giovedì 9 febbraio 2023

Diritti umani, civili e LGBTQ+

DIRITTI UMANI, CIVILI e LGBTQ+

Approdi dell'ideologia liberale sui diritti 



I “nuovi diritti”, generalmente raggruppati sotto l'ombrello dell'acronimo LGBTQ+, stanno diventando sempre più importanti nel generale dibattito-scontro sui diritti umani e civili.

In questione sono un complesso di leggi riguardanti, in Italia, una popolazione stimabile in ben più di quattro milioni di persone, oggetto di oppressione e discriminazioni, tanto più pesanti se, come è per la maggior parte di loro, devono già sopportare la condizione sociale di appartenere al popolo dei precari, dei poveri e degli impoveriti, alla classe subordinata di un paese dipendente.

Tuttavia, i modi ed i contenuti proposti alla pubblica opinione dai prevalenti media e da alcune forze politiche, che si sono intestate la lotta per i “nuovi diritti”, suscitano forti sospetti di manipolazione per fini estranei a quelli dichiarati.

Sta di fatto che, invece di creare accordo e solidarietà in seno alle classi subordinate, vengono esacerbate divergenze culturali preesistenti, preconcetti e pregiudizi, indebolendo, da un lato, l'opposizione sociale e, dall'altro, spingendo queste minoranze in cerca di riscatto tra le braccia della classe dominante e del suo tardo liberalismo.

Inoltre, i sedicenti campioni di queste minoranze prendono iniziative o lasciano libero campo a pratiche che, estremizzando e storpiando l'indirizzo dell'impegno, generano reazioni di rigetto e rafforzano spinte tradizionaliste (passatiste), religiose e non, che arrivano a rimettere in discussione conquiste date per stabilmente acquisite. 

Come nel caso della legge sull'interruzione di gravidanza.

Presi nella stretta tra fautori di un falso progresso e di un passatismo tradizionalista, fatica a farsi strada una critica che, nella lotta a visioni ideologiche apparentemente opposte, sappia vedere il concreto reale di tutta la posta in gioco. 

Fanno ostacolo e vanno superati l'aperto timore di cadere nella rete di un dibattito-scontro che vada a sovrapporsi a quelli sociali e politici, nascondendoli in un dimenticato secondo piano, e quello più riposto di venire intrappolati da controversie su questioni ritenute “spinose”, di difficile se non impossibile soluzione.

Di contro, l'esercizio dell'analisi critica - alla quale questo articolo1 intende partecipare - rivelerà quanto l'affermazione dei diritti delle minoranze, nel rispetto delle loro umane identità, sia strettamente legata ed inseparabile dalla difesa delle umane identità della maggioranza.

Al punto di aprire la via a soluzioni equilibrate e socialmente unificanti.


“Evoluzioni” storiche

I diritti civili si sviluppano storicamente in relazione ai diritti umani, avendo presente che la loro stessa concezione varia in rapporto alle idee egemoni ed al contesto politico-sociale del periodo  in cui vengono pensati, formulati ed affermati.

La fonte primaria è costituita da due dichiarazioni: la Dichiarazione di Indipendenza americana del 1776 e la Dichiarazione dei diritti dell'Uomo e del Cittadino francese del 1789

Esse contengono asserzioni generali in forza delle quali, in opposizione al re ed alla tradizione, veniva presupposta la volontà di Dio di aver creato ogni uomo uguale alla nascita e detentore di pari diritto alla vita, alla libertà e (nella Dichiarazione americana) alla felicità.

I derivanti diritti civili furono sanciti da ciascun Stato in esercizio della propria sovranità nazionale (“Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella nazione”, terzo articolo della Dichiarazione francese).2

Con la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo (UDHR) del 1948, che rappresenta una “evoluzione” delle Dichiarazioni delle rivoluzioni americana e francese, si determina un salto qualitativo nella relazione tra diritti umani e civili. 

I “diritti naturali” assumono la veste di “diritti universali”.

Nelle due prime Dichiarazioni la natura umana è definita dalla Ragione che interpreta la volontà del Creatore, mentre spetta alla Nazione sovrana stabilire i conseguenti diritti civili.

Nella UDHR i diritti umani sono sempre dichiarati in base ad una idea di “natura umana” concepita in modo pre-sociale ed individuale, astorico, ma la sovranità nazionale viene limitata in base ai “diritti inalienabili dell'individuo”, esigiti in base ad una nuova morale universale. 

Si entra nella cosiddetta “età dei diritti”.3 

Eppure, nel tempo e divenire storico dato, la morale universale viene ad assumere sempre più i tratti spiccati del paese egemone dell'Occidente. Con l'affermarsi del mondo unipolare, la morale trasloca dalla interpretazione della volontà del Creatore alla ragione tecno-scientifica, una verità incontrovertibile, sancita come tale dai possessori dei mezzi globali in grado di produrla.

Alla pretesa fine delle ideologie (e della storia) subentra una nuova ideologia, la quale, proprio per il fatto di negarsi come tale e volersi neutra, assume caratteri assoluti. 

Ad essa sono chiamati a piegarsi i diritti civili.

Razzismo e colonialismo

La condizione schiavile e quella coloniale hanno definito la pratica dei diritti. 

Negli Stati Uniti d'America (1776) la dichiarazione dei diritti umani non si tradusse nell'abolizione della schiavitù, in quanto non era riconosciuto agli schiavi importati dall'Africa che una incompleta “umanità”, variante in relazione alla presenza percentuale di “sangue bianco” nell'albero genealogico. Solo in seguito alla Guerra di secessione (1861-1865) gli USA si avviarono verso la soppressione della schiavitù. 

Fino a tempi recenti l'esistenza delle razze umane è stata oggetto di controversia scientifica. Sia pure per combattere il razzismo, la parola “razza” compare nella nostra Costituzione.

I diritti civili sono riconosciuti al cittadino della nazione. Tuttavia, poiché nel lungo periodo coloniale, molti popoli non hanno potuto darsi uno Stato nazionale indipendente ed anzi gli Stati europei hanno reso dipendenti molti popoli e nazioni di altri continenti, si verifica una disuguaglianza su ampia scala nel riconoscimento e nell'esercizio di tali diritti. Il problema dei diritti civili collegati alla cittadinanza permane aperto.

La UDHR e la “età dei diritti”

Con la UDHR del 1948 inizia un periodo storico che viene definito “età dei diritti”. 

Dal 1° gennaio entra in vigore la nostra Costituzione [vedi nel riquadro a seguire].


Nella UDHR, i diritti, posti in capo a quelli “inalienabili dell'individuo”, tendono a porre limiti alla sovranità degli Stati, che permangono tuttavia la fonte primaria della legittimità. La tendenza a porre limiti si rafforzerà nei decenni successivi.

I diritti umani universali, oltre a venire interpretata in chiave individualistica, sono disgiunti dalle specifiche storie e culture dei popoli, dai rapporti tra Stato e società, ed avulsi dalle reali condizioni sociali e dalla struttura dei rapporti internazionali, i quali ultimi divengono sempre più decisivi sull'onda della globalizzazione contemporanea.

In realtà, l'“età dei diritti” è chiamata a confrontarsi a livello mondiale con l'età dell'imperialismo post-coloniale ed i suoi conflitti.

L'insieme dei diritti sociali e del lavoro (articoli dal 22 al 25 della UDHR) non sono mai causa di limitazione della sovranità degli Stati, ossia imposti dagli organismi sovranazionali che regolano l'economia ed i mercati. Sono generalmente spinti dai movimenti e partiti operai e social-comunisti, dai movimenti di liberazione nazionale ed in qualche modo temporaneamente subiti/accettati dalle classi dominanti. 

Sino a quando, con la caduta del Muro di Berlino (1989) ed il pieno avvento della globalizzazione neoliberista, patiscono un generale arretramento. È il tempo della “lotta di classe senza lotta di classe”.  All'arretramento contribuiscono organismi sovranazionali e mondiali che agiscono a detrimento delle sovranità nazionali di molti paesi e ne esautorano l'esercizio democratico interno. Il fenomeno coinvolge anche paesi dell'Occidente “avanzato”.

 La “esigenza morale”4 può reclamare democrazia e pace, come condizioni necessarie all'esercizio dei diritti, ma queste possono realizzarsi solo in conseguenza di processi di liberazione dai rapporti di subordinazione sia nazionali, sia di classe.

Ciò è vero non solo per i diritti rubricati come “del lavoro e sociali”, ma anche per quelli cosiddetti “individuali”, quali la tortura (art. 5), la libertà di espressione ed informazione (art. 19), gli arresti e trasferimenti extraterritoriali (art. 9), il diritto alla vita (art. 3). La secca bipartizione, in effetti, escludendo la relazione dialettica tra sociale ed individuale, mostra di essere alquanto forzata.

Con il prevalere del “pensiero unico” viene decretata la “fine delle ideologie” e la “fine della storia”. Ma proprio da quel momento i diritti umani (e quelli civili) assumono in realtà il ruolo di “ideologia subentrante”. Pretendendo neutralità e di non essere “ideologia” (dei dominanti), essa giustificherà l'attacco all'autodeterminazione dei popoli e le guerre d'aggressione, obnubilando la negazione dei diritti sociali e del lavoro in ossequio al neo-liberalismo imperante. 

La realizzazione dei diritti umani viene apertamente interpretata in funzione delle relazioni di dominio, rese evidenti sia nelle situazioni internazionali di conflitto, sia nel governo interno. All'apice della loro retorica affermazione nel discorso pubblico, inizia la fine della “età dei diritti”.

Una “nuova” morale di guerra

Il pensatore canadese di origine russa Michael Ignatieff (Toronto, 1947) elabora la teoria che i diritti umani proteggono le “condizioni minime per ogni genere di vita”. Da ciò che è bene distingue ciò che è intollerabilmente sbagliato, come la Shoah, assunta a paradigma del male assoluto. I diritti umani vengono ad incarnare l'individualismo morale ed una definita prospettiva etico-politica.

Sostiene Ignatieff: 

«(...) nel caso in cui l’ordine di uno stato si sia disintegrato e la popolazione sia precipitata in una guerra di tutti contro tutti, o nel caso di uno stato che stia portando avanti una violenza sistematica grave e ripetuta contro i suoi stessi cittadini, il solo modo efficace di proteggere i diritti umani è l’intervento diretto, che può andare dalle sanzioni all’uso della forza militare».5

«(...) quando le democrazie combattono il terrorismo, esse agiscono per difendere un ideale di vita politica priva di violenza. Ma sconfiggere il terrorismo richiede l’uso della violenza. Non solo, può anche comportare coercizione, inganno, segretezza e, persino, violazione di certi diritti».6

Viene così giustificata non solo la intromissione negli affari interni di ogni paese e la “guerra umanitaria”, ma pure la facoltà di uno Stato (gli USA), a suo arbitrio, di violare i diritti umani in nome degli stessi, al fine ultimo, per superiore missione morale, di affermarli.7

La gestione politica della pandemia

La difesa di un diritto umano essenziale, alla salute di ciascuno quale parte di tutta l'umanità – la pandemia è dichiarata dall'OMS -, passa attraverso la negazione di uno e più diritti civili della Costituzione italiana. 

La vaccinazione, imposta surrettiziamente tramite il pass verde, è posta come un obbligo morale “verso gli altri”, giustificato per lo più su una base etica utilitaristica, che rimanda ad inesistenti certezze scientifiche. 

La cura è di fatto sperimentale e dagli esiti incogniti. Viene inflitta anche a chi rischia più dalla vaccinazione che dal contrarre la malattia stessa (i bambini e più giovani), perché è considerato veicolo di rischio per gli altri. Deve essere sopportata ai fini di un bene superiore, affermato in base ad una sentenza di verità scientifica, emanata dalla cosiddetta “comunità scientifica”, alter ego della cosiddetta “comunità internazionale”.

Il così determinato obbligo morale è dettato in uno “stato di emergenza” pari a quello bellico, preparativo di quello bellico a venire poco dopo, che da luogo ad una forma di dittatura pro-tempore (ma le emergenze non finiscono mai) e giustifica coercizione, inganno, segretezza e violazione dei diritti civili, con sostanziale violazione ed abbandono della democrazia.

Diritti LGBTQ+ e normalità queer  

Rappresentano la “nuova frontiera” dei diritti, che possono definire e ridefinire norme attinenti:

- i rapporti tra persone dello stesso sesso, le unioni civili, il matrimonio egualitario e la famiglia;

- le adozioni, la procreazione ed il riconoscimento dei figli;

- il cambiamento di sesso, il passaggio di genere, gli interventi chirurgici e le terapie; 

- il servizio militare, la donazione di sangue;

- il riconoscimento d'identità e l'iscrizione anagrafica;

- la protezione dalle discriminazioni;

- i gruppi a sostegno dei diritti LGBT+ e le campagne pubbliche.

Va da sé che lo spettro normativo coinvolto è piuttosto ampio e complesso. Abbisogna di conoscenze specifiche e di approfondimenti, invece di definizioni sommarie a cui fare seguire soluzioni altrettanto sommarie, tanto “pragmatiche” quanto funzionali al manicheismo mediatico.

Per non esserne soggiogati, serve un metodo critico ed analitico che rifugga dal pragmatismo liberale, che sempre nasconde l'adozione di assunti ideologici, “di principio”, non esplicitati ed incontrovertibili.

In questo senso occorre fare attenzione a cosa possa sottendere l'adozione del termine onnicomprensivo “queer” e per quale ragione l'insieme LGBTQ+ [l'intero acronimo a fianco]

venga ridotto ad esso (ossia a “Q”, l'ultima iniziale inserita nel preesistente LGBT), per indicare indistintamente e confusivamente un universo di persone la cui identità sessuale corporea non corrisponde al vissuto psicologico di identità di genere maschile e femminile.

A mio avviso, lo scopo iniziale è quello di forzare ad una divaricazione tipica della semplificazione della propaganda conflittuale orchestrata dall'alto: da un lato gli eterosessuali e cisgender; dall'altra, tutti gli altri catalogati come “universo queer”, benché l'omosessualità e la bisessualità - e a ben vedere anche la transizione da un sesso all'altro - non neghino affatto l'identità corporea di genere maschile e femminile. 

Questo “riduzionismo” apre un largo spazio in cui l'identità personale non sia frutto della propria autodeterminazione socio-culturale su base biologica, bensì il risultato di una costruzione unilateralmente e tutta culturale, giacché il “vissuto psicologico” può costruirsi in base ai desideri personali soggettivi, per ciò stesso indirizzabili e manipolabili.

A questo proposito vale ricordare che in passato la “scienza ufficiale” ha abbracciato teorie unilaterali divergenti, benché basate sulla “normalità”.

La teoria del biologico come fondante assoluto ha consentito le pratiche più aberranti degli interventi d'autorità sul corpo degli “anormali”, mentre la teoria opposta ha presupposto una “normalità” da ripristinare grazie alla somministrazione forzata di trattamenti correttivi e rieducativi.

Queer, la parola e la teoria

In origine la parola inglese “queer” era un appellativo dispregiativo, tipo l'italiana “frocio”, rivolto a tutti i diversi. Oggi il termine «viene usato generalmente da una persona della comunità LGBTQ+ che non vuole dare un nome alla propria identità di genere e/o al proprio orientamento sessuale (ad esempio, se ci si sta interrogando sulla stessa), o più semplicemente non vuole precisarla, ma che sicuramente non è cisgender e/o etero.»8

La teoria queer muove le mosse dalla  (scontata) critica alla metafisica del sesso che determina il genere. Per una delle sue massime esponenti, Judith Butler (Cliveland, 1956), qualora si accetti l'idea che il sesso ha carattere mutabile, anche il costrutto detto “sesso” risulta costruito culturalmente come il genere, annullando la stessa distinzione duale tra sesso e genere.9

Non è questo il luogo per andare alla radice storica e filosofica della “riduzione ad uno”, negatrice del dualismo biologia/cultura. Appare però evidente che questa teoria, muovendo dalla critica alla posizione per cui il sesso è genere, approda ad una visione altrettanto unilaterale, per cui tutto è linguaggio, prodotto psico-culturale, dunque genere, e nulla è natura biologica, sesso.

Dalla negazione della relazione dialettica tra genere e sesso derivano due conseguenze.

Una esclude la necessità di sviluppare la conoscenza scientifica, nel prolungato contrasto al carattere di classe delle “verità” prodotte dalla “scienza ufficiale”.10 Necessità senz'altro messa all'ordine del giorno dalle vicende pandemiche, laddove una supposta e contesa verità scientifica è stata prodotta ed usata ai fini di imporre una emergenza da gestire politicamente.

L'altra, parimenti impattante ed in apparenza paradossale, è che la teoria queer, invece di mettere in discussione il concetto di “normalità” viene a riaffermarlo, liquidando la battaglia delle minoranze LGBT+ di venire riconosciute e protette in quanto tali. Disincarnando il genere dal sesso per le persone LGBT+ viene proposta in nuova forma (in quanto indefinita e labile si sottrae all'esercizio puntuale della critica) una “normalità” valida per tutti: la normalità queer.

Qualora, come sembra, prevalesse la tendenza ad assumere la determinante psico-culturale a fondamento dell'identità sessuale di tutti, si staglierebbero due prospettive eventualmente sommatorie.

La prima, universale, conduce ad una educazione generale, anche scolastica, alla “neutralità” (nessuno è maschio e femmina alla nascita), la quale, in “retroazione” sul diritto civile, renderebbe totalmente fluida l'identità sessuale di tutti i cittadini, anche degli “altri”. Sicché, al punto di partenza, per non discriminare gli uni, si toglierebbe identità a tutti gli “altri”.

La seconda, in rispetto dei desiderata individuali, per “libera scelta” della volontà soggettiva, apre al grande mercato dell'offerta farmaceutica, chirurgica, genetica e cibernetica, ovvero alla tecno-scienza degli interventi adattativi del corpo fisico all'auto-attribuzione.

Non si tratta più del riconoscimento antidiscriminatorio di pari umanità, dignità e di diritto civile delle persone omosessuali, bisessuali e transgender (LGBT+), bensì della ridefinizione della “normalità” di partenza di tutti. Un rovesciamento che porterebbe con sé un interventismo mercificante sul corpo umano.

A quale età si può decidere?

Nel 2023 in Germania entra in vigore una nuova legge chiamata “legge trans”. Dal 14mo anno di età ogni cittadino tedesco potrà recarsi all'anagrafe e cambiare sia il proprio sesso che il proprio nome di battesimo, senza dover esibire un attestato medico o una perizia psichiatrica com'era precedentemente stabilito.

Un analogo disegno di legge, che data però dal 16mo anno di età, conferisce la facoltà di mutare l'indicazione del proprio sesso nel registro dello stato civile, viene proposto in Spagna. 

Anche il parlamento scozzese si va muovendo nella stessa direzione. A differenza della Svizzera che non ritiene “maturi i tempi”, giacché si sostiene che il “binarismo dei sessi” sia un modello radicato nella società. Forse è proprio la motivazione della Confederazione elvetica ad essere più esplicativa del sottostante.

In questa direzione sembra andare il mainstream ed il sostegno privato e politico pubblico ai gruppi che si battono per i diritti LGBTQ+, trasformandoli in vere e proprie lobbies per finalità che niente hanno a che fare con i loro dichiarati scopi di difesa dalle discriminazioni di lesbiche, gay, bisessuali e transessuali. 

Senonché, mentre le peggiori tendenze passatiste guadagnano insperati spazi di manovra, assistiamo al manifestarsi dall'interno dei gruppi contro le discriminazioni a segnali ostativi di dissenso ed iniziative d'opposizione.

Milano: un caso concreto

La notizia compare su “Feministpost”, che a febbraio  2022 aveva segnalato il diffuso fenomeno dell'utero in affitto in Ucraina, ed è riportata da “LaVerità”.11

Il sindaco Sala decide di registrare gli atti di nascita dei figli di coppie omogenitoriali, compresi i nati da utero in affitto, pratica che in Italia ed in Europa sarebbe proibita. Un potere locale interviene in ambito anagrafico, attribuito dalla Costituzione soltanto allo Stato.

Femministe, lesbiche ed altre militanti presentano un esposto alla magistratura per chiedere se la registrazione all'anagrafe di bambini nati da utero in affitto costituisca reato. Esse propongono che non siano registrati due genitori (genitore 1 e genitore 2), ma soltanto il padre biologico, mentre l'altro componente la coppia potrebbe ricorrere alla “adozione speciale”, proteggendo così i diritti del minore, al quale inoltre andrebbe riconosciuto il diritto a conoscere le sue origini.

Il caso milanese sta diventando nazionale, poiché il prefetto di Milano, Renato Saccone, ha interessato della “pratica” il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi.

La iscrizione di genitore 1 e genitore 2 era stata avallata da una precedente sentenza del tribunale civile di Roma a metà novembre 2022.

In buona sostanza, per non discriminare la coppia omosessuale con figli, si arriva al riconoscimento anagrafico per tutte le coppie di un genitore 1 e di un genitore 2, che farebbe scomparire l'identità di madre e padre.

D'altro canto, va osservato che una coppia di lesbiche non può incorrere nel reato di utero in affitto, se una delle due donne è la madre naturale. Tuttavia, la madre non naturale non godrà, comunque, di posizione paritaria rispetto alla madre naturale sul piano psicologico e relazionale, e pure nel caso di eventuale separazione della coppia.

Si può certamente argomentare che una donna possa liberamente donare la propria funzione procreatrice, ma il ricorso a questa sorta di atipico “comodato d'uso” implica in sé una riduzione a cosa-mezzo (reificazione) di un organo umano vivente nella stesso corpo della persona vivente.  

Di contro, è insostenibile che, nelle presenti condizioni sociali delle donne della classe subordinata, l'utero in affitto, ossia la mercificazione della propria maternità, non costituisca il pericolo di gran lunga principale da cui strenuamente difendersi.

Identità e potere della donna

Come il neo-liberalismo si era proposto, in parte riuscendovi, di togliere senso di appartenenza ed identità sociale alla classe subordinata, così oggi il vertice elitario degli “Dei di Davos”, espressione della estrema concentrazione proprietaria capitalistica su scala mondiale, punta ad azzerare qualsiasi identità (dis-identificazione) umana, per transitare ad un mondo trans-umano.

Benché il piano di grande azzeramento, o Great reset, sia fortemente indebolito dalla crisi del mondo unipolare su cui poggiava, non va sottostimata la sua forza di imporre, soprattutto in Occidente, una società nella quale ad una ristretta cerchia di eletti, corrisponda una restante massa anonima, di para-umani, sorvegliati, controllati e piegati al loro volere. Una utopia negativa (distopia), affermata per “non alterare gli equilibri del pianeta”.12 Ragione per cui la presenza umana su di esso, ritenuta eccessiva, va salvificamente sfoltita secondo i dettami di un nuovo malthusianismo “ambientalista”.

L'ostacolo principale alla realizzazione di questo progetto può essere costituito dalle donne, giacché, a dispetto di ogni narrazione disincarnante il genere dal sesso, le donne continuano a generare la specie umana. Il principio di umanità risiede nel loro grembo. Su questo potere biologico, l'altra metà del cielo ha potuto fare affidamento per pesare nella storia dell'umanità. Una storia da chiudere.

Senza distruggere questo potere delle donne, non è possibile il nuovo ordine degli “Dei di Davos”.

Ecco perché soprattutto la maternità è sotto attacco. Ecco perché la loro tecno-scienza si adopera  per sostituire l'utero femminile con un utero biotecnologico, mirando a “brevettare” non solo ogni essere biologico come già è legittimo negli States, bensì la stragrande maggioranza dell'umanità, che, relegata nel regno di sotto degli Untermenschen, non possiederà il proprio “brevetto”e non ne sarà padrona. 


Note

1 - Senza la discussione tenutasi nel Gruppo Analisi di Nuova Direzione, e grazie al suo metodo, non avrei potuto focalizzare la problematica in alcuni dirimenti aspetti.

2 - Vedi anche Andrea Zhok,”Critica della ragione liberale”, Meltemi, 2020, in particolare il capitolo 28. Nel successivo capitolo 29, l'autore tratta del femminismo e del rapporto tra sesso e genere, argomento oggetto della presente breve disamina nelle sue parti finali.

3 - Vedi anche Aldo Schiavello, “Ripensare l'età dei diritti”, https://www.academia.edu/25488395/Ripensare_let%C3%A0_dei_diritti

4 - Vedi anche Michele Zezza, “Democrazia, diritti civili, politici e sociali nel pensiero di Norberto Bobbio”. http://www.dialetticaefilosofia.it/public/pdf/45democrazia.pdf

5 - M. Ignatieff, “Una ragionevole apologia dei diritti umani” (2001), Feltrinelli, Milano, 2003, pag. 42.

6 - M. Ignatieff, “Il male minore. L’etica politica nell’era del terrorismo globale” (2004), Vita & Pensiero, Milano, 2006, pag. 15.

7 - Gli USA si propongono come paladini dei diritti umani, ma, non aderendo al Tribunale internazionale dell'Aja per i crimini di guerra, si auto-attribuiscono una ingiudicabile e superiore “missione morale” rispetto al mondo.

8 - https://it.wikipedia.org/wiki/Queer

9 - Vedi Judith Butler, “Questione di genere – Il femminismo e la sovversione dell'identità”(1990), Laterza, 2017.

10 - Vedi anche il recente articolo di Nico Maccentelli,”Geymonat, il dito e la luna”, 31/01/ 2023. https://www.sinistrainrete.info/sinistra-radicale/24805-nico-maccentelli-geymonat-il-dito-e-la-luna.html?highlight=WyJsdWRvdmljbyIsImdleW1vbmF0IiwibWFyeGlzbW8iLCJsdWRvdmljbyBnZXltb25hdCIsImx1ZG92aWNvIGdleW1vbmF0IG1hcnhpc21vIiwiZ2V5bW9uYXQgbWFyeGlzbW8iXQ==

11 - Francesco Borgonovo, “Le femministe portano Sala dai giudici «Il Comune sdogana l'utero in affitto»”, LaVerità, 22 dicembre 2022.

12 - Vedi anche Carlo Freccero, “Caro Guerri, attenzione ad Harari. È lui l'ideologo del Grande reset”, LaVerità, 27 dicembre 2022.