Soluzioni forti per un'Europa in crisi
Catalogna test europeo – Centralismo autoritario contro piccola patria – La disgregazione da Est ad Ovest – Chiusure tedesche ed austriache – Il sogno di un “Napoleon francese” - Penetrazioni straniere nella vuotaggine europea – La continuità sulla soglia di un salto.
- Stretta nel contrasto tra continuità centralista (di lascito franchista) e rottura indipendentista (di piccola patria), la Catalogna mette alla prova la residua capacità di unificazione politica dell'Unione.
- Ciò accade dopo le elezioni tedesche ed in contemporanea con quelle austriache; entrambe chiudono ad un'Europa della condivisione.
- In pochi mesi la stella del presidente francese Macron è già declinante, ma in Italia c'è che sogna una neo-napoleonica “Europa dei cannoni”.
- L'Europa delle nazioni in preda al micro-patriottismo? Il “vuoto” europeo penetrato dal “pieno” costituito da Russia ed Islam?
Il
test
catalano
La
maggior parte dei commentatori mainstream
avvalora la tesi della illegalità costituzionale del referendum
voluto dalla Generalitat
de Catalunya,
che, per giunta, avrebbe raccolto un consenso minoritario.
Viene
sottovalutato il successo rappresentato da una partecipazione al voto
del 42,64% del corpo elettorale (90% di sì), pur in presenza di un
intervento repressivo da parte del governo centrale di Rajoy che ha
limitato in modo violento l'accesso ai seggi, quando non ne ha
distrutto schede ed urne. In aggiunta, la pretesa di Madrid di
ridurre la questione catalana ad un problema di ordine pubblico, ha
sicuramente rafforzato l'indipendentismo, laddove appariva ancora
numericamente minoritario.
Poiché
gli svolgimenti in atto potrebbero produrre ricadute assai pesanti
sull'intero continente, l'Unione europea è stata chiamata da più
parti a mediare tra le contrastanti ragioni della Generalitad,
basate sulla “autodeterminazione democratica e sulla volontà
popolare catalana”, e del governo Rajoy, fondate sulla
“inviolabilità costituzionale dell'integrità territoriale e della
sovranità nazionale della Spagna”.
Dalle
colonne del Messaggero, Alessandro Campi1
parte da una constatazione critica piuttosto “tiepida”.
Riconosce che l'Unione soffre di scarso gradimento. Ma vede
un'efficacia minima del suo operato e solo “errori”, laddove
dovrebbe registrare dei fallimenti, dovuti alle logiche dei poteri
che la indirizzano.
Per
Campi la crisi catalana è l'occasione per ridare “forma ed
obiettivi” al “suo progetto continentale”.
«E
dovrebbe farlo proponendo alle parti l'unica soluzione politica che
salvando l'unità e la continuità istituzionale della Spagna salvi
anche, in prospettiva sé stessa: quella di un'Europa fondata su
Stati nei quali unità e decentramento, sovranità nazionale e
autonomia politico-territoriale, coesione politica e pluralismo
socio-culturale possono, anzi debbono, tranquillamente convivere. (…)
«(...)
è l'alchimia istituzionale che dovrà realizzarsi in Spagna per
sbarrare la strada all'indipendentismo che probabilmente implicherà
l'evoluzione costituzionale di quel Paese in senso compiutamente
federalista. Ma è anche la formula politica intorno alla quale, su
una scala più grande, dovrà ricostruirsi l'Europa di domani.»
In
altri termini, se l'Unione europea, proponendosi nella mediazione,
non è in grado di impedire la secessione, supportando una
transizione di tipo federalista in Spagna, non può costruirsi, su
una scala più grande, come entità federale.
In
buona sostanza, ed adottando il linguaggio dei teorici dello state
building,
qualora l'Europa non mostri di saper superare, come Unione, questa
prova interna che coinvolge un suo Paese membro, dimostrerà ancor
più di essere priva della capacità-forza di unificazione politica
dell'insieme continentale.
Accantonate
virtù
Non
sappiamo cosa stia succedendo dietro le quinte. Nell'occasione i
partners
europei hanno riscoperto ufficialmente le accantonate virtù della
non ingerenza negli affari interni. Un principio che non valse
allorché l'Europa occidentale, caduto il muro di Berlino, volle
espandersi ad Est e nei Balcani.
Ricordate
la ex-Jugoslavia?
Eppure
ne va dell'appartenenza della Catalogna all'Unione europea, giacché
la secessione ne comporta l'automatica esclusione, resa poi
irreversibile dalla sicura opposizione della Spagna al suo
reintegro.2
Un esito che coinvolge pure la partecipazione alla zona euro3
e l'appartenenza alla Nato, in contraddizione con le aspettative del
governo catalano, che ha convogliato il malcontento sociale, generato
dalla crisi economica, in direzione di uno sganciamento non
solidaristico della “ricca Catalogna” dalla più “povera
Spagna”.
Di
contro, se per la costituzione spagnola il referendum era illegale,
non di meno era illegittimo privare i catalani della libertà di
esprimersi pacificamente in un referendum. Per negarla il governo
centrale ha usato le maniere forti, approfondendo un fossato
divisorio già ampiamente scavato.
Nella
situazione venutasi a creare, ai fini dell'unità spagnola la
mediazione doveva poter contare su due opposte rinunce e su una
convergenza: di Madrid al centralismo di origine e spirito
franchista; di Barcellona al nazionalismo indipendentista di piccola
patria; insieme convergendo su un disegno di riassetto costituzionale
di impronta federalista.
Rifiutandosi
al "parlem, hablamos", proposto dalla parte dialogante
della piazza, alla quale Carles Puigdemont aveva prestato ascolto
mettendo in mora l'indipendenza, Madrid ha risposto con un ultimatum.
Il partito socialista (PSOE)
di Pedro Sánchez, per confermare il suo sostegno alla chiusura al
dialogo del governo Rajoy e di Felipe VI, ha chiesto ed ottenuto in
cambio una labile promessa di riforma costituzionale a posteriori: un
pannicello caldo.
L'indipendentismo
catalano è stato “circondato” dal ricatto finanziario ed
economico (quasi in stile Grecia) e dalla minaccia di revoca dello
status di autonomia [vedi
riquadro “Costituzione spagnola, art. 155”]
in una escalation
che potrebbe condurre persino ad una dichiarazione di stato
d'assedio. Eppure piegare l'indipendentismo al diktat non consegnerà
la Spagna ad un futuro di unità e forza. Al contrario, la indebolirà
e, nel radicarsi dei risentimenti, rinvigorirà le spinte alla
disunione.
Costituzione
spagnola, art. 155
«(I)
Ove la Comunità Autonoma non ottemperi agli obblighi imposti dalla
Costituzione o dalle altre leggi, o si comporti in modo da attentare
gravemente agli interessi generali della Spagna, il Governo, previa
richiesta al Presidente della Comunità Autonoma e, ove questa sia
disattesa con l’approvazione della maggioranza assoluta del Senato,
potrà prendere le misure necessarie per obbligarla all’adempimento
forzato di tali obblighi o per la protezione di detti interessi.
(II) Il
Governo potrà dare istruzioni a tutte le Autorità delle Comunità
Autonome per l’esecuzione delle misure previste nel comma
precedente.»
La
continuità preferita
L'appoggio
al governo centrale di Madrid, dato dai partners
europei, include una decisa preferenza per la continuità
rappresentata da Rajoy, autoritario all'interno quanto subalterno
alle élites
politico-economiche europee ed ai governi del Centro dell'Unione,
restii a rischiare una discontinuità nella quale una Spagna riunita
potrebbe presentarsi al loro cospetto con un governo indignado.
Se
ciò è vero, ne consegue che la conservazione degli assetti di
potere interni all'Unione comporta un ulteriore indebolimento degli
Stati-nazione in posizione periferica, nella convinzione (illusione?)
che quelli al Centro abbiano sufficiente forza per trainare dietro di
sé l'insieme comunitario.
Una
transizione irrisolta
La
situazione spagnola attuale è anche l'amara eredità di una
transizione irrisolta.
Il
fascismo di Francisco Franco non entrò nel secondo conflitto
mondiale, a fianco di Hitler e Mussolini che erano intervenuti
direttamente in suo soccorso nella guerra civile. Nel dopoguerra poté
sopravvivere, in quanto parte dello schieramento anti-comunista
atlantico, per trent'anni e fino a metà degli anni settanta. Alla
morte del caudillo
transitò alla democrazia parlamentare e pluripartitica in modo
“pacifico”4.
Tuttavia, non fece i conti fino in fondo con i pesanti lasciti del
franchismo. Tra questi, quello delle nazionalità oppresse, inclusa
la Catalogna, terra di tenace resistenza antifascista.
Sul
filo della continuità, garantita dal ritorno del Re Borbone,5
non approdò ad una Costituzione federalista, adeguata alle sue
diversità. Se il fascismo aveva represso nel modo più brutale le
nazionalità, in seguito il
Partido
Popular (PP),
erede della tradizione centralista franchista,6
passa ai mezzi “legali”. Il PP
giunge a presentare ricorso al Tribunal
Constitucional
contro lo Statuto del 2006, approvato dal parlamento spagnolo e
ratificato dai catalani con un referendum popolare. Ne ottiene
l'annullamento, bloccando da quel momento in poi, per dieci anni,
ogni soluzione condivisa sul tema delle autonomie.
Mariano Rajoy |
In
un contesto europeo contrassegnato dall'allargamento delle divergenze
strutturali, che accentuano i preesistenti dislivelli interni (in
Spagna come in Italia), la Catalogna, più ricca rispetto ad altre
aree della Spagna, tende ad agganciare il Centro continentale
piuttosto che scivolare nella periferia iberica. Sicché, confluendo
le conseguenze della crisi economica nelle cause storiche e
politiche, forze politiche prima autonomiste si sono convertite
all'indipendentismo, determinando una maggioranza in suo favore nella
rappresentanza parlamentare catalana.
Inclusione
ed esclusione
Data
per finita, la storia mostra tutto il suo insospettato peso. Chi di
disgregazione ferisce...
Negli
anni '90, per espandersi verso Oriente e verso i Balcani, i governi
dell'Europa occidentale, non esitarono a riconoscere le piccole
patrie etnico-confessionali della ex-Jugoslavia, fomentando una
guerra disgregatrice. Invece di operare per una soluzione unitaria,
di rinnovamento e ricomposizione della federazione già esistente,7
fecero a gara nei riconoscimenti in funzione della penetrazione
egemonica dei propri capitali nazionali, incuranti delle conseguenze,
salvo versare poi ipocrite lacrime di coccodrillo.
Al
fine dell'assoggettamento balcanico, oggi evidente nelle
differenziate posizioni periferiche di quelle piccole patrie, era
meglio se, gettando il bambino con l'acqua sporca (il socialismo con
il regime politico), uno Stato plurinazionale, plurireligioso e
multietnico fosse diviso in deboli “taglie piccole”.
Mentre
la Germania si unificava grazie all'Anschluß
della
DDR, i Balcani venivano spezzettati, la Cecoslovacchia si scompose in
due e pure la Serbia fu divisa dal Kossovo, in seguito alla “guerra
umanitaria” giustificata dal “diritto d'ingerenza umanitaria”.
Infine, ai giorni nostri, anche l'Ucraina, terra di confine, invece
di fungere da trait
d'union di
pace tra Europa e Federazione Russa, è stata trasformata in
avamposto militare occidentale, spingendola nel sangue di una guerra
intestina e di confine.
In
quella fase d'espansione, la secessione preludeva all'inclusione
nelle Periferie d'Europa; oggi la secessione fa rima, semplicemente,
con esclusione.
Instabilità
teutonica
Prima
che in Spagna scoppiasse la questione catalana, in Germania si sono
tenute le elezioni politiche, dalle quali è emersa una instabilità
sconosciuta nel Paese [vedasi nella finestra
“Legenda tedesca”], su cui fa perno l'attuale assetto
europeo.
Legenda tedesca
Questi
i risultati per il rinnovo del Bundestag, la camera bassa del
Parlamento tedesco:
Unione
Cristiano Democratica di Germania (Christlich
Demokratische Union Deutschlands – CDU):
26,8%,
193 seggi (-73);
Unione
Cristiano-Sociale in Baviera (Christlich-Soziale
Union in Bayern
– CSU):
6,2%,
45 seggi (-11);
Partito
Socialdemocratico di Germania (Sozialdemokratische
Partei Deutschlands - SPD):
20,5%, 148 seggi (-45);
Alternativa
per la Germania (Alternative
für Deutschland
– AfD):
13%,
95 seggi (+95);
Partito
Democratico Libero (Freie
Demokratische Partei
– FDP):
10,7%,
78 seggi (+78);
La
Sinistra (Die
Linke):
9,2%,
66 seggi (+2);
I
Verdi (Die
Grünen):
8,9%,
65 seggi (+2).
Rispetto
al 2013, CDU-CSU
(federate) perdono l'8,5% dei voti e la SPD
perde il 5,2%. AfD
supera per la prima volta la soglia minima del 5% per accedere alla
rappresentanza. La FDP
rientra in parlamento dopo che nelle precedenti elezioni era rimasta
al di sotto della soglia minima. Leggeri gli incrementi della
Sinistra e dei Verdi.
I
partiti della grande coalizione tra la democristiana CDU
e la socialdemocratica SPD
hanno registrato pesanti perdite, a vantaggio dei “patrioti”
xenofobi e fascistizzanti della AfD
e dei liberali della FDP,
che hanno visto convalidata la propria annunciata rigidità contro
ogni condivisione dei rischi nella zona euro. Persino le posizioni
austere del ministro delle finanze uscente, Wolfgang
Schäuble, potrebbero sembrare permissive ed indulgenti, rispetto a
quelle che tendono a prevalere nel governo “Giamaica”,8
al quale Angela
Merkel sta lavorando.
Stante
il rafforzamento delle forze “euroscettiche” e di chiusura verso
ogni condivisione democratica, rimane da capire come l'europeismo dei
Verdi tedeschi si sistemerà nella futura coalizione.
Intanto
in Austria, il partito popolare (ÖVP)
capeggiato dal giovane Sebastian
Kurz,
vince perché gioca d'anticipo, facendo propria la piattaforma
politica della destra xenofoba e “patriottica”.
Un
salvatore napoleonico
In
Francia, a pochi mesi dal voto, la stella del neo-presidente è già
appannata, anche per l'esplicitarsi delle sue politiche interne.
Mentre ha prontamente adottato misure sul lavoro di deflazione
salariale competitiva, della promessa solidarietà sociale non c'è
traccia. La pretesa di coniugare liberalismo e giustizia sociale era
solo un bluff
elettorale.
Sul
piano europeo, l'asse franco-tedesco, su cui Macron fondava la
propria prospettiva, non appare né sufficientemente saldo, né in
grado di assumere un ruolo di leadership
politica, capace di radunare attorno a sé un generale consenso
europeo transnazionale.
Ciò
nonostante in Italia non mancano coloro che ripongono speranza
nell'unico “potere forte” rimasto nel vecchio continente, quale
sarebbe quello francese. Dalle colonne di uno dei maggiori quotidiani
italiani,9
il professor Angelo Panebianco palesa entusiasmo per il programma di
Macron di “sovranità europea”, espresso alla Sorbona il 26
settembre scorso:
«(...)
in grado di fronteggiare le sfide che incombono: una vera difesa
comune, la capacità di controllare i confini esterni, innovazioni
istituzionali per completare l'integrazione economico-finanziaria,
governare la rivoluzione digitale, fronteggiare i mutamenti
climatici.»
Quando
si prescinda dalle buone intenzioni sui mutamenti climatici e
dall'immancabile necessità di governare la rivoluzione digitale,
rimangono le vere priorità di Macron: difesa, confini, economia.
Prima
di passare tra l'Europa e l'intorno, la chiusura dei confini è stata
effettuata tra Stati dell'Unione.
La
coabitazione politica sull'asse Parigi-Berlino dovrebbe “completare
l'integrazione economico-finanziaria”, tramite “innovazioni
istituzionali”.
Data
l'impresentabile storia militare della Germania, la Francia, dotata
di un “esecutivo forte” ed unica potenza nucleare rimasta
nell'Unione, aspira ad assumere il ruolo guida della “difesa
comune”,
riequilibrando a proprio favore la schiacciante egemonia
politica ed economica tedesca sul continente. Avvalendosi di questa
leva, Parigi vorrebbe rimodulare il duopolio con Berlino connettendo,
ça
va sans dire,
il rilancio delle produzioni belliche per la “difesa comune” al
compimento dell'integrazione economico-finanziaria. Uno schema, direi
classico, nel quale può riconoscersi un sostenitore, come
Panebianco, dell'Europa non del burro ma dei cannoni.
Esplosione nucleare francese |
Ma
in base a quale “sovranità europea”?
Si
tratterebbe di dare continuità all'attuale dominio delle oligarchie
politico-economiche tramite il governo di istituzioni, come quelle
del sistema a moneta unica,10
sovrapposte a detrimento della sovranità democratica e
costituzionale dei Paesi dell'Unione. Con l'aggravante che, in questo
caso, le “innovazioni istituzionali” produrrebbero un salto nel
rapporto tra produzioni belliche e finanza.
Di
come vi si aggiusterebbe l'Italia abbiamo avuto importanti
avvisaglie. In due illuminanti occasioni: l'affaire
tra Fincantieri e STX France (cantieri di Saint-Nazaire)11;
la “pacificazione” della Libia.
D'altro
canto, per ottenere la conferma delle posizioni gregarie in Europa di
Italia e Spagna, occorrerà garantire la continuità d'indirizzo
politico dei loro futuri governi. Non interferendo nei loro affari
interni?
Chiusure
multiple
Ciascun
Paese è indotto a far da sé, a chiudersi nelle proprie
contraddizioni, tanto più se viene ribadita la continuità
dell'assetto continentale. Questa chiusura verso l'interno si
accompagna alla chiusura comune sia verso la Federazione Russa, a
colpi di sanzioni e contro-sanzioni in seguito alla crisi ucraina,
che nel Mediterraneo.
D'altronde,
l'imposizione all'Africa del modello agricolo euro-occidentale, dal
quale deriva l'accalcarsi degli esclusi dall'accesso alla terra nelle
bidonvilles
di immense megalopoli, è destinato ad infoltire la susseguente
spinta migratoria.12
In
Europa abbiamo avuto una prova di cosa significhi l'imposizione di
questo modello, allorché le campagne dei Paesi dell'Est si sono
spopolate, accentuando le migrazioni verso l'estero, mentre i loro
terreni più pregiati finivano nelle mani del business
agro-alimentare internazionale.
Volendo
perseverare nello squilibrio sistemico, di depredamento delle risorse
di suolo e sottosuolo, distruttivo dell'ambiente, “aiutarli a casa
loro” è solo un modo ipocrita di mascherare i propositi di
chiusura nella crisi della globalizzazione a cui partecipa l'Ue.
A
tale riguardo, non sfugga all'attenzione che proprio la Spagna di
Rajoy, nelle sue enclavi di Ceuta e Melilla in Marocco, abbia eretto
barriere di filo spinato pagate dall'Ue, poi rialzate sotto l'egida
di Frontex.
Esterni
pericoli
Alla
difficile ricerca di una spiegazione di quanto sta accadendo sotto i
nostri occhi, non poteva mancare il contributo di Ernesto Galli della
Loggia.
In
un fondo sul Corriere della Sera13
egli parte dalla constatazione che gli Stati europei, in particolare
occidentali, sono in declino, a causa dell'autonomismo e del
localismo, nonché dalla crescente perdita di legittimità. Tuttavia,
invece di indagare ulteriormente sui portati della globalizzazione in
versione europea e della sua presente crisi, nella profondità
sociale e nel distacco tra potere politico-finanziario e popoli,
addita il pericolo derivante da “due fenomeni nuovi”: il lavorio
sotterraneo multiforme della Russia di Putin e l'aggressività
finanziaria di una parte del mondo arabo islamico. Un terzo pericolo
è solo accennato: quello della Cina che si accaparra i porti del
continente per sviluppare la sua politica mercantilistica.
Ne
trae “due conclusioni, perlomeno indiziarie”.
«La
prima è che sulle società dell'Europa occidentale, in specie sulla
loro vicenda pubblica, sta cominciando a gravare l'ipoteca di un
iniziale, ambiguo condizionamento esterno sempre più vario e
penetrante. La Seconda concomitante conclusione è che nella stessa
area si è messo in moto – in parte consapevolmente voluto, in
parte no – un processo di erosione da di dentro dell'intero sistema
della sovranità, e dunque un progressivo indebolimento della
statualità.»
Gli
Stati occidentali, ricchi di tutto, sarebbero però poveri di spirito
combattivo, fragili, nei quali i cittadini ben poco s'identificano.
Ne deriverebbe un problema di “pieno” e di “vuoto”:
«(...)
mentre dietro il “pieno” si stagliano i profili di due grandi
tradizioni teologiche-politiche – quella dell'ortodossia russa
della Terza Roma da un lato, e quella dell'Islam dall'altro –
dietro il “vuoto”, invece c'è la progressiva evanescenza della
coscienza cristiana dell'Occidente europeo.»
In
attesa che Galli della Loggia ci chiarisca quali possano essere i
possibili riempimenti del “vuoto” ed in cosa si sostanzi la
differenza tra la sua visione e “lo scontro di civiltà”, dal
quale dice di divergere, va da sé che occorra da subito contrastare
il sopravvento di un “pieno” quantomeno indesiderabile. Par di
capire che da subito andrebbero avversate le minacce esterne
costituite dalle insidiose pratiche di Putin, forti dell'ortodossia
della Terza Roma, e dalle penetrazioni della finanza araba, forte
della tradizione dell'Islam.
Ma
come rimediare alla “evanescenza della coscienza cristiana
dell'Occidente europeo”?
Il
prezzo della continuità
I
maîtres
à penser
di casa nostra si aggirano (sconsolati) tra un'Europa che manca di
capacità di unificazione in una comune identità politica, tanto
debole di statualità e spirito combattivo quanto vuota di idealità,
sì da lasciarsi penetrare da Russia ed Islam, e la ricerca di un
campione continentale in grado di darle force
de frappe
e di istituzionalizzarne l'integrazione economico-finanziaria già
imperante.
Alle
conseguenze delle politiche liberiste e della globalizzazione si
accenna troppo spesso en
passant.
Sul modo in cui è stata costruita sin qui l'Europa si sorvola. Men
che meno ci si addentra nella sopravvenuta fase di crisi della
globalizzazione, e dell'Unione in essa. Il riconosciuto declino non
ha genitori.
Divisioni
e chiusure procedono di pari passo. È quanto accade all'Europa ed in
Europa.
In
difesa delle oligarchie dominanti, sempre più lontane e contrapposte
agli interessi ed alla sovranità dei popoli, si escogitano soluzioni
che propongono di realizzare l'unificazione politica non per via
democratica e nella giustizia sociale, ma individuando nemici esterni
e riempiendo il “vuoto” tramite una verticistica ristrutturazione
degli assetti economico-finanziari in base all'opzione militare.
Ma i
conflitti sociali e tra gli Stati non si sono estinti, si sono solo
trasferiti. Il compito di comprenderne divenire e riapparire,
abbandonando schemi interpretativi ad hoc, non va affidato a
chi vuole perseverare, con un salto pericoloso, nello stato di cose
presenti.
Note
1
Alessandro Campi, “Dietro la crisi catalana anche gli errori
dell'Europa”, il Messaggero, 9 ottobre 2017.
2
Per essere ammessi è necessaria l'unanimità degli Stati membri.
3
La materia è controversa se teniamo conto del Principato di
Andorra, che ha l'euro come moneta ma non è nell'Unione europea.
4
In realtà, tra l'altro, fu tentato un golpe
da parte di alcuni comandanti militari capeggiati dal colonnello
Tejero (23 febbraio 1981).
5
Poiché la guerra civile era stata scatenata contro la Repubblica,
durante il fascismo la Spagna restò un Regno provvisoriamente senza
Re.
6
Alleanza Popolare (Alianza
Popular), progenitrice del PP,
venne creata nel 1976 da un ex ministro del governo di Francisco
Franco, Manuel Fraga Iribarne.
7
La Jugoslavia, frutto di un movimento risorgimentale, nacque come
Stato unitario dopo il primo conflitto mondiale. Fu assalita e
divisa dalla Germania nazista e dall'Italia fascista, quindi
ricomposta a seguito della vittoria della resistenza comunista
titina.
8
Dai colori della bandiera giamaicana che sono quelli dei partiti
chiamati a far parte della nuova coalizione, dalla quale i
socialdemocratici della SPD
si sono già dichiarati fuori ed alla opposizione.
9
Angelo Panebianco, “L'Europa dei leader deboli”, Corriere della
Sera, lunedì 9 ottobre 2017.
10
Alla Sorbona Macron ha affossato la mutualizzazione del debito, gli
eurobond e la condivisione
del rischio.
11
Il disegno francese di supremazia sul militare è assecondato dalla
propensione italiana a dedicarsi alla produzione degli scafi (50%
del valore delle imbarcazioni) piuttosto che ai sistemi elettronici
e di armamento (restante 50%) con il loro notevole indotto
territoriale. Sull'argomento, vedasi intervista a Pier Francesco
Guarguaglini di Giorgio Meletti, “Governo e manager stanno
affondando Finmeccanica”, il Fatto Quotidiano, 11/10/2017.
12
Sul tema vedasi il Post “Immigrazione”, ottobre 2014.
13
Ernesto Galli della Loggia, “Il declino degli Stati europei”,
Corriere della Sera, 11 ottobre 2017.
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