domenica 13 agosto 2017

Sinistra liquida

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in una società che non accetta di essere liquidata

Ciò che un episodio parlamentare, la contesa con la Francia e la crisi bancaria mettono in luce - Discussioni in politichese e scelte che incombono sulla sinistra che si vuole riaggregare - Nella devertebrazione del capitalismo industriale nazionale e dello Stato, forte è il potere finanziario bancocentrico con le sue saldature europee.

Consumatori consumati
Le cronache parlamentari raccontano che a fine luglio la Commissione Industria del Senato ha dato via libera al ddl Concorrenza, passandolo all'Aula.
All'ultimo momento nel testo originario è stato inserito un emendamento riguardante le forniture elettriche: dall'attuale regime di “maggior tutela”, in forza del quale l'Acquirente unico pubblico compra energia al miglior prezzo calmierando la bolletta del 15-20%, si passerà direttamente al mercato liberalizzato. L'intervallo tra le due fasi, prima previsto per bandire gare territoriali e consentire agli utenti di scegliersi il fornitore, è scomparso.
A farlo scomparire è stato uno schieramento parlamentare comprendente PD, alfaniani, Lega e Forza Italia. Vano è stato il tentativo del sen. Massimo Mucchetti (PD), presidente di Commissione, di ripristinare il testo originario: è rimasto da solo con M5S, in quanto Art.1-Mdp, in un primo momento contrario all'emendamento, ha poi cambiato idea.1
Poiché l'abolizione di questo passaggio intermedio alla libera concorrenza favorisce palesemente Enel, facilitata a conservare l'85% delle utenze servite ora in regime tutelato, a gettare scandalo è stato il successo della sua azione di pressione (lobby) sulle rappresentanze parlamentari, mentre è passato in second'ordine il nocciolo costituito dal rapporto tra liberalizzazioni e privatizzazioni.
Le liberalizzazioni dovevano avvantaggiare i consumatori in prevalenza domestici, ma se non è lasciato loro nemmeno tempo (e modo) di scegliersi il fornitore, non di meno l'aspetto principale sta nell'essere gettati in pasto ad un mercato privato monopolistico che, tuttalpiù, si farà oligopolistico. Enel, infatti, non è un “Ente”, ma una società per azioni per oltre due terzi privatizzata.2
Come se non bastasse, nelle bollette si celano tassazioni statali “improprie”, che danno luogo a trasferimenti di costi a danno degli utenti domestici ed a favore delle imprese energivore.
In ogni caso, per la sinistra a sinistra del PD non si tratta solo di chiarire uno spiacevole episodio, quanto di come essa intenda oggi ricollocare il rapporto tra liberalizzazioni e privatizzazioni, tanto all'interno di una definita politica energetico-ambientale, quanto, più ampiamente, in presenza di una tendenza ancora forte a vendere ogni residua proprietà pubblica per abbattere il debito dello Stato. Nonostante quest'ultimo, dopo tanto salvifico privatizzare, sia invece aumentato a dismisura.
Tutti temi che, come si vedrà più avanti, coinvolgono le relazioni internazionali e la politica estera.
Se non ora, quando?
Di tutto ciò si dovrebbe discutere apertamente, non eludendo un bilancio sulle conseguenze complessive delle privatizzazioni per il tanto amato “Sistema Paese”. E non trascurando di appurare il nesso tra l'adozione di queste politiche e la partecipazione alla moneta unica europea.
Direte: ma cosa c'entra l'euro?
Facciamo un passo indietro.
Sulle garanzie ricevute dal cancelliere Kohl dal presidente Mitterrand per aderire al futuro euro, così ha scritto il giornalista della Rai (TG1) Angelo Polimeno:
«Non solo ottiene da Mitterrand la garanzia che la nuova moneta nascerà sul modello del marco e avrà la stabilità come valore portante. Ma, per quanto riguarda l'Italia – questo il sospetto che si fa strada in quei giorni e che si diffonde velocemente in molte cancellerie -, guadagna il sì francese a un progetto comune, ovviamente non reso esplicito, di deindustrializzazione del nostro Paese. Pertanto, forse è dovuto anche a questa circostanza se, nel '92, su forti pressioni estere e dopo la mini crociera del Panfilo Britannia tra le acque di Civitavecchia e dell'Argentario con a bordo uomini di Stato, capitani d'industria e rappresentanti dell'alta finanza internazionale, il governo Amato varerà un imponente piano di privatizzazioni di molti gioielli di Stato: Iri, Eni, Ina, Comit eccetera.»3
Che abbia ragione Giuliano Pisapia, quando invita Art.1-Mdp a non volgere lo sguardo all'indietro? Nella sinistra, più o meno visibilmente coinvolti nella sua riaggregazione, molti resterebbero di sale.
Di contro: può la sinistra ridarsi identità e forza senza fare i conti con un “passato che non passa”, il cui lascito, tuttora vivo ed operante, impone precise scelte?
Scavando un po'
Per comprendere l'attuale dibattito nel PD ed attorno al PD, vale la pena scavare un po'.
Il professor Giulio Sapelli, nel definire il contesto nel quale si sviluppa il “meccanismo unico” della corruzione tra economia e politica (Cleptocrazia), - tema che il presente articolo solo lambisce - va oltre e ci offre alcune tracce di lettura della realtà italiana [vedi riquadro “Campagna d'Italia”].
Campagna d'Italia

«Oggi tutto è cambiato [ndr: rispetto agli anni Novanta]. Le grandi imprese non ci sono più. I grandi partiti non ci sono più. Il potere situazionale di fatto non esiste più. Lo Stato si è devertebrato.
(…) i partiti ora sono partiti personali ossia, come li definii un tempo, gruppi neocaciquistici di fedeli riuniti attorno a un capo finanziati da imprenditori di norma piccoli e medi che sostengono capo e fedeli (…). Io sono convinto, però, che in questo processo ci sia ancora un potere vertebrato su cui bisognerebbe indagare (…).
Parlo del sistema bancario. (…)
Insomma, c'è da scavare e c'è da scavare anche su un altro aspetto che costituisce un'autocritica rispetto al libro del '94 Cleptocrazia. Allora ponevo in relazione la visibilità della corruzione con i percorsi di privatizzazione che si dovevano imporre in Italia eliminando gli ostacoli che provenivano dai grandi partiti legati alle Partecipazioni statali. In quel libro sottovalutai l'aspetto internazionale della faccenda, ossia le pressioni che venivano dal mondo anglosassone affinché si eliminassero per via giudiziaria e gogna mediatica i capi politici che detenevano l'anello di congiunzione tra grandi partiti ed economia pubblica. (…)
Oggi mi pare che un nesso tra visibilità della corruzione e nuove privatizzazioni vi sia di nuovo, ma ancora più inquietante è il fatto che la Campagna d'Italia – ossia discesa dei fondi di investimento anglosassoni su pressoché tutte le nostre banche e scontro franco-tedesco-Usa per comprare a prezzi di saldo la nostra economia – sia indiscutibilmente un elemento che va posto in relazione con l'emergere della corruzione alla visibilità.»

Da Giulio Sapelli, “Cleptocrazia” (1994), Postfazione del 2014 alla nuova edizione del 2016, Guerrini e Associati, pagg. 171-175.
Secondo Sapelli nel Paese:
  • non esistono più sia i grandi partiti di massa che le grandi imprese e lo Stato è devertebrato;
  • permane un unico potere vertebrato: il sistema bancario;
  • i partiti politici sono ridotti ad instabili gruppi di fedeli attorno ad un capo (neocaciquismo)4;
  • perdura la spinta verso nuove privatizzazioni;
  • i grandi fondi d'investimento anglosassoni sono calati per appropriarsi delle banche;
  • è in atto uno scontro franco-tedesco-Usa per comprare a prezzi di saldo la nostra economia.
Giusto per smentire i teorici di una globalizzazione che avrebbe indebolito tutti gli Stati-nazione in ugual misura, dallo svolgimento della Campagna d'Italia si evince che Usa, Germania e Francia non si sono devertebrati quanto l'Italia, sia dal punto di vista economico che statuale. Al contrario, mostrano di voler approfittare della nostra devertebrazione, alla quale hanno vigorosamente concorso.
Ogni dubbio a tal proposito è fugato dalle vicende in corso, con al centro Telecom, Fincantieri ed Eni, contrassegnate dalle mire francesi.
Di Telecom, essenziale per i futuri assetti delle nostre telecomunicazioni, una finanziaria francese (Vivendi) è diventata azionista di riferimento. Operazione di peso finanziario e strategico ben superiore alla progettata acquisizione da parte di Fincantieri di Ntx e dei cantieri navali di Saint-Nazaire.
Il napoleonico Macron ambisce ad un riequilibrio a proprio favore dello sbilanciato asse egemonico franco-tedesco in Europa e, forte della posizione militare della Francia nell'Unione (dopo la Brexit, unica potenza nucleare), punta alla supremazia nella produzione navale allargata al bellico.
Non si erano ancora spenti gli echi dei peana all'europeismo del neo-presidente francese, che egli ha trovato il modo di comunicarci come lo intenda praticare: in proprio, su base nazionalistica. Anche in Libia, per favorire Total contro Eni nella contesa per l'accaparramento di petrolio e gas del Paese africano.
In continuità con il suo predecessore Sarkozy che aveva voluto il rovesciamento di Gheddafi, sopravanza il governo italiano sul piano della mediazione diplomatica e, negando a Fincantieri l'acquisizione di Saint-Nazaire, gli tende la mano per costruire un polo europeo navale militar-civile, nel quale – è facile supporlo - la componente transalpina vorrà giocare la parte del pot de fer.
Presa in contropiede, in Italia l'estasi europeista filo-Macron è immediatamente svanita. Alla disillusione di chi mai affida a se stesso i propri destini, s'è accompagnato un rigurgito di sovranismo patriottardo smanioso di resuscitare il nazionalismo d'avventura, magari approfittando del risentimento diffuso per lo scaricabarile continentale sull'accoglienza dei migranti.
Tripoli, per loro, è sempre “bel suol d'amore”.
Improvvisamente precipitati nelle logiche che costarono due guerre mondiali, ci si poteva aspettare un'aperta presa di posizione in senso contrario della ricostruenda sinistra: nella difesa della propria sovranità nazionale dall'egemonismo altrui risiede sia l'effettivo esercizio della sovranità democratica repubblicana, sia il rifiuto di qualsiasi atto di sopraffazione proveniente dal proprio Stato-nazione.
Quale migliore occasione per la sinistra per qualificarsi? È accaduto, invece, che si sia dispersa.
Di fronte alla decisione del governo Gentiloni di varare il ritorno della marina militare italiana in acque libiche ed alla minaccia di ritorsioni di Haftar, padrone della Cirenaica “riconosciuto” dalla Francia, Art.1-Mdp annuncia il proprio assenso per poi dividersi.
Ciò avviene mentre Giorgio Napolitano, “grande vecchio” della corrente di Orlando nel PD, cerca invano di nascondere le proprie responsabilità, in quanto capo del Consiglio supremo di difesa (CdiD),5 nella decisione presa da Berlusconi di partecipare all'attacco aereo alla Libia di Gheddafi del marzo-aprile 2011, voluto da Francia ed Inghilterra e caldeggiato dal democratico Barack Obama.
Giorgio Napolitano non fu certo il primo a negare l'art. 11 della Costituzione, per omologarsi alle superiori direttive belliche degli alleati occidentali. Il governo D'Alema, com'è noto, lo anticipò in occasione della crisi del Kossovo.
Potere vertebrato, o quasi
Nel frattempo, volgendo lo sguardo alla lunga crisi bancaria italiana, provvisoriamente conclusasi con il salasso dei risparmiatori, il soccorso del pagatore di ultima istanza (lo Stato) ed il “regalino” a Banca IntesaSanPaolo,6 troviamo conferma dell'esistenza dell'unico potere nazionale rimasto vertebrato: il potere bancario. Un potere che tiene in pancia il grande risparmio accumulato dagli italiani, oggetto di concupiscenza della finanza internazionale.
Direte: e questo cosa ha a che fare con il dibattito in corso sul PD ed alla sua sinistra?
Per comprenderlo dobbiamo fare riferimento alla struttura bancaria italiana, ossia dell'unico potere vertebrato rimasto.
A differenza degli Stati Uniti e del Regno Unito, la finanza europea ed italiana è piuttosto bancocentrica.
Mentre sull'asse Milano-Torino, il già prevalente polo finanziario del Nord si è esteso e rafforzato nel tradizionale rapporto con la Germania (non a caso sostiene l'euro), principale mercato di sbocco del made in Italy, ed è ben dotato di influenza mediatica, l'altro tradizionale polo storico, romano, cattolico, legato alla rendita edilizia ed al Vaticano, vive una fase di difficoltà e stallo.
Nel mezzo, in parte anche geograficamente, ed in stretta relazione con lo sviluppo dei distretti industriali, formati da piccole-medie aziende di grande dinamicità, nonché delle produzioni agricole specializzate e del turismo delle città d'arte, si era andato consolidando una terzo polo “diffuso”, di banche locali, di casse di risparmio, di credito cooperativo e popolari. Un fenomeno particolarmente rilevante in Toscana, nella quale ha assunto via via il ruolo di campione finanziario, sul piano direttamente nazionale, il Monte dei Paschi di Siena.
Se, da un lato, il sistema di credito diffuso localmente ha contribuito al successo delle economie territoriali, in virtù di una prossimità capillare di cui non godevano molte grandi imprese del credito, dall'altro, la crisi che ha investito duramente le piccole-medie imprese ha scoperchiato anche un sistema relazionale “amicale”, clientelare e troppo facile a concedere crediti risultati poi inesigibili.
Non pare estranea a tutta questa intelaiatura la massoneria, storicamente assai presente in Toscana e di cui ha sentito l'odore, attorno al governo Renzi, l'allora direttore del Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli [nella foto].
Questi, nel suo ultimo libro ha lanciato un siluro contro le false affermazioni in Parlamento della ministra Boschi e continua, dalle pagine del Corriere L'Economia,7 a denunciare un sistema in cui un autista dotato di forti relazioni personali con i poteri locali, dipendente della Cassa di Risparmio di Rieti (una delle quattro “banchette” fallite),8 possa essere in grado di “esercitare una influenza diretta ed indiretta sui membri del consiglio” e sulla fondazione che controllava il capitale dell'istituto.
Quale che sia il ruolo della massoneria e del clientelismo corruttivo, indubbiamente Renzi ed il suo “giglio magico” nutrono un intenso rapporto con le banche del terzo polo “toscano”, al quale hanno riservato le loro premure.
Scrive Aldo Giannuli:
«La legislazione in merito avanzata dal governo con il decreto salva-banche e con la riforma degli istituti popolari di credito cooperativo ha cercato di proteggere quegli istituti dalla mareggiata in corso, ma si è abbattuto su di essa il bail-in, il provvedimento europeo che proibisce i salvataggi pubblici degli istituti di credito.
Il “giglio magico” ha condotto una notevole politica di relazione (simile, del resto, a quella di altri), svolta in particolare da Marco Carrai e da Luca Lotti, con il fiancheggiamento dei “tre padri” (Boschi, Renzi e Carrai) e trovando altri importanti appoggi regionali, come quello del senatore Verdini, che ha rotto la sua pluriennale intesa con il cavalier Berlusconi per consentire la sopravvivenza del governo Renzi.»9
Poiché il PD, non da ieri, ha svolto un ruolo cardine in Monte dei Paschi e nel sistema creditizio diffuso, ed Art.1-Mdp annovera tra i suoi cofondatori il governatore della Toscana, Enrico Rossi, ecco spiegato cosa ha che fare...
Dopo il pubblico confronto sulla Costituzione scritta, la Costituzione materiale non viene altrettanto apertamente discussa.
Eppure qui stanno le scelte ineludibili.
In particolare, qual è la posizione della sinistra che si vuole riaggregare verso il potere bancocentrico, le sue interne trasformazioni e la finanza internazionale?
In politichese
Scansando ogni lettura complottistica, non si sfugge alla sensazione che De Bortoli riesca a ben interpretare il fastidio e l'avversione del primo polo finanziario, milanese e settentrionale, verso le disinvolte pratiche di quel reticolo di piccole-medie imprese bancarie, tanto sensibile ai potentati locali da compromettere l'essenziale fiducia dei risparmiatori depositanti e sottoscrittori di obbligazioni ed azioni. Una tenace avversione che, per quanto mi risulta, non è estesa ai “regalini” governativi a banca IntesaSanPaolo.
Dopodiché il problema consiste nel purificare un ambiente produttivo, ritenuto comunque sano nelle sue basi e di cui si tessono continuamente le lodi, per recuperarne il portato finanziario: gettare l'acqua sporca per salvare (per sé) il bambino. Questa è l'interessata intenzione del prevalente polo bancario settentrionale.
Non essendo politicamente fattibile, nell'immediato, estromettere il PD di Renzi, si tratta di mettere il “giglio magico” toscano in minoranza, per permettere alla più forte finanza del Nord di assorbire il terzo polo bancario diffuso ed i cospicui flussi che contiene e può contenere. Non sono sufficienti i “regalini” di Padoan. Ma non potendo e volendo strappare è d'obbligo imboccare la via del compromesso politico.
Per una simile mediazione un governo di centro-sinistra è ritenuto più affidabile di un governo di centro-destra o condizionato da Berlusconi. All'interno del PD la minoranza di Orlando-Napolitano, saldamente pro-euro come francofortese e filo-tedesca è la finanza del Nord, sembra la più adatta a raggiungere lo scopo. Tutto sta a garantirle l'appoggio di un più ampio schieramento a sinistra, convogliando nella solita catena di Sant'Antonio l'elettorato che si riconosce progressista.
Da qui la straordinaria amplificazione mediatica data a Giuliano Pisapia e l'incerta posizione di Art.1-Mdp, senza il quale mancherebbe l'anello di congiunzione tra la corrente di Orlando-Napolitano ed il restante bacino di voti a sinistra.
Non potendosi esplicitare nel suo reale entroterra sociale ed economico, inevitabilmente la discussione si svolge in politichese, ossia in un linguaggio incomprensibile ai non addetti ai lavori.
Benché ad ogni pie' sospinto non manchi chi indichi nella identificazione dei contenuti programmatici il fattore prioritario e principale, prevale il dialogo-contesa in politichese anche per via della ormai prossima verifica elettorale. Il tempo stringe. Senza una solida base di partecipazione attiva, non avendo scelto gli avversari, né con quale legame relazionale e su quali obiettivi politici distintivi collegarsi alle parti sociali di riferimento, la sinistra rimane in balia dell'ansia di una rappresentanza presa innanzitutto dall'urgenza di preservare se stessa.
Paradossalmente, mentre si critica la logica personalistica di Matteo Renzi, campeggia il problema del capo. D'Alema e Bersani hanno investito del ruolo di leader l'ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia. Ma egli rifugge dall'assumersi tale impegno, almeno per il momento. Dato lo scarsissimo peso del suo Campo Progressista, teme di restare in balia dei suoi benevoli king makers. Art.1-Mdp è la sola formazione di sinistra accredita dai sondaggisti di un consenso elettorale almeno capace di superare la soglia di sbarramento della legge elettorale in vigore. La schermaglia, centrata sulla prioritaria comune preoccupazione di venire eletti in Parlamento in numero tale da contare sul futuro quadro politico di governo, non rivela le sue vere motivazioni.
L'abbraccio di Pisapia alla Boschi alla festa milanese de L'Unità, non può essere interpretato come una semplice gentilezza di un uomo personalmente gentile. Pisapia non si oppone nettamente a Renzi per emarginarlo, bensì vuole solo distinguersi dalla sua politica per raggiungere con lui un compromesso?
Di certo chiede a Renzi di escludere perentoriamente ogni futuro accordo con Berlusconi, sulla scia del patto del Nazareno. Punta ad una riedizione del centro-sinistra, collegando la nascente formazione di sinistra esterna al PD all'opposizione interna, capeggiata da Orlando-Napolitano, messasi d'incanto alla sinistra di Renzi (!).
D'altro canto, ricordano i critici dell'ex sindaco meneghino, per lasciarsi le porte aperte al dialogo con Renzi, Pisapia si era espresso a favore della fallita riforma costituzionale. Insieme a Romano Prodi, col quale, assicurano i ben informati, si sente tutti i santi giorni.
Poiché la strategia di Art.1-Mdp non diverge sull'obiettivo di ridar vita al centro-sinistra, se ne dovrebbe dedurre che il vero motivo del contendere è su quali componenti prenderebbero al suo interno il sopravvento. Per fare cosa?
Rimane il fatto che, procedendo in questo modo, il dialogo-contesa tra Pisapia ed Art.1-Mdp finisce per lasciare ai margini le restanti sparse forze disposte a partecipare, tra le quali Sinistra Civica di Tomaso Montanari ed Anna Falcone, sorta sulla scia del NO referendario dello scorso dicembre e sostenitrice della reintroduzione dell'art. 18, abolito da Renzi.
Intanto, come evidenziato, in Parlamento le scelte concrete di Art.1-Mdp non lasciano presagire alcuna chiara inversione di rotta o, a voler essere positivi, rimangono in attesa di una spiegazione sui reali intendimenti.
Sinistra naturale
Se non altro, il difficile parto della nuova formazione unitaria di sinistra confluisce a dimostrare che essa in natura di per sé non esiste, come sosteneva invece Pier Luigi Bersani. Non sgorga, come acqua da un fontanile, dal seno della società per auto-rappresentarsi nelle istituzioni.
Qualora una sinistra siffatta in natura esistesse non ci sarebbe bisogno di soggettività di giudizio e scelta politica, in sé frutto culturale ed opera “artificiale”, interpretativa.
Tra la fine dell'Ottocento ed i primi decenni del Novecento i partiti operai socialisti e comunisti, per esempio, si formarono in seno al tortuoso sviluppo del movimento operaio e di liberazione nazionale. Contavano su gruppi di intellettuali che avevano voltato le spalle alle loro classi d'origine. E la presenza di una loro rappresentanza nei Parlamenti non era né automatica, né scontata nelle finalità strategiche, mentre ai funzionari toccava “camminare scalzi”.
Dagli anni sessanta del Novecento, in tempi di scolarizzazione ed acculturazione di massa, movimenti sorgenti dal seno della società e delle sue contraddizioni, si sono autonomamente dotati di forte “soggettività”, portatori di radicale cambiamento politico e culturale, spesso in dichiarata opposizione alla guerra, al duopolio USA-URSS sul mondo ed al capitalismo. Eppure, non a caso, furono per lo più osteggiati, quando non apertamente avversati, proprio da quei partiti della sinistra storica che avrebbero dovuto trarne vitale linfa “per rinnovarsi andando alle proprie radici” (Gramsci), invece di pensare unicamente a trarre dal loro voluto “riflusso” un qualche residuo e passeggero vantaggio elettorale.
Allorché si pensi, poi, alle politiche condotte dalla sinistra di governo negli ultimi decenni, rimane da chiedersi se la parola “sinistra” abbia conservato non dico un significato di radicale cambiamento, ma un qualche connotato riformista popolare. In particolare per le giovani generazioni, perché nelle vecchie perdura, nonostante tutto, un richiamo ad appartenenze, lotte e politiche oramai lontane.
Dirsi movimento
Nella società esistono componenti, gruppi, classi, peraltro in continuo mutamento d'aggregato materiale e culturale. Non basta definirsi “movimento” per esserne espressione, necessariamente di parte, seppur transitoria.
Inoltre, quando si traggono buoni auspici dai successi del new populism di Bernie Sanders negli Usa, di France Insoumise di Mélanchon in Francia, del laburismo di Corbyn nel Regno Unito e, ancora prima, per restare in ambito europeo, di Podemos in Spagna e di Syriza in Grecia, non si possono evitare più approfondite comprensioni sia dei loro portati politici, in legame con parti sociali di riferimento nelle specifiche situazioni, sia sul loro modo di relazionarsi con essi e con l'insieme sociale ed istituzionale. Nonché, almeno a partire dall'esperienza di Syriza, sulle cause di un possibile ritorno su di essi della “pasokizzazione”10 che ha colpito molti partiti socialdemocratici.
Soprattutto, nel contesto italiano, non si può evitare di fare coraggiosamente i conti con il “terzo incomodo”, il M5S, al quale se non altro va il merito di aver scompigliato il presepe delle belle statuine predisposte nell'emiciclo parlamentare. Come se bastasse mettersi geometricamente più a sinistra in quell'emiciclo per interpretare la parte del Paese impoverita anche nelle classi medie lavoratrici, penalizzata dalle politiche liberiste e di globalizzazione, condivise dai vari governi di sinistra che si sono alternati con quelli di destra nel sintonizzarsi sulle lunghezze d'onda degli interessi di una minoranza sempre più piccola, più ricca e privilegiata.
In mancanza di chiare scelte, di radicamento sociale e dell'adozione di nuove forme relazionali ed organizzative, la sinistra rimarrà liquida o, tuttalpiù, temporaneamente aggregata sulla propria ansia di rappresentanza, in sostanziale balia dei poteri vertebrati, interni ed internazionali, ai quali non riesce a contrapporsi.
Liquida in una società che non accetta di essere liquidata, come il voto referendario di giovani, di lavoratori sempre più precari e sfruttati, di strati impoveriti ed esclusi dal liberismo e dalla sua crisi, ha inequivocabilmente evidenziato.

Note
1 Sull'episodio vedasi anche Lorenzo Vendemiale, “Enel scrive l'emendamento e il Parlamento le fa un regalo”, il Fatto Quotidiano, 28/7/17.
2 Le cui quote sono così ripartite: 35,7% distribuito tra investitori individuali; 32,9% (a dicembre 2006) in mano ad investitori istituzionali, tra i quali il 2% ad Assicurazioni Generali; 31,4% insieme tra Ministero dell’Economia-Finanze e Cassa Depositi e Prestiti.
3 Angelo Polimeno, “Non chiamatelo EURO”, Mondadori, 2015, pag. 27.
4 Il caciquismo può essere definito come il potere autoritario dei signorotti, attorniato da una ristretta cerchia.
5 Tanto più perché Napolitano interpretava il ruolo del CdiD oltre le sue funzioni costituzionali consultive, come accadde nel 2013 intorno all'ignobile affare dell'acquisto degli F-35, sui quali Sel e M5S chiesero invano decidesse il Parlamento.
6 Si tratta di 20-30 miliardi di euro. Vedasi anche: http://www.huffingtonpost.it/2017/06/26/salvataggio-banche-venete-gentiloni-e-gros-pietro-negano-il-re_a_23001740/
7 Ferruccio De Bortoli, “Allo sportello solo gli amici degli amici”, Corriere L'Economia, 31 luglio 2017.
8 Insieme a CariChieti, Popolare Etruria, BancaMarche e CariFerrara.
9 Aldo Giannuli, “Da Gelli a Renzi (passando per Berlusconi)”, Ponte delle Grazie, 2016, pag. 144.
10 Nel Blog, “Jours de Gloire”, maggio 2017.