Morale catalana
La ribellione non violenta della Catalogna – Ruolo dei tribunali spagnoli – Chi ha rotto il patto costituzionale – Il sogno europeista catalano alla prova dell'Unione europea reale – Nella perdita dei riferimenti la questione morale.
La ribellione non violenta della Catalogna – Ruolo dei tribunali spagnoli – Chi ha rotto il patto costituzionale – Il sogno europeista catalano alla prova dell'Unione europea reale – Nella perdita dei riferimenti la questione morale.
Qualche
ammaestramento la vicenda catalana può offrircelo.
Uno
riguarda la messa a nudo della struttura del potere nella Spagna
odierna, che rimanda alla irrisolta transizione dal fascismo ed ai
lasciti franchisti non incompatibili con l'appartenenza all'Unione
europea.
Un
altro ci racconta di quanto pesante sia l'impatto della gestione
austera della crisi ed a quali rifugi territoriali induca, in un
singolare rovesciamento per cui le piccole patrie tanto furono
esaltate ad Est quanto sono aborrite ad Ovest.
In
questo contesto l'Unione ed i principali governi europei, tra cui
quello italiano, riscoprono le virginali virtù della non ingerenza
negli affari interni. Ma cosa sono gli affari interni e quelli
esterni all'Europa?
Disperso
il “patriottismo costituzionale” che doveva cementarla, l'Europa
appare priva di un processo condiviso d'unificazione politica. Non
può proiettare nel suo futuro un'identità che non ha, nel mentre le
identità preesistenti di partenza, gli Stati-nazione, traballano o
rischiano di essere preda di ritorni fascistizzanti, magari in
combutta con mafie e malaffare. Ai fini delle oligarchie dominanti,
fascismo xenofobia e mafie sono preferibili a qualsiasi apertura al
cambiamento: è la morale della mattanza morale.
Sedizione
Il
governo della Catalogna è destituito.
I suoi
membri ed il presidente sono o rifugiati in Belgio, passibili di
estradizione, o detenuti in Spagna. Tutti sono posti sotto accusa
dalla giudice della Audiencia National, Carmen Lamela Diaz. La
ex presidente del parlamento catalano, Carme Forcadell, invece, è
imputata per ordine di un gip del Tribunal Supremo e non più
detenuta grazie al versamento di una cauzione, emblematica di una
società in cui la libertà (provvisoria) è disponibile in cambio di
un pegno in denaro.
Sono
accusati di ribellione, sedizione, disobbedienza all'autorità,
distrazione di fondi pubblici (un corollario insinuante), con una
imputazione rivolta a Carles Puigdemont, l'ex presidente della
Generalitat
de Catalunya,
di aver “promosso e usato la forza, spingendo per l’insurrezione
e sfidando l’ordine costituzionale”.
Ciò
che più colpisce è l'intervento di corti centrali, con speciali
competenze su tutto il territorio dello Stato [vedi
nella finestra “Corti speciali”], in stretto legame con
l'applicazione dell'articolo 155 della Costituzione da parte del
governo Rajoy. Sicché il loro attivarsi in difesa dello Stato appare
direttamente conforme alla volontà del potere politico, dal quale
non sono affatto indipendenti.
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Corti speciali
A parte il Tribunal Constitutional che vigila sul rispetto della Costituzione, il sistema giuridico spagnolo è piuttosto speciale se paragonato a quello in vigore in altri Paesi dell'Europa occidentale.
Il Fiscal General è un Procuratore generale con giurisdizione sull'intero Stato. Viene nominato dal re su proposta del governo da cui dipende gerarchicamente.
In sostituzione del franchista Tribunal de Orden Público, nel 1977 viene istituita, con decreto-legge reale (!) la Audiencia Nacional, che ne eredita funzionari e funzioni di repressione politica, compresa la sede centrale di Madrid. La sua giurisdizione è allargata all'intero territorio spagnolo, violando il diritto al giudice naturale. Tratta delitti assai differenti e tende ad allagare le proprie competenze, mancando di un fine non equivocabile. Detiene il monopolio sui delitti di terrorismo, in un sistema legale che qualifica come terrorismo delitti che non lo sono. Ai detenuti dell'AN è proibito qualsiasi contatto con avvocati e familiari.
Dal 1812 opera da Madrid il Tribunal Supremo che ha giurisdizione unica sul territorio dello Stato. Cura i ricorsi di cassazione. È tribunale superiore per gli ambiti civile, penale, contenzioso-amministrativo e sociale. Nel caso Forcadell, appare in conflitto di competenza con il Tribunal Superior de Justicia de Catalogna.
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Non si tratta né di una
scelta contingente, in base ad un mero calcolo di convenienza
elettorale, né di una pura reazione istituzionale, una specie di
atto dovuto di fronte ad un gesto di sedizione. Sia perché, in
realtà, il governo indipendentista non ha mai usato od istigato
all'uso della forza e della violenza, senza le quali la sedizione non
sussiste, sia perché l'innesco del meccanismo repressivo, a cui i
tribunali hanno dato consistenza, risponde ad una linea politica del
Partido Popular e dei suoi alleati, perseguita con coerenza da
molti decenni. Un continuismo politico da cui inizialmente si
erano tenuti distanti i socialisti del PSOE, salvo man mano
aderirvi, fino alla più recente svolta in sostegno di Rajoy.
Benché
a Mariano Rajoy non manchino i motivi immediati per infiammare lo
scontro con la Catalogna, come il tentativo di raccogliere tutto il
voto di richiamo reazionario, distogliendo l'attenzione dagli
scandali per corruzione che coinvolgono il suo esecutivo, tali motivi
presentano il grande vantaggio di sposarsi perfettamente con quelli
sottostanti di più solida e lunga durata.1
Continuismo
politico
La
costituzione del 1978 fu conseguenza della conversione
del regime fascista di Francisco Franco in una democrazia
parlamentare pluripartitica. Si disse che la transición
democrática
adottata fosse l'unica alternativa alla ripresa della guerra civile.
Ma, come dimostrò il fallito golpe del colonnello Tejero, il ricatto
era inconsistente e finalizzato esclusivamente a consentire ai gruppi
sociali ed agli apparati dello Stato compromessi col fascismo di
passare indenni nel gattopardo del cambiamento politico. A tal fine
dovettero disporre:
- del ritorno in regia della monarchia borbonica;
- di un esecutivo di ex ministri e notabili franchisti, comunque non antifascista;
- della garanzia di continuità di istituzioni quali le corti speciali di giustizia;
- della espressa esclusione di ogni misura tesa a regolare i conti col passato regime;
- di una costituzione a suggello del compromesso pattuito.
A
distanza di alcuni decenni, nonostante forti movimenti di piazza
conseguenti al crack del 2008 e la crisi della rappresentanza
parlamentare (tra il 2015 ed il 2016, circa 10 mesi senza
maggioranza), al governo resiste il Partido
Popular
di Rajoy, in coalizione con Ciudadanos
e con l'appoggio esterno dei socialisti del PSOE,
sotto forma di astensione. Si noti bene: nell'emiciclo parlamentare
nessuna forza sta alla destra del Partito popolare. Inoltre, re
Felipe è sceso in campo non per unire ma a favore del governo,
immischiandosi direttamente nella contesa politica; le Corti speciali
fanno con diligenza estrema il lavoro per cui sono state istituite o,
se preferite, re-istituite.
Il
patto costituzionale, invece, è stato rotto.
A
segnare la rottura è stata la decisione dei popolari di Rajoy,
giunto allora al minimo elettorale, di ricorrere al Tribunal
Constitutional
contro lo Estatut
d'Autonomia,
voluto dal socialista Zapatero in esecuzione del compromesso
costituzionale [vedi
nella finestra “Il compromesso”]. Lo
Statuto era stato approvato dai parlamenti catalano e spagnolo, poi
ratificato da un referendum popolare in Catalogna. Correva l'anno
2006. Nel 2010, giunge la sentenza della Corte, che svuota lo Statuto
e nega alla Catalogna la qualità di nazione. Così doveva essere,
giacché, nella logica dei giudicanti, se è dalla nazione che sorge
lo Stato, riconoscere la Catalogna come nazione le avrebbe conferito
automaticamente il diritto di farsi Stato.
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Il compromesso
«Il 14 aprile 1931, i repubblicani spagnoli vinsero le elezioni municipali nella maggior parte delle grandi città, proclamando diverse Repubbliche fra le quali la Repubblica catalana sotto la direzione di Lluís Companys, consigliere municipale di Esquerra Republicana de Catalunya [Erc, …] Applicando un programma federalista, le repubbliche indipendenti proclamarono la Seconda repubblica spagnola, poi schiacciata da Franco. Una volta morto il dittatore, i repubblicani sostennero che la repubblica federale rimaneva il regime legale al quale occorreva tornare. La questione – come quella dell'unità territoriale – si risolse in un compromesso: i catalani rinunciavano a formare una repubblica federale ed accettavano sia il regime monarchico (articolo 1.3 della Costituzione) che “l'unità indissolubile della nazione spagnola” (articolo 2), abbandonando il progetto di dichiarare unilateralmente la propria indipendenza come nel 1931. In cambio ottenevano il diritto di sviluppare uno statuto di autonomia e diritti civili specifici, benché strettamente definiti.»
Estratto da:
Sébastien Bauer, “La crisi catalana è nata a Madrid”, Le Monde diplomatique – il Manifesto, novembre 2017.
Lluis Companys fucilato dai franchisti nel 1940 |
In
definitiva, ciò che impedì di liquidare i conti col franchismo ed i
suoi lasciti, di ordine sociale e nazionale, è tuttora garante
del continuismo politico centralista e
nazionalista spagnolo, nonché del mantenimento in sella delle
vecchie classi ed apparati statali dominanti, seppure aggiornati.
Represión
legal
Tuttavia,
il compattamento del potere centrale sbarrava la strada non solo
all'indipendenza ed al federalismo, ma pure ad una soluzione di tipo
autonomistico, conferendo all'articolo 155 ed alle corti speciali un
ruolo “necessario”, nel caso in cui l'idea nazionale catalana si
fosse comunque riaffermata su basi democratico-istituzionali locali.
Dopo
aver osteggiato il referendum del 1° ottobre a tratti in modo
violento, le porte del carcere si sono aperte innanzitutto per i
leaders
dei
movimenti indipendentisti della società civile, i due Jordi,2
“esterni” alle istituzioni rappresentative. Poi, in seguito
all'attivazione dell'articolo 155, i mandati di arresto si sono
abbattuti anche sulle cariche elettive. Nonostante prevalga il
racconto di uno svolgimento incruento o si preferisca tenere nascosta
nelle pagine interne dell'informazione la espinosa
questione catalana, la represión
legal
pratica la reclusione preventiva e minaccia decenni di galera per
azioni politiche non violente e condivise democraticamente da circa
metà della popolazione catalana. Un
problema politico di prima grandezza è stato trasformato in un
problema di ordine pubblico e legalista, con la pretesa di
ripristinare la normalità grazie al semplice ricorso ad una nuova
consultazione elettorale. È persino banale prevedere che, qualsiasi
sia il responso delle urne del 21 dicembre, esse non annulleranno
quanto è successo, che peserà sul futuro non solo della Catalogna e
della Spagna, ma anche
dell'Unione europea.
Fede
malriposta
Le
oligarchie politiche e finanziarie europee sono refrattarie ai
referendum. Dopo quelli del 2005 che in Francia ed Olanda hanno
rigettato la cosiddetta Costituzione europea,3
più recentemente nel Regno Unito ha prevalso il leave. In
aggiunta, nel referendum italiano del 2016 la Repubblica parlamentare
del '48 è stata preferita ad una riforma costituzionale congegnata
per rafforzare i poteri dell'esecutivo, proprio in funzione della
costruzione di una “Europa degli esecutivi”.
Nel
dopo-muro i governi dell'Europa occidentale, in preda alla foga di
reconquista
dell'Est, si
precipitarono a riconoscere in Jugoslavia le piccole patrie
etnico-confessionali, sorte da plebisciti secessionisti tenutisi in
un clima di sanguinosa e preordinata violenza. Perché, al contrario,
quei governi si oppongono ora al pacifico indipendentismo catalano?
Perché ad Est e fuori dall'allora Comunità europea non fu adottato
il principio di non ingerenza negli affari interni, così evitando di
sospingere quei popoli nell'abisso della guerra intestina e nella
reciproca pulizia etnica, mentre ora quello stesso principio viene
fatto valere intra moenia, tra
le mura dell'Unione, pur di
disconoscere che la Catalogna sia un problema europeo?
Inutilmente
cercheremmo un efficace chiarimento nelle dichiarazioni di Carles
Puigdemont [vedi
nella finestra “Carles a Concita”].
Come scrive Concita de Gregorio,4
Puigdemont ha invano “continuato in pubblico e in privato a
invocare l'intervento dell'Europa”: i vertici dell'Unione ed i
governi dei maggiori Paesi hanno fatto orecchie da mercante,
letteralmente.
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Carles a Concita
Affermazioni di Carles Puigdemont sull'Europa, riportate da Concita De Gregorio.
«A cosa serve, altrimenti, l'Europa di Altiero Spinelli se non a dirimere le questioni di democrazia, di libertà, di rispetto reciproco e di rispetto del voto dei cittadini degli Stati membri?»
«Un'Europa che risponde solo alle banche, all'interesse economico, alla convenienza dello Stato guida non è quello per cui in tutta la nostra storia ci siamo battuti.»
«Il punto, oggi, è che l'Europa non può tacere. Non può voltare le spalle e liquidare quel che è avvenuto come un fatto interno. Non vogliamo un'Europa dei banchieri, vogliamo un'Europa dei cittadini. Non sono io il problema, è la Catalogna. Io non ci sarò in futuro, la nostra gente sì. La mia missione politica si chiude qui.»
Concita De Gregorio, “Carles, il ribelle riluttante porta la sfida catalana nel cuore dell'Europa”, la Repubblica, 1/11/2017.
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Forse
pensava che la professione di fede nell'Europa a moneta unica da
parte di un governo dell'area più ricca della Spagna, qual è quello
catalano, bastasse a metterlo al riparo dalle ritorsioni madrilene.
Puigdemont insiste su ciò che l'Europa dovrebbe essere per non
restare “solo” quella che in effetti è. Ma è proprio perché la
Catalogna si è trovata dinnanzi ad un'Unione rispondente “solo”
alle banche, all'interesse economico loro, alla convenienza nazionale
di uno Stato guida e del suo immediato intorno, che essa non può
trovare risposte “anche” alle questioni di libertà e democrazia.
Qualora
avesse potuto intavolare una trattativa, magari grazie ad una
mediazione europea, l'ex governo catalano si sarebbe accontentato di
una qualche forma federalista, se non persino di un ripristino dello
Statuto di Autonomia del 2006. Chiedeva tutto pur di ottenere il
minimo. Ma l'assenza dell'Ue da un terreno che dovrebbe esserle
proprio, sancisce il prevalere del punto di vista ad un tempo delle
oligarchie finanziarie e delle élites politiche, sotto la
guida di uno Stato-nazione. Un prevalere che spiazza Puigdemont.
Non
si capisce per quali ragioni quelle oligarchie dovrebbero privarsi
dell'appoggio di una Spagna subalterna e soddisfatta nei piani alti
della sua società. Perché quei piani alti puzzano di centralismo
franchista? Perché dovrebbero operare per un federalismo spagnolo su
scala ridotta, quando non nutrono alcuna intenzione di volerne uno su
scala continentale? Per favorire, a seguito di un successo di
Barcellona, l'affermarsi di un nuovo indirizzo della politica
spagnola più attenta alle libertà sociali, da precariato e
disoccupazione, piuttosto che alla libertà della grande finanza di
fare e disfare a proprio comodo? Sarebbe puro autolesionismo.
Certo,
qui sorge una questione:
l'Europa mostra di nutrire una morale prêt-à-porter,
quando di non favorire addirittura una mattanza della morale.
Scioglimenti
nell'acido
A
denunciare la deriva è Beppe Grillo in un articolo
significativamente intitolato: “L'Europa abolisce la morale: dalla
Spagna al ritorno di B.”5
Secondo
Grillo6
l'Europa detta una morale di comportamento sul latte da produrre, ma
non su “un possibile stravolgimento dei suoi confini interni”,
come in Catalogna.
Date
le propensioni di “quel gruppo di banchieri che pretende di esserne
il faro” forse è meglio così e dovremmo “ringraziare il cielo
per questo ma... cos'è un affare interno dell'Europa?”
Per
“la svendita dei beni e delle garanzie pubbliche” imposto
dall'Unione, non c'è sovranità nazionale che tenga: essa “non
esiste più, violentata e risucchiata dai tentacoli europei”. La
materia è scottante. Investe sia la dimensione del vivere
quotidiano, sia quella istituzionale: le ragioni finanziarie cambiano
le Costituzioni e soverchiano quelle popolari. È il caso dell'euro
“spada nella roccia”, in apparenza impossibile da estrarre. Ne
deriva una conclusione lapidaria, sulla scorta del giudizio espresso
dal Nobel Amartya Sen: “Il peccato originale dell'Ue è stato
proprio di aver concentrato biecamente i propri sforzi sull'economia
'ingegneristica' anziché su quella 'etica'.”
Amartya Sen, Nobel per l'economia 1998 |
Grillo
mette il dito nella piaga, ma vede uno “scollamento tra economia ed
etica” laddove si potrebbe pensare a qualcosa di meno etereo e
spirituale. Per esempio, ad un sistema tanto intriso di materialità
da non nutrire necessariamente una morale. Anzi di poterla
tranquillamente sciogliere nell'acido.
Nella
logica propria degli affari capitalistici, i governi dei principali
Paesi occidentali alla caduta del muro di Berlino, decisero di
espandere la propria egemonia ad Est e nei Balcani, per conto di
coloro che, con la successiva trasformazione finanziaria, sarebbero
diventati “quel gruppo di banchieri”. Si ingerirono pesantemente
negli affari di Paesi allora fuori dalla Comunità, quindi “esterni”.
Spinsero alla guerra tra etnie e confessioni religiose. Predicando
ipocrita tolleranza, agirono per minare le basi stesse della
convivenza. Previo affermazione del “diritto d'ingerenza
umanitaria”, scatenarono infine una “guerra umanitaria”.
Erano
affari esterni e divennero interni.
Seguendo
la stessa logica ora, per il principio di intangibilità non dei
confini ma dei propri affari, è preferibile un governo Rajoy nella
continuità centralistica del franchismo ad una mediazione europea
per una Spagna riunita in federazione, la quale, avviando a soluzione
la questione catalana, potrebbe presentarsi unita contro la politica
economica europea verso le Periferie, a cui appartiene.
Ecco,
allora, che gli affari interni all'Unione divengono esterni.
È la
liberal-democrazia reale, non quella sognata, che ha permeato di sé
l'Europa odierna, concentrandosi sulla ingegneria del danaro, la
finanza, che non conosce etica, se non quella che obbliga il
debitore, fino all'autodistruzione, verso il suo creditore. L'uno
tanto incorreggibile peccatore, quanto l'altro predestinato alla
santità.
Alexis de Tocqueville |
Ed il
richiamo da parte di Grillo ad uno dei massimi pensatori
liberal-democratici, Alexis de Tocqueville, mostra ancor più come
l'approdo finale del liberalismo smentisca le sue promesse
ottocentesche. Nella sua evoluzione infatti, per sfuggire ai
movimenti di lotta delle classi cosiddette subalterne (per ricondurle
alla subalternità), ha internazionalizzato il mondo e l'Europa. Il
suo scopo era “togliere la terra sotto i piedi dell'avversario”,
ovvero luogo e contesto in cui quei movimenti potessero organizzarsi
ed essere efficaci. La
globalizzazione liberalista ha voluto impedire l'organizzazione
politica (e persino sindacale), nonché qualsiasi influenza sugli
affari di Stato da parte di quelle classi e di quei movimenti,
togliendo innanzitutto sovranità alla democrazia, senza rinunciare a
togliere, laddove possibile, democrazia alla sovranità.7
Così
facendo, però, ha finito per sottrarre sovranità e democrazia pure
all'insieme dei cittadini dello Stato-nazione, destabilizzando il
“comun sentire” di una società che, dal sopravvenire della
crisi, si riconosce sempre meno in esso.8
Per questo quel cittadino precipita nell'aporia morale, è ridotto a
“suddito” ed indotto ad oscillare “tra servitù e licenza”,
come nel 1840 Tocqueville pensava potesse succedere unicamente in
alcuni Paesi europei, a differenza dell'esemplare America.
Mattatoio
morale
Per
Grillo non esiste una morale europea rispetto alla Spagna, come non
esiste una morale italiana rispetto al ritorno in campo di Berlusconi
e financo della mafia, vecchio attrattore sociale in Sicilia.
Nel
restringimento della morale di partenza (pre-crisi) in sottogruppi
più piccoli, il sistema tende a preservare se stesso e, grazie
all'azione fondamentale dei media, si camuffa sotto altre spoglie,
“generando una seconda morale profondamente amorale”. “Una
morale che, per esempio, digerisce l'osceno ritorno del Re Sòle, un
vecchio malvissuto dalla canizie vituperosa, per dirla alla Manzoni
(…). E, al contempo, si cercano pretesti per attaccare chi
stoicamente insiste nel tentativo (difficilissimo) di mantenere e
migliorare quel che resta della morale di partenza del gruppo
iniziale, dello Stato italiano o comunque lo si voglia chiamare.”
Sicché
Grillo giunge ad una seconda conclusione: “(...) tanto più è
rarefatto e spersonalizzato quel vuoto centrale, tanto più profondo
sarà l'arretramento dei frammenti che ne derivano. E ancora più
intenso il loro rifugiarsi e rinchiudersi intorno a vecchie, putride,
logiche: mafia, padre-padrone, fascismo, ecc.” Per porre rimedio
alla mattanza della morale e alla “tirannia dell'ignoranza” non
v'è che una “educazione NUOVA, che sia elemento costitutivo del
cittadino, europeo e nazionale, e possa formarlo nella sua libertà e
intelligenza, dandogli gli strumenti per crearsi una morale capace di
penetrare la vita sociale.”
Ciò
che vorrebbe Grillo è, dunque una rinnovata morale del cittadino che
lo tolga dalla condizione di suddito o dal dover oscillare
incessantemente tra servitù e licenza. Un nuovo riempimento del
vuoto centrale dello Stato nazionale, a presupposto di un'Europa non
più in mano a “quel gruppo di banchieri”.
A loro
difesa, però, è schierato il vecchio establishment che in
Italia, analogamente a quanto avviene in Spagna, preferisce il grande
evasore fiscale Berlusconi ed il suo corredo di malaffare, mafia,
xenofobia e neofascismo, al pentastellato Di Maio, portatore di uno
spazio offerto al cambiamento, alla necessità impellente di voltare
pagina.
È
quel che serve a ridare sovranità nazionale alla democrazia, per
ridarla ai popoli d'Europa. È quel che serve a ribadire la difesa
delle libertà democratiche costituzionali.
È
quel che temono le élites responsabili di tanto sfacelo e
declino, perché offrirebbe alle classi ricondotte alla subalternità
l'occasione per riprendere un ruolo di protagoniste, per se stesse e
per l'insieme sociale.
Ci
sarà bisogno di un più vasto afflato di quello attuale: di
rinnovati movimenti di lotta, veicolo di educazione e di
organizzazione nel vivo dello scontro sociale e politico. Internet e
l'impegno nelle istituzioni non basteranno, senza il contatto di
pelle e di parola di una ritrovata socialità degli esclusi (dal
lavoro, dal salario e/o da un salario adeguato, dalla pensione,
dall'istruzione, dalle cure...) che rifiutino di venire esclusi anche
dalla politica.
Note:
1
Per Concita De Gregorio (“Carles, il ribelle riluttante porta la
sfida catalana nel cuore dell'Europa”, la Repubblica, 1/11/2017)
l'atteggiamento di Rajoy sarebbero invece dettato essenzialmente
dagli interessi immediati sia elettorali, sia di occultazione della
corruzione.
2
A metà ottobre Carmen Lamela della Audiencia
National ha deciso la carcerazione preventiva di Jordi
Sánchez e Jordi Cuixart leaders
rispettivamente dell’Assemblea Nazionale Catalana (ANC) e di
Ómnium, le due più importanti organizzazioni indipendentiste della
società civile catalana.
3
In realtà si trattava di un trattato internazionale.
4
Vedi articolo citato alla Nota 1 e nella finestra “Carles a
Concita”.
5
Beppe Grillo, “L'Europa abolisce la morale: dalla Spagna al
ritorno di B.”, il Fatto Quotidiano, 22 ottobre 2017. Testo
integrale rintracciabile su Internet:
https://infosannio.wordpress.com/2017/10/22/beppe-grillo-leuropa-abolisce-la-morale-dalla-spagna-al-ritorno-di-b/
6
Parole e frasi virgolettate sono citate dal pezzo di cui alla nota
precedente.
7
Non si tratta solo e semplicemente di negazione di un'opportunità
evolutiva della democrazia, come sostiene Carles
Puigdemont: “L'evoluzione della democrazia nel secolo XXI passa
attraverso la partecipazione delle persone alla politica senza
dovere essere politici di professione, ma cittadini che partecipano,
si autorganizzano e si autoresponsabilizzano. Stiamo dimostrando in
Catalogna che ciò può avvenire. In questo aspetto c'è
l'opportunità del miglioramento dell'Europa. Però questa
opportunità è anche una minaccia per gli Stati nazionali
tradizionali, ma anche per i lobbisti di una certa politica degli
Stati-nazione, come Tajani e Juncker.” (Da un'intervista di Luis
Cabasés, “Riconoscete il nostro voto? Madrid e Ue dicano sì o
no”, il Fatto Quotidiano, 24/11/2017).
8
La disaffezione elettorale ne è sintomo.