venerdì 21 ottobre 2022

BASI NEGOZIALI per porre fine alla guerra in Ucraina

 La proposta di Elon Musk e l'appello di un gruppo di intellettuali italiani. Contraddizioni ed implicazioni. Cosa osta.

In ordine sparso si susseguono numerose le iniziative in risposta al “caro-bollette”, al carovita e contro la guerra.

L'anelito di pace viene declinato in modo politico diverso, orientato sia dal giudizio sulle cause del conflitto, su chi è l'aggressore e chi l'aggredito, sia dalla necessità di trovare una soluzione negoziale, che ponga fine ad una escalation suscettibile di condurre ad uno scontro nucleare.

Vi sono forze che chiedono lo stop all'invio di armi all'Ucraina, per “non gettare benzina sul fuoco”, ed altre che vogliono anche la fine delle sanzioni alla Russia, collegando l'obiettivo alla difesa degli strati popolari più esposti al loro effetto boomerang.

Non mancano le posizioni ambigue. Europe for Peace1 ha convocato una manifestazione per il 5 novembre su una base talmente generica da poter includere anche il PD, che vi ha aderito, nonostante sia sostenitore della strategia della Nato per cui soldi ed armi all'Ucraina e sanzioni alla Russia, vale a dire la prosecuzione ad oltranza della guerra sia la via che conduce... alla pace.

In parallelo e congiuntamente ferve il dibattito sulle possibili basi per aprire il negoziato di pace.

Per affrontare questo tema ho scelto di porre l'attenzione sulla proposta di Elon Musk e sull'appello “Un negoziato credibile per fermare la guerra”, firmato da alcune personalità italiane.2

Il loro esame mi ha portato a fare alcune considerazioni non strettamente pertinenti.

Due proposte

La proposta Elon Musk è degli inizi di ottobre. Il fatto ha suscitato una certa sorpresa. Di solito personaggi di questo tipo, miliardari dell'Olimpo mondiale della ricchezza, non intervengono negli affari politici in modo così diretto.

Si dà il caso, però, che Musk sia coinvolto nella guerra come supplier di mezzi per combatterla. Una sua società, la Starlink, fornisce circa la metà dei terminali operativi in Ucraina connessi alla sua rete di satelliti commerciali: un servizio Internet che consente a Kiev di disporre di un sistema di comunicazione molto avanzato e di guidare le proprie operazioni militari ed in particolare le missioni contro postazioni e carri armati russi.

Dopo aver risposto positivamente alle richieste del Ministero della transizione digitale di Kiev, Musk ha recentemente chiesto al Pentagono di pagare gli ingenti costi della controllata, per poi ambiguamente ritrattare qualche giorno dopo.3 Sono in corso “procedure” per arrivare a coprire i costi del servizio da parte degli alleati occidentali.

Musk ritiene che la trattativa debba svolgersi sulle seguenti basi:4 rifare le elezioni delle regioni annesse dalla Russia sotto la supervisione dell'Onu; ritiro della Russia in caso di scelta pro Ucraina da parte delle popolazioni interessate; riconoscimento alla Russia della Crimea e garanzia del suo approvvigionamento idrico; neutralità dell'Ucraina, ovvero rinuncia alla sua adesione alla Nato.

Da parte occidentale si sono levate accuse a Musk di filo-putinismo e pure che si fosse messo d'accordo personalmente con Putin.

Sebbene non siano circostanziate, le basi negoziali suggerite dal magnate sudafricano non sono affatto campate in aria e riflettono il punto di vista di alcuni settori dell'élite dominante in disaccordo con la Casa Bianca.5

Da quelle di Musk si differenziano in parte le sei linee negoziali tratteggiate da un gruppo “trasversale” di intellettuali italiani. Il loro appello6 parte dalla contestazione dell'idea che solo una «resa dei conti» nucleare possa far nascere un nuovo e stabile ordine mondiale, giacché «nessuna guerra può imporre un ordine sotto le cui macerie non restino il pianeta, i popoli, l'umanità tutta.»

«Divampato con l'aggressione russa al di là delle gravissime tensioni nel Donbass», il conflitto «non può avere la vittoria tutta da una parte e la sconfitta tutta dall'altra.»

I governi responsabili dovrebbero muoversi su queste basi: 1) neutralità dell'Ucraina che entra nella Ue, ma non nella Nato; 2) riconoscimento della Crimea alla Federazione Russa; «3) autonomia delle regioni russofone di Lugansk e Donetsk entro l'Ucraina secondo i Trattati di Minsk, con reali garanzie europee o, in alternativa, referendum popolari sotto la supervisione dell'Onu; 4) definizione dello status amministrativo degli altri territori contesi del Donbass per gestire il melting pot russo-ucraino che nella storia di quelle regioni si è dato ed eventualmente con la creazione di un ente paritario russo-ucraino che gestisca le ricchezze minerarie di quelle zone nel loro reciproco interesse; 5) simmetrica de-escalation delle sanzioni europee e internazionali e dell'impegno militare russo nella regione; 6) piano di ricostruzione internazionale dell'Ucraina.»

Opzioni per Mosca

Entrambe le proposte partono da due punti generalmente accettati nel “dibattito realistico”: la neutralità dell'Ucraina ed il riconoscimento della Crimea alla Russia.

Non sto qui a ricordare appartenenze storiche di territori e popolazioni, corredate da impegni internazionali non rispettati. Né quale significato abbia il conflitto ucraino nello scontro mondiale.

Trovo singolare che la proposta negoziale dell'appello abbia sentito il bisogno di pronunciarsi, preliminarmente, su chi è l'aggredito e chi l'aggressore, quasi temesse di apparire, in sua mancanza, troppo “neutrale”.

Segnalo altresì che l'allargamento dell'alleanza militare atlantica verso Est e l'annunciata adesione dell'Ucraina (prestabilita in Costituzione) a completare l'accerchiamento della Russia, insieme al sabotaggio degli accordi di Minsk – tramite la negazione dei diritti linguistici e culturali dei russofoni e l'aggressione alle popolazioni russofone del Donbass -, rendono insostenibile la tesi della “aggressione russa”.

Ci si dovrebbe interrogare su quali erano le possibili opzioni per Mosca.

Si può rimproverare alla dirigenza russa di non aver saputo agire politicamente, in modo tempestivo e con altri mezzi non bellici, per contrastare il colpo di Stato detto di Euromaidan - orchestrato nel 2014 dal plenipotenziario statunitense Victoria Nuland - e la deriva successiva.

Si può persino imputare al Cremlino di non aver saputo in tale azione politica contemplare e sollecitare il possibile appoggio del pacifismo internazionale7 per costringere i governi occidentali a dare esecuzione effettiva agli accordi di Minsk, arrestando l'escalation ai primi scalini. Tuttavia, non è accettabile porre a fondamento del proprio ragionamento sulle attuali basi negoziali, la elusione delle condizioni reali in cui la dirigenza russa si è trovata a decidere come reagire alle mosse ostili.

Al netto delle proprie incapacità o inadempienze, le restavano tre opzioni:

  1. dare avvio ad una limitata operazione bellica, come ha fatto non senza incertezze, con una invasione condizionata dalle “mani legate dietro la schiena”;

  2. condurre una operazione bellica tipo Desert Storm, come volevano alcuni settori estremisti;

  3. attendere passivamente il momento in cui la minaccia esterna di una forza sovrastante (tale è la potenza del binomio Usa-Nato) si fosse concretizzata sino a mettere a rischio la stessa esistenza della Federazione Russa.

Sicché dobbiamo constatare che, oggettivamente, la prima lascia almeno il tempo per non precipitare nella terza. Ossia il tempo per una effettiva de-escalation dal rischio di una guerra nucleare.

Minsk: un ritorno assai problematico

Al punto a cui siamo, il ritorno seppur parziale agli accordi di Minsk (punto 4 dell'appello) appare piuttosto impraticabile.

Quattro oblasti sono stati inglobati formalmente nella Federazione Russa. Difficilmente quest'ultima potrebbe accettare la ripetizione dei referendum, sotto l'egida dell'Onu, unicamente nel Lugansk e nel Donetsk (punto 3), escludendo quelli di Cherson e Zaporižžja. Inoltre, il rispetto del voto - si suppone valido a sé per ciascuna di queste regioni – dovrebbe comportare l'eventuale ritiro tanto dei russi quanto degli ucraini, che hanno riguadagnato il controllo di una parte di quei territori.

D'altro canto, il fallimento degli accordi di Minsk è dipeso in buona parte dalla rinuncia dei governi di Germania e Francia a svolgervi il ruolo di garanti, assunto insieme alla OSCE. Un ruolo che la soverchiante strategia Usa-Nato ha di fatto annullato e di cui non si vede volontà di ripristino.

Quanto al punto 5), la de-escalation per essere simmetrica deve investire sia le sanzioni, sia l'impegno militare di tutte le parti implicate nella guerra, non solo di quella russa.

Il rifornimento idrico della Crimea (proposta Musk), la gestione compartecipata delle risorse minerarie del Donbass e la ricostruzione (punti 4 e 6 dell'appello) dipendono dal modo in cui il negoziato risolverà il contenzioso politico territoriale.

Implicazioni

È in questione il diritto di autodeterminazione dei popoli e della esclusione di interferenze egemoniche imperialiste.

Qualora un popolo non veda rispettato il diritto alla propria lingua, cultura e rappresentanza politica da parte dello Stato nel quale vive in minoranza, l'autodeterminazione può spingersi sino al punto di di separare un territorio ed aderire ad un altro Stato, e farne parte, oppure costituirsi in Stato indipendente?

Gli Stati Uniti hanno stabilito che questo diritto andava esercitato dal Kosovo separandolo dalla Serbia, previo bombardamento di Belgrado, mentre si oppone, armando l'Ucraina da anni, acché il medesimo diritto sia esercitato dai russi di Crimea e del Donbass. E qui prescindo sia dal misurare l'effettivo livello d'oppressione e di discriminazione esistente nei due casi, sia dall'analizzare l'incontestabile uso in entrambi i casi di milizie e battaglioni fascisti per terrorizzare i civili.

Il caso di Taiwan è di altra natura. Non attiene alla convivenza etnica, linguistica e religiosa: la contesa è solo di ordine politico, benché non siano mancati i tentativi di connotare la sua popolazione come una nazione altra da quella cinese.

Nonostante ciò sia chiaro, la Cina rimane assai prudente sul tema del separatismo e all'Onu si è astenuta sulla mozione di condanna dei referendum di adesione alla Russia degli oblasti del Donbass. Lo stesso Elon Musk ha sentito il bisogno di raccomandare il riconoscimento di Taiwan come provincia della Cina, secondo il modello della “doppia amministrazione” di Hong Kong.8

Un altro caso è costituito dalla Palestina. Poiché la soluzione dei “due Stati” si è rilevata impraticabile, per porre fine al conflitto non rimane che la creazione di uno Stato plurinazionale e plurireligioso, politicamente laico, sorgente dall'inclusione in un unico Stato israelo-palestinese dei territori palestinesi di fatto sotto pluriennale occupazione.

In ogni caso, la condivisione territoriale tra etnie e religioni, la pari dignità politica istituzionale, linguistica e culturale possono essere affermate solo sconfiggendo il nazionalismo para-fascista, spesso eterodiretto. Altrimenti prevale la guerra civile, la disgregazione interna e la feroce pratica della pulizia etnica. Come è avvenuto nella ex-Jugoslavia.

Cosa osta

In realtà l'apertura del negoziato e la definizione delle sue linee guida dipende dalla volontà politica degli Stati Uniti. Zelensky non dispone di alcuna autonomia.

Cosa potrebbe indurre Washington a fermarsi, rinunciando all'escalation ed in quale momento?

In larga parte, ma non tutti gli obiettivi strategici della Casa Bianca sono falliti.

È fallito il tentativo di destabilizzare Putin per insediare un nuovo Eltsin e mettere le mani sulle enormi ricchezze di suolo e sottosuolo russe.

È fallito il tentativo di neutralizzare la Russia per privare la Cina di ogni “entroterra strategico” - ritenuta il bersaglio principale - e meglio colpirla, anche grazie alla decisione di un settore dell'establishment di riattizzare il contenzioso su Taiwan. Il Pentagono sa bene di non poter reggere una confrontation simultanea sui due fronti dell'Atlantico e del Pacifico.

Cina e Russia hanno rinsaldato, con gli incontri allargati di Pechino e Samarcanda, il loro sistema di legami e di cooperazione internazionale con gli altri emergenti ed i Paesi in via di sviluppo. Traballa l'egemonia del dollaro. Il G7 non rappresenta la “comunità internazionale”, come ancora pretendono i nostri prevalenti media.

Scricchiola persino la fedeltà delle monarchie petrolifere, mentre la Turchia, Paese della Nato, agisce in crescente autonomia geo-politica per i propri interessi nazionali.

Analogamente si comporta la piccola Ungheria.

Appare chiaro, per bocca del Fmi, che l'economia russa non risente delle sanzioni se non in misura secondaria, essendosi rivolta ad Oriente, in virtù della propria posizione geografica euro-asiatica.

Intanto l'economia nord-americana attraversa una forte crisi interna, mentre il “cuore dell'Europa” (Germania, Italia e Francia) è sull'orlo di una recessione distruttiva.

In entrambi i casi l'inflazione da offerta non è rimediabile dalle misure delle banche centrali, volte invece a raffreddare la domanda.

La guerra va bene per la finanza guerrafondaia e per il sottostante apparato produttivo di armi, ma i conti generali economici e politici non tornano.

Rimane un solo obiettivo realizzabile, per stabilizzare il quale sono necessari ancora lunghi mesi di guerra: la piena subalternità dei maggiori Paesi manifatturieri d'Europa verso gli Stati Uniti, tramite la rottura dei rifornimenti dalla Russia e la dipendenza energetica da importazione di gas liquido nord-americano, da rigassificare a destino.

Washington non ha ancora preso pienamente atto degli obiettivi falliti e, comunque, vuole tener fermo l'unico rimasto alla portata. Pertanto la escalation bellica prosegue e con essa cresce il rischio di un conflitto nucleare.

Le base politica per aprire al più presto il negoziato, porre fine alla carneficina ucraina e segnare il tempo di una pace purtroppo solo temporanea e locale, dipenderà da due principali fattori.

Il primo, interno al potere statunitense, che non è compatto e vede la presidenza Biden in difficoltà presentarsi alle prossime elezioni di Midterm.

Il secondo, dal rifiuto dei popoli e dai Paesi europei di pagare lo scotto della crisi e della subalternità a quanto rimane della strategia Nato-Usa.

Nel migliore dei casi, il parto di un nuovo ordine mondiale multipolare sarà ancora lungo e doloroso. Per non soffrire inutilmente va accompagnato ed accelerato.

1 Acli, Arci, Cgil, comunità di Sant'Egidio, Pax Christi, Una tavola per la pace e molti altri.

2 Antonio Baldassarre, Pietrangelo Buttafuoco, Massimo Cacciari, Franco Cardini, Agostino Carrino, Francesca Izzo, Mauro Magatti, Eugenio Mazzarella, Giuseppe Vacca, Marcello Veneziani, Stefano Zamagni.

3 “Pagherò ancora satelliti Starlink”, il Fatto Quotidiano, 16 ottobre 2022.

4 https://www.farodiroma.it/elon-musk-presenta-un-piano-di-pace-russia-ucraina-una-proposta-molto-intelligente-equilibrata-e-concreta/

5 https://www.newsweek.com/us-needs-change-course-right-now-ukraine-opinion-1749740?fbclid=IwAR1oPYrY9umQPzCwtubzWcGxY7qZgJJWupQCPvFS2VzDv62MnGXwWCXX_nI

7 Nel secondo dopoguerra, sotto la minaccia dell'unica potenza detentrice della bomba atomica, in una situazione politica piuttosto diversa, l'Urss si appoggiò al pacifismo internazionale per scongiurare la guerra.

8 https://www.corriere.it/esteri/22_ottobre_10/elon-musk-taiwan-a28bc7a8-4884-11ed-9137-2a999573b4c6.shtml