venerdì 28 agosto 2015

Politica con la P maiuscola

Riccardo Bernini - luglio 2015

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Politica con la P maiuscola

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9 luglio 2015
L'unico risultato positivo della crisi
il Fatto Quotidiano, da un Commento di Stefano Feltri
«L'euro è quasi crollato per assenza di politica dietro il progetto monetario. Proprio grazie alla Grecia, epicentro di questo disastro finanziario, sta invece nascendo un'agorà e una vera politica europea. In fondo, da dove altro poteva partire il salto di qualità nella democrazia del continente se non da Atene?»
Commento del Commento
Si discuterà a lungo dell'opportunità del referendum e del quesito posto ai greci (fu autentica “mossa del cavallo”?), della mancata preparazione ad ogni eventualità del governo Tsipras e della sua effettiva volontà di affrancarsi dall'austerità volendosi comunque nell'Eurozona, dei feroci ricatti palesi e nascosti ai quali esso è stato sottoposto... Ma un aspetto mi pare certo: chiamato in causa, il popolo greco si è espresso politicamente contro chi, poi, per il solo fatto di aver così rivendicato sovranità, democratica e nazionale, l'ha punito in modo umiliante.
Che nessuno più in Europa osasse farlo!
Atene ha aperto uno spazio pubblico, una agorà, nell'Unione europea “maschera democratica”1 del governo degli oligopoli, a guida tedesca. Un duplice disvelamento: degli interessi di ristretti gruppi capitalistici, finanziari soprattutto e non solo europei, nonché di uno Stato a cui la moneta unica avrebbe dovuto impedire il ritorno di nazionalistiche propensioni all'egemonia sullo spazio vitale, Lebensraum, continentale. Al tempo stesso un varco, attraverso il quale altri popoli potrebbero passare, non accettando l'austerità di una Comunità che riduce i più deboli a periferie sociali e territoriali, accusandoli di dar retta a partiti e movimenti “populisti”. (Come paventa, sul Corriere della Sera del 29/6/2015, il professor Francesco Giavazzi a suo tempo fautore della “austerità espansiva”2).
Ciò che non appare convincente in questa lettura é che il progetto monetario dell'euro sia privo di una politica, di una vera politica o sia economia e moneta senza sostanza politica.
Eppure, risalendo alla nascita dell'euro, la storia ci interroga altrimenti.
Quando Mitterand e Andreotti, in cambio dell'appoggio alla riunificazione tedesca, ottennero da un Kohl recalcitrante la moneta unica, non fu “vera politica”?
Non confondendo la diagnosi con la cura, potremmo constatare quanto velleitaria sia stata la soluzione imposta alla riunificata Germania3, rispetto alla iniziale fondatissima preoccupazione di Francia e Italia, ma non ridurre quel che ne nacque a mera moneta ed economia.
Maastricht, poi, non fu vera politica? Il sistema di governo della moneta unica cos'è, allora? Regolucce fiscali e di bilancio avulse da un indirizzo politico? La Troika che impone ricette di austerità, salassa i popoli delle periferie europee salvando banche e favorendo hedge funds, per scaricarne i costi sulla fiscalità degli Stati (istigando i popoli che pagano contro quelli che “vengono salvati”), non fa politica? La stessa strutturazione dell'Europa in un Centro forte e più Periferie deboli, a degradare, non è politica?
Andando indietro nel tempo di questi ultimi decenni, si potrebbe altrettanto dire che Nixon nel 1971, quando sganciò il dollaro dall'oro, non fece politica. O che l'abbandono di Bretton Woods e la liberalizzazione internazionale dei movimenti dei capitali non furono atti eminentemente politici. Di questo “non far politica” si potrebbero portare esempi a non finire.
Fatto sta che per trarre l'Europa fuori dalla sua conclamata crisi, in base a questa nominalistica distinzione, i ministri del pensiero dominante invocano un salvifico sopraggiungere della “Politica”con la P maiuscola, foriera:
dal minimo del salvataggio della Grecia che, al necessario “rigore” delle “riforme strutturali” (rialzi dell'Iva, privatizzazioni, deflazione salariale, tagli pensionistici, ecc.), associ non solo nuovi prestiti e ristrutturazioni di debiti insostenibili, ma pure un grande piano di investimenti europeo per la crescita (“austerità sì, ma anche crescita!”);
al massimo di un “salto di qualità” confederale4 o di un “colpo di reni” istituzionale verso un'Europa finalmente Politica, frutto di una “generosa cessione di sovranità” di ciascuno dei Paesi membri, per superare l'Europa monetaria, l'Europa asfittica ed incompiuta (mutilata?), e ridare nuova vita al progetto fondativo, al sogno comunitario post-bellico dei Padri.
Rimarrebbero da spiegare parecchie cose.
Per esempio: come possano combinarsi austerità e crescita, evitando l'esplodere del debito privato e gli squilibri commerciali intra-europei; chi paga, sia dal punto vista finanziario sia fiscale (attenzione ai “trasferimenti”!) e conseguentemente chi sarebbe posto nelle condizioni di incassare; come la “cessione di sovranità” verrebbe a situarsi in un contesto in cui la loro sovranità, i Paesi periferici, l'hanno già ceduta obtorto collo5 e con mezzi per nulla democratici; quale democrazia comunitaria sortirebbe dalla contemporanea egemonia dei Paesi centrali su quelli periferici e degli oligopoli finanziarizzati sull'insieme europeo.
E se, invece, politicamente parlando, si riconoscesse che l'austerità, la moneta unica, l'Europa finanziario-centrica e germano-centrica, la supposta indipendenza della Bce e quant'altro sono un governo sistemico, una ben precisa politica?
Si comprenderebbe, magari, il motivo per cui “i creditori” trovino un così robusto sostegno nelle élites politiche continentali e non ci si meraviglierebbe troppo delle posizioni (dal social-liberismo al social-patriottismo?) della SPD di Gabriel e Schulz. Élites di cui fanno parte anche coloro che sono disposti a concedere flessibilità “solidale” (sempre con i soldi degli altri), temporanea e circoscritta, scambiata con “riforme strutturali” non più sobriamente austere ma divenute d'incanto progressiste, pur di preservare e conservare la sostanza delle strutture e degli assetti di potere attuali.
Potremmo dedurne che il desiderato “salto” verso l'Europa Politica, data la concreta situazione e pure superando protervie nazionalistiche, sarebbe solo un rivestimento istituzionale del consolidamento di questi poteri. Infatti, esso non verrebbe accettato dalla Germania, quand'anche fosse divenuta “egemone per caso”6 (non certo a sua insaputa), al di fuori di questa prospettiva.
E se, contro ogni tambureggiamento mass-mediale, riconoscessimo che per costruire un edificio politico condiviso e democratico fosse non sufficiente ma prioritario azzerare questa Europa che di veramente comune, per i popoli, ha solo l'incubo della moneta unica?7

1 L. Canfora e G. Zagrebelsky, “La maschera democratica dell'oligarchia”, Laterza, maggio 2014.

2 F. Giavazzi e M. Pagano, “Can severe fiscal contractions be expansionary? Tales of two small European Countries.” NBER Macroeconomics Annual, Cambridge, MIT Press, 1990.
3 «La Francia e l'Italia chiesero l'impegno nei confronti delle moneta unica, ma fu la Germania a scrivere gran parte delle regole», Timothy Garton Ash, “Quel conflitto tra democrazie che ancora divide l'Europa”, la Repubblica, 10 luglio 2015.
4 Angelo Panebianco, “Il nuovo patto confederale per far ripartire l'Europa”, Corriere della Sera, 8/06/2015. 5 Ultimo episodio: nella seconda metà di luglio il Parlamento greco ha dovuto approvare in gran fretta testi di legge immodificabili perché concordati con i creditori, pena il blocco sia dei prestiti che della liquidità.
6 Come discutibilmente sostiene Wolfgang Streeck, “Egemone per caso”, Le Monde diplomatique – il Manifesto, maggio 2015. Streeck è autore di “Tempo guadagnato. La crisi rinviata del capitalismo democratico”, Feltrinelli, luglio 2013.
7 Wolfgang Streeck conclude il sopracitato articolo con questa speranzosa frase: «Merkel ha saputo cambiare radicalmente posizione sull'energia nucleare. Non si può escludere che passi alla storia come la cancelliera che avrà liberato l'Europa da una moneta unica diventata incubo comune.»