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Ucraina: la
crisi ristagna, si acuisce, incombe sull'Europa. Una smentita, la
seconda (dopo quella della ex-Jugoslavia) dalla caduta del Muro di
Berlino, dell'assunto che l'Europa sia portatrice di pace. Le
contraddizioni irrisolte, l'accordo Minsk 2 e la non-pace che può
diventare guerra aperta.la crisi ristagna, si acuisce, incombe sull'Europa. Una smentita, la
seconda (dopo quella della ex-Jugoslavia) dalla caduta del Muro di
Berlino, dell'assunto che l'Europa sia portatrice di pace. Le
contraddizioni irrisolte, l'accordo Minsk 2 e la non-pace che può
diventare guerra aperta.
Fonte: Limes, aprile 2014
1°
settembre 2015: «Si
aggrava il bilancio degli scontri scoppiati ieri a Kiev, fra le forze dell'ordine e militanti di estrema destra, di fronte al Parlamento dopo l'adozione di una riforma che conferisce
maggiore autonomia alle regioni separatiste dell'est del paese.»
La
stessa fonte aggiungeva: «La
coalizione di governo in Ucraina traballa».
Un
governo che non sembra in grado di adempiere agli obblighi assunti
(in primo luogo la riforma delle autonomie), in applicazione degli
accordi di Minsk 2, per avviare a soluzione pacifica il conflitto con
i separatisti del Donbass (regioni di Doneck e Lugansk).
Alle
prese con altri grandi problemi immediati, l'Europa sembra non
accorgersi che il “conflitto congelato” possa di nuovo
precipitare nello scontro aperto.
Opposti
nazionalismi
Dopo
la caduta del Muro di Berlino avemmo la prima guerra europea (in
Europa e d'Europa) nella disgregazione della Jugoslavia. Divampò
dalla Slovenia, nel 1991, allargandosi alla Croazia e alla
Bosnia-Erzegovina, sfociando infine, nel 1999, nella separazione del
Kosovo
dalla Serbia.
A
distanza di tre lustri, nel 2014 è iniziata in Ucraina una seconda
guerra europea, per ora congelata in uno stato precario di “non
pace” dagli accordi di Minsk 2.
La
seconda guerra europea riproduce della prima alcuni aspetti di
continuità
e, al contempo, presenta importanti elementi di novità. In senso
peggiorativo, se le tendenze manifestatesi recentemente avranno
libero corso, giacché esse conducono direttamente ad una rinnovata
divisione continentale. Infatti, negli anni che seguirono la caduta
del Muro, non era ancora chiaro quale rapporto sarebbe maturato tra
l'Europa, la Nato, gli Stati Uniti e la Russia.
Ora
tutto lascia intendere che un nuovo muro venga a separare l'Europa
dalla Federazione Russa.
Mosca
ha interpretato le conseguenze delle manifestazioni di Maidan ed il
rovesciamento del presidente
eletto Viktor Janukovyč
non
come una rivoluzione, secondo la versione occidentale, ma come un
colpo di Stato. Ha reagito annettendosi la Crimea.
A
prescindere dagli antefatti storici,
si violò per la seconda volta, dalla fine dell'ultimo conflitto
mondiale, l'integrità territoriale degli Stati europei, come prima
era accaduto in Kosovo. A parti invertite anche le reciproche accuse.
Attualmente
si fronteggiano opposti nazionalismi. Da un lato le provincie di
Doneck e Lugansk nel
Donbass, di lingua a tradizione russa, si sono “autoproclamate”
repubbliche autonome, contando anche su milizie di “volontari” e
armamenti provenienti dalla Russia. Dall'altra, l'esercito ucraino di
coscritti, rafforzato da gruppi volontari nazionalisti e fascisti,
spesso formatisi nelle manifestazioni e negli scontri di Maidan. Alle
spalle degli schieramenti nazionalisti, Russia da un lato, Usa e Ue
dall'altro. Sempre più uno scontro per interposti interpreti, uno
scontro eterodiretto.
Se
questo è l'aspetto divenuto prevalente, va comunque ricordate le
cause interne all'origine del conflitto: dalle modalità in cui venne
realizzata la privatizzazione delle proprietà pubbliche
ex-socialiste, passate a ristretti gruppi oligarchici, al mancato
riconoscimento della molteplice identità linguistica ed etnica
(russa in particolare) e di corrispondenti autonomie locali, alle
laceranti discordie sul tema della storia e dell'identità nazionale
del Paese.
Scelte
strategiche
La
crisi attuale fu incubata dalla precedente rivoluzione arancione
(2004) e dal primo tentativo di far aderire il Paese alla Nato
(2008). Seguì la vittoria elettorale di Janukovyč,
alla vana ricerca di un equilibrio nei rapporti tra Russia ed Ue.
Sino
alle manifestazioni di Maidan (“Euromaidan”), incoraggiate da
Usa e Ue tramite visite di loro eminenti esponenti,
e nuove elezioni che portarono alla presidenza Petro Poroshenko,
già tra i
più stretti collaboratori del presidente arancione Juščenko.
Per
l'ex ministro francese Pierre Chevènement,
la scelta politica dell'Unione europea fa di abbandonare l'idea di
uno spazio di libera circolazione “da Lisbona a Vladivostock”,
quindi inclusiva di Russia e Ucraina. «Invece, Bruxelles ha messo
l'Ucraina di fronte al dilemma impossibile di scegliere tra l'Europa
e la Russia.»
All'idea
mainstream
di creare sempre nuovi spazi di “libera circolazione”, fino
all'utopia di un globo senza frontiere,
si oppongono molte e diverse critiche. La materia è controversa.
Tuttavia,
fatti anche recenti ci obbligano ad una immediata constatazione: nel
mentre si evocano sempre nuovi “spazi aperti”, “società
aperte” e quant'altro comporti la “libera circolazione degli
agenti economici”, succede che, fenomeno inatteso,
i nazionalismi nelle loro forme più deleterie prendano piede e
vengano eretti sempre nuovi muri. Come avviene nella crisi ucraina.
Rimandando
un indispensabile approfondimento sul tema delle frontiere, dei
profughi e delle migrazioni di massa, prendiamo atto della scelta
dell'Ue di condividere la strategia espansionistica della Nato verso
Oriente e di ribadire in modo assoluto la priorità del legame
euro-atlantico con gli Stati Uniti.
Ciò ha via via spinto (o, se preferite, fornito un comodo alibi) la
politica della Federazione Russa all'arroccamento, sino al recupero
del nazionalismo panrusso, per tutti i russi fuori dalle frontiere
della Grande Madre. Quasi un ritorno alla geopolitica degli inizi del
“secolo lungo XX”, in una Europa, però, con una Nato in più.
In
questo quadro la Germania ha mostrato, al di là delle speranze
francesi, di poter intendere la Ostpolitik
più come una spinta verso Est (Drang
nach Osten)
ad includere l'Ucraina nel proprio spazio d'egemonia economica,
piuttosto che come un partenariato con la Russia. D'altro canto,
l'impegno di Angela Merkel per giungere ad una soluzione pacifica,
può significare che la scelta non sia poi, al proprio interno, così
indolore; l'optimum
per
lei sarebbe l'acquisizione dell'Ucraina proseguendo a sviluppare gli
affari con la Russia. Una soluzione assai difficilmente conseguibile,
visto la escalation
di sanzioni, imposte da Washington in seguito all'accorpamento della
Crimea alla Russia, e l'allontanamento dal G8 di Putin, ridivenuto
così il vecchio G7.
A
suo tempo Dominique
de
Villepin, ex primo ministro francese, aveva ammonito contro la
tendenza nord-americana ad usare la Nato in funzione di una nuova
guerra fredda in Europa. Possiamo aggiungere che questa tendenza ha
avuto modo di concretizzarsi nel corso della crisi ucraina, senza
dovere per forza aderire alla tesi, affatto peregrina, che a questo
obiettivo si mirasse sin dall'iniziale appoggio dato, con relativa
copertura mediatica, alle manifestazioni pro-occidentali di Maidan.
Memorie
che dividono
Al
di là del protocollo d'intesa Minsk 2, sul piano politico fu
prevista una «sequenza ben definita: voto di una legge elettorale da
parte della Rada (il parlamento ucraino), elezioni locali nel
Donbass, riforma costituzionale, legge sul decentramento, nuove
elezioni e infine recupero da parte di Kiev del controllo della
frontiera con al Russia. Ma il 17 marzo scorso, la Rada ha adottato
un testo che sconvolge questa sequenza, imponendo prima di ogni altra
cosa il “ritiro delle truppe”. L'arenarsi della questione
politica per responsabilità del governo di Kiev ha di fatto
orientato il conflitto ucraino verso un “conflitto congelato”. La
rimozione delle sanzioni è ostaggio di un circolo vizioso.»
Prima
della bomba pluriomicida davanti al parlamento ucraino (Rada) del 31
agosto, a creare nuove tensioni sono intervenute le “leggi sulla
memoria” e l'equiparazione tra nazismo tedesco e socialismo
sovietico, proprio a ridosso del 70° anniversario della vittoria
dell'Urss nella guerra mondiale.
La
Rada ucraina ad aprile varò un pacchetto di leggi
volte a riscrivere il passato per escludere una intera parte della
società dalla partecipazione al presente politico. Una pulizia
storico-ideologica per produrne una etnica e politica.
Se
si identificano le radici della attuale Ucraina nel nazionalismo di
Stepan Bandera [vedi riquadro “Un eroe
europeo?”] non è possibile né una memoria condivisa, né
una riappacificazione. Non solo con i russofoni, giacché viene
coinvolta anche la memoria di polacchi ed ebrei. Non solo per
l'Ucraina ma per l'intera Europa.
Il
presidente arancione Viktor Juščenko nel 2010
proclamò Stepan Bandera eroe nazionale con un decreto annullato dal
suo successore Janukovyč.
Quest'ultimo fu destituito dalle
manifestazioni di Euromaidan, dalle quali Bandera fu riproposto come
simbolo dell'idea nazionale. Attualmente alle leggi sulle
autonomie, indispensabili per far avanzare il processo di pace, non a
caso si oppongono leaders della rivoluzione arancione come la
Timoschenko. Il tutto si tiene. E ripropone una spaccatura
incolmabile.
Un eroe europeo?
Stepan Bandera
1909 - Nacque il 1° gennaio in un villaggio della Galizia
nell'allora Austria-Ungheria, da genitori cattolici, madre
di rito bizantino e padre di rito uniate.
1931 - Nella Galizia divenuta polacca fu vice-direttore
delle Guide Regionali e Amministratore Delegato regionale.
1934 - É condannato a morte per aver organizzato con
altre undici persone l'omicidio del ministro degli Interni
polacco, sentenza poi commutata in ergastolo.
1939 – Dopo l'invasione tedesca della Polonia viene
scarcerato e si trasferisce a Cracovia sede del Governatorato Generale nazista.
1939/1941 – Organizza l'esercito dell'Organizzazione
dei Nazionalisti Ucraini per coadiuvare l'avanzata tedesca nell'Ucraina orientale ed assumere i poteri amministrativi locali nei territori occupati.
1941 – Il 30 giugno proclama lo Stato Ucraino Indipendente e dichiara la sua collaborazione con la Germania
per la liberazione dal giogo di Mosca e l'affermazione
del “nuovo ordine europeo” voluto dal nazismo. Dopo
pochi giorni, temendo che voglia rendere la nuova entità autonoma dalla Germania, viene arrestato e condotto a Berlino con l'obbligo di risiedervi.
1942 – È internato nel campo di concentramento di
Sachsenhausen, nella sezione dei detenuti politici.
1944 – Viene nuovamente rilasciato dai tedeschi nella
speranza di coinvolgere le popolazioni locali ucraine
contro l'avanzata dell'Armata Rossa. Stabilisce il suo
quartier generale a Berlino e guida attività di propaganda e sabotaggio
anche dietro le linee sovietiche. Colla-
bora con i nazisti fino alla fine della guerra.
1959 – Muore a Monaco di Baviera per avvelena-
mento. Tre anni dopo, il tribunale di Karlsruhe stabilì
che fu ucciso dai servizi segreti sovietici su ordine di
Krušcëv.
L'esercito di Bandera praticò la pulizia etnica in Galizia e Volinia, eliminando più di 60mila polacchi e collaborando allo sterminio degli ebrei, nonché alle più sanguinose imprese naziste contro la popolazione russa.
Definito “figura controversa”, Stepan Bandera incarnò un'idea del nazionalismo ucraino piuttosto definita:
quella di uno Stato ucraino su un territorio epurato dal-
le altre nazionalità. Non era affatto lontano dalle fonda-
mentali idee naziste, pur volendo affermare la propria
indipendenza, e quella dell'Ucraina, dalla Germania,
con la quale non esitò mai a collaborare contro i russi
e l'Unione Sovietica.
Sostenendo la rivoluzione arancione ed Euromaidan
che ne hanno fatto un eroe nazionale, all'Ue si pone
un quesito: Bandera è diventato anche un eroe europeo?
Espansione
ai limiti
La
reazione militare e diplomatica russa alla possibile inclusione
dell'Ucraina nella periferia della Ue e, tramite essa, nella Nato, ha
segnato un limite all'espansione euro-atlantica verso Oriente. Al
tempo stesso la situazione in cui versa tutta l'area mediterranea,
dalla Turchia al Medio Oriente alla Libia, drammaticamente segnata
dagli esodi di intere popolazioni dalle guerre e dalle devastazioni
innescate proprio dall'interventismo bellico occidentale,
traccia una divisione a Sud.
La
duplice pratica politica di far leva sui peggiori nazionalismi per
allargare la Nato e l'Europa dal Baltico al Mar Nero e al
Mediterraneo, investendo al contempo questi Paesi di massicce dosi di
liberismo socialmente disgregatore, ci ha condotto su una via
estremamente pericolosa. Soprattutto ora che l'espansione incontra i
suoi limiti.
Così
racchiuso il vecchio continente non potrà rimandare sine die
la soluzione delle sue interne dicotomie, tra centro e differenziate
periferie a degradare, accorpate e in via di accorpamento.
Nell'espansione i problemi, come i debiti, vengono rinviati; la fine
dell'espansione implica, se non una resa dei conti interni, nuove e
più avanzate strategie avversate dalle oligarchie politiche ed
economiche dominanti, perseveranti nelle vecchie pratiche.
È
risaputo che le condizioni economiche dell'Ucraina sono ben peggiori
di quelle della Grecia. Riporto una istantanea scattata nell'aprile
del 2015.
Ufficio centrale di statistica ucraino: reddito nazionale nel 2014 a
-6,8%, previsione 2015 a -12%; inflazione al 35% su base annua;
deficit di bilancio al 10,3%; riserve a 5 miliardi di dollari;
svalutazione della moneta pari al 70% annuale; tasso di sconto 30%;
fuga continua di capitali all'estero. Per Moody's il debito è
praticamente al default. Il sistema bancario ha in pancia fra un
terzo e la metà degli attivi non solvibili. Dall'inizio della guerra
sono fallite 40 banche.
Nella
politica di fare dell'Ucraina un territorio neutrale, libero da
alleanze militari, un ponte tra Europa e Russia, di frontiere
osmotiche, c'era non solo il mantenimento dell'unità del Paese,
bilingue e plurietnico, ma anche una possibile via di ripresa
economica e di tenuta sociale.
Senza
le regioni del Donbass, oggetto del contendere e attraversate dal
conflitto, l'Ucraina si priva di un indispensabile motore
industriale. Inoltre, è fortemente debitrice verso Mosca e
dipendente dalle sue forniture di gas.
Davvero
Bruxelles ha posto il Paese di fronte ad un “dilemma impossibile”.
Senza di esso gli opposti nazionalismi non avrebbero acquisito la
forza che ora mettono in campo per ricondurre la “non pace” in
Donbass sulla via dello scontro aperto. Con buona pace delle “anime
belle” anche di casa nostra,
l'ostinazione europea è diabolica. In ordine sparso Italia, Austria
e Germania (con il Vaticano di Papa Wojtila) con la politica dei
riconoscimenti delle patrie etniche riservarono il medesimo
trattamento alla crisi della Jugoslavia.
Gli
scontri di Kiev della fine di agosto annunciano la divisione
dell'Ucraina ed essa, salvo miracoli, non sarà frutto di una
concertata pacifica intesa che precluda il ricorso alle armi.
Chi
sparerà il primo colpo di cannone, a quel punto, avrà scarsa
importanza.