venerdì 18 settembre 2015

Nuove frontiere

Nuove frontiere

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Qual è la differenza?

La barriera tra Stati Uniti d'America e Messico (sopra) può venire considerata diversa da quella che separa l'Ungheria dalla Serbia (sotto), oggetto di così vasta e umanitaria riprovazione?

Quali sarebbero i comuni “valori della civiltà” così gelosamente custoditi?

Ucraina. La seconda guerra europea


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Ucraina: la crisi ristagna, si acuisce, incombe sull'Europa. Una smentita, la seconda (dopo quella della ex-Jugoslavia) dalla caduta del Muro di Berlino, dell'assunto che l'Europa sia portatrice di pace. Le contraddizioni irrisolte, l'accordo Minsk 2 e la non-pace che può diventare guerra aperta.la crisi ristagna, si acuisce, incombe sull'Europa. Una smentita, la seconda (dopo quella della ex-Jugoslavia) dalla caduta del Muro di Berlino, dell'assunto che l'Europa sia portatrice di pace. Le contraddizioni irrisolte, l'accordo Minsk 2 e la non-pace che può diventare guerra aperta.

 Fonte: Limes, aprile 2014

1° settembre 2015: «Si aggrava il bilancio degli scontri scoppiati ieri a Kiev, fra le forze dell'ordine e militanti di estrema destra, di fronte al Parlamento dopo l'adozione di una riforma che conferisce maggiore autonomia alle regioni separatiste dell'est del paese.»1
La stessa fonte aggiungeva: «La coalizione di governo in Ucraina traballa».
Un governo che non sembra in grado di adempiere agli obblighi assunti (in primo luogo la riforma delle autonomie), in applicazione degli accordi di Minsk 2, per avviare a soluzione pacifica il conflitto con i separatisti del Donbass (regioni di Doneck e Lugansk).
Alle prese con altri grandi problemi immediati, l'Europa sembra non accorgersi che il “conflitto congelato” possa di nuovo precipitare nello scontro aperto.
Opposti nazionalismi
Dopo la caduta del Muro di Berlino avemmo la prima guerra europea (in Europa e d'Europa) nella disgregazione della Jugoslavia. Divampò dalla Slovenia, nel 1991, allargandosi alla Croazia e alla Bosnia-Erzegovina, sfociando infine, nel 1999, nella separazione del Kosovo2 dalla Serbia.
A distanza di tre lustri, nel 2014 è iniziata in Ucraina una seconda guerra europea, per ora congelata in uno stato precario di “non pace” dagli accordi di Minsk 23.
La seconda guerra europea riproduce della prima alcuni aspetti di continuità4 e, al contempo, presenta importanti elementi di novità. In senso peggiorativo, se le tendenze manifestatesi recentemente avranno libero corso, giacché esse conducono direttamente ad una rinnovata divisione continentale. Infatti, negli anni che seguirono la caduta del Muro, non era ancora chiaro quale rapporto sarebbe maturato tra l'Europa, la Nato, gli Stati Uniti e la Russia.
Ora tutto lascia intendere che un nuovo muro venga a separare l'Europa dalla Federazione Russa.
Mosca ha interpretato le conseguenze delle manifestazioni di Maidan ed il rovesciamento del presidente eletto Viktor Janukovyč5 non come una rivoluzione, secondo la versione occidentale, ma come un colpo di Stato. Ha reagito annettendosi la Crimea.
A prescindere dagli antefatti storici6, si violò per la seconda volta, dalla fine dell'ultimo conflitto mondiale, l'integrità territoriale degli Stati europei, come prima era accaduto in Kosovo. A parti invertite anche le reciproche accuse.
Attualmente si fronteggiano opposti nazionalismi. Da un lato le provincie di Doneck e Lugansk nel Donbass, di lingua a tradizione russa, si sono “autoproclamate”7 repubbliche autonome, contando anche su milizie di “volontari” e armamenti provenienti dalla Russia. Dall'altra, l'esercito ucraino di coscritti, rafforzato da gruppi volontari nazionalisti e fascisti, spesso formatisi nelle manifestazioni e negli scontri di Maidan. Alle spalle degli schieramenti nazionalisti, Russia da un lato, Usa e Ue dall'altro. Sempre più uno scontro per interposti interpreti, uno scontro eterodiretto.
Se questo è l'aspetto divenuto prevalente, va comunque ricordate le cause interne all'origine del conflitto: dalle modalità in cui venne realizzata la privatizzazione delle proprietà pubbliche ex-socialiste, passate a ristretti gruppi oligarchici, al mancato riconoscimento della molteplice identità linguistica ed etnica (russa in particolare) e di corrispondenti autonomie locali, alle laceranti discordie sul tema della storia e dell'identità nazionale del Paese.
Scelte strategiche
La crisi attuale fu incubata dalla precedente rivoluzione arancione (2004) e dal primo tentativo di far aderire il Paese alla Nato (2008). Seguì la vittoria elettorale di Janukovyč, alla vana ricerca di un equilibrio nei rapporti tra Russia ed Ue.
Sino alle manifestazioni di Maidan (“Euromaidan”), incoraggiate da Usa e Ue tramite visite di loro eminenti esponenti8, e nuove elezioni che portarono alla presidenza Petro Poroshenko, già tra i più stretti collaboratori del presidente arancione Juščenko.
Per l'ex ministro francese Pierre Chevènement9, la scelta politica dell'Unione europea fa di abbandonare l'idea di uno spazio di libera circolazione “da Lisbona a Vladivostock”, quindi inclusiva di Russia e Ucraina. «Invece, Bruxelles ha messo l'Ucraina di fronte al dilemma impossibile di scegliere tra l'Europa e la Russia.»10
Pierre Chevènement

All'idea mainstream di creare sempre nuovi spazi di “libera circolazione”, fino all'utopia di un globo senza frontiere11, si oppongono molte e diverse critiche. La materia è controversa.
Tuttavia, fatti anche recenti ci obbligano ad una immediata constatazione: nel mentre si evocano sempre nuovi “spazi aperti”, “società aperte” e quant'altro comporti la “libera circolazione degli agenti economici”, succede che, fenomeno inatteso12, i nazionalismi nelle loro forme più deleterie prendano piede e vengano eretti sempre nuovi muri. Come avviene nella crisi ucraina.
Rimandando un indispensabile approfondimento sul tema delle frontiere, dei profughi e delle migrazioni di massa, prendiamo atto della scelta dell'Ue di condividere la strategia espansionistica della Nato verso Oriente e di ribadire in modo assoluto la priorità del legame euro-atlantico con gli Stati Uniti13. Ciò ha via via spinto (o, se preferite, fornito un comodo alibi) la politica della Federazione Russa all'arroccamento, sino al recupero del nazionalismo panrusso, per tutti i russi fuori dalle frontiere della Grande Madre. Quasi un ritorno alla geopolitica degli inizi del “secolo lungo XX”, in una Europa, però, con una Nato in più.
In questo quadro la Germania ha mostrato, al di là delle speranze francesi, di poter intendere la Ostpolitik più come una spinta verso Est (Drang nach Osten) ad includere l'Ucraina nel proprio spazio d'egemonia economica14, piuttosto che come un partenariato con la Russia. D'altro canto, l'impegno di Angela Merkel per giungere ad una soluzione pacifica, può significare che la scelta non sia poi, al proprio interno, così indolore; l'optimum per lei sarebbe l'acquisizione dell'Ucraina proseguendo a sviluppare gli affari con la Russia. Una soluzione assai difficilmente conseguibile, visto la escalation di sanzioni, imposte da Washington in seguito all'accorpamento della Crimea alla Russia, e l'allontanamento dal G8 di Putin, ridivenuto così il vecchio G7.
A suo tempo Dominique de Villepin, ex primo ministro francese, aveva ammonito contro la tendenza nord-americana ad usare la Nato in funzione di una nuova guerra fredda in Europa. Possiamo aggiungere che questa tendenza ha avuto modo di concretizzarsi nel corso della crisi ucraina, senza dovere per forza aderire alla tesi, affatto peregrina, che a questo obiettivo si mirasse sin dall'iniziale appoggio dato, con relativa copertura mediatica, alle manifestazioni pro-occidentali di Maidan.
Memorie che dividono
Al di là del protocollo d'intesa Minsk 2, sul piano politico fu prevista una «sequenza ben definita: voto di una legge elettorale da parte della Rada (il parlamento ucraino), elezioni locali nel Donbass, riforma costituzionale, legge sul decentramento, nuove elezioni e infine recupero da parte di Kiev del controllo della frontiera con al Russia. Ma il 17 marzo scorso, la Rada ha adottato un testo che sconvolge questa sequenza, imponendo prima di ogni altra cosa il “ritiro delle truppe”. L'arenarsi della questione politica per responsabilità del governo di Kiev ha di fatto orientato il conflitto ucraino verso un “conflitto congelato”. La rimozione delle sanzioni è ostaggio di un circolo vizioso.»15
Prima della bomba pluriomicida davanti al parlamento ucraino (Rada) del 31 agosto, a creare nuove tensioni sono intervenute le “leggi sulla memoria” e l'equiparazione tra nazismo tedesco e socialismo sovietico, proprio a ridosso del 70° anniversario della vittoria dell'Urss nella guerra mondiale.
La Rada ucraina ad aprile varò un pacchetto di leggi16 volte a riscrivere il passato per escludere una intera parte della società dalla partecipazione al presente politico. Una pulizia storico-ideologica per produrne una etnica e politica.
Se si identificano le radici della attuale Ucraina nel nazionalismo di Stepan Bandera [vedi riquadro “Un eroe europeo?”] non è possibile né una memoria condivisa, né una riappacificazione. Non solo con i russofoni, giacché viene coinvolta anche la memoria di polacchi ed ebrei. Non solo per l'Ucraina ma per l'intera Europa.
Il presidente arancione Viktor Juščenko nel 2010 proclamò Stepan Bandera eroe nazionale con un decreto annullato dal suo successore Janukovyč. Quest'ultimo fu destituito dalle manifestazioni di Euromaidan, dalle quali Bandera fu riproposto come simbolo dell'idea nazionale. Attualmente alle leggi sulle autonomie, indispensabili per far avanzare il processo di pace, non a caso si oppongono leaders della rivoluzione arancione come la Timoschenko. Il tutto si tiene. E ripropone una spaccatura incolmabile.

Un eroe europeo?

Stepan Bandera

1909 - Nacque il 1° gennaio in un villaggio della Galizia nell'allora Austria-Ungheria, da genitori cattolici, madre di rito bizantino e padre di rito uniate.
1931 - Nella Galizia divenuta polacca fu vice-direttore delle Guide Regionali e Amministratore Delegato regionale.
1934 - É condannato a morte per aver organizzato con altre undici persone l'omicidio del ministro degli Interni polacco, sentenza poi commutata in ergastolo.
1939 Dopo l'invasione tedesca della Polonia viene scarcerato e si trasferisce a Cracovia sede del Governatorato Generale nazista.
1939/1941 – Organizza l'esercito dell'Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini per coadiuvare l'avanzata tedesca nell'Ucraina orientale ed assumere i poteri amministrativi locali nei territori occupati.
1941 – Il 30 giugno proclama lo Stato Ucraino Indipendente e dichiara la sua collaborazione con la Germania per la liberazione dal giogo di Mosca e l'affermazione del “nuovo ordine europeo” voluto dal nazismo. Dopo pochi giorni, temendo che voglia rendere la nuova entità autonoma dalla Germania, viene arrestato e condotto a Berlino con l'obbligo di risiedervi.
1942 – È internato nel campo di concentramento di Sachsenhausen, nella sezione dei detenuti politici. 
1944 – Viene nuovamente rilasciato dai tedeschi nella speranza di coinvolgere le popolazioni locali ucraine contro l'avanzata dell'Armata Rossa. Stabilisce il suo quartier generale a Berlino e guida attività di propaganda e sabotaggio
anche dietro le linee sovietiche. Colla- bora con i nazisti fino alla fine della guerra.
1959 – Muore a Monaco di Baviera per avvelena- mento. Tre anni dopo, il tribunale di Karlsruhe stabilì che fu ucciso dai servizi segreti sovietici su ordine di Krušcëv.

L'esercito di Bandera praticò la pulizia etnica in Galizia e Volinia, eliminando più di 60mila polacchi e collaborando allo sterminio degli ebrei, nonché alle più sanguinose imprese naziste contro la popolazione russa.
Definito “figura controversa”, Stepan Bandera incarnò un'idea del nazionalismo ucraino piuttosto definita: quella di uno Stato ucraino su un territorio epurato dal- le altre nazionalità. Non era affatto lontano dalle fonda- mentali idee naziste, pur volendo affermare la propria indipendenza, e quella dell'Ucraina, dalla Germania, con la quale non esitò mai a collaborare contro i russi e l'Unione Sovietica.
Sostenendo la rivoluzione arancione ed Euromaidan che ne hanno fatto un eroe nazionale, all'Ue si pone un quesito: Bandera è diventato anche un eroe europeo?

Espansione ai limiti
La reazione militare e diplomatica russa alla possibile inclusione dell'Ucraina nella periferia della Ue e, tramite essa, nella Nato, ha segnato un limite all'espansione euro-atlantica verso Oriente. Al tempo stesso la situazione in cui versa tutta l'area mediterranea, dalla Turchia al Medio Oriente alla Libia, drammaticamente segnata dagli esodi di intere popolazioni dalle guerre e dalle devastazioni innescate proprio dall'interventismo bellico occidentale17, traccia una divisione a Sud.
La duplice pratica politica di far leva sui peggiori nazionalismi per allargare la Nato e l'Europa dal Baltico al Mar Nero e al Mediterraneo, investendo al contempo questi Paesi di massicce dosi di liberismo socialmente disgregatore, ci ha condotto su una via estremamente pericolosa. Soprattutto ora che l'espansione incontra i suoi limiti.
Così racchiuso il vecchio continente non potrà rimandare sine die la soluzione delle sue interne dicotomie, tra centro e differenziate periferie a degradare, accorpate e in via di accorpamento. Nell'espansione i problemi, come i debiti, vengono rinviati; la fine dell'espansione implica, se non una resa dei conti interni, nuove e più avanzate strategie avversate dalle oligarchie politiche ed economiche dominanti, perseveranti nelle vecchie pratiche.
È risaputo che le condizioni economiche dell'Ucraina sono ben peggiori di quelle della Grecia. Riporto una istantanea scattata nell'aprile del 2015.18 Ufficio centrale di statistica ucraino: reddito nazionale nel 2014 a -6,8%, previsione 2015 a -12%; inflazione al 35% su base annua; deficit di bilancio al 10,3%; riserve a 5 miliardi di dollari; svalutazione della moneta pari al 70% annuale; tasso di sconto 30%; fuga continua di capitali all'estero. Per Moody's il debito è praticamente al default. Il sistema bancario ha in pancia fra un terzo e la metà degli attivi non solvibili. Dall'inizio della guerra sono fallite 40 banche.
Nella politica di fare dell'Ucraina un territorio neutrale, libero da alleanze militari, un ponte tra Europa e Russia, di frontiere osmotiche, c'era non solo il mantenimento dell'unità del Paese, bilingue e plurietnico, ma anche una possibile via di ripresa economica e di tenuta sociale.
Senza le regioni del Donbass, oggetto del contendere e attraversate dal conflitto, l'Ucraina si priva di un indispensabile motore industriale. Inoltre, è fortemente debitrice verso Mosca e dipendente dalle sue forniture di gas.
Davvero Bruxelles ha posto il Paese di fronte ad un “dilemma impossibile”. Senza di esso gli opposti nazionalismi non avrebbero acquisito la forza che ora mettono in campo per ricondurre la “non pace” in Donbass sulla via dello scontro aperto. Con buona pace delle “anime belle” anche di casa nostra19, l'ostinazione europea è diabolica. In ordine sparso Italia, Austria e Germania (con il Vaticano di Papa Wojtila) con la politica dei riconoscimenti delle patrie etniche riservarono il medesimo trattamento alla crisi della Jugoslavia.
Gli scontri di Kiev della fine di agosto annunciano la divisione dell'Ucraina ed essa, salvo miracoli, non sarà frutto di una concertata pacifica intesa che precluda il ricorso alle armi.
Chi sparerà il primo colpo di cannone, a quel punto, avrà scarsa importanza.
1 http://www.repubblica.it/esteri/2015/09/01.
2 Nel 2008 la successiva dichiarazione d'indipendenza.
3 http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/02/12/ucraina-dal-15-cessate-fuoco-i-13-punti-dellaccordo-minsk/1420251/
4 Per le quali rimando all'articolo “Krajne e dintorni” pubblicato in questo Blog nello scorso novembre.
5 Dal 21 novembre 2013 iniziarono manifestazioni contro la sospensione dell'accordo tra Ucraina ed Unione Europea. Tre mesi dopo Viktor Janukovyč fuggì in Russia.
6 Nel 1954, la Crimea fu "donata" da Kruščëv all'Ucraina nell'ambito dell'URSS, per festeggiare i 300 anni di unione tra Russia e Ucraina.
7 Il costituirsi di un nuovo Stato non può che essere una “autoproclamazione” a cui possono, o meno, seguire “riconoscimenti” da parte di altri Stati. Nel linguaggio mediatico, dal significato dato per ovvio, si nasconde in realtà un retro-pensiero: ogni dichiarazione d'indipendenza è nulla senza il previo consenso della “comunità internazionale”, o chi in suo nome.
8 Victoria Nuland, segretario di stato aggiunta americana per l'Europa e per l'Eurasia, il senatore americano John McCain, il ministro tedesco degli esteri Guido Westerwelle.
9 Pierre Chevènement, “Crisi ucraina, una prova di verità”, Le Monde diplomatique – il Manifesto, 15 giugno 2015.
10 Ibidem, nota 9.
11 A tale proposito può servire una riflessione critica sul discorso tenuto a Tokio da Régis Debray, “Elogio delle frontiere”, add editore, 2012 (2010).
12 Sabino Cassese, “L'inatteso ritorno dei confini”, Corriere della Sera, 1/9/2015.
13 Dal 2013 è in corso di negoziato il Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership), il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti, tra L'Unione europea e gli Stati Uniti d'America.
14 Nell'articolo citato in nota 9, Chevènement scrive: «Il numero dei siti industriali tedeschi in Ucraina nel 2010 raggiungeva le milleottocento unità contro le cinquanta francesi. L'Ucraina si presenta come il naturale prolungamento del bacino di manodopera a basso costo della Mitteleuropa, vantaggio comparato per l'industria tedesca, che l'aumento dei salari nei paesi dell'Europa centrale e orientale tende ad erodere.»
15 Ibidem, nota 9.
16 “Sullo stato giuridico e l'onore della memoria dei partecipanti alla lotta per l'indipendenza dell'Ucraina nel XX secolo” - “Sulla condanna dei regimi totalitari comunista e nazional-socialista (nazista) in Ucraina e il divieto della propaganda dei loro simboli” - “Sull'accesso agli archivi degli organi repressivi del regime totalitario comunista 1917-1991” - “Sulla commemorazione della vittoria sul nazismo nella Seconda Guerra Mondiale 1939-1945”.
17 Angelo Panebianco (articolo di fondo del Corriere della Sera, 14/09/15), nel chiedere verso le aree di scontro un'azione diplomatica europea sorretta dalla disponibilità a fare uso della forza, cancella totalmente sia le guerre europee (“lungo periodo di pace”? Per chi?), sia di ricondurre all'interventismo bellico occidentale (pure di Francia e Regno Unito), i disastri di intere regioni mediorientali e nord-africane.
18 Gianpaolo Caselli, il Fatto Economico, 8 aprile 2015.
19 Ibidem, nota 12.