lunedì 16 novembre 2015

La voglia matta, di guerra

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Stragi terroristiche e reazioni politiche in Italia. “Cinguettando”. Sciacallaggi e logiche di civiltà dello scontro. Come verrà combattuto il Califfato siro-iracheno?

  • “Occhio per occhio, dente per dente” fino alla guerra? E quale guerra, combattuta dove, come e da chi?
  • A questa sbrigativa “soluzione definitiva” ci spingono non solo le forze xenofobe, razziste e fasciste, ma pure quelle che ci vorrebbero tutti allineati difensori della civiltà occidentale minacciata e dei suoi supposti superiori valori.
  • Benché si stiano ripetendo gli stessi scenari da ormai vent'anni, di guerre sulle guerre, con evidenti disastrose conseguenze umanitarie e politiche, chi critica e mette in guardia da ripetizioni ciniche diventa subito nemico.
  • Un cielo così plumbeo promette tempesta.
Normalità dis-integrata
Nelle stragi di Parigi c'è un obiettivo raggiunto: la vita nelle grandi e ricche metropoli dell'Occidente non può più essere “normale”, quando in un qualsiasi luogo e momento i cittadini possono essere vittime di atti di terrorismo. Come fossero a Baghdad, a Beirut, a Kabul, a Damasco, o su un aereo turistico russo di ritorno da Sharm el Sheik.
Appare evidente uno “spostamento” di qualità rispetto alle Torri Gemelle di New York nel 2001. Al Qaida aveva colpito un bersaglio simbolico affatto “facile”, sempre di inermi civili, ma alla cui realizzazione era necessaria una complessa organizzazione capace di impadronirsi di aerei, pilotarli contro enormi edifici, eludendo molteplici controlli. Tanto da indurre molti a dubitare che questi siano stati, nel coincidere dei fatti, semplicemente disattenti e non colpevolmente coinvolti.
Il governo nordamericano del secondo Bush reagì in due modi ritenuti complementari: restringendo le libertà interne con misure eccezionali; dichiarando guerra ai talebani in Afghanistan. Ma l'operazione Enduring Freedom dura tuttora e dopo 14 anni non prospetta soluzioni in linea con le promesse. Vi partecipa l'Italia che, subalterna, “fa la sua parte”.
Tra i terroristi di Parigi ci sono figli di terza generazione di una fallita integrazione europea. Giovani, delle emarginanti banlieux o induriti combattenti del Califfato, hanno praticato uno stragismo del quotidiano, allo stadio, in un ristorante, in un concerto. Comunicano tramite play-stations, si armano facilmente su un mercato facilmente accessibile, possono entrare in azione in qualsiasi momento e prorompere in qualsivoglia luogo del vivere civile e sociale. Rendono insicure le nostre città nell'abitudine e nella regolarità.
Un ritrovo di divertimento a Parigi, come il Bataclan, diventa invivibile alla stessa stregua di un mercato sciita di Baghdad.
Questa è l'amara scoperta che tutti lascia sconvolti e attoniti. Perché alla falsa integrazione europea, in nome di un Dio unico e vendicativo (lo stesso di certi cristiani ed ebrei), dei giovani tanto carichi di odio quanto disillusi, preferiscono l'auto-disintegrazione che trascina nella propria sorte altri giovani, ai quali (questa è l'implicita accusa sottostante) non è riservato il medesimo destino d'esclusione.
Come reagirà l'Europa e l'Occidente a questa “guerra” portata alla propria interna normalità quotidiana, riproducendo la precarietà dell'esistenza esportata altrove, nelle periferie del mondo?
Senza nemici non c'è guerra
Non può meravigliare che i fautori della civiltà dello scontro siano poi sostenitori dello scontro di civiltà. Come l'assassino che grida all'assassino.
In Italia possono salire sul pulpito e predicare i loro sicuri e definitivi rimedi, ampiamente teletrasmessi, tramite le note parificazioni: i rifugiati ai clandestini, i clandestini ai terroristi, l'Islam al terrorismo.
Maurizio Belpietro
L'indomani delle stragi parigine è il giorno dello sciacallo. Maurizio Belpietro intitola su Libero «Bastardi islamici» e Daniela Santanché twitta «L'Islam festeggia i nostri morti».
Matteo Salvini chiede di introdurre «i libri di Oriana Fallaci obbligatori in tutte le scuole» e la chiusura xenofoba delle frontiere. Da “tombini di ghisa” a “felpa dorata”.
Non può mancare Giorgia Meloni su Facebook: «Diciamo basta all'immigrazione musulmana almeno fino a quando l'Islam non avrà risolto i problemi di violenza interni alla sua cultura.»
Matteo Salvini
A livello internazionale analoghe reazioni e commenti si possono cogliere un po' ovunque. Dai candidati repubblicani alla presidenza, tra cui Jeb Bush (il terzo della saga) chiede misure immediate contro «uno sforzo organizzato per distruggere la civiltà occidentale», alla Democrazia Cristiana (CDU) bavarese, al nuovo governo polacco che coglie l'occasione per “sigillare” le frontiere. Eccole, le forze nuove delle dell'Europa dell'Est!
Tra i tredici «semplici accorgimenti» che Marco Travaglio suggerisce ai governi europei e a quello italiano, con ironia e sarcasmo, sono facilmente rintracciabili tutte queste idee politiche che, perseverando diabolicamente, ci condurrebbero a sicura sconfitta. Il film evocato, non a caso, si intitola “Come persi la guerra”.1
Giorgia Meloni
Ma anche le posizioni “democratiche ed umanitarie”, pur difendendo una certa apertura ai flussi migratori (distinguendo, non si sa come, i rifugiati dai migranti economici, i fuggiaschi dalle guerre da quelli dalla fame) e distinguendo tra musulmani e terroristi in nome di Allah, non resistono alla chiamata alle armi in difesa dei valori sacri d'Occidente. Non furono “umanitarie” le imprese militari condotte per “esportare la democrazia”?
In America ciò induce Bernie Sanders, candidato democratico alla presidenza, ad accusare la candidata concorrente Hillary Clinton di aver votato per la guerra in Iraq, all'origine delle fortune dell'Isis e di Al Qaida, persistendo poi nell'errore quando diede il proprio assenso all'intervento in Libia.2
A casa nostra gettano una certa obliqua luce sul dibattito le reazioni di Fabrizio Rondolino, redattore de l'Unità di recente conversione renziana, alle affermazioni di Gino Strada.
Il leader di Emergency aveva commentato: «Le nostre scelte di guerra ci presentano il conto di anni di violenza e distruzione.» Una constatazione che promana dall'evidenza dei fatti. E Rondolino, il quale forse non aspettava che l'0ccasione per mirare al “corpo grosso” del pacifismo, non ha resistito twittando: «Emergency è un'organizzazione antioccidentale mascherata da ospedale ambulante. Va isolata e boicottata.» «Peggio di Belpietro c'è soltanto Gino Strada.» Proprio nel momento in cui il tam tam mass-mediale ci informava della vittima italiana al Bataclan, di Valeria Solesin volontaria di Emergency, davvero la nostra migliore gioventù. Miserie dei difensori d'ufficio.
Eppure Rondolino, onnipresente nei talk-show televisivi, ha così esplicitato in un solo momento sintetico due intendimenti della sinistra di governo: la lotta (se necessario la guerra) al terrorismo va fatta in nome dell'Occidente; chi fa risalire ad esso precise responsabilità è comunque nemico, perfidamente mascherato da “ospedale ambulante”.
Cielo plumbeo
Uno stato di guerra verso l'esterno ne implica uno verso l'interno, sulla scia del secondo Bush. Chi proclama che non dobbiamo rinunciare per nulla al nostro modo vivere (per non darla vinta ai terroristi), aggiunge poi che qualche nostra libertà andrà comunque sospesa (sacrifici di guerra!).
Tuttavia, ancora non è chiaro come verrà combattuto lo Stato Islamico, il Califfato di Al-Baghdadi. Intanto i bombardamenti e l'uso dei droni viene rafforzato, con il relativo carico di morti tra inermi civili. Nel “cratere siro-iracheno”, sul terreno contro i terroristi, combattono solo forze o ostili all'Occidente o viste con estrema “diffidenza”, come i curdi. Di converso gli alleati, più o meno subalterni a Stati Uniti ed Europa, come la Turchia ed i reami arabi del Golfo, commerciano in petrolio e opere d'arte coi terroristi, quando non li finanziano ed armano semplicemente. A queste transazioni sono estranei i governi e i “servizi” occidentali? O anch'essi hanno mestato nel torbido pur di avversare la mezzaluna sciita e i regimi nazionalisti arabi in Siria come in Libia? E che ruolo hanno le aziende produttrici di armi?
Non è necessario riandare alla prosecuzione del colonialismo con altri mezzi o alla protezione del sionismo israeliano (difeso da qualsiasi critica con l'accusa infamante di antisemitismo), per trovare delle spiegazioni che promanano dall'interventismo dell'ultimo ventennio, i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti.
Si potrebbe scegliere la via di “asfissiare” il Califfato, di prosciugare ogni risorsa del terrorismo alla fonte, anche da e a casa nostra. Ma sarebbe troppo lento e pacifico e, soprattutto, costerebbe un cambiamento politico di fondo e un bel pezzo di egemonia del sacro Occidente, aprendo la via ad un assetto mondiale multipolare.
In troppi vogliono una nuova guerra che sotterri con quella precedente anche le nostre vite. Salvo costatare, alla prova dei fatti, e sempre dopo, che il terrorismo avrà in essa trovato nuova linfa e nulla è risolto.
Saremo ulteriormente disposti a sopportare che un “sorry” del Blair di turno, permetta loro di ripetere all'infinito il gioco al massacro?

1 Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano, Come persi la guerra, 15 novembre 2015.
Estratto in: https://triskel182.wordpress.com/2015/11/15/come-persi-la-guerra-marco-travaglio/
2 http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Parigi-entra-nelle-primarie-Usa-Sanders-contro-Clinton-invasione-Iraq-genero-Isis-d749a132-9bf0-4a92-8d72-2cae926fb019.html

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