giovedì 14 marzo 2019

I broccoli del Venezuela


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I broccoli del Venezuela


Gli Stati Uniti restano centro della finanza globale e prima potenza finché il petrolio si scambia in dollari - Motivi della crisi venezuelana. La minaccia di un intervento militare esterno. Il difficile passaggio ad un mondo multilaterale. Il ruolo delle armi nucleari.

Nell'agosto del 1990 una coalizione internazionale capeggiata dagli Stati Uniti intervenne contro l'Iraq di Saddam Hussein che, per ripagarsi dei servizi loro resi aggredendo l'Iran di Khomeyni (la guerra Iraq-Iran fu sanguinosissima e durò dal 1980 al 1988) si era annesso il Kuwait. Fu la prima Guerra del Golfo di Bush padre, alla quale seguì la seconda (2003) di Bush figlio. Nell'aspro dibattito sulla “legittimità” di quel primo intervento bellico,1 dal mondo cattolico pacifista fu posta la domanda: "Che avrebbero fatto Bush e i suoi alleati se il Kuwait avesse prodotto solo broccoli?"2
Quella domanda oggi si ripresenta: se il sottosuolo del Venezuela non celasse la più grande riserva di petrolio mondiale ed altri minerali strategici e preziosi, gli Stati Uniti considererebbero “sul tavolo” anche l'opzione militare? Aggiungo: la crisi venezuelana avrebbe assunto i connotati internazionali ed interni che le vengono attribuiti?
Ovviamente i “broccoli” del Venezuela sono le sue risorse minerarie. Ma non solo. Lo sono anche i progetti, tra cui quello venezuelano,3 di sostituire il dollaro nelle transazioni petrolifere, andando a minare le basi monetarie e finanziarie del dominio statunitense. Perciò lo scontro interno ed esterno al Venezuela coinvolge gli assetti del mondo e le relazioni internazionali, ivi comprese quelle dipendenti dagli armamenti convenzionali e nucleari.
A scavare nella crisi del Golfo ed ai reali motivi delle guerre dei Bush fu un vasto movimento per la pace che seppe andare oltre l'oggetto immediato del contendere: il petrolio. Quel movimento, non caso, divenne “no global”.
Oggi come allora, per comprendere la crisi venezuelana, occorre partire dai suoi “broccoli” per andare oltre, tenendo presente che, nel frattempo, il mondo ha vissuto significativi cambiamenti. Proprio a causa della globalizzazione in quegli anni vincente ed ora in crisi.
Di fronte agli Stati Uniti di Donald Trump che, riesumando la dottrina Monroe,4 sembrano non voler dismettere il vecchio ruolo di gendarmi del mondo, a cominciare dal “cortile di casa”, qualcuno rimpiange Obama e la sua politica estera, scordando che fu lo stesso Obama a varare le prime sanzioni sulla base dell'accusa rivolta al Venezuela di costituire «una minaccia insolita e straordinaria per la sicurezza nazionale e la politica estera degli Stati Uniti».
Fatto sta che tra sanzioni, riconoscimenti, aiuti umanitari e minaccia di guerra umanitaria, pare di rivedere un vecchio film, nel quale gli usuali strumenti di Washington si combinano in una strategia di révanche. Un film nel quale ancora una volta l'autonomia politica della Unione europea si smarrisce. Benché, e non è poca cosa, alcuni Paesi europei, tra cui Italia Grecia e Norvegia, non si siano prontamente e pavlovianamente allineati.
Sul fronte decisamente opposto troviamo Cina e Russia, divenuti nel frattempo “paesi emergenti”, i quali, nella difesa del presidente Maduro e nel ribadire il principio di non ingerenza negli affari interni del Venezuela, mostrano di non volere rinunciare ad un riassetto multilaterale del mondo.
Ecco perché, sotto la martellante campagna mediatica pro Guaidó, eletto a campione della democrazia e della libertà anche e soprattutto da chi è attento alle risorse minerarie del Venezuela, va mantenuta la lucidità necessaria per capire dove stiamo andando.
Nicolás Maduro attorniato da soldati 
Il braccio di ferro
Il governo del Venezuela è disputato da “due presidenti.” Nicolás Maduro, erede di Hugo Chávez, nel 2018 è stato eletto presidente da un suffragio boicottato dall'opposizione, la quale, in maggioranza nel parlamento (eletto nel 2015), ha nominato Juan Guaidó presidente ad interim. La costituzione bolivariana non prevede un simile caso, se non in presenza di una vacanza di potere presidenziale. Poiché una tale vacanza non è riscontrabile, continuando Maduro ad esercitare i suoi poteri, la lettura del dettato costituzionale da parte dell'opposizione è capziosa.
A dare forza al “golpe bianco” di Guaidó sono le manifestazioni di massa in suo favore e l'emergenza umanitaria in cui versa il paese, attanagliato da una forte crisi economica, nonché i riconoscimenti internazionali, degli Stati Uniti in primo luogo e di molti governi al seguito.
Juan Guaidò mostra il ritratto di Simon Bolivar
Non si tratta però, come viene spesso affermato, della “comunità internazionale”, salvo che da essa, Cina e Russia al pari di tanti altri stati, ne vengano espulsi per decreto mediatico.
Per esercitare i poteri di governo Guaidó ha bisogno delle forze armate che, tranne limitate defezioni, sembrano saldamente schierate con Maduro. Ciò ha indotto Guaidó a dichiarare5 che qualora i militari non lo abbandonino, non avranno l'amnistia promessa dalla Organizzazione degli Stati americani e dal Gruppo di Lima.6
Perdurando l'atteggiamento delle forze armate a sostegno di Nicolás Maduro, il braccio di ferro tra i “due presidenti” è destinato a continuare, a meno che un intervento militare dall'esterno non trasformi il “golpe bianco” in “golpe nero”. Ne potrebbe derivare un sanguinoso scontro armato in terra venezuelana e gravi ricadute sulle relazioni internazionali.
All'interno Maduro non gode solo di un appoggio attivo da parte dei soldati e dei settori popolari che non hanno dimenticato i programmi contro la dilagante povertà messi in atto dalla revolución bolivariana, ma pure di un appoggio passivo della borghesia nazionale. Quest'ultima, legata ai graduati dell'esercito, teme di ritornare alla IV repubblica dominata da una oligarchia di poche famiglie e dal sottobosco della borghesia compradora, subalterne al Grande Fratello nord-americano. Buona parte della borghesia nazionale pur non amando Maduro, diffida di Guaidó, il quale ne cerca insistentemente il consenso, presentandosi nella veste democratica nazionale, rispettoso della costituzione bolivariana e fautore della “transizione incruenta”. Consenso che si allontanerebbe, qualora si rendesse responsabile di un'intervento armato esterno anti-nazionale, privo di una “suprema” motivazione. Da qui l'insistente narrazione di aiuti umanitari bloccati alle frontiere, i quali, nel caso, potrebbero richiedere l'uso di una “coalizione internazionale” per essere consegnati a soccorso della popolazione stremata, affamata e malata.
Mancando l'avallo dell'ONU, sarebbe un'aggressione in violazione del diritto internazionale, travestita da “guerra umanitaria”. Ossimoro in uso dalla guerra del Kosovo voluta da Bill Clinton, a cui partecipò il governo D'Alema.7
Di solo petrolio
Come un Paese tra i più ricchi al mondo di risorse minerarie [vedi sotto la finestra dedicata] sia potuto precipitare in una così grave emergenza umanitaria, di carenza alimentare e sanitaria, non può essere spiegato unicamente dagli errori del governo di Nicolás Maduro.
Risorse minerarie
Petrolio e gas, gestiti dalla società statale PDVSA, sono le principali risorse minerarie di cui il Venezuela era il primo produttore mondiale.
Le sue riserve petrolifere sono le prime al mondo e, stimate in barili, superano quelle dell'Arabia Saudita, come risulta dal grafico (dati OPEC).
Il Venezuela figura anche tra i maggiori produttori mondiali di oro e ferro, bauxite, cobalto e altri, tra i quali: diamanti, asfalto, amianto, magnesite, carbone e fosfati.


Benché sia presente una corruzione non sufficientemente repressa, il governo bolivariano è soprattutto responsabile di una “monocoltura”, in questo caso non agricola bensì petrolifera. Quando negli anni della presidenza di Hugo Chávez, pressati dalla immediata necessità di sollevare i milioni di poveri dalla miseria, si pensò forse di poter contare per lungo tempo sui ricavi provenienti dall'export del barile. La mancanza di una sufficiente articolazione e diversificazione dell'economia venezuelana doveva inevitabilmente presentare il conto. Nello stesso settore minerario le iniziative, che evitassero di puntare tutto su petrolio e gas, giunsero tardive, sebbene impostate in modo eco-compatibile.8
Pertanto, la crisi attuale è venuta proprio e soprattutto da quel settore su cui si è fatto quasi esclusivo affidamento. In mancanza dei ricavi a suo tempo garantiti dal petrolio, le importazioni, di cui il Venezuela ha assoluta necessità, si sono bloccate. Ciò non è avvenuto senza il contributo decisivo del Grande Fratello nord-americano, il quale ha colpito il Venezuela nel suo punto debole (che sembrava quello forte).
Elenco i momenti della crisi in sequenza temporale:
  • il crollo del prezzo del barile in seguito alla crisi del 2007-2008, che ha ricominciato a salire solo tra il 2017 ed il 2018, dopo aver raggiunto nel 2016 il suo minimo dal 2006;
  • l'esodo di personale tecnico addetto all'estrazione-produzione, attratto dalle remunerazioni offerte dalle maggiori compagnie mondiali del petrolio;
  • le sanzioni volute dagli Stati Uniti che hanno provocato effetti negativi sia sul commercio (colpendo l'export e l'import), sia su quello finanziario (accesso al credito);
  • il forte calo delle estrazioni che nel solo mese di novembre del 2018 sono diminuite di 216mila barili al giorno, portando la perdita nell'anno a quasi -30%;
  • l'impossibilità dell'export, rimasto stagnante, di approfittare della relativa ripresa del prezzo del barile [come si evince dal grafico qui sotto].
Il ruolo delle sanzioni
Tenendo presente la sequenza di cui sopra, appare chiaro il ruolo delle sanzioni [vedi nella finestra “Sanzioni USA”, in pagina]. Un Paese che dipende dalle esportazioni di un unico prodotto, il petrolio, viene colpito al cuore se è sottoposto a sanzioni. Esse impediranno ai Paesi destinatari di importare e di essere “pagati” in valuta per i beni che volessero, a loro volta, esportare verso quel Paese.
Sanzioni USA
Legate al narco-traffico (Bush figlio).
La mancata firma di Hugo Chávez all'Addendum al Memorandum of Undertanding bilaterale del 1978 sarebbe stata la causa di queste sanzioni. Secondo Chávez l'addendum, fornendo fondi per progetti congiunti di lotta al narcotraffico ed istituendo programmi di formazione anti-riciclaggio, rendeva permeabile la struttura di governo bolivariana ai voleri di Washington. Nell'occasione furono espulsi i funzionari della DEA (Drug Enforcement Administration) statunitense che vennero accusati di attività di spionaggio, sabotaggio, traffico di droga, infiltrazioni e violazione della legge per screditare il Venezuela nella lotta al narcotraffico.
Legate al terrorismo (Bush figlio).
Vengono istituite nel 2006 per le relazioni intrattenute dal Venezuela con gli “stati canaglia” Cuba e Iran.
Legate alla tratta delle persone, alle azioni antidemocratiche e alla violazione dei diritti umani (Barack Obama).
Istituite dal 2014. Il Venezuela viene inserito dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti tra i paesi del livello 3, quelli i cui governi non rispettano pienamente gli standard minimi di legge (statunitense) sulla protezione delle vittime di tratta. A fine 2014, il congresso USA promulga la “Legge sulla difesa dei diritti dell'uomo e della società civile in Venezuela”.
A marzo del 2015 Obama emette l'ordine esecutivo 13692 che, oltre a colpire chi aveva contribuito a fermare la guerriglia nel 2014, stabilisce che il Venezuela “costituisce una minaccia insolita e straordinaria per la sicurezza nazionale e la politica estera degli Stati Uniti.” Pertanto Obama dichiara “l'emergenza nazionale per fra fronte a tale minaccia.”
Di ordine economico (Donald Trump).
Trump rinnova ed estende le precedenti sanzioni, di “emergenza nazionale”, e ne impone di ulteriori di ordine economico. Le motivazioni sono sempre in difesa dei diritti umani, della democrazia e contro la repressione dell'opposizione politica.
Nell'agosto del 2017 Trump emette l'ordine esecutivo 13808 che limita fortemente l'accesso ai mercati finanziari statunitensi da parte del governo venezuelano e dalla sua compagnia petrolifera statale (PDVSA). Trump estende le sanzioni a tutti coloro che negozino con un'istituzione pubblica venezuelana.
Poi, nel marzo 2018, emette l'ordine esecutivo 13827 contro l'entrata in vigore della fase operativa della criptovaluta Pedro (annunciata da Maduro): proibisce le transazioni connesse all'uso della moneta digitale che viene ritenuta pericolosa per l'egemonia del dollaro, soprattutto nel commercio del petrolio OPEC.
Con l'ordine esecutivo 13835, del maggio 2018, vieta le transazioni relative al debito venezuelano, compresi i crediti, e di qualsiasi debito verso il Venezuela impegnato come collaterale. Il 1° novembre dello stesso anno, tramite l'ordine esecutivo 13850, congela il patrimonio di qualsiasi persona operi nel settore dell'oro o, a discrezione, in qualsiasi altro settore dell'economia, sia responsabile o complice in transazioni che implichino “pratiche ingannevoli o corruzione”.
Tutte le sanzioni prendono a bersaglio singoli individui, identificati quali responsabili venezuelani delle violazioni della legge “universale” stabilita dagli Stati Uniti. Inoltre, per quanto concerne l'economia, prevedono delle esclusioni a tutela degli interessi di persone ed imprese statunitensi.

[Liberamente tratto da:
Le sanzioni prima di Bush junior e Obama, poi di Trump, sono tese non solo a bloccare i commerci, ma pure a preservare il ruolo dominante del dollaro USA nelle transazioni internazionali.
Inoltre, aspetto collegato al ruolo del diritto ed alla sua validità, esprimono tutto il desiderio di imporre le proprie leggi come “universali”, con la sottintesa minaccia che, qualora gli “imputati” cadessero nelle loro mani, verrebbero giudicati secondo tali leggi. Se vi fosse qualche dubbio, a riguardo, sono le stesse parole prima citate di Guaidó a proposito dell'amnistia, a fugarle. Insieme alla propensione del “presidente ad interim” ad assecondare la strategia del Grande Fratello ai danni della sovranità suo paese.
Alla escalation delle sanzioni è venuta ad aggiungersi, a suggello, la pratica dei riconoscimenti internazionali. Essa subentra, dopo che il Paese è stato spinto in condizione di grave crisi umanitaria, per destituire il presidente Maduro dall'esterno, riconoscendo come legittimo quello alternativo di Guaidó, autoproclamatosi tale.
In tal modo la sua sovranità viene avocata e la sua indipendenza minacciata da un intervento militare che pretende di assumere sul piano internazionale sia la veste umanitaria che legale.
Il nervo scoperto
Nel dibattito sulla posta in gioco attorno alla crisi del Venezuela si è inserita la voce controcorrente di Pino Arlacchi. In due articoli, apparsi su “Il Fatto Quotidiano”, prende chiara e motivata posizione contro le pretese degli Stati Uniti.
Pino Arlacchi
è professore ordinario di Sociologia generale presso l'Università di Sassari.
Amico dei giudici Chinnici, Falcone e Borsellino, è stato presidente onorario della Fondazione Falcone e tra gli ideatori della strategia antimafia italiana negli anni Novanta dello scorso secolo. Deputato e senatore del Partito democratico della sinistra e vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia, si è dimesso dal Senato per ricoprire l'incarico, dal 1997 al 2002 di vicesegretario generale dell'ONU. Direttore esecutivo dell'Onodc (United Nations Office on Drugs and Crime) è stato anche direttore generale dell'ufficio delle Nazioni unite di Vienna. Deputato al Parlamento europeo con L'Italia dei Valori, ha poi aderito al PD e al gruppo dell'Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici europei.
È autore del libro “I padroni della finanza mondiale – Lo strapotere che ci minaccia e i contromovimenti che lo combattono”, uscito nel 2018 per Chiarelettere, nel quale fa riferimento alle idee di Karl Polanyi.
Nel primo articolo9 riprende i dati e l'analisi contenuti nel rapporto dell'esperto Onu Alfred De Zayas, il quale, dopo la visita effettuata in Venezuela nel 2017, propose il deferimento degli Stati Uniti alla Corte Penale Internazionale per i crimini contro l’umanità perpetrati in Venezuela dopo il 2015.
Nel secondo articolo,10 oltre alla «voglia delle élite americane di afferrare finalmente in Venezuela la preda agognata, sfuggitagli in Russia negli anni '90, e in Iraq e Libia dopo: le riserve di un grande produttore di idrocarburi (...)», mette in luce «un'ulteriore, poco conosciuta, matrice di ostilità: la sfida all'egemonia del dollaro lanciata da Chavez-Maduro proprio all'alba della de-dollarizzazione dell'economia mondiale. La decisione del Venezuela di evitare l'uso del dollaro nelle compravendite di petrolio e di creare un sistema di scambi con l'estero, il Sucre, basato su una cripto-moneta, il Pedro, garantita dal suo petrolio e da altre risorse, ha toccato il nervo scoperto della finanza americana. E ne ha scatenato la collera.»
Quanto all'Europa, Arlacchi aggiunge: «(...) la minaccia euro alla supremazia del dollaro si è sgonfiata poco dopo la creazione della moneta unica. Il suo peso nelle transazioni globali è sceso dal 30% delle origini al 20% attuale. Per i padroni della finanza mondiale è sufficiente mantenere l'attuale frattura tra Ue e Russia perché l'euro resti dove si trova.»
Moneta e dominio
Condividendo le osservazioni di Arlacchi, mi preme evidenziare due aspetti ulteriori.
La prima attiene al ruolo della moneta in generale: non è un semplice “velo” che copre gli scambi senza alcuna influenza sui fenomeni reali. Non è “neutrale” in meri rapporti economici, tanto più in un mondo finanziarizzato, bensì uno strumento di politica economica connessa alle pratiche internazionali di dominio. Se così non fosse, gli Stati Uniti trascurerebbero di preservare la posizione preminente del loro dollaro ed avrebbero aderito alla proposta cinese di dar vita ad una nuova valuta internazionale di riserva, sul modello del bancor proposto da J.M. Keynes in vista della conferenza di Bretton Woods del luglio 1944.
La storiella della moneta “velo”, basata sulla teoria quantitativa classica, è stata raccontata anche allorché venne introdotto l'euro. Anche in questo caso smentita dai fatti, come conferma un recente studio di un think tank tedesco, liberista e conservatore.11
La qual cosa dimostra che, alla base del calo dell'uso dell'euro negli interscambi globali, sta la subalternità dell'Ue agli Stati Uniti ed al suo centro finanziario (come sostiene Arlacchi) che, tuttavia, non basterebbe se non si aggiungesse alla sua cronica inconsistenza politica, minata all'interno dalla dilatazione degli squilibri tra le sue economie nazionali, alla quale la moneta unica ha fortemente contribuito.
Se traballa il dollaro, non riuscendo a nascondere la decadenza dell'imperialismo statunitense, non di meno traballa l'euro, dietro al quale invano si nasconde il nazionalismo egemonico teutonico (a sua insaputa?) sul vecchio continente, fonte permanente di disgregazione, inaccettabile ed inaccettato.
Bombe
Nella disamina di Arlacchi colpisce la connessione tra ruolo del dollaro ed armamenti nucleari:
«La de-dollarizzazione è in pericolo mortale. I suoi segnali vanno soffocati sul nascere. Come? Nel caso di Paesi relativamente marginali e non dotati di armi nucleari, perché disarmati in precedenza dall'Onu come l'Iraq o convinti ad abbandonare i programmi nucleari come la Libia, si può andare per le spicce. L'Iraq è stato invaso perché non aveva l'atomica.
Nel caso dell'Iran – potenza di medio rango in via di de-dollarizzazione che produce petrolio senza dipenderne integralmente e in grado di acquisire in tempi brevi l'atomica – occorre più cautela. L'ideale è spingere il Paese a disarmare e poi colpirlo e ri-dollarizzarlo. (...)»
Il rapporto tra imperio del dollaro, della sua finanza, ed armi nucleari era già stata sollevata, tra gli altri, da Elido Fazi nel 2012.12
Secondo Fazi, per riaffermare la signoria del dollaro, gli States erano passati dal dollar exchange standard ad uno standard dollaro-petrolio:
«Cos'era successo, Gli Stati Uniti avevano dovuto abdicare al cambio fisso con l'oro, che aveva permesso loro di far crescere l'economia per tre decenni. Per questo, avevano architettato un sistema per legare la loro moneta al petrolio. L'accordo siglato con i sauditi portò ben presto anche tutti gli altri membri dell'opec a seguire la medesima strada. Si era di fatto stabilito uno standard. Tutti i paesi che dovevano importare petrolio erano obbligati a conservare vaste riserve di dollari per acquistare il greggio. Chi, invece, lo esportava, otteneva in cambio dollari, che venivano reinvestiti per lo più nell'economia americana.»
Negli sviluppi successivi, tuttavia, gli Stati Uniti videro crescere un enorme deficit della loro bilancia dei pagamenti, di cui quella commerciale è solo una parte. Sono anni in cui il dollaro corre nel vuoto. Sicché «gli squilibri strutturali degli usa non sarebbero stati sostenuti in eterno, a meno che non venissero difesi con una serie continua di guerre.»
A tale proposito Elido Fazi ricorda le funeste previsioni del suo amico Gore Vidal, contenute nel suo “La fine della libertà”, pubblicato all'indomani dell'11 settembre 2001.13 Tra queste “Iraq first, Iran next”, perché il «petrolio rappresentava, da un certo punto di vista, l'ultimo grande laccio che teneva la comunità internazionale indissolubilmente legata alla valuta americana».
Gore Vidal (1925-2012)
è considerato il più grande scrittore statunitense del Novecento.
Tra i suoi numerosi libri: “Impero”, Fazi Editore, 2002.
Le guerre di Bush junior confermarono le previsioni di Vidal, mentre il ritiro dall'accordo sul nucleare iraniano da parte di Washington (non disconosciuto dall'Ue) lasciano aperta la possibilità che l'Iran sia il prossimo bersaglio, a cui potrebbe fare da battistrada un intervento in Venezuela.
D'altro canto, è pur vero che Trump ha intavolato una trattativa col “diavolo nord-coreano”, detentore della bomba, mentre si rifiuta di farlo con l'Iran e minaccia tutti coloro che intrattengono rapporti con Teheran di subire severe sanzioni.
Cose nostre
Date le motivazioni, Pino Arlacchi rappresenta una anomalia in seno al PD. Non è comunque il solo a nutrire delle riserve. Agli inizi di febbraio, quando il Parlamento europeo votò a larga maggioranza per il riconoscimento di Juan Guaidó, 5 europarlamentari del PD (Benifei, Bettini, Briano, Cozzolino, Kyenge) si astennero, insieme a quelli del M5S e della Lega. Mentre i pentastellati si riconoscevano nella posizione del governo italiano, la Lega si astenne solo per non contrapporvisi, avendo Salvini dichiarato ai quattro venti che stava dalla parte di Washington.
In questa controversa vicenda ritroviamo alcuni elementi dirimenti sulle scelte politiche di fondo, in questo caso non nazionali (vedi TAV) ma internazionali. Mentre Salvini ancora una volta mostra una opportunistica e pericolosa disinvoltura nel passare da una posizione all'altra, dalla difesa della sovranità nazionale al suo opposto, dall'elogio a Mosca al suo opposto, compattandosi con Forza Italia e Fratelli d'Italia, il PD (come sul TAV) mostra di condividere le posizioni del vecchio regime europeo, e di Salvini, piuttosto che discostarsene.
In base a queste scelte, qualora cadesse il governo Conte, sarebbe più logico che gli subentrasse un governo di “larga coalizione”, con il solo Movimento 5 Stelle all'opposizione, visto che anche LeU sulla questione venezuelana (come sul TAV) è divisa, incerta e confusa. Solo una componente (capeggiata da Stefano Fassina) di Sinistra Italiana, a sua volta aderente a LeU, diverge da quella di coloro i quali, sebbene si siano separati dal PD, ne hanno una totale nostalgia e gli restano aggrappati pur far parte di una coalizione di centro-sinistra. Essa dovrebbe ricomporsi per rieditare il bipolarismo, in alternativa ad un ricomposto centro-destra, dal quale comunque, sui temi essenziali, non riesce a distinguersi.
Mi pare importante sottolineare, ai fini della presente analisi, che nella presentazione del Manifesto per la Sovranità Costituzionale, Fassina,14 di cui sono note le critiche al sistema euro, faccia espresso riferimento al “momento Polanyi”:
«La nostra valutazione è che la Brexit, l'elezione di Trump, il nostro referendum del 4 Dicembre 2016 e, dopo, i risultati di tutte le elezioni politiche nei Paesi europei segnano un passaggio di fase. La regolazione liberista, propria del capitalismo globale trainato dalla finanza, si è rivelata insostenibile sul piano ambientale, economico, sociale e democratico.
"History is back", scriveva The Economist nell'editoriale dopo il terremoto alla Casa Bianca. Per noi, siamo al "momento Polanyi": la società, in particolare le classi medie, si ribella al dominio dell'economia e invoca il ritorno della Politica a sua difesa.»
Nel riferimento al “momento Polanyi”, Fassina incontra Pino Arlacchi e la spiegazione del “Contromovimento” della società in opposizione al dominio della finanza, presente nel suo ultimo libro.
Addomesticamenti
Guardando in casa nostra, in Italia ed in Europa, si direbbe che non solo il Venezuela è vittima di un addomesticamento. Certo non da fame, come Washington tenta di fare ai danni del Venezuela sottoposto ad embargo, ma politico.
Sennonché seguire l'alleato nord-americano sulla via del petrolio-dollaro porta alla guerra. E qui, dopo aver lanciato il sasso, la mano europea si ritrae timorosa e spaventata dagli effetti, come se non fossero prevedibili. Dopo avere baldanzosamente riconosciuto Guaidó, ora la Ue, come altri Stati dell'America Latina, teme che ai pronunciamenti possa seguire un ricorso alle armi, al quale però si dice contraria.
È in questa contraddizione che l'atteggiamento del governo italiano, se confermata, mostra di essere più lungimirante di quello dettato dal parlamento e dalla maggioranza dei governi europei. Giacché lascia un più ampio margine al negoziato, alla ricerca di una soluzione pacifica, la quale ha bisogno di una mediazione internazionale. Ad essa può contribuire papa Francesco, al quale si è espressamente rivolto il presidente Maduro.
La china è assai pericolosa, perché l'Iran da un addomesticamento da fame del Venezuela o, peggio, da un intervento bellico a guida statunitense, ricaverà immediatamente la conseguenza che non dotarsi della bomba nucleare significa dover sottostare poi ai voleri di Washington e, nel vicino Oriente, del governo israeliano (dotato di bomba nucleare) che non ha mai fatto mistero delle sue intenzioni.
Analogamente altri Stati potrebbero trarre le medesime conclusioni, scatenando una corsa agli armamenti nucleari.
Perciò opporsi all'addomesticamento del Venezuela, tanto più per via militare, è di vitale importanza per la pace mondiale.
Se, come sostiene Carlin Petrini, siamo alla vigilia di un nuovo '68, un nuovo movimento non potrà che unire la coscienza ambientalista, per la salvezza della vita umana sul pianeta, alla coscienza contro la guerra che nutre anch'essa la medesima finalità.

Note
1 Saddam si era impadronito di uno Stato confinante e coloro che gli si opposero annunciarono l'intervento militare in nome del diritto internazionale violato.
2 http://www.fmboschetto.it/utopiaucronia/Grande_Muraglia_Romana_7.htm
3 Il Venezuela ha assunto nell'anno in corso la presidenza di turno dell'OPEC.
4 La dottrina Monroe (1823), esprime l'idea della supremazia degli Stati Uniti sul continente americano. Di recente, vi ha fatto esplicito riferimento il consigliere di Trump per la sicurezza, John Bolton.
5 Guido Gazzoli, intervista a Juan Guaidó, “I militari mollino Maduro o non avranno l'amnistia”, il Fatto Quotidiano, 3 marzo 2019.
6 Formato da 12 paesi dell'America del Nord e del Sud. È considerato il “blocco anti-Maduro”. Tra i fondatori di tale blocco vi sono Argentina, Brasile, Colombia, Canada e Messico. Per il momento, gli Usa hanno deciso di partecipare alle iniziative del forum soltanto in qualità di “Paese osservatore”.
7 L'intervento militare della NATO (1999) nella crisi del Kosovo contro la Serbia, voluto dal presidente Clinton, assunse il nome di “guerra umanitaria”. Il governo D'Alema concesse alla NATO l'uso delle basi aeree in Italia.
8 “Venezuela, le miniere saranno l'alternativa alla schiavitù del petrolio”, Greenreport, 29 agosto 2016.
9 Pino Arlacchi, Io, ex vicesegretario dell’Onu vi spiego il grande imbroglio della crisi in Venezuela, tra Wall Street e petrolio”, Il Fatto Quotidiano, 27/2/2019.
10 Pino Arlacchi, “Dollari & Petrolio: perché l'America azzanna Caracas”, Il Fatto Quotidiano, 9/3/2019.
11 Il Center for european politicy ha fatto i conti dei guadagni e delle perdite di reddito di ciascun Paese, dal 1997 al 2017. In miliardi di euro, risultano in attivo: Germania (+1.893) ed Olanda (+346). In passivo: Spagna (-224), Portogallo (-424), Francia (-3.591) ed Italia (-4.325).
12 Elido Fazi, “La terza guerra mondiale? - La verità sulle banche, Monti e l'Euro”, Fazi Editore, febbraio 2012.
13 Gore Vidal, “La fine della libertà – Verso un nuovo totalitarismo?”, Fazi Editore, 2001.
14 Il 7 febbraio, le associazioni Patria e Costituzione, Senso Comune e Rinascita! hanno presentato il Manifesto per la Sovranità Costituzionale. Vedi anche:
https://www.huffingtonpost.it/stefano-fassina/perche-il-manifesto-per-la-sovranita-costituzionale_a_23664881/.


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