l'idea ordoliberista di uno Stato che impone i principi del laissez faire, invece che porsi come barriera democratica allo strapotere del mercato (Storey, 2017, p.4).»
da Sergio Cesaratto,
Chi non rispetta le regole? - Italia e Germania, le doppie morali sull'euro”, Imprimatur, 2018, pagg. 70-71.

Sebbene la Germania pratichi la cosiddetta “economia sociale di mercato”6 e abbia condotto la costruzione europea secondo i precetti dell'ordoliberismo, una sorta di liberismo ordinato (Ordnung) dallo Stato, nondimeno ci ritroveremmo dinnanzi ad un “momento Polany”.
In altri termini, la fascistizzazione, pur sotto mentite spoglie, non sarebbe che uno dei possibili sbocchi allo sfascio generato dalla globalizzazione liberista, che avrebbe come unica alternativa una ripresa del binomio democrazia-socializzazione, la quale a sua volta presuppone una ripresa della sovranità nazionale.
Sovranità alternative
Su posizioni nettamente divergenti, rispetto a Steve Bannon, è il messaggio che dal Guatemala lancia Alessandro Di Battista7 del Movimento 5 Stelle, che echeggia il discorso no global di inizio millennio.

Il DiBa” mette in evidenza il problema di fondo agro-alimentare di Paesi come il Guatemala: l'accesso alla terra dei contadini indigeni; il diritto di coltivarla e di goderne i frutti economici.
In un ambito più complessivo che coinvolge anche l'Italia, sostiene:
«La battaglia del secolo sarà tra chi si vuole riprendere quote di sovranità e chi invece continua a volerle cedere a organizzazioni sovranazionali che stanno distruggendo i diritti economici e sociali della popolazioni.»
Sulla stessa lunghezza d'onda, pur collocandosi nel classico schema destra-sinistra, si è espresso Jean-Luc Mélenchon, leader di France Insoumise [vedi finestra dedicata] che alle ultime elezioni politiche ha raccolto quasi il 20% dei suffragi.
Come France Insoumise ha reagito
alla bocciatura dell'Italia
da parte della Commissione europea
«Io preferisco difendere la sovranità popolare e il governo italiano. Per la prima volta la Commissione se la prende con il budget votato dal Parlamento di uno Stato che rispetta i trattati. Si capisce che è una espropriazione della sovranità dei popoli. Possiamo condannare le scelte politiche degli italiani, ma non il diritto di decidere quello che è il bene del loro Paese.»
Jean-Luc Mélenchon, leader di France Insoumise
(da Il Fatto Quotidiano, 25 ottobre 2018)

Al contrario di una sinistra italiana tanto inconsistente nei consensi quanto sottomessa, France Insoumise ha sentito l'obbligo non di sottili distinguo, ma di assumere sulla sovranità nazionale democratica una posizione netta, indicandola come prioritaria rispetto ai contenuti stessi della manovra economica del governo italiano.
D'altro canto, se la democrazia non può esistere senza sovranità, mentre quest'ultima può affermarsi facendo a meno della democrazia, l'unica reale alternativa alla deriva preconizzata da Bannon risiede nel coniugare la ripresa di sovranità nazionale con l'affermazione del binomio democrazia+socializzazione per una effettiva cooperazione continentale ed inter-nazionale.
Note:
1 Distinguendolo dal patriottismo o nazionalismo di autodifesa, con diretto riferimento alla Resistenza italiana. Essa divenne in pieno lotta patriottica, quando fu chiaro che il fascismo, sostenitore sin dalla sua nascita del nazionalismo più aggressivo (bellico), si era reso protagonista del peggiore disastro nazionale, nonché servo dell'occupazione tedesca dell'Italia settentrionale. In sintesi: antitaliano.
2 Paolo Mastrolilli, La Stampa, 17 settembre 2018.
3 Federico Fubini intervista Steve Bannon, “L'Italia è un modello. Ma il governo ora aggiusti il bilancio”, Corriere della Sera, 22 ottobre 2018.
4 Nella citata intervista, all'accusa di Fubini di voler indebolire l'Europa, Bannon risponde: «No. L'America guarda all'Occidente giudeo-cristiano come a un blocco di nazioni indipendenti. Ma l'amicizia profonda con l'Europa è molto solida. Pochi in America capiscono la Ue. Capiscono la Germania, la Francia, l'Italia.»
5 Parafrasi del “momento Minsky” relativo ai meccanismi di collasso dei mercati finanziari, indagati dall'economista americano Hyman Philip Minsky (1919-1996).
6 Gli ordoliberisti tedeschi incollarono l'etichetta “sociale” sulla loro politica economica, il classico verme per fare abboccare all'amo tutti i benpensanti ai quali basta la parolina politicamente corretta. Sull'argomento vedi anche Luciano Barra Caracciolo, “La Costituzione nella Palude”, Imprimatur, 2015, pag. 184.
7 Alessandro Di Battista, “Guatemala, in viaggio con un guerrigliero”, Il Fatto Quotidiano, 13 ottobre 2018.

mercoledì 17 ottobre 2018

Assassinio sull'italian spread - Appendice

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Francia, 1957, estratti da un discorso di

Pierre Mendès-France all'Assemblea nazionale

Pierre Mendès-France (1907-1982) 

nume tutelare del socialismo francese


I nostri partners (europei) vogliono conservare il vantaggio commerciale che hanno su di noi determinato dal loro ritardo in materia sociale. La nostra politica deve continuare a resistere costi quel che costi, per non costruire l'Europa nella regressione a detrimento della classe operaia. […]
È previsto che il Mercato comune comporti la libera circolazione dei capitali. Se l'armonizzazione delle condizioni concorrenziali non è realizzata e se, come attualmente, è più vantaggioso installare una fabbrica o costruire una data produzione in altri paesi, questa libertà di circolazione dei capitali condurrà a un esodo dei capitali francesi.[...]
I capitali hanno la tendenza a lasciare i paesi socializzanti e la loro partenza esercita una pressione nel senso dell'abbandono di una politica sociale avanzata. Si sono visti casi recenti dove governi stranieri hanno avversato progetti di leggi sociali insistendo sul fatto che la loro adozione provocherebbe delle fughe di capitali. […]
L'abdicazione di una democrazia può prendere due forme, sia il ricorso a una dittatura interna attraverso il conferimento di tutti i poteri a un uomo della provvidenza, sia la delega di questi poteri a una autorità esterna, la quale, in nome della tecnica, eserciterà in realtà il potere politico, giacché in nome di una sana economia si viene facilmente a dettare una politica monetaria, di bilancio, sociale, in definitiva “una politica”, nel senso più largo della parola, nazionale ed internazionale.1

1 Pezzo tratto da Fédéric Lordon, “La Malfaçon” - Monnaie européenne et souveraineté démocratique – Babel 2014. Pagg. 136-137. Traduzione mia.

Assassinio sull'italian spread

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Assassinio sull'italian spread


Il governo Conte sotto accusa per la manovra economica. Uso informativo dello spread. Un gioco pericoloso. Modi per assassinare la svolta politica. La scelta.



Invocando lo spread
Il governo giallo-verde è sotto accusa per l'annunciata manovra economica.
Sorretto dai maggiori quotidiani e dalle televisioni più importanti è stupefacente il fuoco di fila. Dall'Ufficio parlamentare di bilancio alla “indipendente” Banca d'Italia,1 dalla Commissione di Bruxelles al Fondo monetario internazionale, tutti a dare giudizi negativi sulla Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (DEF) del governo o per supposti errati conteggi di entrate ed uscite2 o, più direttamente, per l'indirizzo economico intrapreso e l'aumento della spesa in deficit volta a finanziare reddito e pensione di cittadinanza, riforma della Fornero, prime misure di flat tax, investimenti pubblici e quant'altro. Anche il presidente dell'Inps Tito Boeri paventa sfracelli sui conti pensionistici. Nel prossimo futuro all'appuntamento non vorranno mancare le agenzie di rating (di cui non si ricordano warning d'allarme prima dei crolli del biennio 2007-2008).
In sé lo scostamento di deficit sul Pil, dal 1,6% promesso da Gentiloni al 2,4%, non è affatto drammatico, soprattutto se si considera l'inespresso potenziale economico dell'Italia, condannata dalla politica economica sin qui seguita al ruolo di fanalino di coda nella crescita Ue. Accuse e conseguenti allarmi, pertanto, vanno fatti risalire ad altre motivazioni, ossia allo scontro tra interessi ed indirizzi politici oggi divergenti a livello continentale.
Le élites dominanti in Europa non accettano che l'Italia intraprenda una politica economica in contrasto con l'austerità imposta dal Fiscal Compact, il Patto di stabilità posto a garanzia del loro potere. Infatti, gli allarmi non sono semplicemente rivolti ad avvertire dei rischi, ma inverano il rischio che paventano, perché provocano l'innalzamento dell'italian spread,3 ossia, in termini pratici, degli interessi da pagare sul nostro debito pubblico. Nel 2017, nonostante il Quantitative easing della Bce, furono di oltre 65 miliardi.
Affamare la “bestia” (lo Stato)
A proposito del debito vale la pena ricordare che:
  • è detenuto da residenti all'estero per circa un terzo, in prevalenza enti finanziari francesi e tedeschi, in grado di influire fortemente sugli orientamenti dell'insieme del mercato finanziario;

  • a differenza del Giappone, il cui debito in rapporto al Pil (253%)) è ben superiore al nostro, ma interamente nelle mani di residenti in patria, l'elevata collocazione all'estero ci espone al giudizio di rischio del mercato globale ed ai suoi condizionamenti;
  • l'esplosione del debito pubblico è dovuta, storicamente, all'aumento dei tassi d'interesse passivi seguito al divorzio tra Tesoro e Bankitalia,4 nonché alla perdita della sovranità monetaria sin dalla fase di gestazione (Sme) della moneta unica;
  • fu una scelta politica per tenere in scacco le istanze popolari tramite l'indebitamento pubblico (affamare la “bestia”), sottraendolo al governo politico e sottoponendolo, di converso, al giudizio “inappellabile” dei mercati finanziari;
  • nonostante l'Italia abbia tagliato il welfare, chiudendo per anni bilanci primari (al netto degli interessi) in avanzo, comunque gli ingenti interessi passivi continuano a spingere l'accumulo di debito;
  • le banche italiane detengono più di un quarto dei titoli di debito pubblico; l'innalzamento dello spread premia le nuove sottoscrizioni, ma i vecchi titoli già “in pancia” tendono a deprezzarsi; già minacciano di restringere il credito a imprese e famiglie, togliendo fiato alla ripresa.
I mercati informati5
La zona euro vive una palese contraddizione: la moneta è unica ma ognuno è titolare in solitudine di un proprio debito pubblico; ciò genera diversi tassi d'interesse, secondo un differenziale misurato (lo spread), oggetto di speculazione finanziaria. Inoltre, pretende di disciplinare il comportamento di ciascun governo titolare di debito e della stessa democrazia politica nazionale all'andamento dello spread sentenziato dai mercati finanziari, ma stimolato alla bisogna opportunamente a minacciare.
VIENE DA DIRE: MAGARI!!
("Il Sole-24ore" - 4/10/2018)
Se è vero che tecnicamente lo spread non è nient'altro che la misura della febbre e prendersela col termometro appare piuttosto stupido, è altrettanto vero che l'innalzamento della temperatura è provocata dalle informazioni politiche di allarme, lanciate verso un mercato di per sé costantemente in ansia per la tenuta dell'euro, ritenuta non a torto una moneta assai gracile. Perciò lo spread si traduce nella misura della paura che l'euro fallisca.
Per “informare” i mercati dell'incombente pericolo sono stati fissati dei parametri sui bilanci annuali e sul rapporto tra Pil ed indebitamento statale, della cui “scientificità” è superfluo discutere. Sono sentinelle che servono esclusivamente a chiedere inflessibili sanzioni di mercato per i soliti Paesi, i cui governi, a loro dire, sono incapaci di infliggere ai propri popoli l'austerità che appianerebbe i debiti.
Sennonché il gioco può sfuggire di mano ai suoi stessi artefici: chi può garantire in modo assoluto che, come nel caso della Grecia, alla fine l'Italia sottostia al ricatto e si sottometta adottando supinamente le misure volute dalla Troika? Chi può essere certo che lucrare sul nostro debito pubblico, una volta sfondato un certo limite dello spread (400 punti?) non metta a rischio l'esigibilità stessa dei crediti detenuti delle banche francesi e tedesche?
Prudenza virtù cardinale
Anche sulla scorta di minime considerazioni politiche, oltreché di quelle economiche dette poc'anzi, si fa strada all'interno dell'establishment una linea più prudente, capeggiata dal governatore della Bce Mario Draghi, dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella con l'appoggio del ministro Giovanni Tria.
Mirano ad assassinare nella culla la svolta politica del governo gialloverde, non con un'arma da fuoco, quale sarebbe un forte e rischioso innalzamento dell'italian spread, ma somministrando meno appariscenti dosi di veleno in svuotanti mediazioni. Magari con l'appoggio dei gruppi in seno alla Lega più legati all'affarismo (come i concessionari autostradali e le imprese delle grandi opere) e all'evasione fiscale.
Sono indotti alla prudenza dalla semplice considerazione che al momento non esiste un'alternativa di governo praticabile, come avvenne per il varesotto Monti, nominato “podestà straniero”, in quanto ex commissario europeo mai eletto in parlamento. Inoltre, se costretto ad elezioni anticipate dalle oligarchie italo-europee, il governo ne uscirebbe rafforzato.
Mattarella non può contare nemmeno sul partito da cui proviene, come dimostra l'ultima vicenda al CSM.6 Per imporre mediazioni si barricherà dietro l'articolo 81, che ingiunge il “pareggio di bilancio”, introdotto in Costituzione dai maggiori partiti della II Repubblica che, a loro volta, accettarono di normare a livello nazionale l'impegno sottoscritto nel Fiscal Compact.
Un passaggio obbligato
Per l'Unione europea tira una brutta aria. Non a caso i sondaggi registrano tra gli italiani un calo di gradimento dell'Ue al 38%, mentre, specularmente, il governo Conte è salito al 62%. Si rafforza tra gli strati sociali penalizzati dalla crisi e dalle politiche liberiste la convinzione che per risolvere i propri problemi la via obbligata dell'Italia passi dalla ripresa della propria sovranità nazionale.
Sul concreto agire del governo giallo-verde si possono e si dovranno fare molte severe critiche, comprese quelle che imputano alla Lega di Salvini di nutrire propensioni xenofobe ed autoritarie.
Eppure, per chi vuole stare dalla parte dei poveri, degli sfruttati e dei disoccupati, rinunciare ad esserci in questo passaggio contro l'”Unione-che-c'è”, applicativo della globalizzazione in Europa, può condurre all'abdicazione della democrazia: o per aver assecondato gli attuali poteri oligarchici esterni; o per aver lasciato la spinta popolare alla sovranità nelle mani del nazionalismo più deteriore e fascistizzante.

Note
1 La Banca d'Italia è definito ente “indipendente”, ma non lo è. Ne sono proprietari banche ed istituti privati, con a capo un governatore di nomina politica.
2 I calcoli dei tecnici non sono neutrali. Spesso, in sintonia con l'austerità, dimenticano la cosiddetta “retroazione”, ovvero: in caso di manovra espansiva, il minor deficit percentuale derivante dall'aumento del Pil (vedi governo in carica); in caso di manovra recessiva, il maggior deficit derivante, al contrario, dalla contrazione del Pil (vedi governo Monti). Così accade che troppo spesso sbaglino le loro “previsioni tecniche”.
3 Divario tra tassi d'interesse di Bund tedeschi e di Btp italiani con scadenza decennale.
4 Prima del divorzio, voluto nel 1981 dal ministro Beniamino Andreatta e dal governatore Carlo Azelio Ciampi, l'azione combinata di Tesoro e Bankitalia permetteva di calmierare i tassi d'interesse, tenendo sotto controllo la spesa relativa.
5 Si noti che nel dibattito economico il problema di quali informazioni disponga il mercato è divenuto centrale. In particolare dal momento in cui la critica liberale alla pianificazione socialista sostenne che quest'ultima falliva perché non poteva disporre in modo adeguato di informazioni, a partire da quelle contenute nei prezzi “liberamente” determinati del “libero mercato”.
6 Per la vicepresidenza del CSM, Mattarella aveva chiesto una figura non troppo politicizzata. È stato invece eletto David Ermini, già responsabile giustizia del PD durante la seconda segreteria Renzi.