Parole burka
Velo integrale sui significati. Stato sedicente e Stato eterodiretto nella guerra dei nomi. La “strana” guerra non guerra al terrorismo.
- Isis o Daesh? Il termine ufficiale ministeriale per definire il Califfato di Al-Baghdadi è Daesh.
- Per Marco Travaglio è uno “Stato abusivo”, come se occupasse un luogo non assegnato (da chi?).
- Considerato da quasi tutti una “base terroristica rivolta contro di noi”, al momento ubicata tra Siria e Iraq, nel linguaggio mass-mediale prevalente è sempre e comunque: “l'autoproclamato Stato Islamico” o “sedicente” tale.
- L'Isis è uno Stato? Dalle risposte al quesito discendono diverse prospettive.
Nomi
In
risposta all'interrogativo iniziale, sulla Stampa1
di Torino è comparsa una dotta dissertazione:
«Come
Isis, anche Daesh è un acronimo: significa al-Dawla
al-Islāmiyya fī ʿIrāq wa l-Shām,
cioè “Stato Islamico dell’Iraq e del Levante”, o “della
Grande Siria”. Apparentemente il significato è lo stesso ma
l’accezione attribuita a Daesh (o Dāʿish,
per essere precisi) è spesso dispregiativa, perché somiglia a un
altro termine arabo che significa “portatore di discordia”.
Secondo il The
Guardian,
addirittura, la Francia avrebbe preferito il termine Daesh perché
simile al francese dèche,
cioè “rompere”. Che il termine sia disprezzato dai seguaci di
Abu Bakr al-Baghdadi è confermato anche dalle testimonianze di chi
racconta di punizioni corporali per chi utilizza pubblicamente il
nome Daesh.»
A
proposito, da noi la parola ha assonanza con un detersivo per
lavatrici...
Riferirsi
all'Isis con un termine spregiativo (Daesh) fa parte dell'usuale
linguaggio bellico.
Ma
siamo in guerra?
Stato
di guerra
Davvero
“strana” questa guerra non-guerra al terrorismo. Sulla quale, a
partire da come considerare la definizione che dà di sé il
Califfato (Isis) si scatenano le più aspre dispute.
Meno
“strane”, invece, paiono le posizioni di alcuni giornalisti della
stampa internazionale, se poste a confronto con quelle dei propri
governi nazionali.
«Non
siamo in guerra, perché lo “Stato Islamico” è un gruppo
piratesco-predatorio che non ha nulla a che vedere con uno Stato.»
Il ragionamento è stringente: se l'Isis non è uno Stato,
bensì un “gruppo piratesco-predatorio” non possiamo essere in
guerra, giacché la guerra è prerogativa tra gli Stati; abbiamo
soprattutto un problema interno di miseria e banlieue. Angela
Merkel approverebbe queste affermazioni del connazionale Udo Gumpel2,
il che non preclude alla Germania la partecipazione ai bombardamenti.
«Formalmente
non siamo in guerra, perché in Francia è il Parlamento che la
dichiara, ma di fatto, in un certo senso, sì.»
Non dovremmo..., eppure “in un certo senso” lo siamo. Lo
saremmo “in senso compiuto” se l'Europa ci stesse a farla, come
propose inascoltato Hollande, e sulla cui scia si mette Eric Jozsef3.
Rula
Jebreal4,
molto accreditata negli States
ed in Italia, parte dalla premessa che la guerra: «esportata
in Medio Oriente dall'Occidente torna indietro.» Come non essere
d'accordo? Tuttavia, tra le future accettabili “esportazioni”
sembrano rientrare eventuali nuovi interventi militari, quando
l'Occidente si dotasse però di «piani di medio e lungo termine».
Inoltre:
«Bisogna convincere Turchia, Arabia Saudita e Iran, paesi che ora
hanno altre priorità, che combattere contro l'Isis viene prima di
ogni altra cosa. Poi serve un piano politico per dare un'alternativa
alla Siria. Ma questa alternativa non deve essere rappresentata da un
dittatore.»
Rula Jebreal |
“Altre
priorità”? Un elegante modo per dire che l'Isis serve agli uni
perché la priorità consiste nel combattere gli altri. In sintesi
Jebreal vorrebbe prendere due piccioni (Isis e Bashar al-Assad) con
una fava (il piano politico di pace) mantenendo ferma la priorità
sovrastante di contenere la Russia e la Mezzaluna sciita tramite
forze locali alleate, disposte, eventualmente, alla guerra per
procura. Esattamente quanto si propone Barack Obama, al quale si
accoda il governo Renzi. Quest'ultimo non intende rincorrere i
“bombardamenti altrui” (soprattutto dei partners
europei), ma con spirito idro-umanitario proteggere gli appalti
“nostri”5
vicino a Mosul (la Folgore a guardia della diga omonima) e gli affari
dell'Eni in Libia in rivalità-concorrenza con Francia ed
Inghilterra, per petrolio e gas. Anch'esso, a suo modo, vuole
esserci.
Realismo
italiano
L'ex
ex capo di Stato maggiore del Comando Nato per il Sud Europa,
generale Fabio Dini, sostiene
che poiché l'Isis «non
amministra un territorio e controlla soltanto tre tratti del corso
dell'Eufrate, del Tigri e della bretella che li collega da Mosul e
Raqqa. (...) Dal punto di vista politico e strategico non è nulla
senza gli stati e i privati che lo appoggiano e lo foraggiano di
soldi ed armi.»6
Diga di Mosul |
Sicché
basterebbe fare effettivamente quel-che-si-dice-di-voler-fare che il
capitolo Isis sarebbe chiuso? La cosa non è così semplice.
Secondo
il generale dovremmo prima riconoscere lo Stato Islamico perché
«Quello che noi chiamiamo “sedicente Califfato” è in realtà
uno Stato con un governo, un territorio, una popolazione.» (…)
«Venendo
al sodo che cosa bisognerebbe trattare col Califfato? Al Baghdadi che
di fatto controlla l'intero mondo jihadista dovrebbe impegnarsi a non
uscire dall'area di sua competenza e quindi stoppare ogni attentato
terroristico in Europa, negli Usa e altrove. Se non lo facesse gli si
potrebbe formalmente dichiarare guerra come si faceva ai vecchi e più
onesti tempi. Mandando però le truppe sul terreno e non in questa
vile guerra di macchine contro uomini che non fa che aumentare le
simpatie per lo jihadismo.»7
Sorgerebbero,
in questo caso, due fastidiose domande: qual è l'”area di
competenza” del transnazionale Califfato? Che fare dopo avergli
vittoriosamente mosso un'onesta e coraggiosa guerra?
Dall'impelagarsi
in Medio Oriente occorre tenersi lontani. Tanto più che l'Isis non è
uno Stato, ma una “banda armata” e, tuttalpiù, si può
riconoscerla come tale.
A
pensarla in questo modo è Massimo Fini8:
«I requisiti giuridici e materiali di uno Stato sono essenzialmente
5: avere un popolo, un governo riconosciuto dal popolo, un territorio
sul quale esercita i poteri statali e tutela i diritti e i doveri
della popolazione, un corpo di leggi e la capacità di interagire con
gli altri Stati. (…) Il cosiddetto Stato
islamico non ha alcuna idea costruttiva, neppure islamica, (…) ed è
in mano a un piccolo gruppo di senzadio. (...) anche se è sostenuto
da alcuni stati islamici, è solo il burattino nelle mani di
burattinai rivolti ai propri interessi personali o di casta. Il solo
riconoscimento possibile oggi è quello di “banda armata”. Ed è
già tanto.»
La
linea di non-intervento, seppur condivisibile, mi pare qui basata su
labili motivazioni che appartengono più all'idea morale dello Stato,
per come dovrebbe essere, piuttosto che allo Stato qual è in realtà.
Inoltre, si pone al di fuori delle contraddizioni che generano la
concreta contesa tra gli Stati reali, sia locali sia dei loro
capofila mondiali. E l'Italia non è fuori da tale contesa, pur non
giocando un ruolo di primo piano.
Pirati
e predoni
Tra le
parole emerge l'idea che, etichettando l'Isis come “un gruppo
piratesco-predatorio” o “una banda armata”, ciò basti: “nulla
a che vedere con uno Stato?”
Se
un'entità politica, disponendo della coazione della forza armata,
governa un territorio e una residente popolazione con leggi proprie,
fiscalità e casse pubbliche, battendo moneta, esercita de facto
la sovranità tipica di uno Stato. Potrà essere provvisorio (nei
confini) e in via di consolidamento (nelle strutture) e alquanto
instabile (politicamente), ma di fatto è uno Stato.
Quanto
al consenso popolare, molti analisti sostengono che la popolazione
sunnita preferisca il Califfato (sunnita) alle scorribande delle
milizie sciite di varia provenienza...
D'altro
canto a quali altri canonici requisiti deve rispondere per assurgere
alla superiore dignità di uno Stato? E, soprattutto, c'è una
superiore dignità nell'essere Stato?
La
Germania nazista9,
a detta di certi commentatori e storici, fu governata da un pazzo
(Hitler). Si pose a capo di una potente struttura industrial-militare
capitalistica, nel cuore della civiltà europea ed occidentale, forse
meno piratesca dell'Isis, certamente assai più predatoria. Di sicuro
meglio organizzata, moderna e scientifica nell'esercizio sistematico
della dittatura terroristica, dell'aggressione e dello sterminio di
massa. Tuttavia, tra i sostenitori della pazzia del Führer
(alla
quale dovremmo aggiungere l'impazzimento dell'intera
élite
dirigente nazionale), al pari di coloro che non condividono questa
comoda versione della storia, nessuno ha mai avanzato la stupida idea
che la Germania del Terzo Reich non fosse uno Stato.
Non è
al suo carattere predatorio, né alle condizioni psichiche del
leader, né al livello della potenza che possiamo fare
riferimento. Tantomeno alla qualità della sua cultura, giacché
l'ideologia della superiorità della razza bianca ariana fa il paio
con quella della legge islamica fondamentalista e passatista portata
dalla Jihad, in nome della quale tutto è moralmente consentito.
Per
esempio: a Sinjar, nel nord iracheno, assassinare gli yazidi
e
schiavizzarne le donne, o fare strage di inerme popolazione sciita in
un mercato di Beirut.
Per
esempio: vestire di arancione10
i propri prigionieri “infedeli” e diffondere al mondo i filmati
del loro crudele sgozzamento.
Creazioni
Il
costituirsi di un nuovo Stato non può che essere una
auto-proclamazione (dirsi Stato, da cui sedicente) a cui possono, o
meno, corrispondere, immediatamente o successivamente, riconoscimenti
da parte di altri Stati con l'apertura delle relazioni diplomatiche.
A quest'ultimo fine ufficiale e formale non manca il già esistente
presupposto della “interazione con gli altri Stati”, di cui parla
Fini (e nemmeno l'”esercizio dell'autorità statale”).
Sostiene
Romano Prodi11:
«La
metà di quella ricchezza [ndr dell'Isis] arriva dal petrolio, il
resto da estorsioni, traffico di esseri umani e dall'esercizio
dell'autorità statale. Poi ci sono i finanziamenti che passano per
fondazioni dei paesi dell'area del Golfo Persico.»
Senza
l'”interazione” con la Turchia ed i reami dal Golfo non sarebbe
possibile né il business del petrolio e delle opere d'arte,
solo in parte distrutte per l'uso terroristico “culturale”, né
il flusso finanziario garantito dalle estorsioni da rapimenti (pagate
dai governi) e, soprattutto, dai fondi privati. I traffici sono tanto
noti da indurre, a metà dicembre, il Consiglio di Sicurezza dell'Onu
ad una risoluzione esplicitamente contraria a questo genere di
sostegni.
All'opposto
della auto-proclamazione abbiamo una etero-proclamazione, determinata
da poteri esterni, tipica del periodo coloniale dei protettorati, che
rimandava l'esercizio della sovranità di uno Stato alla potenza
europea protettrice.
Oggi,
nella ovvietà del linguaggio mediatico si nasconde un
retro-pensiero, diciamo “di contesto”: ogni dichiarazione
d'indipendenza e sovranità è nulla senza il previo consenso della
Comunità internazionale, ovvero degli Stati che se ne sentono
interpreti e depositari, potendo agire in suo nome. Stati Uniti in
primo luogo.
Nel
periodo della lunga Guerra Mondiale in due atti quel “contesto”
era messo in discussione dall'interno dell'Occidente
industrializzato, delle potenze coloniali ed imperialiste in lotta
tra loro, e da parte di una sua componente: lo Stato tedesco. Non
poteva certo venire etichettato “sedicente” o “auto-proclamato”
e, ancor meno, come “etero-proclamato”.
Fabio Mini |
Di
mezzo ci sono l'Arabia saudita, gli Emirati arabi, la Turchia ed
appare per lo meno ipocrita condannare la loro creatura senza
chiamare a risponderne e suoi creatori, i quali non possono aver
agito all'insaputa dei loro più potenti patrocinanti. Non è una
questione di poco conto: è stata costruita una specie di “catena
di Sant'Antonio” del terrore che ora ci esplode addosso, come già
successe con le Torri Gemelle.
Stallo
operativo
Assodato
che i bombardamenti servono più all'esserci (nei cosiddetti “futuri
equilibri”) che ad una efficace operazione di eliminazione
dell'Isis, rimane da comprendere cosa si vada preparando e se le
soluzioni oggetto dell'intensa attività politico-diplomatica in
corso siano davvero tali.
Nell'intervista
citata il professor Prodi constata: «Quando
si sbaglia la prima volta, penso alla guerra tra l'Iraq e l'Iran, si
continua a sbagliare, errore dopo errore, fino alle guerre a Saddam e
a Gheddafi. Tutti contro tutti. (...)»
Romano Prodi |
Ma
cos'è errore degli “amici che sbagliano” e cosa, invece, c'è di
sistematicamente sbagliato, per cui si finisce sempre ed
inevitabilmente per aggiungere “errore dopo errore”?
Il
piano di John Kerry e degli Stati Uniti prevede di ridisegnare, con
un accordo tra tutte le parti coinvolte, la futura Siria. Essa
dovrebbe restare un Paese unico, laico e con uno Stato che protegga
le minoranze. Similmente si vorrebbe sistemare il caos libico.
Di
pari passo con la discussione che, a quanto pare, entrerà nel vivo a
gennaio, fervono i preparativi strategici sul terreno e per
interposti governi, essendo risaputa la ritrosia delle principali
potenze a mettere “gli scarponi al suolo”.
Da
un lato c'è la Mezzaluna crescente sciita, appoggiata dalla Russia,
e dall'altra la Coalizione sunnita messa in piedi da Arabia Saudita e
Turchia, appoggiata dagli Usa e dai partners europei.
Per
capire la “strana” guerra bisogna riandare alla storia di come
furono fissati i confini degli Stati dalle potenze coloniali, di
quali ostacoli abbiano più tardi impedito l'unità araba e, alla
radice, al ruolo negato di quest'area nella vita mondiale.
Importa,
da subito, mettere in evidenza la contraddizione: per porre fine alla
catena degli errori, evocati da Prodi, si vorrebbe che (non mettendo
piede a terra) ad estirpare il “cancro dell'Isis” siano coloro
stessi che l'hanno generato la metastasi. Per di più, secondo un
preordinato piano di riassetto-spartizione che salvi, da un lato,
minoranze, libertà di confessione religiosa, laicità ed unità
degli Stati, consentendo, dall'altro lato, una “stabilizzazione”
della regione in conformità con fin troppo (e fin troppi) palesi
interessi esterni, sovrapposti ai popoli direttamente coinvolti e
vittime delle guerre.
Senz'altro
le sottostanti e sovrastanti “priorità” romperanno il guscio dei
bei rivestimenti di cui vorrebbero ammantarsi questi interessi.
Passatismo
Per
quanto instabile l'Isis è sì uno Stato, ma etero-determinato, un
nuovo tipo di protettorato occulto, privo di protettori dichiarati.
Esso
usa sistematicamente il terrorismo stragista sia per condurre la
guerra di supremazia nell'area, sia come ricatto destabilizzante
verso gli Stati capofila mondiali (che vorrebbero “mollarlo” dopo
averlo usato per i propri obiettivi). Nelle città d'Occidente manda
a morire giovani delle banlieue disillusi e spesso emarginati,
reclutati da un richiamo identitario che riveste le loro radici
culturali, etniche e religiose, di una narrazione storica tanto
fantasiosa quanto esaltante e glorificante nella “purificazione”.
Non
riuscirà a dare voce unitaria ad una rinnovata potenza
mediorientale, a base araba, che, nel sogno di un resuscitato
passato, si contrapponga alla “corrotta civiltà occidentale”.
Per auto-intestarsi lo “scontro di civiltà” il Califfato divide
innanzitutto i popoli che dice di voler rappresentare, compattando
sotto la guida dei loro governi quelli che combatte come fossero un
unico mondo “di crociati”. Sicché ne discende un'infinita guerra
intestina tra confessioni, etnie, bande armate fondamentaliste in un
crescente isolamento verso l'opinione pubblica internazionale. Ciò
consente al dominio occidentale di continuare il doppio gioco:
sponsorizzarlo, usarlo e al tempo stesso, al momento ritenuto
opportuno disfarsene (ma non del tutto). Come fece con al-Qaeda.
Tuttavia,
checché se ne dica, il Califfato e gli altri movimenti jihadisti
cercano di incanalare bisogni ed aspirazione reali. Traggono alimento
dalla frustrazione e dal risentimento verso l'oppressione e lo
sfruttamento di un'intera area del mondo.
Auto-determinazione
Nel
periodo di decolonizzazione e di liberazione, successivo alla fine
del lungo conflitto mondiale, assunse particolare rilevanza il
principio di auto-determinazione nazionale dei popoli associato alla
non-ingerenza nei loro affari interni. Successivamente, in nome
dell'assoluto diritto all'”ingerenza umanitaria” o alla
superiorità di una democrazia da “esportare”, questi principi
sono stati dati per “superati”.
È
assai difficile credere che si possa ottenere una pace stabile “anche
per noi”, senza ridare forza e pratico vigore a questi due
associati principi.
Il
mondo è sottosopra e reclama relazioni internazionali multipolari,
dalle quali non può più essere esclusa questa area del pianeta,
alla ricerca di una propria autonoma voce. Nonostante il passatismo
essa (i suoi popoli) troverà modo di esprimersi.
Per
parte mia, qui ho inteso solo sollevare la primaria esigenza di
liberare i significati dal linguaggio delle parole burka.
Nella
piena consapevolezza che pretendere di proibire “laicamente”
qualsiasi velo, più o meno integrale, alle donne di un'altra
cultura, è anch'esso un atto di negazione del diritto di
auto-determinarsi, arrogante ingerenza nel modo in cui esse vogliono
e vorranno vivere la propria identità.
1http://www.lastampa.it/2015/11/16/esteri/dobbiamo-chiamarlo-stato-islamico-isis-o-daesh-0iPgbppHrzgdRKXJjWYX6M/pagina.html
2
Udo Gumpel, tedesco,
corrispondente
Ntv-Rtl, “La miseria nelle banlieue è il nemico. A Berlino 500
salafiti”, il Fatto Quotidiano,19/11/2015.
3
Eric
Jozsef,
francese, corrispondente di Libération, “C'è molta rabbia, ma
non decide Hollande: è un conflitto europeo”, il Fatto
Quotidiano,19/11/2015.
4
Rula Jebreal,
giornalista e scrittrice palestinese naturalizzata italiana,
“Isolare i profughi è un regalo ai jihadisti: serve piano
politico”, il Fatto Quotidiano,19/11/2015.
5
Della ditta Trevi di Cesena, impiegando come vigilantes forze armate
nazionali a protezione di imprese private. Un uso che richiama la
vicenda indiana dei due marò.
6
Fabio
Mini, “La nuova guerra simmetrica che l'Isis non può vincere”,
il Fatto Quotidiano, 22/11/2015.
7
Fabio
Mini, “Non è questione di Stato, ma di soldati sul terreno”, il
Fatto Quotidiano, 17/12/2015.
8
Massimo Fini,
“Riconoscere l'Isis? Sì, ma come banda armata”, il Fatto
Quotidiano, 17/12/2015.
9
Il paragone non è improprio se, con Domenico Quirico, si vede nel
terrorismo jihadista del Califfo una nuova forma di nazismo.
10
È il colore delle tute dei detenuti a Guantanamo, nel limbo di una
“legalità extraterritoriale” perciò passibili di legali
torture.
11
Intervista di Giampiero Calapà, “Volevo pacificare la Libia, mi
dissero no e ora c'è l'Isis”, il Fatto Quotidiano, 1/12/2015.