sabato 11 marzo 2023

Ucraina - La via cinese alla pace

Ucraina

La via cinese alla pace

Il significato della presa di posizione cinese attraverso il vaglio di commenti ed analisi che la discutono.


Il significato del viaggio

Alla preparazione dei 12 punti della presa di posizione cinese è stato incaricato Wang Yi, il responsabile esteri del Partito Comunista Cinese. Il giro di consultazioni ai massimi livelli ha toccato Francia, Italia, Ungheria e Russia, passando dalla Conferenza sulla sicurezza, a Monaco di Baviera. Il rilievo conferito alla missione testimonia della grande importanza delle scelte, alle quali i governi interpellati sono chiamati in rapporto ai destini della pace.

Nel risultante documento cinese1 il locale ucraino è posto nel globale. Segue alcuni riconosciuti principi guida dell'Onu ed è volto a raccogliere un ampio consenso, anche dei Paesi su posizioni “intermedie”, attorno ad una proposta di pace planetaria, non solo alla immediata necessità di porre fine alla guerra in Ucraina e scongiurare una escalation che porterebbe all'uso di armi chimiche, batteriologiche e persino nucleari.

I 12 punti non parlano di multipolarità. Essa è implicita nell'invito a tutti cooperare per un quadro di sicurezza mondiale più equilibrato e stabile, che non privilegi quella di alcuni a scapito di altri e rifiuti i doppi standard nell'applicazione del diritto internazionale.

Riallacciate le relazioni Iran-Arabia Saudita

Pechino offre la propria disponibilità a negoziati, ferma tenendo l'alleanza “dagli sviluppi illimitati” con la Russia, così vanificando il disegno degli Stati Uniti, tramite la guerra in Ucraina, di neutralizzarla, per fare della Cina il bersaglio finale della sua strategia di dominio unipolare.

L'Italia reale dissente da quella ufficiale

Le reazioni alla presa di posizione cinese della Casa Bianca e della Nato sono state di totale chiusura. A ruota l'Unione europea, i Paesi della nuova cortina di ferro dal Baltico al Mar Nero, con l'eccezione ad Est dell'Ungheria, non a caso una tappa del viaggio.

Il G20 si è diviso. L'India non ci sta. Macron mostra qualche apertura. Forse qualche cancelleria lavora dietro le quinte per riaprire il negoziato.

Allineata e coperta” come un soldatino al vecchio addestramento reclute dei coscritti, l'Italia meloniana ha cominciato a mostrare delle crepe. Il Paese reale dissente da quello ufficiale.

Mentre per un sondaggio gli italiani che “stanno dalla parte dei russi” sarebbero “solo” il 7%,2 per un altro sondaggio la maggioranza degli italiani “la pensa come Berlusconi”,3 che, stando alle esatte sue parole, giustifica la reazione di Putin alla politica sconsiderata di Zelensky.

Ove si tenga conto del bombardamento mediatico filo-atlantico e dell'orientamento prevalente tra i partiti in parlamento, quel 7% appare sorprendente, raggruppando in realtà chi avversa la narrazione atlantica e non è rappresentato nelle istituzioni, né ha voce nei grandi media. Si tratta di un popolo in buona parte informato in rete da siti e televisioni youtube – solo Byoblu è sul digitale terrestre – che si avvalgono di valenti studiosi pressoché sconosciuti al grande pubblico.

Sulla scorta di una consistente maggioranza, che rifiuta l'invio di armi e l'escalation, traggono vigore le posizioni di chi avanza solidi argomenti critici e non si fa tappare la bocca dall'aut aut: “o con l'Ucraina di Zelensky o con la Russia di Putin!”

Di particolare rilevanza le analisi del generale Fabio Mini e del professor Alessandro Orsini.

Quest'ultimo ha escluso la possibilità della Cina di “far finire la guerra”, perché: a) gli Stati Uniti non le “consentirebbero di diventare il fulcro delle relazioni internazionali in Europa”; b) essa non può rimuoverne le cause.4

Concentrato sull'Europa e sui possibili reali esiti della guerra, lo sguardo di Orsini è focalizzato sulla crisi ucraina e non vede la reale portata dell'iniziativa diplomatica di Pechino nel contesto euroasiatico e globale.

Alessandro Orsini

«(...) la guerra finirà con una cessione territoriale in favore della Russia. Scartata l'ipotesi di una guerra diretta della Nato, gli esiti possibili della guerra sono infatti soltanto tre. Il primo è la vittoria della Russia che prenderebbe i territori che gradisce. Il secondo è la sconfitta della Russia che userebbe l'arma nucleare tattica per prendere i territori che preferisce. Il terzo esito è la sconfitta della Russia e il suo ritiro dall'Ucraina senza fare uso dell'arma nucleare. In questo caso, la Russia si prenderebbe alcuni anni per ricaricarsi sotto la spinta di un nazionalismo spaventoso e invaderebbe di nuovo l'Ucraina dopo un certo numero di anni in base allo schema già seguito in Cecenia. (…) Una superpotenza che combatta una guerra esistenziale contro un Paese infinitamente più debole può essere sconfitto soltanto con la sua invasione e la sostituzione della sua leadership con una classe dirigente amica dei nemici. (…) l'Occidente avrebbe dovuto lavorare per dirimere la controversia con la diplomazia sapendo bene che, una volta invasa, l'Ucraina sarebbe stata schiacciata e, alla fine, smembrata. I primi a infilare i denti nel collo degli ucraini sono stati i falchi d'Occidente con le loro politiche espansive sconsiderate.»
5

In effetti, il rispetto degli accordi di Minsk I e II avrebbe consentito la soluzione diplomatica. Ma, per ammissione di Porošenko, presidente dell'Ucraina dal 2014 al 2019, e di Angela Merkel, la loro formale accettazione fu solo un espediente6 per guadagnare tempo e rafforzare le capacità di Kiev di passare dal bombardamento del Donbass alla sua riconquista militare. Un inganno che, una volta svelato, ha messo Putin con le spalle al muro, spingendolo alla “operazione militare speciale”.

La manovra diversiva occidentale era ben conosciuta dai vertici della nostra Repubblica e fu resa possibile anche col loro pilatesco beneplacito.7

Falchi per vocazione o per subalternità? Fatto sta che i falchi d'Italia, disposti a combattere fino all'”ultimo ucraino”, vanno dalla destra di Fd'I, ai centristi di Bonino, Renzi e Calenda, fino al PD e persino a quella parte “più a sinistra”, che, stravolgendo la storia e le parti in lotta, paragona la resistenza all'invasione russa alla nostra ed a quelle dei popoli del terzo mondo contro l'imperialismo.

Oltreoceano si dividono

Di grande importanza, per visione complessiva, è la posizione del noto economista Jeffrey Sachs, il quale sostiene che la guerra è il più grande nemico dello sviluppo economico e paventa l'olocausto atomico. La sua disamina8 parte dalla considerazione che gli Stati Uniti hanno fomentato “guerre per procura” un po' ovunque nel mondo, lasciando, dopo conflitti decennali, in grande rovina i Paesi coinvolti.

«Kiev va incontro a un futuro disastroso, se questa guerra non finirà presto.»

Sachs non aderisce al “keynesismo bellico” e non vede nella guerra una schumpeteriana “distruzione creativa”.

«In vent'anni gli Stati Uniti hanno sprecato più di 2 trilioni di dollari di spese militari e l'Afghanistan si è impoverito tanto che il suo Pil pro-capite è sceso sotto i 1400 dollari nel 2021. L'ultimo regalo di Washington a Kabul è stato il sequestro delle ultime disponibilità di valuta estera residue, che ha avuto l'effetto di paralizzare il sistema bancario.»

Nel mirino di Sachs c'è il team Biden-Sullivan-Nuland (ndr dem+neocons) che ha architettato dal 2014 la guerra per procura in Ucraina, prima contro il presidente Yanukovic, poi facendo fallire gli accordi di Minsk e le mediazioni di Turchia ed Israele del marzo 2022. L'accusa loro rivolta è di aver sottovalutato il fattore etnico-linguistico interno all'Ucraina e costretto Mosca nella condizione estrema di combattere “fino alla fine” pur di impedire alla Nato di incorporare l'Ucraina.

Per Sachs:

Jeffrey Sachs

«Le condizioni base per la pace sono chiare. L'Ucraina dovrebbe diventare un Paese neutrale, senza entrare nella Nato, la Crimea dovrebbe rimanere sede della flotta navale russa del Mar Nero come accade dal 1783 e sul Donbass si potrebbe trovare una soluzione pratica che vada dalla divisione territoriale all'autonomia o all'istituzione di una linea verde. Così, ed è la cosa più importante, si arriverebbe al cessate il fuoco e al ritiro della truppe russe dal Paese, mentre la sovranità dell'Ucraina sarebbe garantita dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu e da altre nazioni garanti. Un accordo su queste basi si sarebbe potuto raggiungere già a dicembre 2021 o a marzo 2022.»

Sachs, che arriva a conclusioni analoghe a quelle del professor Orsini, rappresenta una componente interna agli Stati Uniti forte, più di quanto sia valutata nella periferia italica.9 È avversaria di quella capeggiata dal presidente Biden, diretta fautrice degli interessi guerrafondai del potente complesso militar-industriale. Quest'ultimo, a sua volta, appare in contrasto, per questioni di ordine militare strategico, con i generali dello Stato Maggiore.

Della posizione cinese l'economista statunitense nulla dice. Eppure l'iniziativa della Cina si inserisce in questi acuti contrasti interni. La qual cosa potrà apparire conservatrice della “globalizzazione deregolata”, solo ad occhi che sottostimano l'impatto rivoluzionario insito nel passaggio epocale in corso verso un ordine mondiale non più unipolare e votato alla guerra.

Nei 12 punti, quando la Cina chiede di abbandonare la mentalità della guerra fredda, di cessare il fuoco e di «opporsi all'uso dell'economia mondiale come strumento o arma per scopi politici» esalta spaccature in seno alle élites mondiali, che hanno segnato la crisi del piano di reset unipolare del World Economic Forum di Davos. Non a caso quest'anno disertato.

L'economico sottostante

Il punto di vista economico globale, espresso dall'appello “Le condizioni economiche per la pace” (The Economic Conditions for the Peace), ha il merito di aprire ad una lettura che non si limiti all'analisi geo-politica.

Sottoscritto da decine di economisti di tutto il mondo e pubblicato dal Financial Times il 17 febbraio,10 è stato promosso da Robert Skidelsky dell'università di Warwick (UK) e da Emiliano Brancaccio dell'Università del Sannio.

Brancaccio, intervistato da Marco Palombi,11 prima di entrare nel merito dell'appello, afferma perentorio: «La Russia si è macchiata di un'infamia di cui noi occidentali siamo stati cattivi maestri per anni: aggredire altri Paesi per distruggere e controllare. Rispetto al passato, però, c'è una novità. L'invasione russa dell'Ucraina ha attivato una catena di azioni e reazioni ancora più letale, perché trae linfa da contraddizioni economiche di dimensioni mondiali, che vanno esaminate ed affrontate.»

Concentriamoci sulla “novità”.

Emiliano Brancaccio

«L'epoca della globalizzazione liberista ci ha lasciato un'eredità scomoda: un grande debito estero a carico degli Stati Uniti e di vari Paesi occidentali, a fronte di un notevole credito verso l'estero della Cina e dell'oriente e, in parte, della Russia. In questo grande squilibrio la Cina e altri Paesi orientali avrebbero la possibilità di esportare i loro ingenti capitali a ovest (…) per effettuare acquisizioni di aziende occidentali: una “centralizzazione del capitale” in mani orientali.»

Per avversare questa “tendenza” Usa e Ue, hanno abbandonato il liberismo ed adottato il friend shoring, «un protezionismo commerciale e finanziario aggressivo, che mira soprattutto a bloccare l'ingresso di capitali cinesi e orientali.» Le sanzioni anti-russe non sarebbero che la prosecuzione del protezionismo nella guerra. Agli squilibri generati dalla “globalizzazione capitalistica deregolata” è seguita la pretesa di risolverli con la “de-globalizzazione unilaterale”, che alza muri.

«A questo punto, si fa forte la tentazione di aprire varchi all'esportazione di capitale attraverso le truppe ed i cannoni.»

La sequenza ricorda quelle che precedettero le due guerre mondiali. Per evitarne la ripetizione e, per così dire, sminare il terreno economico “decisivo”, per i firmatari dell'Appello:

«Servirebbe un piano per la regolazione politica degli squilibri economici internazionali, che si basi su un controllo coordinato dei movimenti di capitale e su meccanismi condivisi di riassorbimento dei crediti e dei debiti.»

Perciò è proposta una Camera internazionale di compensazione (International clearing union), come inutilmente chiesto da Keynes a Bretton Woods (1944), sul finire della seconda guerra mondiale. Incombeva la “minaccia sovietica” ed oggi è ancora più difficile da far passare.

Al momento, la strategia occidentale di invio di nuove armi all'Ucraina:

«È sbagliata soprattutto se non viene accompagnata da un'iniziativa diplomatica.»

Benché sia evidente che l'invio di armi contraddica alla radice l'iniziativa diplomatica, se ne desume che tale strategia sarebbe meno sbagliata qualora venisse “accompagnata”.

«Quel che è certo e che per avviare una trattativa del genere gli Stati Uniti e l'Unione Europea dovrebbero innanzitutto abbandonare il protezionismo unilaterale del friend shoring, mentre la Cina dovrebbe metter da parte la retorica globalista, che è origine e non soluzione dei problemi.»

Osserva Palombi che, al punto 11, la proposta cinese insiste sulla stabilità.

Per chiarezza, riporto l'intero punto incriminato.

«Mantenere stabili le catene industriali e di approvvigionamento. Tutte le parti dovrebbero mantenere seriamente l'attuale sistema economico mondiale e opporsi all'uso dell'economia mondiale come strumento o arma per scopi politici. Sono necessari sforzi congiunti per mitigare le ricadute della crisi e impedire che interrompa la cooperazione internazionale nei settori dell'energia, della finanza, del commercio alimentare e dei trasporti e comprometta la ripresa economica globale.

Ciò da modo a Brancaccio, in riferimento alla proposta di pace cinese, di concludere:

«In linea di principio si tratta di un buon segnale. Ma se lo scopo cinese è “preservare” il sistema deregolato che abbiamo ereditato dagli anni della globalizzazione, si tratta di una posizione a sua volta insostenibile. Del resto, è un'altra bizzarria di questo tempo che un Paese a guida definita “comunista” si faccia oggi alfiere del libero mercato globale. Per la pace serve più politica, non più mercato.»

Prima di cercare di capire la “bizzarria” dei comunisti cinesi, non sfugga la “bizzarria” di un intellettuale di sinistra che, prima ancora di esprimersi sul sottostante economico, sente il bisogno di allinearsi al mainstream nel giudizio di “infamia” rivolto alla Russia. Come se, per dominare il mondo, i “cattivi maestri” occidentali non avessero messo quel Paese alle strette di una lotta esistenziale.

La “bizzarria” comunista cinese

Il punto 11 della posizione cinese è considerato problematico, in un'ottica di riassetto globale delle relazioni economiche e politiche.

Come sostiene lo stesso Brancaccio, la de-globalizzazione unilaterale occidentale, protezionistica ed aggressiva, è già iniziata da tempo.

A mio avviso, dal momento in cui gli oligopoli finanziarizzati d'Occidente si sono resi conto che ai vantaggi della prima globalizzazione liberista, stavano subentrando gli svantaggi della sua seconda fase, per loro tali da minarne la posizione dominante. Da questa presa d'atto, scaturisce l'adozione del cosiddetto friend shoring.

Per molte economie, non solo “neo-mercantili”, il “disaccoppiamento” o decoupling12 accelerato nelle catene delle forniture può avere gravi effetti e non immediatamente rimediabili. Non è un mistero che il governo statunitense ha intrapreso misure per portare sul proprio territorio produzioni industriali, ritenute strategiche; fatto che danneggia sia la Cina, sia la Germania, già umiliata dal sabotaggio del gasdotto Nord stream.

Cosa dovrebbe fare la Cina di fronte al cordone sanitario, che gli Stati Uniti cercano di stringere dall'Europa all'Estremo Oriente, estendendo la Nato fino al Mar del Giappone?

Cosa significa accantonare la “retorica globalista”?

A cosa di concreto dovrebbe rinunciare la Cina? Alla via della seta o altro?

Da cosa si deduce che la Cina voglia restaurare il mercato de-regolato ?

E qui veniamo al punto nodale.

Intanto, ciò che sconcerta nella critica alla posizione cinese è la riproposizione “monca” del progetto internazionale keynesiano, che teneva invece insieme la compensazione internazionale dei crediti e dei debiti con la riforma del sistema monetario. Keynes non era contrario al “libero scambio”, bensì contrario ad un sistema di scambi che creava squilibri strutturali e portava alla guerra. Sicché univa strettamente la riforma monetaria alla Camera di compensazione.13

Di contro, agli economisti dell'appello non possono essere sfuggiti i seguenti fatti.

  • Il piano del governo cinese di aumentare, tramite investimenti pubblici, il reddito disponibile per allargare la domanda interna, in riduzione degli squilibri strutturali tra le diverse aree del Paese, ma pure per evitare di far dipendere l'andamento della sua economia dalla domanda esterna.
  • L'instaurazione di rapporti di “mutuo vantaggio” negli scambi internazionali, grazie ai quali molti Paesi dell'attuale terzo mondo (vedi Africa) mostrano di preferire la partnership con la Cina e con la Russia a quella, a lungo negativamente sperimentata, con i Paesi ricchi d'Occidente.
  • I numerosi tentativi di superare il ruolo del dollaro posto forzatamente al centro degli scambi mondiali, giusto a partire dal sistema inaugurato alla conferenza di Bretton Woods - scartando il progetto di Keynes -, alla cui obsolescenza ha decisamente contribuito la dichiarazione di inconvertibilità del dollaro in oro (Nixon, 15 agosto 1971). Obsolescenza rafforzata, seppure in modo “non intenzionale”, dalle recenti sanzioni anti-russe.
  • Il progetto, in itinere, di dare vita ad un sistema monetario alternativo,14 tipo bancor keynesiano, basato su un paniere di valute nazionali e su assets economici reali, sganciati dalla volatilità del fiat money USA. 

Infatti, è sul primato del dollaro che si fonda il sistema unipolare finanziario, negato il quale si apre uno spazio tutto favorevole a quello multipolare.

Contraddizione principale politica, sconosciuta all'analisi del sottostante economico, che vorrebbe però “più politica e non più mercato”.

Diffidenza, cautela, avversione

Sui 12 punti, presi nel loro complesso, è più condivisibile un “sasso nello stagno”, gettato il 24 febbraio da Alberto Bradanini dalle pagine in rete di La Fionda.15

Il quadro d'insieme tratteggiato non ha pretesa di neutralità, come nel caso dell'appello testé esaminato, avendo a bersaglio privilegiato la Nato e la subalternità dei governi europei agli Stati Uniti.

Piuttosto suscita perplessità la interpretazione della mossa cinese, riconosciuta efficace nella “sostanza”. Scrive Bradanini:

«Nella sostanza la proposta cinese sembra suggerire una (già testata) soluzione alla “coreana”, con caratteristiche cinesi dunque, un po’ sconclusionata nella forma, ma efficace nella sostanza.»

Che dalla guerra in corso possa scaturire una situazione alla “coreana”, è nelle effettive possibilità. Eppure non è chiaro come tale sbocco sia implicito o persino voluto nella presa di posizione di Pechino, solo perché - par di capire - non entra direttamente nei particolari di quali debbano essere i termini specifici di un trattato di pace in Ucraina, successivo alla entrata in vigore del cessate il fuoco.

In linea generale, è comprensibile una certa cautela nel valorizzare le politiche di una emergente potenza qual è la Cina. Dietro al pacifismo al momento professato, potrebbe nascondersi la volontà di instaurare un ordine multipolare sbilanciato a proprio favore. Un ordine che, in sé - va ribadito -, non garantisce da ogni possibile conflitto geopolitico, sebbene permetta una maggiore “democrazia” nei rapporti internazionali, finalmente sottratti alla gabbia delle dipendenze imposte dall'imperialismo nord-americano.

Alcuni aspetti dello sviluppo cinese e delle politiche adottate dal PCC sono controversi.

A seguito della svolta pragmatica impressa da Deng Xiaoping negli anni Ottanta, la modernizzazione ed il grande sviluppo produttivo è stato conseguito al prezzo di notevoli spazi concessi al capitale privato nazionale ed estero, fortemente intrecciato con la globalizzazione liberalista.

Di contro, la dirigenza cinese ha saputo gestire l'inurbamento di milioni di persone, evitando sia le bidonvilles tipiche del terzo mondo, sia la distruzione dell'agricoltura contadina, e mantenere nelle mani dello Stato il controllo delle leve economico-finanziarie, a garanzia dell'indipendenza nazionale.16 La Cina ha così potuto elevare le condizioni di vita generali, diminuire i livelli di povertà e collocarsi saldamente tra gli emergenti, in compagnia di una Russia la quale aveva pesantemente pagato, con il disastro della distruzione dell'URSS, le politiche dei tempi di Bréžnev.

Tuttavia, proprio perché in Cina il grande sviluppo ha trasformato la borghesia nazionale in grande borghesia capitalistica, è nell'ordine delle cose che, nel prossimo divenire, quest'ultima possa tentare di avere il sopravvento sulle altre tre componenti popolari – operai, contadini e piccola borghesia – del blocco nazionale, portando alla fine dell'esperienza socialista e ad un egemonismo esterno con caratteristiche nazionalistiche.

Dell'esistenza di tensioni interne alla coalizione nazionale per lo sviluppo, abbiamo avuto segnale dal recente ridimensionamento del potere finanziario concentrato nelle mani di Jack Ma (il padrone di Alibaba),17 attuato dal PCC.

Anche le contraddittorie misure adottate dal governo cinese in occasione della pandemia, con lo “strano” ruolo dei laboratori di Wuhan, appaltati alle ricerche sui virus commissionate dalla finanza occidentale e da personaggi come il dottor Fauci, possono lecitamente indurre ad un atteggiamento di sospetto e cautela. In particolare se teniamo conto della penetrazione in Cina della cultura e dell'ideologia del progressivismo tecno-scientifico, cara al globalismo anglo-americano.

È tuttavia da vincere la diffidenza, quando oltrepassa la cautela per avversare il ruolo della Cina nel porre fine alla lunga storia egemonica degli Stati Uniti,18 costellata da colpi di Stato e guerre d'aggressione.

Berlino, manifestazione del 25 febbraio 2023

Dietro al paravento del “pericolo del Dragone” finisce per nascondersi l'appoggio al governo Meloni, supposto male minore nonostante preferisca gli arsenali ai granai e riconfermi la subalternità dell'Italia al binomio Nato-USA, nella ribadita appartenenza ad un Occidente che instrada pericolosamente alla guerra generale.

Sullo sfondo c'è il persistente rifiuto di ogni concreta forma di sovranità democratica nazionale, giacché essa rimetterebbe in moto la lotta di classe e la possibilità di quella subalterna di aprire la via al socialismo in Italia.


Note

1 https://www.mfa.gov.cn/eng/zxxx_662805/202302/t20230224_11030713.html

2 https://www.open.online/2023/02/24/sondaggio-guerra-ucraina-italiani-invio-armi/

3 https://www.fattieavvenimenti.it/sondaggio-ghisleri-su-zelensky-gli-italiani-la-pensano-come-berlusconi/

4 Alessandro Orsini, “Non può essere la Cina a far finire la guerra”. Il Fatto Quotidiano, 19 febbraio 2023.

5 Alessandro Orsini, “Pessimi scenari. La guerra finirà male per l'Ucraina costretta a cedere territori”, Il Fatto Quotidiano, 28 febbraio 2023.

6 https://www.agerecontra.it/2022/12/la-merkel-ammette-che-minsk-era-solo-un-espediente/

7 Nel novembre 2014, Matteo Renzi partecipò ad un incontro con Putin, Porošenko, Merkel, Cameron e Hollande, in cui venne proposta una soluzione tipo Sud Tirolo. Accettata da Putin, venne rifiutata da Porošenko.

8 Jeffrey Sachs, “Guerre per procura, lezione afghana”, Il Fatto Quotidiano, 2 marzo 2023.

9 Casa del Sole TV, “Umberto Pascali, il nuovo mondo multipolare prende forma“, 5 marzo 2023, https://www.youtube.com/watch?v=Ykx4nfn5-ps

10 https://www.emilianobrancaccio.it/2023/02/16/the-economic-conditions-for-the-peace/

11 Marco Palombi, “Per la pace dobbiamo creare pure le condizioni economiche”, intervista a Emiliano Brancaccio, il Fatto Quotidiano, 27 febbraio 2023.

12 Vedi grafico riportato dal professore Gabriele Pastrello, sulla sua pagina FaceBook del 15 febbraio 2023.

13 https://eticaeconomia.it/attualita-di-un-riformatore-monetario-il-piano-di-keynes-per-la-liberta-del-commercio-e-il-disarmo-finanziario/

14 https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/prove-generali-di-monete-rivali-34394

15 https://www.lafionda.org/2023/02/24/la-proposta-di-pace-della-repubblica-popolare-di-cina-una-sintesi-essenziale/

16 Sul tema vedasi “In rotta di collisione”, su berniniric.blogspot.com e su https://mega.nz/file/zIZXnaJS#PToEG6Njr6frzKuX7XjWcgM7eSlEJAjSHYVAKE4bgcU

17 https://www.editorialedomani.it/politica/mondo/jack-ma-alibaba-cina-xi-jiping-ncckq81g

18 Vedi “L'egemonia degli Stati Uniti e i suoi pericoli”,

https://www.fmprc.gov.cn/mfa_eng/wjbxw/202302/t20230220_11027664.html