mercoledì 14 ottobre 2015

Scheda SIRIA

Scheda SIRIA

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Repubblica araba di Siria
Prima della guerra civile vivevano in Siria quasi 23 milioni di persone.
«La maggior parte della popolazione è araba, vi è poi una cospicua minoranza curda (circa il 10%) e minoranze turcomanne, assire e armene. I curdi siriani non hanno avuto diritto allo status di cittadini siriani fino al 2011 (...). La Siria ha ospitato fino all’inizio del conflitto civile una delle comunità di rifugiati più ampie del mondo, composta, secondo le stime (...) (Unhcr), da mezzo milione di palestinesi e più di un milione di iracheni.
Gli alauiti, corrente minoritaria dell’islam sciita cui aderisce la famiglia del presidente Assad, costituiscono solo il 14% della popolazione, ma hanno detenuto finora le leve della politica nazionale. La maggioranza della popolazione è musulmano-sunnita (72%). Vi sono cospicue minoranze di cristiani (12%) [ndr: meno della metà cattolici, il resto ortodossi] e drusi (3%). La Costituzione garantisce la libertà religiosa, generalmente rispettata, ma prevede che il presidente debba essere musulmano. Gli appartenenti ai movimenti politico-religiosi di ispirazione islamica, come i Fratelli musulmani, erano considerati fuorilegge già prima del conflitto civile.
Sebbene le varie etnie e comunità religiose del paese abitassero tradizionalmente in zone specifiche – o in determinati quartieri delle grandi città – a partire dall’indipendenza si era assistito a un notevole amalgamarsi tra i diversi gruppi, soprattutto all’interno dei grandi centri urbani. Il conflitto civile scoppiato nel 2011 – che a fine 2014 ha causato oltre 200.000 vittime accertate – ha però spinto a fuggire circa un quarto della popolazione all’interno dello stesso territorio nazionale. Il fenomeno dei ‘rifugiati interni’ è stato caratterizzato da uno svuotarsi dei quartieri e delle zone abitate dalle minoranze, i cui membri hanno spesso preferito trovare riparo nelle zone in cui la propria comunità è maggioritaria. Infine, circa 2,2 milioni di rifugiati sono espatriati, soprattutto verso i campi profughi di Turchia, Giordania, Libano e Iraq, mentre una parte rilevante della popolazione più benestante si è trasferita in Egitto o nei paesi occidentali.
Il tasso di alfabetizzazione è piuttosto elevato (85,1%), soprattutto per i giovani (più del 90% sia per gli uomini sia per le donne). La disparità di genere nell’istruzione andava riducendosi: la proporzione di bambine iscritte alla scuola primaria rispetto ai bambini era salita dal 90,3% nel 2004 al 95,6% nel 2009. La guerra civile ha sconvolto tutto. Secondo il rapporto “Syria Crisis: Education interrupted”, promosso dall’Unicef e pubblicato nel dicembre 2013, dal 2011 circa 3 milioni di bambini hanno smesso di andare a scuola per colpa dei combattimenti e questo ha annullato le conquiste della decade precedente.»1

Il conflitto è iniziato il 15 marzo 2011 con le prime dimostrazioni pubbliche, si è sviluppato in rivolte su scala nazionale, per poi divenire guerra civile nel 2012.
«Le iniziali proteste hanno l'obiettivo di spingere alle dimissioni il presidente Bashar al-Assad ed eliminare la struttura istituzionale monopartitica del Partito Baath. Col radicalizzarsi degli scontri si aggiunge con sempre maggiore forza una componente estremista di stampo salafita che, anche grazie agli aiuti di alcune nazioni sunnite del Golfo Persico, si pensa possa aver raggiunto il 75% della totalità dei combattenti. Tali gruppi fondamentalisti hanno come principale obiettivo l'instaurazione della Sharia in Siria.
A causa della posizione strategica della Siria, i suoi legami internazionali e del perdurare della guerra civile, la crisi ha coinvolto i paesi confinanti e l'intera comunità internazionale.»2
La Siria in guerra civile, a metà maggio 2015.
La descrizione delle Forze armate in campo si riferisce alle aree ed ai colori di questa cartina.
Forze armate in campo

Governativi lealisti (in rosso)
Forze Armate Siriane (FAS), del governo di Bashar al-Assad. Ruoli chiave occupati da alauiti (componente sciita).
Forza nazionale di difesa, composta da alauiti, sciiti, cristiani e drusi. Istituzionalizzazione dei Comitati Popolari, sorti nel periodo di incubazione della guerra civile.
Shabiha, milizie filo-governative non ufficiali, provenienti dalle zone costiere. Sono accusate di “fare il lavoro sporco”.
Hezbollah, milizia armata sciita libanese.
Antigovernativi (in verde)
Esercito Siriano Libero (ESL). Formato da defezioni (sunnite) dalle Forze Armate Siriane (FAS). Referente politico: il Consiglio Nazionale Siriano, coalizione eterogenea che comprende i Fratelli Musulmani. Sede del comando in Turchia. Indebolito dal mancato intervento militare degli Usa (2013) e dalla crescita delle formazioni antigovernative jihadiste.
Antigovernativi jihadisti (in nero e grigio)
Fronte al-Nusra, riconosciuta componente di al-Qaeda. Il suo obiettivo rimane l'instaurazione di un Emirato nazionale in Siria, ragione per cui si divide dalle milizie di Abu Bakr al-Baghdadi quando egli proclama lo Stato Islamico dell'Iraq e del Levante, mettendosi a capo di un Califfato transnazionale tra Siria ed Iraq.
Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (ISIL o ISIS) del califfo al-Baghdadi che unisce i territori controllati in Siria ed Iraq. Ad esso si richiamano milizie presenti in Libia.
Fronte Islamico. Collabora con al-Nusra, per la creazione di un Emirato islamico in Siria. Avversa l'ISIL. Numeroso e finanziato dall'Arabia Saudita; dal 2013 si è accordato anche con l'ESL.
Curdi (in giallo)
Unità di Protezione Popolare (YPG), milizia di autodifesa curda. Referente politico: il Comando Supremo Curdo a cui aderiscono il Partito dell'Unione Democratica (di cui le YPG sono braccio armato) ed il Consiglio Nazionale Curdo. Legate al PKK in Turchia. Comune obiettivo l'indipendenza curda.

Lo scontro è tra Lealisti ed Antigovernativi, i quali sono divisi in due fronti (nella cartina segnati in verde e in nero-grigio) che, a loro volta, si combattono a vicenda.
In posizione autonoma di autodifesa territoriale, i Curdi in Siria sono alleati dei Governativi e combattono contro le forze passatiste.
"La Repubblica" del 9/10/2015 raffigura una diversa presenza delle forze in campo rispetto a quella del 15/05/2015 (sopra riportata):
- Le forze curde controllano Kobane ed una striscia continua di territori a Nord-Est.
- Hezbollah presidia tutto il confine con il Libano, ma l'Esercito Siriano Libero (in questa cartina Ribelli siriani) copre una zona cuscinetto a ridosso delle alture del Golan, occupate da Israele.
- Fronte al-Nusra è presente in due enclavi all'interno della zona controllata dall'Esercito Siriano Libero ed in altre due è in condominio con lo Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (in questa cartina Is).
- Il Fronte Islamico non figura, nonostante sia ritenuto da alcune fonti fortemente presente.
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Schieramenti internazionali
La Turchia del “sultano” Recep Tayyip Erdogan appoggia ufficialmente l'Esercito Siriano Libero. Bombarda le postazioni delle YPG curde e dell'ISIL. Il suo obiettivo principale è impedire la formazione in Siria, ai suoi confini, di una zona libera autoamministrata dai curdi. È accusata di dare man forte, in funzione anti-curda, alle formazioni jihadiste in Siria, permettendo loro di commerciare in petrolio ed armi. Nelle recenti stragi contro l'opposizione pacifista curda interna (tra cui il Partito Democratico del Popolo, 12,9% alle ultime elezioni, contrario ai bombardamenti su villaggi e postazioni del PKK) si riconosce un modus operandi già collaudato dalla “strategia della tensione” nell'Italia degli anni settanta. Da chiarire il ruolo dei “servizi deviati” e della Nato.
Il Consiglio Nazionale Siriano, referente politico dell'Esercito Siriano Libero, è riconosciuto dal Consiglio di cooperazione del Golfo, dalla Lega Araba, da Stati Uniti, Turchia e Francia.
Tuttavia, l'Arabia Saudita finanzia le milizie del Fronte Islamico che, collaborando con il Fronte al-Nusra (obiettivo comune un Emirato islamico in Siria), fungono da trait d'union tra quest'ultimo e l'Esercito Siriano Libero.
Stati Uniti e Francia riconoscono il Consiglio Nazionale Siriano, appoggiano l'Esercito Siriano Libero e bombardano le postazioni dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (ISIL). Avversano parimenti, sin dall'inizio della crisi, il governo di Bashar al-Assad.
Nell'area la Russia è alleata con la “mezzaluna crescente sciita” composta da regime alauita di al-Assad, Hezbollah libanese, Iran e sciiti iracheni. È scesa in campo, poggiando sulla propria base in Siria, a difesa regime siriano di al-Assad che (mantiene il seggio all'ONU) ne ha invocato l'intervento.
Il governo iracheno, pur essendo alleato con gli Stati Uniti, ha benedetto i bombardamenti russi.
Stati Uniti e Nato accusano la Russia di non colpire l'ISIL, come annunciato e propagandato, bensì in prevalenza le altre formazioni antigovernative.

1 Fonte: http://www.treccani.it/geopolitico/paesi/siria.html

2 Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_civile_siriana

Petrolio & Bombe

Petrolio & Bombe                                                                     [Clicca sul titolo se vuoi scaricare l'articolo in formato PDF]

Le questioni energetiche, monetarie e commerciali s'intrecciano con quelle militari. Siria contesa nel Grande Medio Oriente devastato dalle guerre. La Russia risponde a Stati Uniti ed Europa, che mancano di una strategia complessiva e unitaria. 
  • Dai primi mesi del 2014 il prezzo del barile si è più che dimezzato.[Vedi grafico Prezzo del Petrolio Greggio]
    La Russia ne ha sofferto per prima; ora è la volta dello shale oil Usa, in forte difficoltà.
  • Le grandi immissioni di liquidità (Quantitative easing) sono svalutazioni che favoriscono la competitività della propria economia a scapito di quella altrui. [Vedi grafico Tassi di cambio] Dopo quelle di Usa e Giappone, è in corso quella della Bce di Mario Draghi.
  • In controtendenza, la Banca centrale cinese ad agosto, per difendere il cambio, ha ridotto la liquidità sui
    Tassi di cambio euro-dollaro ed euro-sterlina
    Variazioni percentuali
    mercati internazionali, comprando yuan e vendendo attività finanziarie in dollari, euro e yen.1
  • Anche il settore dell'auto è coinvolto
    nelle guerre commerciali (caso Volkswagen), mentre nel Grande Medio Oriente divampano quelle militari. La Siria è al centro della contesa.
Petrolio, as usual?
Trainato dai consumi interni e dagli investimenti, il Pil statunitense è dato a +3,9% nell'anno. Tutto bene? Non proprio. Atteso a settembre, il rialzo del tasso d'interesse di base (al momento pari allo 0,25%), da cui dipende il costo del denaro, è stato posticipato a fine 2015 dalla Fed, la banca centrale federale.
Pesano l'andamento dell'inflazione negli States che, al netto dell'energia, è quasi a zero, ma pure l'incognita della politica finanziaria e valutaria di Pechino. Ai diversi fattori d'instabilità partecipa il calo generale delle materie prime ed in particolare del petrolio, sceso attorno ai 50 dollari al barile.
A fronte ad un'offerta globale di greggio sovradimensionata, rispetto ad una domanda complessivamente debole, l'Arabia Saudita ha rifiutato di abbassare la propria produzione, trascinando sulla propria linea l'OPEC (Organization of the Petroleum Exporting Countries).
Il reame arabo, con 10,3 milioni di barili estratti giornalmente, è al terzo posto nella graduatoria mondiale, dopo gli Usa, saliti repentinamente negli ultimi anni a 12,6 milioni di barili al giorno, e la Russia a quota 11. La linea dell'OPEC rischia di creare seri problemi agli Stati Uniti.
«Lo zio Sam costretto a spegnere le trivelle.»2 Causa il barile a basso prezzo sul mercato mondiale, la produzione Usa è scesa di 200 mila barili/giorno e nel 2016 la contrazione attuale potrebbe arrivare a -400 mila barili/giorno: è in corso la crisi dello shale oil.
Il fracking, l'estrazione di carburante e gas da frantumazione delle rocce, ha registrato il fallimento di 16 aziende del settore petrolifero. Sicché la miriade di micro-imprese dei cowboys della trivellazione, già sottoposta alla “selezione naturale del mercato” ossia ad un processo di concentrazione “dei più adatti” sul piano finanziario e tecnologico, vede vieppiù assottigliarsi le proprie file.
Ne può risentire l'occupazione ed il programma di stabilizzazione di Janet Yellen a capo della Fed.
A livello globale la caduta del prezzo del petrolio fu vista quasi unicamente per le sue conseguenze sull'economia russa. Finché Paesi come l'Italia ne approfittavano ed era Mosca a patirne, tutto andava bene; ora il problema diventa anche europeo per l'importanza della ripresa Usa ai fini del superamento della stagnazione del vecchio continente.
Dato l'enorme accumulo di riserve petrolifere ed il surplus produttivo, gli Stati Uniti potrebbero essere indotti ad abolire una legge del 1975, che vieta le esportazioni di prodotti petroliferi non raffinati. Ma i prezzi dovrebbero risalire, pagati da nuovi clienti esteri disposti a comprare. Quali? L'Europa, l'America Latina, il Giappone, l'India, la Cina?3
Una platea vasta quanto indeterminata.
Come conseguire un rialzo del prezzo del barile e al contempo l'acquisto del proprio barile? Come correlare la spinta commerciale alle strategie politiche di Obama in zone nevralgiche del pianeta?
Connessioni.
Contrariamente a quanto è successo negli anni sessanta e novanta, all'attuale fase di caduta del prezzo delle materie prime (commodities) non corrisponde un'adeguata espansione dell'economia mondiale. La ragione risiede nella flebile domanda generata dalla crisi o dalla minore crescita, rispetto alle attese, di Paesi quali Cina, Russia e Brasile.
Secondo alcuni analisti, per i Paesi del mondo post-industriale le speranze sarebbero riposte in «un'ondata di innovazioni tecnologiche»4, non potendo le banche centrali continuare all'infinito nella pratica di sostegno basata su forti immissioni quantitative di liquidità.
Al momento si registrano due fenomeni in qualche modo connessi:
- la corsa di Wall Street, con continui rialzi da 78 mesi, ha subito un tonfo nel terzo trimestre (luglio-settembre), secondo misurazione dei vari indici attorno a -7%;
- «Dall'Arabia Saudita al Kuwait, dal Qatar alla Norvegia i fondi sovrani vedono bruciare miliardi dei loro portafogli. Colpa della discesa dei prezzi delle materie prime, della crisi cinese e dei tassi ai minimi. E ora anche della Volkswagen.»5
A tutti è nota l'importanza del Golfo per il controllo delle riserve energetiche globali.6 Come ben nota è la motivazione materiale delle guerre dei Bush contro Saddam Hussein.
Meno nota, forse, è la connessione tra l'elevata produzione (e la raggiunta autosufficienza) petrolifera degli Stati Uniti ed il loro proposito di progressivo disimpegno militare diretto dal Grande Medio Oriente, all'interno del quale il Golfo gioca un ruolo chiave.
Ambiguità.
Ciò può contribuire ad interpretare l'attivismo di tradizionali alleati come i reami arabi. Questi ultimi sentono la necessità di difendere la loro posizione sia economica che politico-strategica. Il che spiega l'atteggiamento dell'Arabia Saudita sul fronte del prezzo dell'oro nero e all'interno del cosiddetto fondamentalismo islamico, in particolare nella crisi siriana [vedi Scheda SIRIA a parte]. Se appare chiara la prima (business is business!), assai più “ambigua” è la seconda.
A Ryad governa un regime assoluto wahabita, che, avversando in primo luogo la “mezzaluna crescente sciita”7, manovra da anni all'interno delle fazioni sunnite passatiste8. In Siria finanzia il Fronte Islamico che collabora con al-Nusra (aderente ad al-Qaeda), con l'obiettivo comune di crearvi un Emirato islamico nazionale.
La fazione di al-Baghdadi deriva da una scissione di al-Nusra in Siria. Inizialmente fece parte dell'alleanza, supportata dagli Stati Uniti9, per rovesciare il regime di al-Assad. Entrò in rotta di collisione con essi quando, incapace di sfondare in territorio siriano, le sue milizie dilagarono in Iraq e si impossessarono di alcuni importanti pozzi petroliferi, dando vita allo Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (ISIL o ISIS) e scindendosi da al-Qaeda, contraria al Califfato transnazionale. La sua presenza in Libia è successiva.
L'ISIL non avrebbe potuto avere successo senza molte connivenze, specificatamente di Turchia ed Arabia Saudita, ma anche di almeno una parte dell'establishment nordamericano, dati gli stretti legami finanziari di Wall Street con le monarchie dei petrodollari. A di là di complotti ed operazioni sotto copertura, rimangono fatti accertati e pubblici:
  1. ben 30mila foreign figthers si sono trasferiti in zona, grazie a Stati più interessati a liberarsi di potenziali terroristi interni che di impedire il reclutamento jihadista;
  2. il commercio di petrolio ed armi per la Jihad si avvale di vie e piazze internazionali protette;
  3. forti finanziamenti raggiungono milizie jihadiste sunnite che sono contigue, giacché pur divise confluiscono su obiettivi comuni.
In ogni caso, il Califfato, combattendo contro il regime di Damasco e la “mezzaluna crescente sciita”, portava acqua sia al mulino dell'Occidente che a quello del governo di Israele.
Vuoto strategico e bombe.
Le cose si sono complicate con gli attentati terroristici, come quello a Charlie Hebdo, e per le esibite brutalità del neonato Stato Islamico (ISIL), contro il quale si è messa in moto una poderosa macchina mediatica. Di conseguenza, di fronte all'opinione pubblica internazionale, è diventato assolutamente prioritario eliminare l'”incombente minaccia”, rispetto all'obiettivo precedente di rovesciare in primis Bashar al-Assad.
Nella palese contraddizione si è inserito Putin.
Il cambio di priorità è facilitato dal recente accordo di Washington con l'Iran10 sulla questione del nucleare ed introduce la possibilità di una seppur transitoria collaborazione con la Russia, che ha “rinvigorito” la propria presenza militare diretta.
Contrario all'accordo con l'Iran e contrariato dalla piega presa dagli eventi, Benjamin Netanyahu ha dovuto recarsi a Mosca per sondare le intenzioni di Putin, ufficialmente solo per le alture del Golan occupate.
Intanto Angela Merkel ha sostenuto che «Assad deve essere coinvolto nei negoziati»11 e il governo Renzi avverte di non ripetere in Siria l'esperienza libica, quando i soliti “volenterosi” eliminarono Gheddafi alla cieca. In Europa prevale su tutto la preoccupazione energetica.
In questo contesto Putin ha preso l'iniziativa dal pulpito dell'ONU, mettendosi “legalmente” alla testa della “lotta internazionale al terrorismo” già dichiarata dall'Occidente. Ben sapendo che la partita locale è sì collegata a quella ucraina, ma assai più complessiva.
Pressata ai confini dalla Nato, sanzionata dall'Occidente, colpita dalla caduta del prezzo del barile, fuori dal G7 (ex G8) e dal TTIP, il Transatlantic Trade and Investment Partnership (tra Usa e Ue, un trattato in superficie “appena” commerciale e finanziario) da cui è deliberatamente esclusa, la Russia cerca di uscire dall'angolo e sembra avere spazio ed idee chiare per farlo.
Infatti, l'intervento militare russo gode di uno specifico vantaggio strategico: i suoi bombardamenti coinvolgono in modo devastante inermi popolazioni civili, al pari di quelli occidentali, ma, a differenza di queste, sono disposti a supporto di forze armate operative sul terreno più compatte, in grado di potersene avvantaggiare. Putin, quando chiede di coordinare tutti i bombardamenti, sa che Washington non può definire alcune forze jihadiste sul terreno come “al 100%” terroristi.12
In quale strategia militare può situarsi la corsa ai bombardamenti aerei degli Stati Uniti, della Francia e, forse, dell'Italia? Su quali forze politiche, nella complicata situazione siriana, possono effettivamente contare in futuro? Non si rischia di ripetere l'esperienza fallimentare dell'Iraq?
Cosa rimane di tanto cianciare “umanitario” sui destini delle martoriate popolazioni civili?
Un rapporto difficile
Considerazioni non finali.
Nell'agone economico globale piuttosto instabile e perturbato irrompono gli Stati.
La pretesa liberista e liberale di consegnare al (il) mondo (ad) un'economia di mercato a cui assegnare regole neutrali che esonerino gli Stati dall'interventismo egemonico e, al contempo, rendano superflua l'autodifesa nell'esercizio politico della sovranità popolare, democratica e nazionale, si rivela un'utopia deleteria se non una funzionale coperta ideologica.
Nel concreto svolgersi delle contraddizioni (nell'intreccio sommariamente sopra descritto) sopravviene l'egemonismo degli Stati e la messa in campo della loro potenza bellica. Ad essa dovrà necessariamente contrapporsi la resistenza di Paesi, nazioni e popoli nella ripresa della loro sovranità, sia coinvolti nelle guerre, e tanto più come “oggetti”, vittime designate, che come presunti “soggetti dominanti” (come suppone di essere l'Italia) delle avventure belliche.
Tuttavia, va sottolineato, sinora l'esercizio della potenza militare nell'area ha comportato più problemi di quanti ne abbia risolti, mostrando il volto del fallimento. Insistere è estremamente rischioso.
Nel generale disordine, in cui divampano conflitti valutari commerciali e militari, tenere sotto controllo tutti i fattori del vecchio dominio, compreso il primato del dollaro, per ricondurli ad un piano unitario a sé favorevole, diviene, per la massima superpotenza globale ed i suoi amici europei, sempre più una missione impossibile.

1 Marcello Minenna, Corriere Economia, pag. 7, 28/09/2015; scrive di “Quantitative Tightening”: “Quantitative easing” al contrario.
2 Maria Teresa Cometto, Corriere Economia, pag. 2, 22/09/2015.
3 Andrea Montanino, Corriere Economia, pag. 3, 22/09/2015.
4 Leonardo Maugeri, La Repubblica Affari&Finanza, pag. 10, 5/10/2015.
5 Paola Jadeluca, La Repubblica Affari&Finanza, pag. 12, 5/10/2015.
6 I Paesi del Golfo detengono il 48 per cento delle risorse globali accertate di petrolio e il 43 per cento di quelle di gas.
7 Governo siriano, Iran, sciiti iracheni ed Hezbollah libanesi.
8 Forze volte, tramite la Jihad, al ripristino di un Islam e di istituzioni politiche (sharia, emirati, califfati, ecc.) portando la storia a ritroso nel passato.
9 Circolò foto di riunione con Mc Cain, partecipe al Baghdadi.
10 Il quale permette al'Iran (produttore di petrolio) il definitivo sblocco finanziario e commerciale, già iniziato nel gennaio 2014.
11 Dichiarazione del 24/09/2015 riportata da tutti i giornali.
12 Putin: “Ci siamo rivolti a loro e abbiamo chiesto 'fateci sapere i bersagli che voi considerate al 100% terroristici'”. Il Fatto Quotidiano, 14 ottobre 2015, pag. 10.

giovedì 1 ottobre 2015

Penultime dalla Grecia


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Syriza ha rivinto. Rappresentazione geometrica delle forze e dinamiche elettorali nell'Europa periferica. Come tenere aperto il “gioco politico” senza sfuggire ai problemi reali.


Le elezioni di metà settembre hanno ridato fiducia ad Alexis Tsipras, riconfermando la compagine di governo formata da Syriza e AN.EL. (Greci Indipendenti).
Nettamente sconfitti gli “scissionisti” di Leiki Anotita dell'ex ministro dell'energia Lafazanis: non hanno superato la soglia del 3% e restano fuori dal nuovo parlamento ellenico.
Sull'esito elettorale pesa una forte crescita dell'astensione dal voto sia in termini percentuali complessivi che per i singoli partiti.

Collocazioni
Leiki Anotita sembra essere caduta nel classico errore della sinistra più a sinistra, quella che non rinuncia a sé, ma si mette da sé in un angolo chiuso ed ininfluente. In realtà, ogni lettura dei risultati non può prescindere dalla esistenza, nello specifico panorama greco, di una forza, il Kke (Partito Comunista Ellenico) con i suoi 15 deputati, gli stessi ottenuti nella precedente tornata. Assai difficile per gli elettori votare una nuova forza se raffigurata nello spazio tra Syriza e Kke.

Nelle dinamiche elettorali prevalgono le rappresentazioni degli spazi politici in senso geometrico, spesso a prescindere dai contenuti programmatici e dai riferimenti sociali. Guai ad assecondare queste allocazioni di destino, preconfezionate. Possono diventare un vero e proprio tranello.
Come sfuggirne?
In parte Syriza, nella sua fase iniziale e nell'alleanza con AN.EL, ma ancor più Podemos in Spagna ed in particolare M5S in Italia, hanno rotto lo schema spaziale pregiudiziale introducendo almeno due nuovi elementi:
    1. costruendosi in movimento, con un rapporto diretto, mobile, osmotico tra rappresentati e rappresentanti, per evitare la sclerosi da “apparato”;
    2. sostenendo temi, obiettivi e linguaggi “trasversali”, non incasellabili nelle distinzioni tradizionali e ruolizzanti, appunto geometriche, tra “destra” “centro” e “sinistra”.
In ciò resi credibili dalla crisi della forma partito, oramai vista come auto-conservativa ed auto-referenziale (se non cleptomane), e dalla sostanziale omologazione delle vecchie compagini alle politiche liberiste, subalterne alle oligarchie finanziarie, lontane ed avverse alla società.
Non si trascuri che la possibile “trasversalità” è stata colta anche da forze nazionaliste e xenofobe. In Francia, ad esempio, il Front National di Marine Le Pen raccoglie molti consensi anche nei bacini elettorali tradizionalmente di sinistra.
Tutti segni premonitori di un cambiamento di paradigma politico?
In un recente articolo su Le Monde diplomatique – il Manifesto, Pablo Iglesias leader di Podemos si chiedeva, non a caso e in questo senso, come «Tenere aperto il gioco politico» [vedi sotto].
Fatto sta che, in seguito alle note vicende del semestre greco, il ventaglio della rappresentanza parlamentare ellenica sembra ritornato al punto di partenza: un restaurato bipartitismo di alternanza governativa senza reale alternativa di contenuti, con Syriza al posto del vecchio e screditato Pasok, ridotto ai minimi nella palude centrista.
Preoccuparsi di non finire nell'angolo è tanto importante quanto evitare di sostituire semplicemente la forza di sinistra o centro-sinistra (il Pasok in Grecia, il Psoe in Spagna, ecc.), assumendone il ruolo ed approdando alla riedizione del vecchio gioco. Prospettiva che dovrebbe allarmare Podemos allorché, nei rapporti con l'Europa, riproponesse l'esperienza del governo Tsipras.
Noccioli duri
Ciò nonostante la crisi greca non è chiusa e ancor meno quella europea.
Il rientro nei ranghi di Tsipras e di Syriza è irto di contraddizioni. Non solo perché l'aspettativa del suo elettorato rimane pur sempre quella espressasi nel referendum, ma soprattutto per le conseguenze pratiche del piano delle Troika sulle condizioni di vita di gran parte della popolazione. Quanto potrà durare «il riconoscimento della difficile lotta del capo, sconfitto ma eroico, che ha permesso a Tsipras di rimanere popolare»1?
Nei mesi appena trascorsi si è fatto una gran parlare dell'assenza di un Piano B, di fuoriuscita dall'euro, e della sostanziale inutilità del quesito referendario ai fini della trattativa (per alcuni versi trasformatosi in un boomerang), trascurando il ruolo degli Stati Uniti.
Eppure, non c'era bisogno delle rivelazioni del quotidiano greco Ekathimerini2 per capire che, dietro le quinte, Obama ha manovrato per mantenere la Grecia in Eurozona (e NATO-zona), in cambio dell'impegno del Fondo Monetario Internazionale, dipendente da Washington, ad operare per la riduzione del debito greco.
Se tale promessa non fosse mantenuta, come ora è ignorata dalla nomenklatura di Bruxelles, verrebbe meno il solo punto di forza di Tsipras. Sicché, pur avendo anticipato i tempi elettorali, il ritorno dei problemi al loro nocciolo duro riporrebbe il confermato premier di fronte all'austerità, senza il benché minimo spazio di prospettiva.
D'altro canto non si poteva né si può pretendere che la piccola Grecia cavi per tutti le castagne dal fuoco. Magari lasciando indisturbato il “proprio” primo ministro, quando recita la parte del poliziotto buono3 nel costringere la vittima ad accettare il più pesante dei ricatti. Tanto più se, a mio parere sbagliando, si vuole “democratizzare l'euro”.
L'Unione europea, e al suo interno l'Eurozona in particolare, sono state così strutturate (nel più ampio processo di mondializzazione), proprio per isolare le singole insorgenze ed impedire alle sovranità democratiche di farsi valere.
Una maglia di acciaio finanziario, governata da Bruxelles, è stesa sulla libertà dei popoli e delle nazioni. Un esito apparentemente paradossale per il liberismo che ama rappresentarsi come acerrimo nemico di vincoli e catene statuali.
Come può apparire paradossale che occorrano più ampie e varie forze politiche europee, convergenti nel porre fine alla moneta unica, per consentire l'avvio di un percorso realmente comunitario.
Purché, nel frattempo, il Titanic Euro non si sia già schiantato contro un iceberg, mandando a picco la stessa Unione.
1 Maria Malagardis, Libération, Internazionale, 25 settembre 2015.
2 Ekathimerini, Washington guided Greece in bailout talks, envoy reveals, 27/09/2015.
3 Con riferimento a Renzi, Yanis Varoufakis, il Fatto Quotidiano, 23 settembre 2015.
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Tenere aperto il gioco politico
«È stata emblematica la visita ufficiale del re di Spagna al Parlamento europeo, il 15 aprile 2015. Un evento che ci ha messi di fronte a una questione difficile: quella della monarchia. Perché difficile? Perché di colpo ci impedisce di essere al centro del terreno.
Davanti a noi, grosso modo, due opzioni. La prima, adottata in genere dalla sinistra – come Izquierda Unida (Sinistra unita) –, consiste nel dire: «Siamo repubblicani. Non riconosciamo la monarchia, non andremo al ricevimento del re di Spagna. Non riconosciamo questo spazio di legittimità al capo di Stato».
È una posizione che, pur avendo perfettamente senso sul piano etico e morale, ci collocherebbe subito nello spazio della sinistra radicale, in un quadro molto tradizionale. Alienandoci di colpo ampi strati della popolazione che provano simpatia per il nuovo re (...), comunque la pensino su altre questioni e indipendentemente dal fatto che associno il re precedente alla corruzione del vecchio regime. La monarchia continua a essere fra le istituzioni più apprezzate in Spagna. (…) Dunque, due possibilità: o non andiamo al ricevimento e rimaniamo incastrati nella griglia di analisi tradizionale dell’estrema sinistra, che offre pochissime possibilità di azione; o ci andiamo, e Podemos si mescola alla classe politica, il che equivale a convalidare il quadro istituzionale. Insomma passare per traditori, monarchici o chissà che…
Come abbiamo risolto il dilemma? Siamo andati al ricevimento, ma senza cambiare nulla al nostro modo di presentarci, con gli abiti di sempre, ignorando il protocollo. È una cosa molto piccola, ma è simbolicamente rappresentativa di Podemos. Inoltre, ho offerto al re i dvd della serie Il trono di spade (Game of thrones), presentandogliela come uno strumento di interpretazione di quel che accade in Spagna (…). Certo, si tratta di scelte delicate, ma sono le uniche che ci consentono di tenere aperto il gioco politico, di lavorare nel cuore di queste contraddizioni, insomma di mettere in discussione lo status quo, invece di essere relegati in una posizione pura ma impotente.»
PABLO IGLESIAS
Paragrafo tratto da: Le Monde diplomatique – il Manifesto; Podemos, «La nostra strategia»; n. 7/8, anno XXII, luglio-agosto 2015.