- Sicurezza interna: doveva essere il punto forte di Theresa May e si è rivelato, dopo gli attentati di Manchester e Londra, un punto piuttosto vulnerabile.
- Notevole invece il successo di Jeremy Corbyn, sbrigativamente liquidato come esponente del “vecchio Labour”, quindi incapace di cogliere il nuovo e votato a sicura sconfitta.
- Ossessionati dalla Brexit, molti commentatori hanno trascurato prese di posizione e fatti emersi durante la campagna elettorale.
- I negoziatori di Bruxelles sono ora tentati di approfittare della debolezza del governo britannico per penalizzare gli inglesi e lanciare una minaccia a coloro che volessero uscire dall'euro.
Porte
aperte (open
doors)
La
May riteneva che su una scelta elettorale impostata sulla sicurezza,
la pluriennale esperienza a capo del Ministero degli Interni avrebbe
giocato a suo favore. Ma proprio su questo punto si è manifestata la
sua debolezza.
A
seguito della strage di Manchester, sono venute alla luce delle falle
nel sistema di cui era stata responsabile sia agli Interni che a capo
del governo.
In
cosa consisteva la strategia delle open
doors?
Venivano aperte le porte in uscita ai volontari jihadisti (foreign
figthers),
a migliaia desiderosi di trasferirsi dalle città occidentali in cui
molti di loro, figli di immigrati, erano nati, per andare a
combattere in Medio Oriente ed in Africa del Nord nelle file del
fondamentalismo islamico sunnita. L'invito ad approfittarne era
comunicato agli interessati dai Servizi segreti di intelligence.
Theresa May |
Poiché
in epoca Obama l'interventismo diretto di Bush era dato per
accantonato, i governi del democratico e liberale Occidente supposero
di “prendere due piccioni con una fava”: allontanare dal proprio
territorio individui e gruppi sotto osservazione speciale e, al
contempo, infoltire le file di combattenti sul campo contro il nemico
comune: Bashar al-Assad in Siria, Muhammar Gheddafi in Libia e lo
schieramento facente capo all'Iran, ossia nazionalismo arabo e
mezzaluna sciita.
Grazie
alle rivelazioni del Middle
East Eye,1
abbiamo scoperto che
uno di questi soggetti, il
già noto (al mitico Mi5) Salman Abedi,
ha potuto ancora beneficiare dei lasciapassare dei Servizi,
approfittare delle benevoli open
doors,
non più per uscire ma per rientrare, e compiere una strage di
bambini ed adolescenti a Manchester.
Una
“strana amnesia” che ha riguardato anche le segnalazioni del
Servizi segreti italiani su uno dei componenti del gruppo che ha
partecipato alla successiva azione terroristica a Londra, nostro
concittadino trasferitosi in Gran Bretagna.2
Questa
vicenda ha messo in rilievo tutta l'ambiguità e l'ipocrisia della
cosiddetta guerra al terrorismo dei governi occidentali e quanto le
loro politiche, in verità, espongano la popolazione civile al
terrorismo invece di proteggerla.
Asimmetria
bellica
Mentre
dall'Afghanistan allo Yemen divampano furiose guerre, quanto sta
accadendo in città come Parigi, Berlino o Manchester non è
paragonabile. Il terrorismo è usato in ambedue gli scenari, ma con
rilevanti differenze.
Intanto,
per quanto possa essere sanguinario il terrorismo nelle nostre città,
non è nemmeno lontanamente equiparabile ai disastri umani che
quotidianamente provoca tra le popolazioni, in particolare sciite,
nei mille luoghi dell'area di guerra.
Solo
una differenza, pur ragguardevole, nel conteggio della sofferenza?
Nel
cratere del conflitto il terrorismo è collegato alle attività
belliche “convenzionali”. Colpisce l'avversario seguendo la
stessa traccia logica dei bombardamenti della Nazione nemica, attuata
dagli Stati e che hanno caratterizzato i conflitti del Novecento. È
finalizzato a fiaccare il nemico nel suo entroterra civile, per
conseguire una vittoria diretta sul campo e ricavare un proprio
spazio statuale.
Fuori
dall'area bellica decisiva il terrorismo è ricatto funzionale al
raggiungimento di accordi, inevitabilmente segreti o “di fatto”,
coi governi delle potenze già impegnate militarmente e politicamente
nell'area stessa. Benché, per spingere all'omicidio-suicidio i suoi
giovani aderenti, la propaganda del fondamentalismo islamico vaneggi
il contrario, non esiste la minima possibilità che nella cosiddetta
guerra asimmetrica gli Stati dell'Occidente e la Russia possano
venire sopraffatti.
Disgregati
dall'interventismo bellico occidentale e dei loro alleati locali
geopolitici, Iraq e Siria sembravano ad un passo dallo smembramento.
Sui media erano comparse cartine di raffronto tra vecchie spartizioni
e le eventuali nuove possibili. Ma sui termini di quella divisione
territoriale il risiko mediorientale si è ingarbugliato, permettendo
la temporanea stabilizzazione del Califfato.
Per
decenni i governi occidentali hanno favorito, armato e foraggiato lo
jihadismo di marca sunnita, in varia forma organizzato, tra cui Al
Qaeda, Al Nusra ed Isis, per combattere guerre in Afghanistan, in
Bosnia, in Siria-Iraq e Libia. Per farlo si sono avvalsi dei loro
alleati locali: in particolare Arabia Saudita ed emirati del Golfo,
Turchia e, per comune nemico, Israele. Senonché, come era già
accaduto con Saddam Hussein, a più riprese si sono rifiutati di
pagare il conto dei servizi resi,3
esponendo la popolazione civile dei propri Paesi allo stesso
terrorismo che altrove avevano appoggiato.
D'altro
canto, se non era per l'intervento russo a fianco di Damasco, il
Califfato non avrebbe ancora conosciuto l'inizio della sua fine.
Poiché
la “biscia” si è ritorta contro la mano liberatrice,4
recentemente il presidente Trump ha pensato di rimetterla nel sacco
tramite un accordo di business.
In cambio di una rinnovata alleanza quotata in dollari, petrolio
contro armamenti, forse ha ottenuto rassicurazioni a Ryad che gli
alleati sauditi toglieranno ogni appoggio all'Isis, concentrandosi
sul nemico comune e nel conflitto yemenita.
Rimane
da capire se nell'accordo era compresa la rottura con il Qatar (buon
cliente delle armi made
in Italy),
sopravvenuta solo poche settimane dopo, prendendo a pretesto la
torbida vicenda della caccia con il falcone, rivelata dal Financial
Times.5
Dato
il doppiogiochismo dei potentati locali si può dubitare degli
effetti risolutivi della linea Trump. Ma un aspetto è pur sempre
confermato: USA ed Arabia Saudita non smetteranno di utilizzare il
fondamentalismo jihadista sunnita nel cratere bellico.
Dato
il contesto, e prescindendo dalla questione del terrorismo
internazionale, rimane il fatto che Theresa May ha “bucato” sul
tema della sicurezza interna e the
old Jeremy
ha potuto persino rimproverarle i tagli al budget
delle forze di polizia.
Nostalgia
canaglia
Nei
giorni successivi al referendum per il leave
dalla Unione Europea, i riflettori si erano accesi su una disputa
legale: un gruppo di europeisti, capeggiati dall'avvocato Gina
Miller, aveva ottenuto che a pronunciarsi in via definitiva sulla
Brexit dovesse essere il parlamento.
Nonostante
chiunque disponesse di un minimo di senno politico non potesse
aspettarsi che la Camera dei Comuni smentisse l'inter corpo
elettorale, il giornalismo main
stream
continentale diede alla vicenda una sorprendente rilevanza.
Cosa
sperava sotto sotto?
A
chiarirci le idee sui reali motivi del contendere è intervenuta una
più recente comunicazione di Ivo Ilic Gabara,6
un italiano del gruppo della Miller.
«(...)
Annunciando il manifesto elettorale dei Tory, Theresa May ha
ripudiato trent'anni di thatcherismo, inteso come politiche di libero
mercato, privatizzazioni, deregulation e riduzione dello Stato in
generale. Un paragrafo del manifesto recita: “Non credo nei mercati
liberi senza freni. Rifiutiamo il culto dell'individualismo egoista.
Aborriamo le divisioni sociali, l'ingiustizia e l'ineguaglianza.
Riteniamo che il dogmatismo e l'ideologia siano non solo innecessari,
ma pericolosi.” Questo paragrafo potrebbe benissimo essere di
Jeremy Corbyn (…).»
Jeremy Corbyn |
Gabara
non manca di rilevare che la May, durante i sei anni alla guida del
ministero degli Interni, ha contrapposto sicurezza ed immigrazione,
trascurando l'apporto di quest'ultima al gettito fiscale di cui ha
beneficiato il sistema sanitario nazionale.
Tuttavia
questa annotazione politicamente corretta, ma in palese
contraddizione con la sostenuta riduzione del ruolo dello Stato di
cui fu alfiere la Lady di ferro, non riesce a nascondere la sua vera
preoccupazione, ossia che un'uscita dura dall'Unione Europea, la hard
Brexit,
possa compromettere gli interessi della City finanziaria ed i valori
immobiliari collegati alla sua attività “industriale”.
Secondo
Gabara, la May sarebbe portatrice di una retrograda visione
provinciale in tempi di globalizzazione:
«(...)
incurante delle conseguenze economiche che cominciano a farsi
sentire. Basti vedere il calo della sterlina nei confronti del
dollaro e dell'euro, per non parlare della flessione del mercato
immobiliare di Londra, da decenni indice della supremazia della City
di Londra sui mercati finanziari mondiali. (…)»
L'intervento
si chiude con la previsione auspicio che, non conseguendo una
schiacciante vittoria:
«(...)
la sua posizione negoziale a Bruxelles risulterà notevolmente
indebolita.»
La
Brexit come opportunità
Dalle
posizioni del gruppo europeista britannico si possono ricavare alcune
utili considerazioni.
Innanzitutto
si comprende il motivo per il quale la City finanziaria abbia
sostenuto il remain
e, di converso, perché il voto popolare sia andato in direzione
opposta [vedi
riquadro “Stiglitz sulla Brexit”, in pagina].
Stiglitz
sulla Brexit
«Il
progetto europeo era nato per avvicinare i popoli e i paesi del
continente. Per certi versi ha funzionato. I giovani di tutta Europa
si considerano oggi europei e infatti, nel Regno Unito, circa tre
quarti degli elettori giovani hanno votato per restare. Nutrivano
speranze
sul futuro dell'Europa, e sulla possibilità di poterla cambiare
attraverso le riforme.
Forse
si è trattato solo di un ingenuo entusiasmo giovanile. Gli elettori
più maturi avevano perso le speranze, e a giusta ragione. Avevano
visto un progetto nato per promuovere la solidarietà e il benessere
ottenere risultati opposti, ostaggio dei grandi interessi corporativi
e dell'ideologia neoliberista. Benché il Regno Unito si fosse
risparmiato gli effetti peggiori, grazie al fatto di non aver aderito
all'eurozona, i disoccupati oppure chi aveva un lavoro malpagato
sapevano
che le cose andavano male, sapevano
che il sistema era ingiusto, sapevano
che i leader politici che avevano promesso una nuova prosperità
avevano mentito. Troppi, nel Regno Unito, avevano perso non solo la
speranza ma anche la fiducia. E hanno votato di conseguenza.»
Da
Joseph E. Stiglitz, “L'EURO, come una moneta comune minaccia il
futuro dell'Europa”, Postfazione, Einaudi 2017 (2016) pag. 364.
Subita
la sconfitta, per salvaguardare la stabilità della sterlina (la
tenuta della moneta è un'idea fissa di tutti gli investitori
finanziari in quanto creditori), il lucroso ruolo della City ed i
valori immobiliari speculativi di Londra, non rimaneva che sperare in
un indebolimento relativo della May.
Sennonché
il voto alle elezioni politiche ha premiato oltremisura il Labour,
penalizzando il partito nazionalista scozzese, pure di sinistra ma
fervente europeista, fino al punto di volere la Scozia nell'Unione
Europea a costo di separarsi dallo United
Kingdom.
A
completare il nuovo quadro è venuta la sparizione del partito UKIP
di Nigel Farage, avendo esaurito lo scopo per cui era nato.
Al
successo di Corbyn ha contribuito il suo supposto punto debole: la
sua flebile difesa dell'adesione del Regno Unito all'UE che, va
sottolineato, non ha mai compreso l'adesione alla zona euro.
Complessivamente
i britannici sembrano aver assunto la Brexit come un'occasione sì
per rigettare le mille regole dei tecnocrati di Bruxelles,7
ma soprattutto per riappropriarsi dello Stato sociale, magari dando
occupazione ai giovani e meglio remunerando il lavoro. Per farlo
hanno ritenuto più affidabile Jeremy Corbyn, piuttosto di una May
pur desiderosa di rottamare l'eredità della Thatcher.
Come
spesso accade la versione autentica è stata preferita alla sua
brutta copia, ma stavolta all'inverso del solito.
Note
1
Riportate in Italia anche da Il
Fatto Quotidiano, vedi Sabrina Provenzani, “Manchester, 007
caduti nella trappola libica. Il kamikaze ha sfruttato la spazio
concesso dai Servizi ai dissidenti di Gheddafi”, 30 maggio 2017.
2
Youssef Zaghba, nato a Fez nel gennaio 1995 da padre marocchino e
madre italiana.
3
Saddam Hussein, dopo aver scatenato una sanguinosissima guerra
contro l'Iran, pensò di auto-compensarsi prendendo il Kuwait.
4
Julian
Assange (WikiLeaks)
sulla scorta di alcune e-mail di Hillary Clinton da lui rese note e
delle donazioni alla Fondazione Clinton, ha potuto affermare che
Isis e Clinton erano finanziati dagli stessi soldi, quelli di Ryad.
5
Riportata
da Paolo Valentino, “Il
riscatto per i nobili falconieri.
Così è esplosa la crisi con il
Qatar - Doha ha pagato un miliardo ai jihadisti e all’Iran per
liberare 26 reali rapiti. Il denaro sarebbe stato consegnato ad un
gruppo qaedista siriano”, Corriere della Sera, 12/06/2017.
6 Ivo Ilic Gabara, “Rottamare la Thatcher: la sfida di Theresa May”, il Fatto Quotidiano, 31 maggio 2017.
6 Ivo Ilic Gabara, “Rottamare la Thatcher: la sfida di Theresa May”, il Fatto Quotidiano, 31 maggio 2017.
7
Che secondo una leggenda metropolitana volevano “raddrizzare le
banane”, abolendo il commercio di quelle curve al naturale.