lunedì 16 settembre 2019

La crisi dopo ferragosto

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Le contraddizioni della Lega all'origine della crisi di governo. Incerto il futuro ruolo del PD tra Zingaretti e Renzi. L'Ue pare disponibile a qualche concessione. Su tutto incombe una nuova recessione.

Autogol?

Matteo Salvini, infine, si è deciso a rovesciare il governo Conte I. Così è nata la crisi di ferragosto ed il governo Conte II.
Agli occhi del capo della Lega esisteva solo una possibile alternativa alle elezioni anticipate, che avrebbero consentito al suo partito ed a lui personalmente di trasferire sul piano nazionale il successo conseguito alle europee: una riedizione del Contratto con il M5S, senza Conte in posizione terza di “arbitro”, con Luigi Di Maio premier. Non aveva messo in conto il renversé di Zingaretti, indotta dalla “mossa del cavallo” di Renzi, vero padrone dei gruppi parlamentari del PD, che, va ricordato, aveva rifiutato una prima profferta di collaborazione da parte dei 5 Stelle all'indomani delle politiche del 4 marzo 2018 mettendosi sulla riva del fiume.
Soprattutto, Salvini non ha adeguatamente valutato i risvolti della elezione di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione europea.
In un primo momento “il Capitano” aveva condiviso con Di Maio e Conte l'appoggio alla candidatura della von del Leyen.1 Prendeva atto del rientro nei ranghi del sovranismo di destra est-europeo, rivelatosi subalterno all'egemonismo teutonico. Ciò nonostante, al momento della votazione a Bruxelles, avendo subodorato la defezione di molti parlamentari della maggioranza allargata che avrebbe dovuto sostenerla, ha pensato di fare l'ennesimo sgambetto ai 5 Stelle. Qualora Ursula fosse stata bocciata i “grillini” sarebbero rimasti col cerino in mano su una posizione inutilmente “europeista”, con la Lega vincente su una posizione “sovranista”.
Contrariamente alle attese, invece, la von der Leyen è risultata eletta e solo grazie al decisivo voto dei deputati europei del M5S.
Ursula von der Leyen
Nell'immediato la decisione di rovesciare il governo è stata un fiasco totale, anche perché, a dispetto della successiva retorica sulle poltrone altrui, a buona parte dell'opinione pubblica la rottura è apparsa come una riedizione della logica partitica vecchia maniera, auto-centrata, nonché una manifestazione di tracotanza personale.2 In sostanza: una mossa “poltronista” nel senso però autoritario del termine, per ottenere tutto il potere.
Tuttavia, a medio termine, non è detto che il rovesciamento delle alleanze del M5S, avviato proprio dalla Lega che ora lo denuncia con scandalo e sdegno, non porti quest'ultima alla vittoria.
Di mezzo ci sarà l'azione concreta del nuovo governo, in una particolare fase politica europea ed internazionale contrassegnata dall'incombere di una nuova recessione economica.
Posto a locomotore del sistema europeo, il modello tedesco basato sulle esportazioni è in panne, quanto, d'altro canto, quello neo-protezionistico degli Stati Uniti di Donald Trump. È alle porte una recessione dei Paesi ricchi d'Occidente, accompagnata da forti rischi di un ulteriore crack finanziario, dovuta al dislivello tra esplosione finanziaria dei “valori di carta” ed il sottostante fermo delle produzioni di merci e servizi, la cosiddetta “economia reale”.3
Comunque, una ricognizione del momento politico odierno non può prescindere dall'esame dei termini della crisi ferragostana che l'ha preceduta.
Ferragosto padano
Molto si è insistito sui contrasti tra M5S e Lega, le due componenti ufficiali del governo. Poco si è detto sul ruolo di “terzo incomodo” giocato dal Presidente Mattarella, che aveva voluto all'Economia e Finanze il ministro di garanzia Giovanni Tria, quando si è formato il primo governo Conte. Sulla posizione di Sergio Mattarella è venuta via via a sovrapporsi la “terzietà” di Giuseppi Conte, sia in appoggio alle resistenze del M5S sulla questione dell'autonomia regionale differenziata e sulla introduzione della flat tax nella difficile manovra economica d'autunno, sia a convalida degli accordi internazionali sottoscritti. Nel caso del TAV Torino-Lione,4 l'indisponibilità francese a rivedere l'accordo ha imposto un voto in parlamento, deciso da una maggioranza FI-PD-Lega-Fd'I favorevole al grande buco.
Quasi inesplorate sono rimaste le contraddizioni interne alla Lega, il crescere delle quali ha spinto Salvini a rescindere unilateralmente il Contratto per il Cambiamento con il M5S, con una scelta di tempi e modi apparsi sconcertanti e, almeno nell'immediato, come una vera e propria autorete.
Nella Lega, all'origine “padana”, è rimasto irrisolto il rapporto tra il vecchio autonomismo-separatismo del Nord e la nuova vocazione nazionale. È impossibile indirizzare risorse privilegiate dello Stato verso Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna5 a discapito soprattutto delle regioni meridionali e delle isole, senza intaccare seriamente l'unità nazionale ed i principi di solidarietà costituzionale. Tanto più se mancasse uno standard minimo nazionale nelle prestazioni sanitarie e le assunzioni del personale della scuola venissero poste in capo a ciascuna regione, libere di imporre “filtri” localistici.
La resistenza del M5S e di Conte alle richieste delle regioni del Nord non poteva essere politicamente sopportata dalla Lega, perché, mettendo sull'avviso l'elettorato di meridione ed isole, minava il consenso faticosamente acquisito dopo la “svolta nazionale”. A maggior ragione nel momento in cui ci si vuole accreditare come paladini della sovranità italiana contro l'Europa dell'austerità e dell'euro, mentre quest'ultima accresce in modo sistematico le divergenze economico-sociali tra le diverse aree del Paese. Non a caso nella crisi si è fatta risentire la voce di Maroni, fautore di una Padania che pensa di accorparsi pragmaticamente al Centro europeo germanico, lasciando il resto mediterraneo d'Italia al proprio destino periferico e “mafioso”.
La coincidenza d'interessi tra regionalismo differenziato del nord-est ed egemonismo dell'asse Berlino-Parigi, via Bruxelles, l'Europa di Carlo Magno, fa il paio con l'altra grande contraddizione del programma leghista: la pretesa di condurre una politica di sovranità nazionale seguendo ricette liberiste, come la flat tax. Un'eredità, solennemente ribadita, del programma economico della coalizione di centro-destra adottato per le politiche del 2018. Se applicata, produce una fiscalità anticostituzionale (che prevede la progressività), un grande favore alle fasce ricche, una perdita fiscale e di ruolo dello Stato, nonché un ulteriore deterioramento del welfare pubblico, salvo, ovviamente e relativamente, nelle regioni che riuscissero ad accaparrarsi le risorse privilegiate dell'autonomia differenziata.
Flat tax (Tassa piatta)
aliquota unica al 15%

Scogli sottacqua
In regime di moneta unica europea, la mancanza di flessibilità del cambio costringe il nostro Paese alla deflazione salariale concorrenziale ed al contenimento della spesa pubblica, la quale, pur essendo stata “virtuosa” per molti anni, non ha migliorato bensì peggiorato il rapporto tra debito e Pil. Ciò è avvenuto pure col concorso della finanza internazionale, tramite il famigerato spread.6 Non c'è da stupirsi, pertanto, che Matteo Salvini, preoccupato anche per il “rubligate” di Savoini, abbia infine preferito deresponsabilizzarsi rispetto alla difficile manovra economica d'autunno, sostituendo l'altro Matteo sulla riva del fiume ad attendere il passaggio del cadavere del loro comune reale avversario: il M5S.
A questo punto è essenziale comprendere in quali acque si trovi a navigare il governo Conte II.
Nel corso dei mesi che precedettero la crisi d'agosto, a molti sarà apparsa non accidentale la coincidenza di posizioni, talvolta solo differenziate nelle motivazioni, tra Lega e PD su numerosi problemi.
Ne riassumo i titoli:
TAV Torino-Lione; Terzo Valico; gasdotto Tap; trivelle petrolifere; concessioni autostradali e revoche (Atlantia-Benetton); alternative alle grandi navi a Venezia; autonomia regionale differenziata; anticorruzione, voto di scambio, intercettazioni, limite alla prescrizione; dl Dignità, reddito di cittadinanza, riposi settimanali degli ipermercati, salario minimo; disimpegno dall'Afghanistan, F35, Venezuela, Via della Seta.
Dal modo come questi temi verranno concretamente affrontati dipende una parte del successo del nuovo esecutivo. A mo' di esempio, richiamo l'attenzione su alcuni snodi.
1. Lo scavo del tunnel della Torino-Lione implica una produzione di 12 milioni di tonnellate di CO2, 1 milione per 12 anni, senza alcuna certezza di recupero compensativo negli anni successivi alla sua apertura. Ciò contraddice l'annunciata scelta governativa di virare verso una economia verde, così come la contraddice la politica del cemento (vedi anche sindaco Sala ed ex stazioni ferroviarie di Milano), delle infrastrutture secondo il ministro Paola De Micheli, degli inceneritori, delle trivelle e quant'altro.
2. Una nuova politica meridionalista può venire vanificata dall'annullamento-affievolimento delle misure contro la corruzione e contro le mafie, contestate dal vicesegretario dem Andrea Orlando.
3. La ripresa del ruolo sociale dello Stato non può prescindere sia da un suo autonomo e programmato intervento in economia, soprattutto a favore dell'occupazione, sia dalla gestione della cosa pubblica, dai monopoli naturali (come le autostrade in concessione) ai beni comuni come l'acqua, dai giacimenti artistici e culturali all'istruzione, alle nuove tecnologie della comunicazione. A queste ultime è collegata la via della seta ed il rapporto autonomo con la Cina (5G).
4. Si tratta di un ruolo sociale che deve fare i conti con la politica fiscale. Se, sempre per esempio, la riduzione del cuneo fiscale si esercitasse solo a favore delle imprese e del lavoro dipendente, senza tenere conto del lavoro “autonomo” (tra cui le partite IVA), l'effetto sarebbe di dividere invece di unire i lavoratori, regalandone una parte all'influenza leghista.
Delle contraddizioni in seno alla Lega si è detto. Non bisogna trascurare quelle interne al PD, soprattutto per il ruolo di battitore libero di Renzi.
Secondo Alberto Vannucci:7 «Questo governo sta in piedi solo se il Pd, come mi auguro, si dimostrerà qualcosa di diverso da un sodalizio di potentati, ciascuno dei quali sembra essersi ormai ritagliato la sua nicchia di influenza. Se continuerà a rispondere a una spartizione semi-clientelare del potere allora c’è ben poco da essere ottimisti.» Aggiungo, per parte mia, che tra i potentati c'è il capitale finanziario prevalente, che si sente parte dell'establishment europeo.
Uno scoglio storico
È rappresentato dall'Unione europea, pure in relazione alla volontà espressa dal governo Conte II di revisionare il trattato di Dublino ed il trattato di Stabilità, detto Fiscal compact (patto di bilancio).
Mancando un quadro unitario europeo in grado di superarli, gli accordi di Dublino sull'immigrazione verrebbero aggirati, forse solo per i rifugiati, mentre prosegue la guerra in Libia (originata dalle mire franco-inglesi) e la “tratta degli schiavi” dall'Africa subsahariana verso il Mediterraneo.
Dubito fortemente che il Fiscal compact, uno dei pilastri dell'austerità, possa essere riformato in direzione dell'abbandono seppur graduale dell'ordo-liberismo. Tuttalpiù la fase politica attraversata oggi dall'Unione consentirà (forse) maggiori margini di elasticità nella definizione degli sforamenti di bilancio, purché esclusivamente a nostro carico, ovvero senza condivisione dei rischi in eurozona.
Il passaggio è qui molto stretto, giacché se, da un lato, si è aperta una finestra politica di flessibilità di cui appare utile approfittare per dare maggiore respiro alla manovra economica italiana, dall'altro, la incombente recessione porterà le contraddizioni inter-europee ed intra-nazionali ad acuirsi.
Handelsblatt è il quotidiano
della Confindustria tedesca
Ne è riprova la spaccatura nel board della Bce, quando Mario Draghi ha recentemente deciso di rinnovare il Quantitative easing, nell'ennesimo tentativo monetarista di smuovere dalla secche l'economia delle produzioni, inondando il mercato di liquidità alla ricerca della inflazione al 2%.
Inoltre, non induce ad ottimismo la struttura della Commissione europea voluta dalla von del Leyen, con l'incarico di vicepresidente al falco Dombrovskis ed il potere conferito ai direttori generali.
Qualora il M5S, forza innovativa al governo che l'establishment vuole ora addomesticare, si appiattisse totalmente sulle mediazioni europee, rinunciando a nutrire prospettive alternative di sistema (per esempio: la  separazione tra banche commerciali e banche di investimento), il rischio sarà di ottenere vantaggi marginali e di assai breve durata, senza minimamente avviare il necessario sganciamento dal liberismo e dal comando degli oligopoli finanziarizzati e globalizzati, dei quali l'Unione europea è espressione organica.
Ciò consentirebbe alla Lega ed ai suoi alleati di far prevalere la propria versione del populismo e del sovranismo, in opposizione alla sovranità nazionale costituzionale e democratica.
Poco giova al M5S il capo politico unico, con una rappresentanza parlamentare sottoposta unicamente al voto sulla piattaforma Rousseau al momento di alcune scelte. Serve dualismo, affinché i movimenti abbiano maggiore spazio e forza di interlocuzione. Difficilmente il M5S può farcela contando solo su stesso e senza definire la propria strategia.
Note:
1 Il 2 luglio, dall'ambasciata statunitense a Roma, Salvini, in un tweet di riposta a Conte, scrisse di appoggiare la candidatura di Ursula von der Leyen: “A prescindere dai nomi, l'importante è che in Europa cambino le regole a partire da immigrazione, taglio delle tasse e crescita economica. E su questa battaglia l'Italia sarà finalmente protagonista. #vonderLeyen” La candidatura del falco socialista olandese Timmermans era caduta anche per il veto dell'Italia e Marco Zanni, capogruppo della Lega all'europarlamento, aveva dichiarato alla Stampa di Torino: “I popolari ci hanno convinto. Avremo un portafoglio di peso.”
2 Nella Grecia antica questa propensione veniva chiamata hybris.
3 Descritta anche in questo Blog come la “folle corsa” di Willy il Coyote, che precipita solo nell'attimo in cui si rende conto del vuoto sottostante.
4 Punto 27 del Contratto per il governo del Cambiamento, riguardante Trasporti, Infrastrutture e Telecomunicazioni: «Con riguardo alla Linea ad Alta Velocità Torino-Lione, ci impegniamo a ridiscuterne integralmente il progetto nell'applicazione dell'accordo Italia e Francia.»
5 Pur essendo governate da partiti diversi (Lega e PD) e differenziate nella richiesta di autonomia, le tre regioni mirano ad ottenere più soldi per sé a discapito delle restanti regioni.
6 Le difficoltà tedesche e l'azzeramento dei tassi d'interesse hanno comportato una sensibile contrazione dello spread e, di conseguenza, minore esborso futuro di interessi per le finanze pubbliche.
7 Docente di Scienze Politiche all'Università di Pisa, “Il Fatto Quotidiano”, 8 settembre 2019.


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