venerdì 20 novembre 2015

La Bolkenstein è una bagnante

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La Bolkenstein è una bagnante 

In Parlamento si discute la Legge di Stabilità (ex Finanziaria) per il 2016. Alcuni emendamenti ad hoc riguardano la gestione dei litoranei balneari.
Sono in gioco i rapporti tra il demanio (lo Stato italiano) e 30mila imprese concessionarie.
Baipassando la direttiva europea Bolkenstein, un nutrito gruppo pluripartitico vuole privatizzare (“sdemanializzare”) una parte di lidi e spiagge.
Un caso emblematico di europeismo all'italiana e di politica ambientale, tra interessi privati, beni pubblici primari e... strane critiche.
Voto di scambio
Non è quello d'”abuso”, in cui un membro della “casta” ottiene il voto in cambio di una somma di danaro, un appalto truccato, un'assunzione o una consulenza, o, peggio, favorendo la mafia. No. Si tratta del vecchio e sperimentato “uso” della legge, da parte di un gruppo di deputati o senatori, per assicurarsi consenso elettorale da una “base sociale” favorita e protetta allo scopo, in tal modo “democraticamente” rappresentata.
L'occasione è data dall'annosa e controversa questione delle concessioni demaniali alle imprese balneari, disseminate su un litoraneo di circa 8mila chilometri. «(...) il nostro Paese nel periodo estivo ha uno stabilimento ogni meno di 350 metri di costa utile alla balneazione. Si calcola che complessivamente gli stabilimenti balneari occupino non meno di 900 km di costa, ovvero quasi un quarto della costa idonea complessiva.»1
Quasi tutti noi abbiamo fatto l'esperienza di dover pagare salato il noleggio di un ombrellone e di un lettino, anche se avremmo voluto godere di una spiaggia libera, cercandola invano o trovandola alla foce di un rivolo di scarico... Constatare, poi, che l'erario incassa qualche misero milione (in tutto, nel 2014, 101 milioni di euro!) da chilometri e chilometri di lidi, con la pressione fiscale a cui siamo sottoposti, può anche dare ai nervi...
Sicché Prodi a suo tempo (a fine 2006 per il 2007), spinto da ragioni di cassa e fors'anche da propositi ambientalistici e di equità fiscale, tentò di mettere ordine e di aggiornare queste concessioni, rivedendone i canoni d'affitto, che, di proroga in proroga, erano restati bassissimi, soprattutto se confrontati con gli introiti annuali dei “bagnini”.
Inoltre, si trattava di dare attuazione alla direttiva europea Bolkenstein del 2006 (piuttosto penalizzante per i diritti del lavoro) che imponeva di mettere a gara le concessioni per periodi ridotti e senza diritto di prelazione per il concessionario uscente. Un principio, diciamo, di “libero mercato” che, non rispettato dall'Italia, diede luogo ad una procedura d'infrazione (2008), “chiusa” quando Roma promise (2012) di accettare il sistema delle aste rimandando però il tutto ad una riforma mai fatta.
In realtà la faccenda era ed è resa complicata dal solito pregresso da “sanare”: nel corso dei decenni su quei litorali concessi furono costruite strutture commerciali, bar, ristoranti, piscine, discoteche e quant'altro (di cemento). Il che, al via della “liberalizzazione”, diede origine ad una marea di cause, ad intasare i nostri già intasati tribunali e a lasciare all'asciutto le casse statali. Come venirne a capo?
Europeisti balneari e non solo
Da il Fatto Quotidiano2 apprendiamo che, in commissione Bilancio del Senato, Forza Italia, PD e NCD si stanno accordando sulla solita sanatoria, spingendosi oltre. Manuela Granaiola (PD) con un emendamento che: «sospende i provvedimenti di revoca delle concessioni e riapre quelli del condono ad libitum; cancella la rivalutazione in base al mercato immobiliare di zona; e, per il futuro, lo stesso canone, in favore di un pagamento una tantum tra i 2 e 4 mila euro.» Maurizio Gasparri (FI), da par suo, propone di scorporare le “aree di pertinenza” (commerciali) dal demanio svendendole poi a chi già ha costruito e le usa. Ecco chiarita l'astrusa espressione “sdemanializzare”.
I “ritocchi” del Senato passeranno alla Camera?
Intanto, pongo alcune domande retoriche: chi sarà in pole position per aggiudicarsi le concessioni? Che senso assumerà l'esclusione del diritto di prelazione per il concessionario uscente? Quale vantaggio ne trarranno le casse pubbliche? E l'abuso cementizio?
Tre giorni dopo pure la Repubblica3 trova qualcosa da ridire, segnalando anch'essa la protesta dei Verdi. Ma, oltre a tacere “stranamente” sulla posizione assunta dal PD, scrive che «Convinti della strategicità [ndr dei “bagnini”] molti parlamentari sposano la causa balneare.» Trascurando nel frattempo, ahinoi, di tirar fuori dai guai le banche private oberate da miliardi di crediti inesigibili, magari con una bella bad bank a carico dello Stato, come fanno tutti in Europa «senza indignazione dei parlamentari».
Mentre la Bolkenstein, quando fa comodo, rimane una perfetta sconosciuta (una procace bagnante olandese?), ai premurosi europeisti balneari non poteva certo mancare un solerte rimprovero “strategico”, in nome dei banchieri, europeisti, ça va sans dire.
Se non è la sabbia sono i soldi, sempre degli altri e pubblici.
1 Dossier WWF Italia,Sabbia. L'oro di tutti a vantaggio di pochi”, agosto 2010.
2 Carlo di Foggia, “Spiagge, ci riprovano: condono o svendita”, il Fatto Quotidiano, 13 novembre 2015.
3 Fabio Bogo, “La legge di stabilità e il mare d'inverno”, la Repubblica Affari & Finanza, 16 novembre 2015.

lunedì 16 novembre 2015

La voglia matta, di guerra

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Stragi terroristiche e reazioni politiche in Italia. “Cinguettando”. Sciacallaggi e logiche di civiltà dello scontro. Come verrà combattuto il Califfato siro-iracheno?

  • “Occhio per occhio, dente per dente” fino alla guerra? E quale guerra, combattuta dove, come e da chi?
  • A questa sbrigativa “soluzione definitiva” ci spingono non solo le forze xenofobe, razziste e fasciste, ma pure quelle che ci vorrebbero tutti allineati difensori della civiltà occidentale minacciata e dei suoi supposti superiori valori.
  • Benché si stiano ripetendo gli stessi scenari da ormai vent'anni, di guerre sulle guerre, con evidenti disastrose conseguenze umanitarie e politiche, chi critica e mette in guardia da ripetizioni ciniche diventa subito nemico.
  • Un cielo così plumbeo promette tempesta.
Normalità dis-integrata
Nelle stragi di Parigi c'è un obiettivo raggiunto: la vita nelle grandi e ricche metropoli dell'Occidente non può più essere “normale”, quando in un qualsiasi luogo e momento i cittadini possono essere vittime di atti di terrorismo. Come fossero a Baghdad, a Beirut, a Kabul, a Damasco, o su un aereo turistico russo di ritorno da Sharm el Sheik.
Appare evidente uno “spostamento” di qualità rispetto alle Torri Gemelle di New York nel 2001. Al Qaida aveva colpito un bersaglio simbolico affatto “facile”, sempre di inermi civili, ma alla cui realizzazione era necessaria una complessa organizzazione capace di impadronirsi di aerei, pilotarli contro enormi edifici, eludendo molteplici controlli. Tanto da indurre molti a dubitare che questi siano stati, nel coincidere dei fatti, semplicemente disattenti e non colpevolmente coinvolti.
Il governo nordamericano del secondo Bush reagì in due modi ritenuti complementari: restringendo le libertà interne con misure eccezionali; dichiarando guerra ai talebani in Afghanistan. Ma l'operazione Enduring Freedom dura tuttora e dopo 14 anni non prospetta soluzioni in linea con le promesse. Vi partecipa l'Italia che, subalterna, “fa la sua parte”.
Tra i terroristi di Parigi ci sono figli di terza generazione di una fallita integrazione europea. Giovani, delle emarginanti banlieux o induriti combattenti del Califfato, hanno praticato uno stragismo del quotidiano, allo stadio, in un ristorante, in un concerto. Comunicano tramite play-stations, si armano facilmente su un mercato facilmente accessibile, possono entrare in azione in qualsiasi momento e prorompere in qualsivoglia luogo del vivere civile e sociale. Rendono insicure le nostre città nell'abitudine e nella regolarità.
Un ritrovo di divertimento a Parigi, come il Bataclan, diventa invivibile alla stessa stregua di un mercato sciita di Baghdad.
Questa è l'amara scoperta che tutti lascia sconvolti e attoniti. Perché alla falsa integrazione europea, in nome di un Dio unico e vendicativo (lo stesso di certi cristiani ed ebrei), dei giovani tanto carichi di odio quanto disillusi, preferiscono l'auto-disintegrazione che trascina nella propria sorte altri giovani, ai quali (questa è l'implicita accusa sottostante) non è riservato il medesimo destino d'esclusione.
Come reagirà l'Europa e l'Occidente a questa “guerra” portata alla propria interna normalità quotidiana, riproducendo la precarietà dell'esistenza esportata altrove, nelle periferie del mondo?
Senza nemici non c'è guerra
Non può meravigliare che i fautori della civiltà dello scontro siano poi sostenitori dello scontro di civiltà. Come l'assassino che grida all'assassino.
In Italia possono salire sul pulpito e predicare i loro sicuri e definitivi rimedi, ampiamente teletrasmessi, tramite le note parificazioni: i rifugiati ai clandestini, i clandestini ai terroristi, l'Islam al terrorismo.
Maurizio Belpietro
L'indomani delle stragi parigine è il giorno dello sciacallo. Maurizio Belpietro intitola su Libero «Bastardi islamici» e Daniela Santanché twitta «L'Islam festeggia i nostri morti».
Matteo Salvini chiede di introdurre «i libri di Oriana Fallaci obbligatori in tutte le scuole» e la chiusura xenofoba delle frontiere. Da “tombini di ghisa” a “felpa dorata”.
Non può mancare Giorgia Meloni su Facebook: «Diciamo basta all'immigrazione musulmana almeno fino a quando l'Islam non avrà risolto i problemi di violenza interni alla sua cultura.»
Matteo Salvini
A livello internazionale analoghe reazioni e commenti si possono cogliere un po' ovunque. Dai candidati repubblicani alla presidenza, tra cui Jeb Bush (il terzo della saga) chiede misure immediate contro «uno sforzo organizzato per distruggere la civiltà occidentale», alla Democrazia Cristiana (CDU) bavarese, al nuovo governo polacco che coglie l'occasione per “sigillare” le frontiere. Eccole, le forze nuove delle dell'Europa dell'Est!
Tra i tredici «semplici accorgimenti» che Marco Travaglio suggerisce ai governi europei e a quello italiano, con ironia e sarcasmo, sono facilmente rintracciabili tutte queste idee politiche che, perseverando diabolicamente, ci condurrebbero a sicura sconfitta. Il film evocato, non a caso, si intitola “Come persi la guerra”.1
Giorgia Meloni
Ma anche le posizioni “democratiche ed umanitarie”, pur difendendo una certa apertura ai flussi migratori (distinguendo, non si sa come, i rifugiati dai migranti economici, i fuggiaschi dalle guerre da quelli dalla fame) e distinguendo tra musulmani e terroristi in nome di Allah, non resistono alla chiamata alle armi in difesa dei valori sacri d'Occidente. Non furono “umanitarie” le imprese militari condotte per “esportare la democrazia”?
In America ciò induce Bernie Sanders, candidato democratico alla presidenza, ad accusare la candidata concorrente Hillary Clinton di aver votato per la guerra in Iraq, all'origine delle fortune dell'Isis e di Al Qaida, persistendo poi nell'errore quando diede il proprio assenso all'intervento in Libia.2
A casa nostra gettano una certa obliqua luce sul dibattito le reazioni di Fabrizio Rondolino, redattore de l'Unità di recente conversione renziana, alle affermazioni di Gino Strada.
Il leader di Emergency aveva commentato: «Le nostre scelte di guerra ci presentano il conto di anni di violenza e distruzione.» Una constatazione che promana dall'evidenza dei fatti. E Rondolino, il quale forse non aspettava che l'0ccasione per mirare al “corpo grosso” del pacifismo, non ha resistito twittando: «Emergency è un'organizzazione antioccidentale mascherata da ospedale ambulante. Va isolata e boicottata.» «Peggio di Belpietro c'è soltanto Gino Strada.» Proprio nel momento in cui il tam tam mass-mediale ci informava della vittima italiana al Bataclan, di Valeria Solesin volontaria di Emergency, davvero la nostra migliore gioventù. Miserie dei difensori d'ufficio.
Eppure Rondolino, onnipresente nei talk-show televisivi, ha così esplicitato in un solo momento sintetico due intendimenti della sinistra di governo: la lotta (se necessario la guerra) al terrorismo va fatta in nome dell'Occidente; chi fa risalire ad esso precise responsabilità è comunque nemico, perfidamente mascherato da “ospedale ambulante”.
Cielo plumbeo
Uno stato di guerra verso l'esterno ne implica uno verso l'interno, sulla scia del secondo Bush. Chi proclama che non dobbiamo rinunciare per nulla al nostro modo vivere (per non darla vinta ai terroristi), aggiunge poi che qualche nostra libertà andrà comunque sospesa (sacrifici di guerra!).
Tuttavia, ancora non è chiaro come verrà combattuto lo Stato Islamico, il Califfato di Al-Baghdadi. Intanto i bombardamenti e l'uso dei droni viene rafforzato, con il relativo carico di morti tra inermi civili. Nel “cratere siro-iracheno”, sul terreno contro i terroristi, combattono solo forze o ostili all'Occidente o viste con estrema “diffidenza”, come i curdi. Di converso gli alleati, più o meno subalterni a Stati Uniti ed Europa, come la Turchia ed i reami arabi del Golfo, commerciano in petrolio e opere d'arte coi terroristi, quando non li finanziano ed armano semplicemente. A queste transazioni sono estranei i governi e i “servizi” occidentali? O anch'essi hanno mestato nel torbido pur di avversare la mezzaluna sciita e i regimi nazionalisti arabi in Siria come in Libia? E che ruolo hanno le aziende produttrici di armi?
Non è necessario riandare alla prosecuzione del colonialismo con altri mezzi o alla protezione del sionismo israeliano (difeso da qualsiasi critica con l'accusa infamante di antisemitismo), per trovare delle spiegazioni che promanano dall'interventismo dell'ultimo ventennio, i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti.
Si potrebbe scegliere la via di “asfissiare” il Califfato, di prosciugare ogni risorsa del terrorismo alla fonte, anche da e a casa nostra. Ma sarebbe troppo lento e pacifico e, soprattutto, costerebbe un cambiamento politico di fondo e un bel pezzo di egemonia del sacro Occidente, aprendo la via ad un assetto mondiale multipolare.
In troppi vogliono una nuova guerra che sotterri con quella precedente anche le nostre vite. Salvo costatare, alla prova dei fatti, e sempre dopo, che il terrorismo avrà in essa trovato nuova linfa e nulla è risolto.
Saremo ulteriormente disposti a sopportare che un “sorry” del Blair di turno, permetta loro di ripetere all'infinito il gioco al massacro?

1 Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano, Come persi la guerra, 15 novembre 2015.
Estratto in: https://triskel182.wordpress.com/2015/11/15/come-persi-la-guerra-marco-travaglio/
2 http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Parigi-entra-nelle-primarie-Usa-Sanders-contro-Clinton-invasione-Iraq-genero-Isis-d749a132-9bf0-4a92-8d72-2cae926fb019.html

Manovre di cassa all'Inps

Manovre di cassa all'Inps

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INPS: sono eque le nuove proposte di Tito Boeri? Presupposti contraddittori dell'equità compatibile coi bilanci. Lavoro e quiescenza ai tempi del capitalismo postindustriale.
  • Nella sua ultima proposta il presidente dell'INPS, Tito Boeri, chiede di prelevare dalle pensioni alte e medio-alte in favore di un'esangue assistenza di base che intende riordinare.
  • La risposta del governo è provvisoria e negativa, poco chiara nelle sue motivazioni, soprattutto preoccupata di non sconfessare il clima di “fiducia” nella mini-ripresa in atto.
  • Sono in questione travasi di cassa discutibili, basati su una “equità compatibile” con le esigenze di bilancio e la perdurante crisi fiscale dello Stato imposta da Bruxelles.
  • Ma forse ancor più lo sono i tempi di vita, di lavoro e studio, di quiescenza, nella società postindustriale e dopo decenni di liberismo.
Tempismo intempestivo
Non si può certo disconoscere a Tito Boeri il tempismo. La sua proposta, “Non per cassa ma per equità” [vedi sintesi nel riquadro “Tito propone...”], è stata divulgata a pochi giorni dall'appuntamento pubblico dedicato all'INPS con Papa Francesco, del quale si conoscono le idee sociali in difesa dei poveri e degli emarginati. 
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Tito propone...
Titolo: “Non per cassa ma per equità.” 
In modo “equo”, propone di reperire risorse e redistribuirle, con un aggravio nell'immediato e una riduzione di 
spesa dal 2020 in poi.

  • Reddito minimo garantito di 500 € mensili a famiglia; punta a dimezzare la povertà tra gli over 55 che non hanno ancora maturato i requisiti pensionistici.
  • Flessibilità in uscita per consentire di andare in pensione prima (età di 63 anni e 7 mesi, rivalutabile con le aspettative di vita; minimo 20 anni di contribuzione; almeno 1.500 € mensili) di quanto previsto dalla Fornero (66 anni di età e 3 mesi a fine 2015), con penalizzazioni tra l'8 e il 9% in base ai contributi versati.
  • Riordino delle 8 diverse forme di assistenza dell'Inps che vanno ai redditi più elevati (30%), con riduzioni e ritiro (9%) dei trasferimenti.
  • Erogazioni “filtrate” secondo parametri di reddito familiare, Isee, valore catastale dell'abitazione principale e patrimonio mobiliare familiare.
  • Cristallizzazione” delle pensioni tra i 3.500-5.000 € (mensili lorde) da allineare nel tempo al calcolo contributivo.
  • Prelievo sopra i 5.000 € (in particolare dei “Fondi speciali”, delle pensioni d'oro e dei vitalizi di parlamentari nazionali e regionali) per tornare alla congruità del contributivo.
  • Limitazione della norma capestro sulle “ricongiunzioni onerose” (settore scuola).
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L'ex professore della Bocconi si candida ad un posto nel governo?
Sibillina è stata la risposta del ministro del lavoro e della previdenza sociale, Poletti, che accenna a “costi sociali non indifferenti e non equi”. Renzi, invece, ha riconosciuto la correttezza “tecnica” pur giudicandola politicamente intempestiva, in quanto inquinerebbe il clima di “fiducia” sul quale punta anche la Legge di stabilità (ex Finanziaria) e metterebbe le mani su pensioni da 2.000 € al mese [vedi riquadro “Matteo non dispone”].
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Matteo non dispone

  • Giuliano Poletti (comunicato del Ministero del lavoro): «Contributo utile ma si è deciso di rinviare perché quel piano, oltre a misure utili come la flessibilità in uscita, ne contiene altre che mettono le mani nel portafoglio a milioni di pensionati, con costi sociali non indifferenti e non equi».
  • Matteo Renzi (da Vespa): «Alcuni correttivi proposti dall’Inps di Tito Boeri avevano un valore di equità - spiega il premier -: si sarebbe chiesto un contributo a chi ha avuto più di quanto versato. Non mi è sembrato il momento: dobbiamo dare fiducia agli italiani. Se metti le mani sulle pensioni di gente che prende 2.000 euro al mese, non è una manovra che dà serenità e fiducia. Per carità, magari è pure giusto a livello teorico. Ma la linea di questa legge è la fiducia, la fiducia, la fiducia. E, dunque, non si tagliano le pensioni».
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Leggendo le cifre di cui scrive Boeri, non si capisce come partendo da 3.500 € lordi si possano mettere in discussione assegni mensili di 2mila netti. Ma, data la straordinaria imposizione fiscale italiana sulle pensioni e le imprecise comunicazioni sul lordo e sul netto, tra mensilità (con 13a?) ed annualità, qualsiasi conto può apparire ballerino.
Per giunta, la maggior parte dei commentatori ha mancato di chiedersi come abbia fatto l'INPS a calcolare la differenza tra le erogazioni attuali, effettuate secondo il sistema retributivo, e l'effettivo montante contributivo cumulato dagli ex dipendenti pubblici (ex INPDAP), non disponendo, fatto risaputo, di uno storico attendibile. Miracolo della matematica
attuariale! Tanto più se consideriamo l'elevato numero dei dirigenti pubblici, sproporzionato rispetto ai loro dipendenti, a paragone di Paesi come Germania, Francia ed Inghilterra, ad oggi divenuti pensionati. Il loro addensamento nelle fasce media (3.500-5.000 €) ed alta (oltre 5.000 €) dev'essere senz'altro rilevante...
(R)Aggiramenti
Boeri e la Consulta nutrono una differente idea di equità. Quest'ultima, nella sentenza sulla legge Fornero, tra l'altro1, ha fissato due cardini costituzionali ineludibili: per l'assistenza non devono essere chiamati a pagare solo i pensionati seppur d'oro, ma tutti i cittadini attraverso la fiscalità generale; va salvaguardata la continuità tra il tenore di vita durante il periodo lavorativo e quello in quiescenza.
All'opposto, partendo dal presupposto che le pensioni calcolate col metodo retributivo siano, per la parte che supera il montante contributivo, indebitamente percepite, Boeri fissa una suo limite sociale “soggettivo”, al di sopra del quale si può tosarle, in diversa e progressiva misura, per finanziare l'attuale assistenza, inadeguata agli occhi di tutti.
Comunque la si voglia chiamare, si tratta di un travaso da una cassa all'altra dell'INPS, perché non ci sono accantonamenti reali ma solo virtuali e si eroga, come in un conto corrente, quanto si incassa dai versamenti vigenti. Viene da chiedersi: che ne è della promessa di separare l'assistenza dalla previdenza?
Al pronunciamento della Corte costituzionale sulla legge Fornero, in estate il governo si è adeguato eludendone la sostanza: ha sistemato a modo suo il pregresso, decidendo erogazioni in linea con le “compatibilità di bilancio” stabilite da Bruxelles. Una manovra di aggiramento che sa di raggiro.
Proteso a rafforzare il clima psicologico di “fiducia” ritenuto essenziale per confermare la mini-ripresa in atto2, il governo Renzi accantona i problemi di fondo che sorgono sia dalla sentenza della suprema Corte, sia dal disegno di Boeri. Al fare, in realtà, l'esecutivo preferisce il guadagnare tempo, nella malcelata speranza che la ripresa economica gli levi le più scottanti castagne dal fuoco.
Limiti sempre rivedibili
Indubbiamente l'ultimo pacchetto riformatore di Boeri si veste di equità e di rigore “attuariale” nei conti. Dalle casse dell'INPS propone di prendere ai più ricchi per dare ai più poveri, colpendo invisi privilegi tra cui quelli della “casta” politico-parlamentare.
Giustizialismo re-distributivo?
Si faccia attenzione. Una volta sdoganato il principio in forza del quale dalla differenza previdenziale tra retributivo e contributivo sia lecito attingere per finanziare l'assistenza sociale, cosa potrà impedire ad un governo di abbassare al di sotto dei 3.500 € lordi mensili il limite per il più “equo” dei suoi aggiustamenti? Non è proprio nelle pensioni medio-basse che maggiore è la distanza tra contributivo e retributivo?
Una “equità compatibile” è una contraddizione in sé, giacché la “compatibilità” nelle condizioni concrete della politica economica governativa, può vanificare qualsiasi presupposto di “equità”. Quante volte ci siamo sentiti ripetere che, con l'ultima riforma delle pensioni, i conti erano definitivamente sistemati? Quanto affidabili sono le promesse della nostra “classe dirigente”?
Il combinato disposto del via libera ai travasi di cassa nell'INPS secondo la logica contributiva e la matematica attuariale, da un lato, e dei vincoli di bilancio introdotti in Costituzione3, dall'altro, possono giustificare qualsiasi politica antisociale.
Tempi da cambiare
Non ritornerò su argomenti già trattati, quali il meccanismo di rivalutazione dei contributi legato all'andamento del Pil, posto alla base del sistema contributivo. Tutti sanno che esso conduce la maggioranza dei giovani di oggi, tanto più se precari e a partita IVA, ad una pensione di legno. A dispetto della demagogia ufficiale (vedi Fornero), per la quale sarebbe la cupidigia degli anziani attuali la fonte dei futuri mali.
Vorrei si vedessero le cose da un'altra angolazione.
Benché il sistema retributivo corrispondesse alla società industriale avanzata e alla logica macro-economica di mantenere adeguata la domanda interna, esso non fu un regalo, ma frutto di aspre lotte sindacali e politiche. Poi, le grandi industrie nazionali vennero smantellate e le produzioni de-localizzate alla ricerca di massimi profitti in una mondializzazione su misura del capitale finanziario. Passammo al postindustriale.
Agli economisti liberisti spettò pure il compito di elaborare sistemi previdenziali sempre più privatistici, da cui la voluta insufficienza del sistema pubblico (contributivo) ai fini di una dignitosa pensione. Senonché, come sono aumentati disoccupazione, precarietà e sotto-salari, è cresciuta a dismisura l'esclusione e la povertà. E trascinato nella china è anche chi è al lavoro, dovendogli la totalità del proprio tempo.
A tutto ciò non porranno rimedio le mini-crescite renziane che, ai ritmi attuali, impiegherebbero decenni4 solo per tornare ai livelli occupazionali pre-crisi.
Liberarci dal liberismo è tanto necessario quanto ridare dignità e vivibilità d'insieme, collettivo ed individuale, ai nostri tempi di vita, ai ritmi quotidiani, ai periodi di attività ed inattività lavorativa, alle diverse età. Oggi sono fratturati, contrapposti e sottoposti, ad intermittenza o in modo permanente, al crescente rischio di finire tra gli esclusi ed i “bisognosi”. Non è più e solo questione di assistenza e previdenza.

1 Sulla sentenza della Consulta e sul tema della pensioni, vedi in questo Blog “Pensioni: l'equità compatibile”, giugno 2015.
2 La mini-crescita è dovuta a fattori esterni all'azione di governo: basso costo del petrolio; emissioni quantitative di moneta della Bce; svalutazione competitiva dell'euro. Seguendo i parametri europei, gli scostamenti del Pil degli 0 virgola implicano: se in + una piccola disponibilità di spesa (irrilevante per l'occupazione); se in – l'automatico innalzamento della pressione fiscale.
3 Il virus dell'austerità è stato inserito in Costituzione con il nuovo articolo 81.
4 Secondo Luca Ricolfi (Nell'orto dei decimali non cresce il lavoro, Il sole24ore, 8/11/2015) Matteo Renzi avrebbe più di 70 anni.

mercoledì 4 novembre 2015

Traditori e Traditi

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Può la sinistra italiana essere accusata di tradimento? Lo spunto ci viene offerto dal dibattito sul Blog di Alberto Bagnai. Risposte tra morale e politica nei mutamenti sociali.

   Il tradimento è l'atto (il fatto “oggettivo”) del venir meno ad un patto morale, ad un impegno volontariamente preso (“soggettivamente”). Esso viene compiuto dal traditore mascherando le proprie reali intenzioni verso il tradito, portato a fidarsi di lui. Spesso, ma non sempre, la vittima è colta di sorpresa dal tradimento.
  Sicché il tradimento implica diversi ingredienti: il rapporto tra l'atto oggettivo conclamato ed il patto morale soggettivo, la fiducia del tradito nel traditore, il momento specifico in cui il tradimento trova attuazione.
 Fin qui ci soccorre il dizionario.
Polemos
A cavallo degli anni sessanta e settanta il Pci fu accusato di tradire il comunismo. I democratici di sinistra (DS) furono accusati di tradire il dettato pacifista della Costituzione all'art. 11 quando a fine millennio (in rapida sequenza, prima Prodi e poi D'Alema) impegnarono il Paese nella “guerra umanitaria” della Nato in Kosovo.
Attualmente il PD (governo Renzi) è accusato di tradire la propria Carta dei Valori, con riferimento al combinato disposto delle modifiche costituzionali (Senato) e della legge elettorale (Italicum).
Da questo punto di vista, ci troveremmo di fronte, sul piano storico, ad un “tradimento continuato” da parte di personale politico che, mutando nome, tuttavia persevera nella stessa deriva politico-morale attraverso più generazioni.
Tralasciando la questione del comunismo, per restare al punto, ossia al tradimento della sinistra (che dovrebbe avere a cuore la democrazia come suo indispensabile habitat), dei tre ingredienti sopra elencati, mancano sia il “fattore sorpresa” che quello decisivo della “fiducia”.
Come può dirsi sorpresa la vittima, se il voltagabbana non si rivela tale all'improvviso? Come può accadere che l'inganno continui per così lungo tempo (vari decenni) senza che l'ingannato se ne sia potuto rendere conto? In questi casi, per lo meno, il sussulto d'indignazione e l'accusa di tradimento appaiono assai tardivi e “sospetti”.
Inevitabilmente viene chiamato in causa il terzo e più importate “ingrediente”: il rapporto tra il fatto oggettivo e quello soggettivo.
Posta seccamente, come la pone Bagnai, la questione non lascia scampo [vedi riquadro “Tra oggettivo e soggettivo”] e la sentenza di condanna non è scontata solo perché non appare altrettanto scontata la consapevolezza soggettiva, da parte del traditore, di ciò che va combinando.
Saremmo di fronte ad un “tradimento oggettivo”, dalla verifica del quale non si potrà sfuggire, dal momento che, nel loro divenire, i fatti oggettivi, inesorabili, riproporranno al pettine i nodi irrisolti. Come le contraddizioni dell'Eurozona ripropongono puntuali il riesame della scelta della sinistra di aderire alla moneta unica.
Eppure, può chiamarsi tale un tradimento che manca del carico morale soggettivo nell'atto del tradire? Se il traditore non si rende conto di tradire, moralmente sarebbe scusabile, purché riconosca l'errore (fatto diverso dal tradimento) e vi ponga adeguato rimedio.
Labilità dei ceti medi
Forse, gioverebbe comprendere che in qualche modo il tradito non è poi così ingannato dal traditore, giacché l'esperienza gli avrebbe più volte dimostrato quanto mal riposta sia stata la sua fiducia. Dal che si può risalire a diverse concause, nelle quali l'oggettivo ed il soggettivo si intrecciano e non si presentano in forma tanto chiara e distinta.
L'ingannato potrebbe essere stato cointeressato, coinvolto nel gioco. Una sorta di autoinganno per non riconoscere una falsa coscienza di sé. Sul piano sociale attiene all'ipotesi che in molti, nel popolo di sinistra, si siano sentiti parte della cosiddetta middle class, una categoria sociologica del consumo, attenta allo status che oscura quella della proprietà (dei marxiani “mezzi di produzione”). In tal caso quel popolo avrebbe supposto di essere ricco, per via di un fuggevole benessere da potere d'acquisto, restando però di fatto povero, in particolare nel momento in cui si è reso conto di non disporre più, o in misura ridottissima, dell'essenziale: lavoro, pensione, sanità, università, ambiente... E magari ai figli si prospetta un avvenire peggiore del proprio passato.
Alla radice, l'ipotesi contempla una trasformazione della società, avvenuta nei decenni appena trascorsi, mutando l'idea che essa nutre di se stessa: la classe operaia che non si auto-riconosce tale; in una società in apparenza non più divisa in classi, resa a tal punto “fluida” da escludere dalla sua coscienza una sua parte, un crescente numero di poveri ridotti ai margini come “scarti”. Una società in cui tutti sono imprenditori autonomi dal capitale, liberi prestatori d'opera, e persino una nonna italiana può credersi “imprenditrice” se paga una badante immigrata.
Quando la crisi ha rimesso ciascuno coi piedi a terra, è iniziato un salutare disinganno?
Non è automatico. I margini del “benessere” non sono ovunque e comunque totalmente erosi. Alcune generazioni senza la guerra addosso, in un tempo chiamato pace, hanno consentito l'accumulo di tanti risparmi (e la casa di proprietà)... Siamo nel post-industriale, in un Paese in stagnazione, tuttavia parte del club dei più ricchi al mondo...
E se la natura della società è cambiata, non percependosi nemmeno più come “società” ma unicamente come insieme di individui rivali, come può non cambiare “la sinistra in natura”1?
Il consumatore si consuma
Per attenerci all'attualità delle vicende politiche istituzionali e delle rappresentanze elettorali, possiamo scorgere “mutamenti paralleli”.
Da Berlusconi in poi le elezioni sono trattate come un mercato delle illusioni (mercantili). Tramite la pubblicità, soprattutto televisiva, l'elettore diventa un consumatore al quale viene chiesto di comprare una merce astratta (politica) invece di un'altra. Sicché in una perenne campagna elettorale, conta più l'immagine di un prodotto che il suo reale valore d'uso, sempre che il voto non divenga puro valore di scambio. Tuttavia, l'elettore, al pari del consumatore, sa già che di tutto ciò che gli viene promesso in campagna elettorale, come nelle pubblicità, solo una piccola parte verrà mantenuta, quando l'eletto non farà addirittura il contrario di quanto “pattuito” a suo tempo.
Dopodiché il gioco, pur reiterato da uno scafato politico di professione (il giovane Matteo Renzi)2 e dal suo “governo del fare”, si è palesemente logorato. Una democrazia elettorale, nutrita da partiti e liste di solo “apparire”, finisce per alimentare la disaffezione da sé o/e contro-movimenti, di rottura con l'andazzo dominante. E ai falsi mediatici, necessariamente, si accompagna il concreto della stretta anticostituzionale ed antidemocratica, nella logica politica di classe più tradizionale.
In Italia la crescente disaffezione al voto ed il successo di M5S evidenziano un logoramento del gioco elettorale-istituzionale condotto con le modalità dell'immagine, al pari di quanto avviene in Europa, con Syriza (prima che rientrasse nei ranghi), di Podemos, o di Corbyn nel Labour inglese. Stando alle classificazioni canoniche, il fenomeno non riguarda solo la sinistra e il centro-sinistra, ma pure la destra. Il che, esponendoci a rischi di autoritarismo e fascismo, dovrebbe indurci ad indagare meglio la realtà.
Nomi
Insistere sul tradimento della sinistra, pertanto, mi pare un vuoto esercizio, secondo paradigmi politici oramai scompigliati dal divenire pratico.
La sinistra da lunga pezza attua politiche negli interessi delle oligarchie finanziarie, con lievissime differenze non sempre percepibili tra liberal-liberismi e social-liberismi, con l'aggravante che alla sinistra sono permesse, per mancanza di opposizione, nefandezze a suo tempo impedite alla destra.
Il destino del significante “sinistra” segue fatalmente il significato politico dato dal pluridecennale operato dei suoi “interpreti ufficiali”. E la polemica, scontato il passo, giunge fuori tempo massimo.
Come se, a decenni di distanza, passati tra divorzi e matrimoni, con i figli adulti e magari con un nutrito stuolo di nipoti in una famiglia oramai “allargata” più o meno felice, in una fu-coppia un fu-coniuge rinfacciasse all'altro fu, di non aver tenuto fede all'antico patto coniugale. Tutti leggeremmo la vicenda come un ritorno di gelosia (e patetico amore), alla vana ricerca del tempo perduto.
Può succedere, sarebbe senescenza.
Non consegniamoci al passato dei “nomi” per continuare a recriminare. Badiamo alle contraddizioni reali con tutta l'inventiva di movimento e linguaggio. Non rassegnamoci ad un futuro eternamente ripetitivo del passato e delle sue forme.
Voltare pagina non significa dimenticare.

1 L'idea che la “sinistra esiste in natura” e di P. Bersani.
2 Renzi, grazie alle primarie del PD, ha bypassato le elezioni ed è stato nominato premier in quanto segretario di partito.


martedì 3 novembre 2015

L'elicottero di Milton

Helicopter Drop  Lanciare banconote dall'elicottero.
Correva l'anno 2002
«(...), durante una conferenza organizzata per celebrare il novantesimo compleanno di Friedman, Ben Benanke, che al tempo era governatore della Federal Reserve, concluse la sua analisi retrospettiva del libro La storia monetaria degli Stati Uniti con queste parole: “Vorrei dire a Milton e Ana: sulla Grande depressione, avete ragione. La responsabilità è nostra. Siamo profondamente dispiaciuti. Ma grazie a voi, non accadrà più.”»
John Cassidy, Come crollano i mercati, Einaudi, 2011 (2009), pag. 88.

L'elicotterodi Milton

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Incombe la deflazione, le inondazioni di liquidità monetaria non arrivano al “cavallo” che non beve e non corre... Toccasana estremo: l'elicottero di Milton Friedman, evangelista del monetarismo ed ispiratore negli anni ottanta di Thatcher e Reagan, quando furono poste le premesse della crisi attuale.
Sul tema sono comparsi tre articoli sul “Corriere della Sera” di lunedì 26 ottobre 2015.
Dalla prima pagina Lucrezia Reichlin invoca «Un'iniziativa dei governi per stimolare la ripresa», paventando, in caso di insuccesso, «una crisi di legittimità democratica, con istituzioni guidate da manager non eletti protagoniste loro malgrado della politica economica». Loro malgrado?
Se non sono manager son tecnici. Il presidente Napolitano catapultò il podestà straniero (da Varese, via Bruxelles) a capo di un governo di tecnici che fece sfracelli e se ne andò dopo aver dato pessima prova di sé. Ora si scopre, dalle stesse colonne da cui Monti si autopropose, che una simile soluzione equivarrebbe ad “una crisi di legittimità democratica”! Infatti, i manager al governo sono come i generali al governo. Gli uni vi giungono con un colpo di Stato militare, gli altri sono “uomini della Provvidenza” nominati, in casi di emergenza economica, da uomini delle istituzioni in sintonia con le oligarchie finanziarie.
Quanto al quadro emergenziale, Reichlin focalizza tre punti:
  1. «Alto indebitamento, inflazione vicina allo zero e investimenti anemici sono un cocktail preoccupante.»
  2. «Nonostante la retorica che esclude le svalutazioni competitive, la discussione sui tassi di cambio è divenuta sempre più esplicita tra i banchieri centrali. (…) In un mondo con circolazione libera dei capitali e tassi di cambio flessibili nessuna banca nazionale può agire in modo indipendente.» (L'eufemismo della “discussione esplicita” cela una furente guerra valutaria e commerciale, in cui ciascuno svaluta per favorire le proprie esportazioni.)
  3. Eurozona. «Se Draghi dovesse essere costretto a continuare acquisti massicci di titoli di Stato diventerebbe inevitabile cambiare le proporzioni nazionali degli acquisti che ora dipendono del Prodotto interno lordo del Paese e non dall'ammontare del debito pubblico.» Ovvero «la Bce sarà costretta ad acquistare in percentuale maggiore titoli di Stato di quei Paesi dove il mercato del debito pubblico è più grande, in particolare l'Italia.» Ciò porterebbe a delle divisioni. (Leggi: Angela non sarebbe affatto d'accordo!)
Poiché il Quantitative easing di Mario Draghi non sta risolvendo alcun problema, avremo, secondo la Reichlin, una escalation delle azioni straordinarie delle banche centrali, a cui deve corrispondere da subito un'azione decisa dei governi. Quale?
Sulla stessa preoccupata falsariga scrivono, nell'inserto di Economia, Danilo Taino e Marcello Minenna. Quest'ultimo registra il mancato passaggio della liquidità emessa dalla Bce alla cosiddetta “economia reale”, sicché il “cavallo” non beve. Le banche fanno da tappo, perché paralizzate dalla marea di crediti inesigibili (in Italia per circa 350 miliardi), dovendo rispettare i vincoli di solidità patrimoniale imposti, a livello internazionale, dalle nuove regole stabilite dopo il crack del 2008. Conclude: «Per far ripartire la domanda aggregata i soldi devono arrivare a consumi e investimenti.» Come? Magari bypassando le banche e lanciando “banconote dagli elicotteri”. Conclusione a cui arriva anche Taino, ma riferendosi direttamente a Milton Friedman, l'evangelista del monetarismo: «È il cosiddetto Helicopter Drop, denaro gettato sull'economia. Non siamo a quel punto, così come non siamo in deflazione. È bene però sapere che una soluzione monetarista estrema potrebbe esserci.»

Ma non fu il monetarismo a gettarci nella situazione in cui, nostro malgrado, siamo?