in
una società che non accetta di essere liquidata
Ciò
che un episodio parlamentare, la contesa con la Francia e la crisi
bancaria mettono in luce - Discussioni in politichese e scelte che
incombono sulla sinistra che si vuole riaggregare - Nella
devertebrazione del capitalismo industriale nazionale e dello Stato,
forte è il potere finanziario bancocentrico con le sue saldature
europee.
Consumatori
consumati
Le
cronache parlamentari raccontano che a fine luglio la Commissione
Industria del Senato ha dato via libera al ddl Concorrenza,
passandolo all'Aula.
All'ultimo
momento nel testo originario è stato inserito un emendamento
riguardante le forniture elettriche: dall'attuale regime di “maggior
tutela”, in forza del quale l'Acquirente unico pubblico compra
energia al miglior prezzo calmierando la bolletta del 15-20%, si
passerà direttamente al mercato liberalizzato. L'intervallo tra le
due fasi, prima previsto per bandire gare territoriali e consentire
agli utenti di scegliersi il fornitore, è scomparso.
A
farlo scomparire è stato uno schieramento parlamentare comprendente
PD, alfaniani, Lega e Forza Italia. Vano è stato il tentativo del
sen. Massimo Mucchetti (PD), presidente di Commissione, di
ripristinare il testo originario: è rimasto da solo con M5S, in
quanto Art.1-Mdp, in un primo momento contrario all'emendamento, ha
poi cambiato idea.1
Poiché
l'abolizione di questo passaggio intermedio alla libera concorrenza
favorisce palesemente Enel, facilitata a conservare l'85% delle
utenze servite ora in regime tutelato, a gettare scandalo è stato il
successo della sua azione di pressione (lobby)
sulle rappresentanze parlamentari, mentre è passato in second'ordine
il nocciolo costituito dal rapporto tra liberalizzazioni e
privatizzazioni.
Le
liberalizzazioni dovevano avvantaggiare i consumatori in prevalenza
domestici, ma se non è lasciato loro nemmeno tempo (e modo) di
scegliersi il fornitore, non di meno l'aspetto principale sta
nell'essere gettati in pasto ad un mercato privato monopolistico che,
tuttalpiù, si farà oligopolistico. Enel, infatti, non è un “Ente”,
ma una società per azioni per oltre due terzi privatizzata.2
Come
se non bastasse, nelle bollette si celano tassazioni statali
“improprie”, che danno luogo a trasferimenti di costi a danno
degli utenti domestici ed a favore delle imprese energivore.
In
ogni caso, per la sinistra a sinistra del PD non si tratta solo di
chiarire uno spiacevole episodio, quanto di come essa intenda oggi
ricollocare il rapporto tra liberalizzazioni e privatizzazioni, tanto
all'interno di una definita politica energetico-ambientale, quanto,
più ampiamente, in presenza di una tendenza ancora forte a vendere
ogni residua proprietà pubblica per abbattere il debito dello Stato.
Nonostante quest'ultimo, dopo tanto salvifico privatizzare, sia
invece aumentato a dismisura.
Tutti
temi che, come si vedrà più avanti, coinvolgono le relazioni
internazionali e la politica estera.
Se
non ora, quando?
Di
tutto ciò si dovrebbe discutere apertamente, non eludendo un
bilancio sulle conseguenze complessive delle privatizzazioni per il
tanto amato “Sistema Paese”. E non trascurando di appurare il
nesso tra l'adozione di queste politiche e la partecipazione alla
moneta unica europea.
Direte:
ma cosa c'entra l'euro?
Facciamo
un passo indietro.
Sulle
garanzie ricevute dal cancelliere Kohl dal presidente Mitterrand per
aderire al futuro euro, così ha scritto il giornalista della Rai
(TG1) Angelo Polimeno:
«Non
solo ottiene da Mitterrand la garanzia che la nuova moneta nascerà
sul modello del marco e avrà la stabilità come valore portante. Ma,
per quanto riguarda l'Italia – questo il sospetto che si fa strada
in quei giorni e che si diffonde velocemente in molte cancellerie -,
guadagna il sì francese a un progetto comune, ovviamente non reso
esplicito, di deindustrializzazione del nostro Paese. Pertanto, forse
è dovuto anche a questa circostanza se, nel '92, su forti pressioni
estere e dopo la mini crociera del Panfilo Britannia
tra le acque di Civitavecchia e dell'Argentario con a bordo uomini di
Stato, capitani d'industria e rappresentanti dell'alta finanza
internazionale, il governo Amato varerà un imponente piano di
privatizzazioni di molti gioielli di Stato: Iri, Eni, Ina, Comit
eccetera.»3
Che
abbia ragione Giuliano Pisapia, quando invita Art.1-Mdp a non volgere
lo sguardo all'indietro? Nella sinistra, più o meno visibilmente
coinvolti nella sua riaggregazione, molti resterebbero di sale.
Di
contro: può la sinistra ridarsi identità e forza senza fare i conti
con un “passato che non passa”, il cui lascito, tuttora vivo ed
operante, impone precise scelte?
Scavando
un po'
Per
comprendere l'attuale dibattito nel PD ed attorno al PD, vale la pena
scavare un po'.
Il
professor Giulio Sapelli, nel definire il contesto nel quale si
sviluppa il “meccanismo unico” della corruzione tra economia e
politica (Cleptocrazia), - tema che il presente articolo solo
lambisce - va oltre e ci offre alcune tracce di lettura della realtà
italiana [vedi
riquadro “Campagna d'Italia”].
Campagna
d'Italia
«Oggi
tutto è cambiato [ndr: rispetto agli anni Novanta]. Le grandi
imprese non ci sono più. I grandi partiti non ci sono più. Il
potere situazionale di fatto non esiste più. Lo Stato si è
devertebrato.
(…)
i partiti ora sono partiti personali ossia, come li definii un tempo,
gruppi neocaciquistici di fedeli riuniti attorno a un capo finanziati
da imprenditori di norma piccoli e medi che sostengono capo e fedeli
(…). Io sono convinto, però, che in questo processo ci sia ancora
un potere vertebrato su cui bisognerebbe indagare (…).
Parlo
del sistema bancario. (…)
Insomma,
c'è da scavare e c'è da scavare anche su un altro aspetto che
costituisce un'autocritica rispetto al libro del '94 Cleptocrazia.
Allora ponevo in relazione la visibilità della corruzione con i
percorsi di privatizzazione che si dovevano imporre in Italia
eliminando gli ostacoli che provenivano dai grandi partiti legati
alle Partecipazioni statali. In quel libro sottovalutai l'aspetto
internazionale della faccenda, ossia le pressioni che venivano dal
mondo anglosassone affinché si eliminassero per via giudiziaria e
gogna mediatica i capi politici che detenevano l'anello di
congiunzione tra grandi partiti ed economia pubblica. (…)
Oggi
mi pare che un nesso tra visibilità della corruzione e nuove
privatizzazioni vi sia di nuovo, ma ancora più inquietante è il
fatto che la Campagna d'Italia – ossia discesa dei fondi di
investimento anglosassoni su pressoché tutte le nostre banche e
scontro franco-tedesco-Usa per comprare a prezzi di saldo la nostra
economia – sia indiscutibilmente un elemento che va posto in
relazione con l'emergere della corruzione alla visibilità.»
Da
Giulio Sapelli, “Cleptocrazia” (1994), Postfazione del 2014 alla
nuova edizione del 2016, Guerrini e Associati, pagg. 171-175.
Secondo
Sapelli nel Paese:
- non esistono più sia i grandi partiti di massa che le grandi imprese e lo Stato è devertebrato;
- permane un unico potere vertebrato: il sistema bancario;
- i partiti politici sono ridotti ad instabili gruppi di fedeli attorno ad un capo (neocaciquismo)4;
- perdura la spinta verso nuove privatizzazioni;
- i grandi fondi d'investimento anglosassoni sono calati per appropriarsi delle banche;
- è in atto uno scontro franco-tedesco-Usa per comprare a prezzi di saldo la nostra economia.
Giusto
per smentire i teorici di una globalizzazione che avrebbe indebolito
tutti gli Stati-nazione in ugual misura, dallo svolgimento della
Campagna d'Italia si evince che Usa, Germania e Francia non si sono
devertebrati quanto l'Italia, sia dal punto di vista economico che
statuale. Al contrario, mostrano di voler approfittare della nostra
devertebrazione, alla quale hanno vigorosamente concorso.
Ogni
dubbio a tal proposito è fugato dalle vicende in corso, con al
centro Telecom, Fincantieri ed Eni, contrassegnate dalle mire
francesi.
Di
Telecom, essenziale per i futuri assetti delle nostre
telecomunicazioni, una finanziaria francese (Vivendi) è diventata
azionista di riferimento. Operazione di peso finanziario e strategico
ben superiore alla progettata acquisizione da parte di Fincantieri di
Ntx e dei cantieri navali di Saint-Nazaire.
Il
napoleonico Macron ambisce ad un riequilibrio a proprio favore dello
sbilanciato asse egemonico franco-tedesco in Europa e, forte della
posizione militare della Francia nell'Unione (dopo la Brexit, unica
potenza nucleare), punta alla supremazia nella produzione navale
allargata al bellico.
Non
si erano ancora spenti gli echi dei peana all'europeismo del
neo-presidente francese, che egli ha trovato il modo di comunicarci
come lo intenda praticare: in proprio, su base nazionalistica. Anche
in Libia, per favorire Total contro Eni nella contesa per
l'accaparramento di petrolio e gas del Paese africano.
In
continuità con il suo predecessore Sarkozy che aveva voluto il
rovesciamento di Gheddafi, sopravanza il governo italiano sul piano
della mediazione diplomatica e, negando a Fincantieri l'acquisizione
di Saint-Nazaire, gli tende la mano per costruire un polo europeo
navale militar-civile, nel quale – è facile supporlo - la
componente transalpina vorrà giocare la parte del pot
de fer.
Presa
in contropiede, in Italia l'estasi europeista filo-Macron è
immediatamente svanita. Alla disillusione di chi mai affida a se
stesso i propri destini, s'è accompagnato un rigurgito di sovranismo
patriottardo smanioso di resuscitare il nazionalismo d'avventura,
magari approfittando del risentimento diffuso per lo scaricabarile
continentale sull'accoglienza dei migranti.
Tripoli,
per loro, è sempre “bel suol d'amore”.
Improvvisamente
precipitati nelle logiche che costarono due guerre mondiali, ci si
poteva aspettare un'aperta presa di posizione in senso contrario
della ricostruenda sinistra: nella difesa della propria sovranità
nazionale dall'egemonismo altrui risiede sia l'effettivo esercizio
della sovranità democratica repubblicana, sia il rifiuto di
qualsiasi atto di sopraffazione proveniente dal proprio
Stato-nazione.
Quale
migliore occasione per la sinistra per qualificarsi? È accaduto,
invece, che si sia dispersa.
Di
fronte alla decisione del governo Gentiloni di varare il ritorno
della marina militare italiana in acque libiche ed alla minaccia di
ritorsioni di Haftar, padrone della Cirenaica “riconosciuto”
dalla Francia, Art.1-Mdp annuncia il proprio assenso per poi
dividersi.
Ciò
avviene mentre Giorgio Napolitano, “grande vecchio” della
corrente di Orlando nel PD, cerca invano di nascondere le proprie
responsabilità, in quanto capo del Consiglio supremo di difesa
(CdiD),5
nella decisione presa da Berlusconi di partecipare all'attacco aereo
alla Libia di Gheddafi del marzo-aprile 2011, voluto da Francia ed
Inghilterra e caldeggiato dal democratico Barack Obama.
Giorgio
Napolitano non fu certo il primo a negare l'art. 11 della
Costituzione, per omologarsi alle superiori direttive belliche degli
alleati occidentali. Il governo D'Alema, com'è noto, lo anticipò in
occasione della crisi del Kossovo.
Potere
vertebrato, o quasi
Nel
frattempo, volgendo lo sguardo alla lunga crisi bancaria italiana,
provvisoriamente conclusasi con il salasso dei risparmiatori, il
soccorso del pagatore di ultima istanza (lo Stato) ed il “regalino”
a Banca IntesaSanPaolo,6
troviamo conferma dell'esistenza dell'unico potere nazionale rimasto
vertebrato: il potere bancario. Un potere che tiene in pancia il
grande risparmio accumulato dagli italiani, oggetto di concupiscenza
della finanza internazionale.
Direte:
e questo cosa ha a che fare con il dibattito in corso sul PD ed alla
sua sinistra?
Per
comprenderlo dobbiamo fare riferimento alla struttura bancaria
italiana, ossia dell'unico potere vertebrato rimasto.
A
differenza degli Stati Uniti e del Regno Unito, la finanza europea ed
italiana è piuttosto bancocentrica.
Mentre
sull'asse Milano-Torino, il già prevalente polo finanziario del Nord
si è esteso e rafforzato nel tradizionale rapporto con la Germania
(non a caso sostiene l'euro), principale mercato di sbocco del made
in Italy,
ed è ben dotato di influenza mediatica, l'altro tradizionale polo
storico, romano, cattolico, legato alla rendita edilizia ed al
Vaticano, vive una fase di difficoltà e stallo.
Nel
mezzo, in parte anche geograficamente, ed in stretta relazione con lo
sviluppo dei distretti industriali, formati da piccole-medie aziende
di grande dinamicità, nonché delle produzioni agricole
specializzate e del turismo delle città d'arte, si era andato
consolidando una terzo polo “diffuso”, di banche locali, di casse
di risparmio, di credito cooperativo e popolari. Un fenomeno
particolarmente rilevante in Toscana, nella quale ha assunto via via
il ruolo di campione finanziario, sul piano direttamente nazionale,
il Monte dei Paschi di Siena.
Se,
da un lato, il sistema di credito diffuso localmente ha contribuito
al successo delle economie territoriali, in virtù di una prossimità
capillare di cui non godevano molte grandi imprese del credito,
dall'altro, la crisi che ha investito duramente le piccole-medie
imprese ha scoperchiato anche un sistema relazionale “amicale”,
clientelare e troppo facile a concedere crediti risultati poi
inesigibili.
Non
pare estranea a tutta questa intelaiatura la massoneria, storicamente
assai presente in Toscana e di cui ha sentito l'odore, attorno al
governo Renzi, l'allora direttore del Corriere
della Sera,
Ferruccio De Bortoli [nella
foto].
Questi, nel suo ultimo libro ha lanciato un siluro contro le false affermazioni in Parlamento della ministra Boschi e continua, dalle pagine del Corriere L'Economia,7 a denunciare un sistema in cui un autista dotato di forti relazioni personali con i poteri locali, dipendente della Cassa di Risparmio di Rieti (una delle quattro “banchette” fallite),8 possa essere in grado di “esercitare una influenza diretta ed indiretta sui membri del consiglio” e sulla fondazione che controllava il capitale dell'istituto.
Questi, nel suo ultimo libro ha lanciato un siluro contro le false affermazioni in Parlamento della ministra Boschi e continua, dalle pagine del Corriere L'Economia,7 a denunciare un sistema in cui un autista dotato di forti relazioni personali con i poteri locali, dipendente della Cassa di Risparmio di Rieti (una delle quattro “banchette” fallite),8 possa essere in grado di “esercitare una influenza diretta ed indiretta sui membri del consiglio” e sulla fondazione che controllava il capitale dell'istituto.
Quale
che sia il ruolo della massoneria e del clientelismo corruttivo,
indubbiamente Renzi ed il suo “giglio magico” nutrono un intenso
rapporto con le banche del terzo polo “toscano”, al quale hanno
riservato le loro premure.
Scrive
Aldo Giannuli:
«La
legislazione in merito avanzata dal governo con il decreto
salva-banche e con la riforma degli istituti popolari di credito
cooperativo ha cercato di proteggere quegli istituti dalla mareggiata
in corso, ma si è abbattuto su di essa il bail-in,
il provvedimento europeo che proibisce i salvataggi pubblici degli
istituti di credito.
Il
“giglio magico” ha condotto una notevole politica di relazione
(simile, del resto, a quella di altri), svolta in particolare da
Marco Carrai e da Luca Lotti, con il fiancheggiamento dei “tre
padri” (Boschi, Renzi e Carrai) e trovando altri importanti appoggi
regionali, come quello del senatore Verdini, che ha rotto la sua
pluriennale intesa con il cavalier Berlusconi per consentire la
sopravvivenza del governo Renzi.»9
Poiché
il PD, non da ieri, ha svolto un ruolo cardine in Monte dei Paschi e
nel sistema creditizio diffuso, ed Art.1-Mdp annovera tra i suoi
cofondatori il governatore della Toscana, Enrico
Rossi,
ecco spiegato cosa ha che fare...
Dopo
il pubblico confronto sulla Costituzione scritta, la Costituzione
materiale non viene altrettanto apertamente discussa.
Eppure
qui stanno le scelte ineludibili.
In
particolare, qual è la posizione della sinistra che si vuole
riaggregare verso il potere bancocentrico, le sue interne
trasformazioni e la finanza internazionale?
In
politichese
Scansando
ogni lettura complottistica, non si sfugge alla sensazione che De
Bortoli riesca a ben interpretare il fastidio e l'avversione del
primo polo finanziario, milanese e settentrionale, verso le
disinvolte pratiche di quel reticolo di piccole-medie imprese
bancarie, tanto sensibile ai potentati locali da compromettere
l'essenziale fiducia dei risparmiatori depositanti e sottoscrittori
di obbligazioni ed azioni. Una tenace avversione che, per quanto mi
risulta, non è estesa ai “regalini” governativi a banca
IntesaSanPaolo.
Dopodiché
il problema consiste nel purificare un ambiente produttivo, ritenuto
comunque sano nelle sue basi e di cui si tessono continuamente le
lodi, per recuperarne il portato finanziario: gettare l'acqua sporca
per salvare (per sé) il bambino. Questa è l'interessata intenzione
del prevalente polo bancario settentrionale.
Non
essendo politicamente fattibile, nell'immediato, estromettere il PD
di Renzi, si tratta di mettere il “giglio magico” toscano in
minoranza, per permettere alla più forte finanza del Nord di
assorbire il terzo polo bancario diffuso ed i cospicui flussi che
contiene e può contenere. Non sono sufficienti i “regalini” di
Padoan. Ma non potendo e volendo strappare è d'obbligo imboccare la
via del compromesso politico.
Per
una simile mediazione un governo di centro-sinistra è ritenuto più
affidabile di un governo di centro-destra o condizionato da
Berlusconi. All'interno del PD la minoranza di Orlando-Napolitano,
saldamente pro-euro come francofortese e filo-tedesca è la finanza
del Nord, sembra la più adatta a raggiungere lo scopo. Tutto sta a
garantirle l'appoggio di un più ampio schieramento a sinistra,
convogliando nella solita catena di Sant'Antonio l'elettorato che si
riconosce progressista.
Da
qui la straordinaria amplificazione mediatica data a Giuliano Pisapia
e l'incerta posizione di Art.1-Mdp, senza il quale mancherebbe
l'anello di congiunzione tra la corrente di Orlando-Napolitano ed il
restante bacino di voti a sinistra.
Non
potendosi esplicitare nel suo reale entroterra sociale ed economico,
inevitabilmente la discussione si svolge in politichese, ossia in un
linguaggio incomprensibile ai non addetti ai lavori.
Benché
ad ogni pie' sospinto non manchi chi indichi nella identificazione
dei contenuti programmatici il fattore prioritario e principale,
prevale il dialogo-contesa in politichese anche per via della ormai
prossima verifica elettorale. Il tempo stringe. Senza una solida base
di partecipazione attiva, non avendo scelto gli avversari, né con
quale legame relazionale e su quali obiettivi politici distintivi
collegarsi alle parti sociali di riferimento, la sinistra rimane in
balia dell'ansia di una rappresentanza presa innanzitutto
dall'urgenza di preservare se stessa.
Paradossalmente,
mentre si critica la logica personalistica di Matteo Renzi, campeggia
il problema del capo. D'Alema e Bersani hanno investito del ruolo di
leader
l'ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia. Ma egli rifugge
dall'assumersi tale impegno, almeno per il momento. Dato lo
scarsissimo peso del suo Campo Progressista, teme di restare in balia
dei suoi benevoli king
makers. Art.1-Mdp
è la sola formazione di sinistra accredita dai sondaggisti di un
consenso elettorale almeno capace di superare la soglia di
sbarramento della legge elettorale in vigore. La schermaglia,
centrata sulla prioritaria comune preoccupazione di venire eletti in
Parlamento in numero tale da contare sul futuro quadro politico di
governo, non rivela le sue vere motivazioni.
L'abbraccio
di Pisapia alla Boschi alla festa milanese de L'Unità,
non può essere interpretato come una semplice gentilezza di un uomo
personalmente gentile. Pisapia non si oppone nettamente a Renzi per
emarginarlo, bensì vuole solo distinguersi dalla sua politica per
raggiungere con lui un compromesso?
Di
certo chiede a Renzi di escludere perentoriamente ogni futuro accordo
con Berlusconi, sulla scia del patto del Nazareno. Punta ad una
riedizione del centro-sinistra, collegando la nascente formazione di
sinistra esterna al PD all'opposizione interna, capeggiata da
Orlando-Napolitano, messasi d'incanto alla sinistra di Renzi (!).
D'altro
canto, ricordano i critici dell'ex sindaco meneghino, per lasciarsi
le porte aperte al dialogo con Renzi, Pisapia si era espresso a
favore della fallita riforma costituzionale. Insieme a Romano Prodi,
col quale, assicurano i ben informati, si sente tutti i santi giorni.
Poiché
la strategia di Art.1-Mdp non diverge sull'obiettivo di ridar vita al
centro-sinistra, se ne dovrebbe dedurre che il vero motivo del
contendere è su quali componenti prenderebbero al suo interno il
sopravvento. Per fare cosa?
Rimane
il fatto che, procedendo in questo modo, il dialogo-contesa tra
Pisapia ed Art.1-Mdp finisce per lasciare ai margini le restanti
sparse forze disposte a partecipare, tra le quali Sinistra Civica di
Tomaso Montanari ed Anna Falcone, sorta sulla scia del NO
referendario dello scorso dicembre e sostenitrice della
reintroduzione dell'art. 18, abolito da Renzi.
Intanto,
come evidenziato, in Parlamento le scelte concrete di Art.1-Mdp non
lasciano presagire alcuna chiara inversione di rotta o, a voler
essere positivi, rimangono in attesa di una spiegazione sui reali
intendimenti.
Sinistra
naturale
Se
non altro, il difficile parto della nuova formazione unitaria di
sinistra confluisce a dimostrare che essa in natura di per sé non
esiste, come sosteneva invece
Pier Luigi Bersani.
Non sgorga, come acqua da un fontanile, dal seno della società per
auto-rappresentarsi nelle istituzioni.
Qualora
una sinistra siffatta in natura esistesse non ci sarebbe bisogno di
soggettività di giudizio e scelta politica, in sé frutto culturale
ed opera “artificiale”, interpretativa.
Tra
la fine dell'Ottocento ed i primi decenni del Novecento i partiti
operai socialisti e comunisti, per esempio, si formarono in seno al
tortuoso sviluppo del movimento operaio e di liberazione nazionale.
Contavano su gruppi di intellettuali che avevano voltato le spalle
alle loro classi d'origine. E la presenza di una loro rappresentanza
nei Parlamenti non era né automatica, né scontata nelle finalità
strategiche, mentre ai funzionari toccava “camminare scalzi”.
Dagli
anni sessanta del Novecento, in tempi di scolarizzazione ed
acculturazione di massa, movimenti sorgenti dal seno della società e
delle sue contraddizioni, si sono autonomamente dotati di forte
“soggettività”, portatori di radicale cambiamento politico e
culturale, spesso in dichiarata opposizione alla guerra, al duopolio
USA-URSS sul mondo ed al capitalismo. Eppure, non a caso, furono per
lo più osteggiati, quando non apertamente avversati, proprio da quei
partiti della sinistra storica che avrebbero dovuto trarne vitale
linfa “per rinnovarsi andando alle proprie radici” (Gramsci),
invece di pensare unicamente a trarre dal loro voluto “riflusso”
un qualche residuo e passeggero vantaggio elettorale.
Allorché
si pensi, poi, alle politiche condotte dalla sinistra di governo
negli ultimi decenni, rimane da chiedersi se la parola “sinistra”
abbia conservato non dico un significato di radicale cambiamento, ma
un qualche connotato riformista popolare. In particolare per le
giovani generazioni, perché nelle vecchie perdura, nonostante tutto,
un richiamo ad appartenenze, lotte e politiche oramai lontane.
Dirsi
movimento
Nella
società esistono componenti, gruppi, classi, peraltro in continuo
mutamento d'aggregato materiale e culturale. Non basta
definirsi “movimento” per esserne espressione, necessariamente di
parte, seppur transitoria.
Inoltre,
quando si traggono buoni auspici dai successi del new
populism
di Bernie Sanders negli Usa, di France
Insoumise
di Mélanchon in Francia, del laburismo di Corbyn nel Regno Unito e,
ancora prima, per restare in ambito europeo, di Podemos
in Spagna e di Syriza
in Grecia, non si possono evitare più approfondite comprensioni sia
dei loro portati politici, in legame con parti sociali di riferimento
nelle specifiche situazioni, sia sul loro modo di relazionarsi con
essi e con l'insieme sociale ed istituzionale. Nonché, almeno a
partire dall'esperienza di Syriza,
sulle cause di un possibile ritorno su di essi della
“pasokizzazione”10
che ha colpito molti partiti socialdemocratici.
Soprattutto,
nel contesto italiano, non si può evitare di fare coraggiosamente i
conti con il “terzo incomodo”, il M5S, al quale se non altro va
il merito di aver scompigliato il presepe delle belle statuine
predisposte nell'emiciclo parlamentare. Come se bastasse mettersi
geometricamente più a sinistra in quell'emiciclo per interpretare la
parte del Paese impoverita anche nelle classi medie lavoratrici,
penalizzata dalle politiche liberiste e di globalizzazione, condivise
dai vari governi di sinistra che si sono alternati con quelli di
destra nel sintonizzarsi sulle lunghezze d'onda degli interessi di
una minoranza sempre più piccola, più ricca e privilegiata.
In
mancanza di chiare scelte, di radicamento sociale e dell'adozione di
nuove forme relazionali ed organizzative, la sinistra rimarrà
liquida o, tuttalpiù, temporaneamente aggregata sulla propria ansia
di rappresentanza, in sostanziale balia dei poteri vertebrati,
interni ed internazionali, ai quali non riesce a contrapporsi.
Liquida
in una società che non accetta di essere liquidata, come il voto
referendario di giovani, di lavoratori sempre più precari e
sfruttati, di strati impoveriti ed esclusi dal liberismo e dalla sua
crisi, ha inequivocabilmente evidenziato.
Note
1
Sull'episodio vedasi anche Lorenzo Vendemiale, “Enel scrive
l'emendamento e il Parlamento le fa un regalo”, il Fatto
Quotidiano, 28/7/17.
2
Le cui quote sono così ripartite:
35,7% distribuito tra investitori individuali; 32,9% (a dicembre
2006) in mano ad investitori istituzionali, tra i quali il 2% ad
Assicurazioni Generali; 31,4% insieme tra Ministero
dell’Economia-Finanze e Cassa Depositi e Prestiti.
3
Angelo Polimeno, “Non chiamatelo EURO”, Mondadori, 2015, pag.
27.
4
Il caciquismo può essere definito come il potere autoritario dei
signorotti, attorniato da una ristretta cerchia.
5
Tanto più perché Napolitano interpretava il ruolo del CdiD oltre
le sue funzioni costituzionali consultive, come accadde nel 2013
intorno all'ignobile affare dell'acquisto degli F-35, sui quali Sel
e M5S chiesero invano decidesse il Parlamento.
6
Si tratta di 20-30 miliardi di euro. Vedasi anche:
http://www.huffingtonpost.it/2017/06/26/salvataggio-banche-venete-gentiloni-e-gros-pietro-negano-il-re_a_23001740/
7
Ferruccio De Bortoli, “Allo sportello solo gli amici degli amici”,
Corriere L'Economia, 31 luglio 2017.