domenica 24 settembre 2017

Minniti d'Oltremare

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(nel disordine delle cose)

Nel disordine delle cose
Per decenni ci é stato raccontato che la liberalizzazione migratoria, inizialmente soprattutto dall'Est europeo, avrebbe avuto prevalenti e generali effetti benefici: di rimediare al saldo demografico negativo; di consentire ai nuovi arrivati di occupare i posti oramai disdegnati dagli italiani e dai loro figli “schizzinosi” e “bamboccioni”; di garantire le entrate dello Stato e, con esse, il welfare, pensioni comprese.
Che le cose non stessero proprio in questo modo, o, per lo meno, che alla “generosità” dei governi non corrispondesse un vantaggio per tutti, si capì cammin facendo.
In Italia gli immigrati contribuiscono al Prodotto interno lordo per oltre 123 miliardi di euro (8,8%),1 ma, venendo pagati mediamente assai meno degli italiani per le medesime prestazioni lavorative (quando non devono accettare lavori in nero con paghe da fame) ed infoltendo le file dei disoccupati, inaspriscono la concorrenza al ribasso tra la mano d'opera meno qualificata. Nell'insieme ne derivano salari più bassi e maggiori profitti per le imprese, ma non una più elevata produttività.
Se è vero che ogni anno gli immigrati versano molto più del doppio nelle casse dell'Inps di quanto non ne percepiscano, le stesse fasce più penalizzate sul fronte lavorativo sono poi costrette a ripartirsi un welfare sempre più asfittico.
Era prevedibile che gli italiani più esposti all'impatto migratorio, abbandonati di fronte ai problemi, se ne risentissero. Com'era prevedibile che sul loro malcontento avrebbero fatto leva le forze politiche xenofobe identitarie, razziste e neofasciste contro le quali i “generosi” governi dicevano di voler combattere.
D'altronde vivevamo nell'esaltazione di una globalizzazione, la quale, per realizzarsi, invocava una “società aperta” universale, dove la libera circolazione dei capitali finanziari, gli investimenti ed il commercio senza ostacoli, implicavano, col localizzarsi funzionale ed integrato delle produzioni, ordinato da una supposta “razionalità del mercato”, una forza-lavoro che le seguisse. Ossia: lo spostamento dei lavoratori nei luoghi in cui era richiesta. Sicché, grazie a flussi migratori liberalizzati, domanda ed offerta di lavoro si sarebbero senz'altro incontrati laddove, convenendo agli investitori, sarebbe convenuto in definitiva a tutti quanti.
Questo atteso utopico “ordine”, con l'arrivo della crisi successiva al crack finanziario statunitense, si è tradotto nell'attuale “disordine delle cose”.
Benché, perseverando nell'attuale sistema economico-sociale, la sostenibilità del welfare europeo preveda entro il 2020 un “fabbisogno” di 42 milioni di immigrati entro il 2020 e di 250 entro il 2060,2 gli Stati-nazione delle aree più ricche si chiudono. Qualcosa nel calcolo economico espansivo ed in quello politico non torna più, se essi hanno iniziato a riconsiderare i confini come frontiere selettive e, nel palesarsi di logiche tanto apparentemente scomparse quanto abilmente nascoste, i muri si sono moltiplicati.
Alfine s'è scoperto che un Paese come l'Italia può accogliere solo coloro che è in grado di integrare, salvo una ridotta franchigia per chi deve essere salvato in mare, al quale però è sana prevenzione impedire d'imbarcarsi.
Se ne deduce che sviluppo e lavoro dovrebbero essere creati nei luoghi da cui partono i migranti, i quali perciò andrebbero “aiutati a casa loro”.
Ma come farlo?
Sinora le imprese ed i governi dei Paesi ricchi si sono distinti nel depredarli “a casa loro”, mentre, in parallelo, il sistema internazionale di aiuti allo sviluppo ed umanitari ha mostrato di essere inadeguato allo scopo, quando non direttamente funzionale al depredamento.
Forse perché è l'impianto generale della globalizzazione liberista a dover essere messo in discussione e rivoluzionato, a partire dagli assetti dei settori base, come quello agro-alimentare.
In queste pagine mi limiterò a considerare il portato politico del realismo pragmatico che, proponendosi di far fronte ad uno “stato di necessità” dai molteplici volti, estende la caccia ai trafficanti di esseri umani nel cuore dell'Africa. Il tutto nella reinterpretazione di una morale umanitaria “diversamente” ipocrita, lontana dagli occhi e dal cuore metropolitano.
Diffuso sentire
A luglio il tema dell'immigrazione prevaleva su tutto il resto nell'intenzione di voto.
Tra la maggioranza degli italiani si era diffusa l'opinione che l'accoglienza non spettasse solo a noi, ma a tutta l'Europa e non potesse essere, come appariva, illimitata. Con crescente ansia e preoccupazione venivano viste le immagini degli sbarchi di migranti, profughi dalle guerre, economici ed ambientali, in prevalenza provenienti dalle aree sub-sahariane, ma anche dal Corno d'Africa, via Libia.3 Le operazioni di salvataggio in mare erano approvate con minor convinzione e crescente perplessità. Spaventava un flusso in quantità ritenute non più sostenibili economicamente ed integrabili socialmente, esorbitanti rispetto alle possibilità di un Paese “lasciato solo dall'Europa” ed alle prese con la lunga coda della crisi.
Questo diffuso sentire ha travalicato ogni discussione sulla funzionalità dell'immigrazione allo sviluppo economico, ai conti pubblici ed al welfare, sull'accoglienza umanitaria, sul divenire multietnico e multiculturale della società.
A seguito delle misure intraprese sotto la regia del ministro Marco Minniti, che “in ritardo, ci dà ragione”, le forze favorevoli ai muri contro i migranti (poveri) hanno gridato vittoria, chiedendo divenissero ancora più drastiche.
Infine, con l'aiuto del presidente Mattarella, alle discordie emerse in seno alla stessa compagine governativa4 veniva messa una temporanea sordina e la strategia del ministro agli Interni diventava dottrina di Stato, a cui la Chiesa cattolica dava consacrazione. Dopodiché la legge sulla cittadinanza ius soli-ius culturae5 è stata rimandata a dopo la finanziaria. Il governo deve soppesare quanto convenga sul piano elettorale la sola buona intenzione, poiché manca una maggioranza parlamentare disposta ad approvarla.
Stato di necessità
La precedente linea tenuta da diversi governi, in particolare dal primo ministro Matteo Renzi, veniva sconfessata?
Oppure si stava semplicemente configurando uno “stato di necessità” politico, inevitabile conseguenza di decenni di liberalismo, di cui quello migratorio era componente utilissima solo per una parte sociale ed economica, eppure anche per essa non indispensabile?
Fatto sta che la retorica umanitaria governativa veniva rivoltata come un guanto: tanto si era buoni prima nel salvare ed accogliere, quanto adesso nell'impedire gli imbarchi, giacché il rischio d'annegare era annullato al suo sorgere.
Non è forse vero che, diradando gli attraversamenti dalla Libia, dal 9 agosto sono stati azzerati morti e dispersi su quella tratta?6
Dopo aver favorito le migrazioni prima da Est e poi da Sud, all'interno della globalizzazione, ora s'adotta la vecchia logica in base alla quale per resistere alle prevedibili derive anti-democratiche in modo così avventuristico ingenerate, sia necessario servirsi delle stesse misure sempre invocate da coloro contro i quali si dice di voler resistere.
In questo modo si punta a sottrarre terreno alle forze xenofobe, razziste e neofasciste, ma, così facendo, si scende sul loro terreno, innescando una gara a chi è più “coerente” nell'occuparlo.
In ogni caso sarà di conforto una ritrovata sovranità nazionale, seppur contro i deboli (a Sud), tanto da venire convalidata dai solerti partners europei che nei mesi precedenti ci avevano “lasciati soli”. Tra loro l'amica Francia che, con il beneplacito anglo-americano, volle l'aggressione alla Libia di Gheddafi, a cui una riluttante Italia finì per partecipare. Con il risultato evidente di aver precipitato il Paese africano nella disgregazione e nella guerra tra bande e, sottaciuto, di aver riportato l'orologio della storia ai tempi delle contese intra-europee per le terre d'Africa.
Anche qui è fatto valere uno “stato di necessità”: non si poteva permettere che una multinazionale made in Italy, l'Eni, perdesse le posizioni precedentemente acquisite con Gheddafi al potere, quando il Paese continua a vivere di energie fossili importate.
Esultiamo: siamo ritornati protagonisti, nostro malgrado ma coraggiosamente, sul “bel suol d'amore” e, in un contesto reso altamente instabile dall'incrocio di cento conflittuali interessi locali ed internazionali, ci esponiamo anche sul piano militare. E consoliamoci con cinico realismo: nel momento in cui scrivo è in corso un sostanziale blocco dei flussi dalla Libia, ad agosto diminuiti di oltre l'80 per cento, grazie a pragmatici filtri posti a Sud del Mediterraneo.
Filtri respingenti
Il flusso dei migranti s'è bloccato, o quasi, dopo l'ingiunzione del governo di Fayez al-Sarraj, istallato a Tripoli dalla comunità internazionale e fulcro dell'azione “stabilizzatrice” italiana, a non valicare il limite delle 97 miglia marittime (le acque territoriali sono di 12). Un'area presidiata dalla sua guardia costiera, finanziata con 46 milioni di euro dall'Unione europea ed addestrata al controllo delle frontiere, che non esita a sparare contro gli “intrusi”, ivi comprese le imbarcazioni di Médecins Sans Frontières (MSF). Data la decisione italiana di supportare, con navi militari alla fonda nel porto di Tripoli, l'azione di contrasto della marina di Sarraj alle partenze dei migranti,7 tutto si può dire, tranne che questo “autonomo” agire non sia concertato con Roma e Bruxelles.
Per i rischi connessi, la maggioranza delle organizzazioni non governative (ong), che avevano occupato un ruolo essenziale nel soccorso in mare, supplendo alle gravi carenze dell'operazione europea Triton-Sophia, ha dovuto rinunciare alla propria missione umanitaria o, dopo una temporanea sospensione, riprenderla in tono assai minore. Anche perché gran parte delle partenze sono impedite all'imbarco o poco più in là.
Ancora prima le ong erano state sottoposte ad una verifica di legalità della magistratura italiana e subito dopo, con inusuale tempestività, alle pressioni del governo Gentiloni che, avendo ereditato dal precedente governo Renzi l'obbligo di accoglienza nei soli porti italiani, ha loro chiesto di sottoscrivere il “codice Minniti” volto ufficialmente a contrastare i trafficanti, disciplinare le modalità di salvataggio e trasbordo, alla presenza di personale (armato) di polizia giudiziaria. Chi non firmava veniva “messo in coda”, se non escluso dal sistema di salvataggio facente capo alla Capitaneria di Porto di Fiumicino. [Vedi riquadro “Mare Nostrum, Triton e Sophia”].
Mare Nostrum, Triton e Sophia
Triton è un'operazione di sicurezza delle frontiere mediterranee dell'Unione europea condotta da Frontex, l'agenzia europea di controllo delle frontiere.
Subentra il 1° novembre 2014, nel presidio dei flussi di migranti, all'italiana Mare Nostrum, operazione varata nell'ottobre del 2013.
Mare Nostrum costava allo Stato italiano 9,5 milioni di euro al mese. Al momento del subentro, il bilancio di Triton è previsto a meno di 3 milioni mensili. Il passaggio a Triton comporta, per la sua inadeguatezza, un forte aumento delle vittime: da 1 persona morta su 53 migranti a 1 ogni 16.
Dopo un naufragio, avvenuto in acque territoriali italiane il 28 aprile 2015, con 58 morti accertati e 700/900 dispersi, la Commissione europea aggiunge 26,25 milioni di euro per Triton e Poseidon (missione gemella nell'Egeo) fino al termine del 2015 ed altri 38 milioni destinati solo a Triton per il 2016. Il tasso di mortalità si riduce ad 1 annegato ogni 427 migranti.
Nel giugno del 2016 Federica Mogherini (Alto Commissario Ue per gli affari esteri) lancia la missione Sophia, con un dispiego europeo di mezzi aerei e navali più ampio, il pattugliamento sino a 20-40 miglia a Nord della Libia, azioni di ostacolo ai trafficanti con azioni di intelligence e di addestramento della Guardia costiera libica, finanziata con 46 milioni di euro. Sophia conduce a buoni risultati sino all'entrata in vigore dell'accordo tra Turchia ed Ue che sancisce la chiusura della rotta balcanica. Sale, di conseguenza, il numero di coloro che sono indotti a percorrere la via libica e la media degli annegamenti: 1 migrante ogni 38.
Sia in Triton che in Sophia, il coordinamento delle operazioni di salvataggio in mare è affidato alla Capitaneria di Porto della Guardia Costiera italiana a Fiumicino, che impiega tutte le imbarcazioni rese disponibili dai diversi Paesi e, oltre a queste, dalle organizzazioni non governative (ong), senza le quali il disastro umanitario assumerebbe proporzioni ben maggiori.
Da Triton in poi, il comando italiano delle operazioni europee è ottenuto dal governo Renzi (2014) con il corrispondente impegno ad accogliere e mettere al sicuro nei porti italiani “tutte le persone intercettate nell'intera area operativa” (allegato 3 del piano).
Ora, poiché la legalità sovrana è esercitata dal governo italiano e pure dal governo Sarraj, legittimo per benedizione internazionale, l'unica situazione fuori da ogni legalità e dignità umana è restata quella in cui si trovano ingabbiati più di 400mila migranti, concentrati nei campi libici.8 La maggior parte di essi è controllata dai trafficanti e dalle varie fazioni in guerra;9 solo 34, una minima parte, è gestita dal governo Sarraj e dai 14 sindaci interlocutori del ministro Minniti, per un totale di 15mila migranti “custoditi”, e fra questi non tutti sono accessibili dalle preposte agenzie delle Nazioni Unite,10 nonché alle organizzazioni umanitarie.
Del loro destino dice di volersi occupare, in seconda battuta, l'Unione europea, in ripetizione del prototipo costituito dall'accordo con la Turchia del 18 marzo 2016, che trattiene sul proprio territorio, a pagamento comunitario, migranti e fuggitivi dalle guerre già impossibilitati a battere la via balcanica. A Nord della Grecia e della Serbia le giovani democrazie mitteleuropee avevano eretto muri anti-immigrati di filo spinato, nello spirito di Visegrad.11
Ma, a differenza della Turchia, la Libia attuale risponde almeno a “due governi, due parlamenti e 140 tribù” (Emma Bonino); diverse fazioni militari si combattono reciprocamente cambiando alleanze da un giorno all'altro, certamente invischiate nella tratta dei migranti e nei derivanti incassi mafiosi.
Corpi schiavi nel viaggio
Quando un magistrato sollevò, al cospetto di una Commissione parlamentare,12 il problema costituito dalle modalità di soccorso in mare di alcune ong, la maggioranza dei grandi organi d'informazione gridò allo scandalo: si gettava discredito su tutta un'opera umanitaria meritoria per assecondare coloro che, da casa nostra, volevano far affogare i migranti in mare. Il governo non aveva ancora cambiato verso umanitario, ma si preparava a farlo.
Successivamente, da indagini e prove emerse che almeno una delle ong, Jugend Rettet,13 aveva interpretato il proprio ruolo in modo tanto conseguenziale quanto “estremista”. Invece di seguire l'iter prescritto di intervento in caso di acclarata emergenza, pare si sia accordata “di fatto” con gli scafisti per trasbordare i migranti senza attendere che le loro imbarcazioni andassero alla deriva e rischiassero di colare a picco con il loro carico umano. In tal modo avrebbero però agevolato l'agire degli scafisti ed incentivato il traffico illegale, permettendo loro di organizzare numerosi trasporti su più brevi tragitti “concordati”, non rischiare i loro incerti gommoni motorizzati e persino di recuperarli per poi riusarli.
La magistratura siciliana ha doverosamente intravvisto in queste modalità di salvataggio il reato di “favoreggiamento dell'immigrazione clandestina”, essendo tenuta a far rispettare la legge contro i trafficanti di esseri umani e le loro associazioni mafiose, quindi ogni collaborazione con esse, seppure motivata da superiori finalità morali.
Sullo sfondo permane il fatto che, con corridoi legali assai poco capienti14 o totalmente assenti, i migranti sono costretti a rivolgersi ai trafficanti, gli unici a rispondere alla “domanda di trasporto”, ovviamente per vie illegali. Questa funzione di trasferimento, attraverso la Libia e dalla Libia, si svolge in uno spazio geografico e temporale nel quale i migranti sono in loro totale balia. Privati di ogni libertà personale, corpi schiavi nella moderna tratta, sempre sottoponibili ad ogni tipo di vessazione da parte dei loro custodi nei campi di detenzione: lavoro coatto, punizioni corporali e torture, stupri, sequestro delle donne stuprate con richiesta di riscatto alle famiglie d'origine.
Davvero una condizione abominevole ed atroce.
Trasmutazione
I migranti, quando abbandonano i loro Paesi d'origine, sono per lo più consapevoli di quanto li attende e di rischiare in ogni momento la vita. Quindi dev'essere ben grave la loro condizione, sia essa di guerra o/e di miseria-emarginazione, se ciò nonostante decidono di farlo. Nei Paesi di partenza perdere la vita per una qualsiasi ragione (guerra, scontri tra gruppi armati, bande di razziatori, malattie da noi curabilissime, ecc.) non è un evento inconsueto e straordinario, ma routine quotidiana.
Nella disperazione in cui sono stati ridotti, il fatto che l'emigrazione privi i loro Paesi delle più vitali energie per intraprendere una propria via di sviluppo e sia un effetto (il cosiddetto “svuotamento”) pianificato dal liberalismo, semmai venga considerato, è giocoforza trascurato. I migranti sperano, una volta superate le tribolazioni del viaggio, comprese le drammatiche incertezze dell'ultimo tratto marino, di raggiungere il suolo dei Paesi ricchi, di cui l'Italia nel caso è primo approdo.
La trasmutazione logistica in merce-lavoro dei migranti salvati, offerta sul libero mercato europeo della manodopera, dovrebbe avvenire per legalizzazione nei porti italiani. Solo ad essi è affidato il dovere di accoglienza, secondo accordi sottoscritti a livello europeo. La successiva identificazione è, in base alle regole stabilite a Dublino, sempre compito del primo Paese di arrivo.15
Stando alle dichiarazioni dell'ex ministra Emma Bonino [vedi riquadro “Emma ci dice”], il monopolio italiano dell'accoglienza-identificazione venne assunto dal governo Renzi “in violazione degli accordi di Dublino”. Per quale motivo tanta “disponibilità umanitaria”? Solo per ottenere il comando delle operazioni europee di Triton?

Emma ci dice

3 luglio 2017, Emma Bonino al Giornale di Brescia:
«Nel 2014-2016 che il coordinatore fosse a Roma, alla Guardia Costiera e che gli sbarchi avvenissero tutti quanti in Italia, lo abbiamo chiesto noi, l’accordo l’abbiamo fatto noi, violando di fatto Dublino.»
«All’inizio non ci siamo resi conto che era un problema strutturale e non di una sola estate. E ci siamo fatti male da soli. Un po’ ci siamo legati i piedi e un po’ francamente abbiamo sottovalutato la situazione.»
Con la Libia, «non si può fare un accordo, ammesso che sia accettabile, semplicemente perché ha due governi, due parlamenti, 140 tribù.» (...) «Una delle cose di cui sono più orgogliosa è Mare Nostrum (…) Sono convinta che sui cadaveri non si costruisce niente. Poi non l'abbiamo voluta più perché era troppo cara. Poi è intervenuta l’Ue prima con Triton e poi con l’operazione Sophia
Non senza ragione, Luigi di Maio di M5S ha avanzato l'accusa che, sottobanco, il governo Renzi abbia in realtà contrattato un occhio più benevolo, “elastico”, della Commissione di Bruxelles sui nostri sforamenti percentuali di bilancio.
Comunque sia, il cumulo degli accordi europei sottoscritti, prima a Dublino dai governi Berlusconi (2003 e 2011) e dal governo Letta (2013) e poi per Triton dal governo Renzi (2014), ha lasciato l'Italia “con il cerino in mano”, avendo messo il Paese nella condizione di unico luogo legale Ue di sbarco-accoglienza-identificazione per il flusso migratorio proveniente dalla Libia, divenuta la via obbligata pure per tutti coloro che non potevano più passare dalla Grecia e dai Balcani.
Il compito che i governanti italiani si erano assunti, per spirito gregario e per contropartite inconfessabili, è reso oltremodo complicato dalla distinzione tra “profughi aventi diritto di asilo”16 e “migranti economici” forzatamente illegali. I primi dovevano venire distribuiti nei diversi Paesi Ue, ma, pure rispondenti ai requisiti di diritto, il “sistema quote” dell'Unione non trova pratica attuazione. Mentre per i secondi siamo nella totale assenza di reali prospettive.
Ne deriva che una parte degli sbarcati si sottrae all'identificazione, poiché ciò li vincolerebbe a restare in territorio italiano nonostante sia diretta a Nord della penisola, dove ci sono più opportunità di lavoro. Essi si disperdono sul territorio alla chetichella per tentare, all'occasione, di passare oltre le sigillate frontiere settentrionali. Mentre gli “identificati” sono ospitati in un sistema di accoglienza decentrato, incontrando la resistenza non solo delle amministrazioni locali di centro-destra, ma talvolta anche di quelle di centro-sinistra.
Inconfessabili amicizie
Sul litorale tra Sabrata e Zawiya, per un centinaio di chilometri ad Ovest di Tripoli, partivano, e partono in numero ridotto, la maggior parte delle imbarcazioni di migranti dirette verso l'Italia. Lì è situato anche il terminal dell'Eni.

La guardiania del terminal e dell'annesso compound è stata appaltata alla famiglia Dabbashi (500 miliziani) dalla Mellitah Oil and Gas, società controllata in joint-venture da Eni e Noc (compagnia statale passata al governo Sarraj). Questa milizia è invischiata da anni nel traffico di migranti, insieme ad un altro contractor di Noc, la milizia di Mohammed Kashlaf, ed al comandante dei guardacoste al-Bija. Arrestati e ridotti alla fame, i migranti sono costretti a lavorare in affitto, spesso nello stesso settore petrolifero. Dopo un periodo variabile che può durare anni, essi, adeguatamente spremuti, ottengono l'agognato passaggio in mare: nel prezzo del biglietto è inclusa la mazzetta per il comandante dei guardacoste al-Bija, che seleziona ed autorizza.
Per quale motivo la guardia costiera libica è diventata d'acchito così efficiente nell'impedire il traffico?
Sono arrivati alle milizie, riferisce il britannico Middle East Eye,17 5 milioni di euro dall'Italia ed altre utilità per la milizia di Kashlaf dai servizi segreti italiani. A confermare l'accordo italiano con i trafficanti e nella sostanza quanto asserisce Middle East Eye, concorrono altre fonti: le agenzie Reuters ed Associated press,18 il Corriere della Sera.19 Secondo Ap le milizie coinvolte sono la “Brigata 48” e la “Brigata del martire Anas al-Dabashi”:
«L'integrazione ufficiale delle due milizie tra le forze di Serraj permetterebbe all'Italia di lavorare direttamente con loro visto che non sarebbero considerato come trafficanti ma parte del governo riconosciuto».
Il ministro Minniti ha chiesto alle ong di sottoscrivere un protocollo ufficiale contro i trafficanti mentre si accordava sottobanco con questi ultimi, pagandoli, per poi integrarli nella legalità di un governo messo in piedi grazie ai buoni uffici di Roma.
Sarebbe troppo accusarlo di coprire la propria strategia, avente lo scopo principale di difendere gli interessi di una multinazionale italiana (Eni) e di respingere i migranti, con la finzione della lotta ai trafficanti per evitare morti nel Mediterraneo?
Sarebbe troppo attribuirgli metodi neo-coloniali?
Umanitarismo a seguire
Non si può imputare il ministro Minniti di avere di mira le ong e la loro opera di soccorso: esse furono semplicemente utilizzate per sopperire alle carenze europee e, finito il loro uso ed abuso, sono di conseguenza messe in libertà.
D'altro canto è ipocrita anche affermare che il codice di comportamento loro sottoposto fosse finalizzato al ripristino di legalità e ad evitare tragedie, se teniamo conto degli accordi con i trafficanti (ovviamente smentiti dal governo), pagati per porre un primo filtro ai passaggi in mare, in attesa di incorporarli nell'apparato del governo di riferimento.
Cronologia di un successo
18 marzo 2016 – Il prototipo: accordo tra Unione europea e Turchia, alla quale vengono dati 6 miliardi di euro per sigillare la frontiera con la Grecia e chiudere la rotta balcanica. Il flusso migratorio si riverserà per lo più sulla rotta libico-italiana.
[30 giugno 2017 – Rispetto al 2016 viene registrato un aumento di immigrati dalla Libia nel primo semestre 2016 di +18,7%, con un totale di 83.360 sbarcati.]
21 maggio 2017 – Prima riunione del ministro Minniti con i colleghi di Libia, Niger e Ciad per la costruzione di centri di accoglienza in Niger e Ciad dei migranti irregolari conformi agli standard umanitari e per promuovere lo sviluppo di una economia legale alternativa a quella dei trafficanti. Implicito il ricorso a finanziamenti italiani e/o europei per bloccare a Sud i flussi migratori.
13 luglio 2017 – Prima riunione a Tripoli tra Minniti, 14 sindaci libici ed il governo di Fayez al-Sarraj. Informalmente coinvolto anche il governo cirenaico del generale Haftar.
26 agosto 2017 – Seconda riunione a Roma. Nella dichiarazione congiunta: “La Libia guarda con aspettativa al tempestivo sostegno dell'Italia e della Ue ai progetti già proposti e che saranno proposti in futuro, finalizzati al miglioramento delle condizioni di chi vive nelle aree colpite dai traffici.”
28 agosto 2017 – Riunione a Roma dei ministri dell'Interno di Italia, Libia, Ciad, Mali e Niger. Ribadita la cooperazione contro i trafficanti e nel rispetto dei diritti umani di rifugiati e migranti. I progetti di sviluppo potranno valersi dei finanziamenti del Trust Fund Ue per l'Africa.
28 agosto 2017 – Vertice europeo a Parigi. Germania, Spagna e Francia, grazie ad Angela Merkel, si dicono disponibili a sostenere l'approccio italiano. Non più hotspots in Italia, ma in campi Onu in Africa, dove effettuare la distinzione tra migranti economici e rifugiati. La Merkel afferma che “il sistema di Dublino va rivisto, perché sfavorisce i Paesi d'arrivo.”
Marco Minniti non è uno sprovveduto. Ha programmato la sua strategia in due tempi [vedi riquadro “Cronologia di un successo”]. Una volta posto un primo filtro sulla costa, si tratta di porne altri più a Sud, in Libia ed ai sui confini meridionali, e persino nei Paesi d'origine in Africa occidentale. Perciò occorreva coinvolgere i diversi soggetti libici, nonché i governi delle ex colonie francesi di Ciad, Mali e Niger.
Sapendo che tutto ciò avrebbe comportato un notevole costo, bisognava ottenere il consenso dei più importanti governi euro-occidentali, se l'Italia non voleva accollarsi tutti gli esborsi necessari.
Gli obiettivi dichiarati sono:
  • creare “centri di accoglienza” in Libia del tipo dei Cie italiani, nei quali separare i “profughi aventi diritto” dai migranti economici da respingere, ovvero i famosi hotspots voluti dall'Unione europea;
  • per assicurare standard umanitari minimi in questi centri, coinvolgere l'ONU, ossia OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) e UNHCR (profughi e rifugiati), nonché estendere la missione delle ong operanti in Libia negli ospedali e a protezione dell'infanzia;
  • promuovere un'economia legale alternativa a quella dei trafficanti per assorbire la manodopera da loro reclutata, anche avvalendosi dei fondi europei per lo sviluppo in Africa.
Stando alle parole dello stesso Minniti:
«sui diritti umani garantiti a chi non parte più mi gioco la faccia».20
Una faccia già rimasta imperturbabile nel sovvenzionare i trafficanti per trasformarli (quanto a lungo?) in controllori di se stessi. Una faccia che conferisce disinvoltamente patenti di legalità alle milizie artefici del traffico e che, tramite il vice-ministro degli Esteri Mario Giro,21 chiede ora alle ong operanti in Libia di aderire ad un piano di 6 milioni di euro, stanziati dalla Agenzia per la Cooperazione allo sviluppo, volti a fornire i campi libici beni di prima necessità, in attesa di affidare loro la gestione diretta dei campi medesimi.
Si corre il “rischio di strumentalizzazione dell'azione umanitaria”?22 Forse è il caso di riconsiderare il ruolo delle ong, che troppo spesso accettano di svolgere funzioni umanitarie in strategie che di umanitario hanno giusto la loro copertura.
Ministro d'Oltremare
È sintomatico che il ministro agli Interni si occupi in modo così ampio di affari internazionali e metta in secondo piano l'attività del ministero degli Esteri. Sembrerebbe un'anomalia, una indebita “invasione di campo”, ma non lo è. Egli non abbandona mai il terreno suo specifico: perseguire il traffico mafioso di esseri umani, spingendosi, come ritiene suo compito, sin nel cuore dell'Africa.
Ed è proprio in questo che si palesa l'approccio politico del suo ufficio e lo sbocco effettivo del suo pragmatismo che, da “necessariamente” cinico qual è stato sinora, vorrebbe diventare umanitario.
Il ministro degli Interni ragiona in termini di sicurezza, perché è un “tecnico della sicurezza”, “un militare”, secondo Massimo D'Alema, nel cui governo si occupava di servizi segreti. “Un'altra sua passione”, coltivata dai tempi in cui con Francesco Cossiga creò l'Icsa, Intelligence Culture and Strategic Analysis, una fondazione per studiare ed allevare lo spionaggio per conto della Nato.
Quando inoltra i poteri di polizia e di servizi di intelligence al di fuori dei propri confini, estende di fatto un fondamentale esercizio di sovranità dall'Italia a territori d'oltremare. L'etichetta “cooperativa” può bastare al governo di Tripoli, ma non a quello di Tobruk del generale Khalifa Haftar. Nell'incontro con lui avuto a Bengasi, il 5 settembre, Minniti ha esortato i libici a “non apparire come uno stato canaglia”, un invito che sa di ammonimento in stile alleanza atlantica.
Ma cosa accadrebbe, se le navi della marina militare italiana, oggi in acque libiche, venissero per qualche ragione attaccate da una qualsiasi milizia? Che ne sarebbe dei “vincoli di mandato” a cui la missione è sottoposta dal parlamento italiano?
Per evitare una pericolosa deriva bellica potrebbero non bastare le prebende erogate alle varie milizie ed ai potentati locali, visto che – è facile presumerlo – i ricattatori alzeranno la posta e la questione migratoria si è venuta ad intrecciare con un disordine libico originato sia dalle contese per accaparrarsi le fonti energetiche del “bel suol d'amore”, sia per il protagonismo di governi come quello egiziano di Al-Sisi [nella foto].

D'altro canto, l'uso della ragione umanitaria si è già prestata a tragici stravolgimenti. Assai breve è stato il passaggio tra l'esercizio del “diritto d'ingerenza umanitaria” e la “guerra umanitaria”. Ossimoro di cui si è ammantato l'espansionismo della massima potenza d'Occidente che, in quanto “poliziotto del mondo” - non a caso una estensione planetaria del criterio di sicurezza - etichetta ogni suo nemico statuale come “canaglia” per poi auto-concedersi il diritto di aggredirlo per salvare il mondo.
Non è cominciata così la sequela dei disastrosi interventi in Medio Oriente ed in Nord Africa?
Mascherature
Il problema delle migrazioni internazionali non può essere affrontato dal punto di vista prevalente della lotta ai trafficanti, quand'anche essa venga condotta con strumenti economici volti a sottrarre loro la manovalanza degli addetti, impiegandoli in attività alternative legali. Il traffico si prosciuga non già eliminando i trafficanti ma le ragioni per le quali si emigra e si fugge, ossia le radici del traffico.
È persino banale ricordarlo.
Offrire un'alternativa all'economia del traffico è un pannicello caldo,23 giacché l'entità dei disastri in tanta parte dell'Africa è di tale ampiezza e profondità che la manovalanza alle mafie che praticano il traffico assai difficilmente verrà a mancare, alimentata dalle stesse cause che spingono centinaia di migliaia di persone a fuggire.
Quanto alla creazione di centri simili ai nostri Centri di identificazione ed espulsione (Cie) in territorio africano - in Italia dalla gestione non proprio irreprensibile24 - l'intento sembra non tener conto che nella zona Ovest dell'Africa esiste un'area, somigliante alla Schengen europea, denominata Ecowas, comprendente 15 Stati membri, in cui i cittadini possono circolare liberamente.
Sul piano ufficiale il governo Gentiloni-Minniti conta, attraverso la cooperazione con i governi di Mali, Niger e Ciad, sovvenzionata dall'Ue, di bloccare i flussi ancora più a Sud, anche dalla Nigeria. Quest'ultima, primo Paese (21%) di provenienza dei migranti sbarcati, non è stata coinvolta nella “cabina di regia” italo-africana organizzata dal ministro Minniti.
In quel Paese l'attività dell'Eni, come di altre multinazionali dell'energia, concorre a generare le cause delle migrazioni. Non è privo di significato il fatto che Eni, nei suoi massimi dirigenti, sia accusata dalla magistratura milanese di “corruzione internazionale” per l'acquisizione del giacimento nigeriano Opl 245. Per analoghe ragioni altre indagini hanno riguardato il cane a sei zampe in Algeria e Congo.
Ecco una pratica dimostrazione di come i migranti vengano aiutati “a casa loro”.
Finanziare “progetti di sviluppo” alternativi all'economia del traffico, in cabina di regia con le élites africane al potere, endemicamente corrotte, che hanno dato prova di subalternità compradora verso i governi occidentali e le loro protette multinazionali, appare come una formale mascheratura del pagamento di un sostanziale servizio di respingimento dei migranti svolto sempre più a Sud.
Coloro che plaudono all'efficacia del “pacchetto Minniti” sono inebriati dalla momentanea efficienza del filtro libico e dalla ripresa di un ruolo forte dell'Italia, non più succube delle mire francesi sulla Libia e del gioco a scaricabarile dell'Unione europea. E non vedono altro. Costoro sembrano non accorgersi della precarietà dei risultati acquisiti nella esecuzione della prima fase del “pacchetto”, sia della aleatorietà delle promesse umanitarie a seguire, sia delle conseguenze di una sovranità legale sì ripristinata in patria ma estesa oltremare in un contesto di guerre intestine alimentate da mire neo-coloniali.
Scivolamenti
La cooperazione internazionale suppone l'autonomia dei Paesi partecipanti. La Libia di Gheddafi era relativamente indipendente dall'Occidente, perciò il suo regime è stato attaccato e rovesciato. Poi lui stesso assassinato, prima che potesse profferir parola davanti al mondo.
Attualmente, né il governo tripolitano di Sarraj né quello cirenaico di Haftar sono nelle condizioni di poter esercitare minimi livelli di autonomia, se non negli angusti margini concessi dai loro patrocinanti esteri. Qualora uscissero da questi margini sarebbero dichiarati “canaglia” e trattati di conseguenza come il loro predecessore.
Una volta accettato il coinvolgimento nell'aggressione, avendo da difendere posizioni d'interesse acquisite anche nell'ambito di un negoziato che andava a chiudere un lungo contenzioso post-coloniale, scivolare nella contesa neo-coloniale è stata l'ovvia conseguenza. Una contesa accettata poi per uno “stato di necessità” pre-costruito tramite la guerra, ma in completo contrasto con la nostra Costituzione che ne vieta il ricorso, concependo la cooperazione internazionale in modo opposto a quello praticato.
Sgomberi metropolitani
A metà agosto le forze dell'ordine hanno sgomberato un palazzo a Roma, tra via Curtatone e piazza Indipendenza.

La vicenda è densa di risvolti che superano le modalità dello sgombero e le polemiche del momento. È stata scoperchiata una situazione diffusa per cui in Italia coloro che non hanno un tetto, italiani ed immigrati, rifugiati e non, sono costretti ad occupare case per averlo. Costretti all'illegalità sono spesso vittime nel corso delle occupazioni dell'installarsi di sistemi illegali di gestione, quando non irretiti, sin da prima, da vere e proprie mafie, a capo del racket delle occupazioni abusive.
Secondo uno studio effettuato nel 2016,25 su un totale di 750 mila alloggi di edilizia residenziale pubblica, circa 48 mila risultano occupati, e tra essi l'81% con la forza. Tra il 2004 ed il 2013 il fenomeno è cresciuto del 20,9%, interessando il Mezzogiorno per il 53,4%, il Centro per il 36,5% e coinvolgendo anche l'area milanese.
Agenzie immobiliari criminali gestiscono il business delle occupazioni, in cui vengono coinvolti in particolare gli immigrati. Esse preferiscono, per rallentare i tempi della giustizia, dare la precedenza ai casi più bisognosi, che sono anche i più da loro ricattabili. Particolarmente odiose sono poi i casi di occupazione di alloggi già abitati che costringono gli “sloggiati”, per ritornarne in possesso, a tempi di attesa piuttosto lunghi, visto l'intasamento dei tribunali.
Alle amministrazioni locali non può essere chiesto di creare corsie privilegiate per coloro che vengono sgomberati dalle forze dell'ordine, saltando le graduatorie stabilite per le assegnazioni. D'altro canto, agli sfollati deve essere dato dalle autorità almeno un tetto in strutture adibite allo scopo, senza costringere le persone alla strada.
Ci si può chiedere: perché si è lasciato incancrenire il problema della casa, in un Paese dove sono vuote 7 milioni di abitazioni, mentre aumenta non la popolazione ma il consumo di territorio agricolo a causa dell'urbanizzazione selvaggia?
Se i vari governi hanno praticato un laissez-faire tale da consentire al racket delle occupazioni di prosperare, non è stata fatta solo una scelta di “disordine pubblico”, ma pure una politica di concorrenza e divisione tra poveri e più poveri. Ambedue le scelte convergono, salvo spendere belle parole solidali di totale ipocrisia, nel fornire una base di risentimento di cui si avvalgono coloro che seminano xenofobia e razzismo contro gli immigrati.
E qui giunge un punto di verifica dirimente dell'attivismo del ministro d'Oltremare, tanto potente in Africa nel coordinare supposte politiche umanitarie di sviluppo alternativo, quanto impotente in territorio metropolitano ad andare oltre gli sgomberi di polizia. Eppure, in questo caso, Minniti non avrebbe che da chiedere la cooperazione della cabina di regia alla quale abitualmente partecipa: il Consiglio dei Ministri. In tal caso, tuttavia, per metter mano ad un piano casa adeguato, non di nuove costruzioni ma di utilizzo degli alloggi vuoti, il governo dovrebbe aprire un capitolo per massicci nuovi investimenti sociali. Invece di procedere nello smantellamento del welfare, dovrebbe rifinanziarlo, incontrando la prevedibile opposizione di Bruxelles. E Mutti Merkel sarebbe d'accordo nel chiedere il doveroso rispetto dei vincoli di bilancio.
Va sottolineato
Delle vicende riportate sottolineo alcuni aspetti:
  1. i sepolcri imbiancati dell'umanitarismo sono passati dalla “generosità” verso l'immigrazione, sulla pelle degli strati più deboli dei Paesi d'accoglienza, alla politica dei respingimenti con filtri posti sempre più a Sud a diretto danno dei migranti;
  2. le politiche del lavoro e di spesa sociale (per la casa innanzitutto) hanno ampliato il lavoro malpagato, in nero e gli spazi offerti alle mafie, incentivando la conflittualità tra poveri e più poveri, nonché tra italiani ed immigrati;
  3. in successione sia il liberalismo migratorio che il blocco posto a Sud hanno rafforzato le forze xenofobe, razziste e neo-fasciste;
  4. le organizzazioni non governative sono strumentalmente utilizzate per coprire strategie politiche anti-umanitarie e sono di fronte alla scelta se farne parte o divincolarsi da esse e come farlo;
  5. l'affermazione della legalità e della sovranità italiane è andata oltre i propri limiti costituzionali per inoltrarsi oltremare, assumendo logiche neo-coloniali con rischi di coinvolgimenti bellici;
  6. l'impegno umanitario “a seguire” in Libia e l'idea di “aiutarli a casa loro” in Africa sono contraddetti dai fatti e dagli interessi sostenuti nella pratica di governo;
  7. la globalizzazione, sostenuta dagli internazionalisti della finanza e delle multinazionali, è in crisi e mette in questione l'umanitarismo (sistema di aiuti umanitari), tramite il quale essa pretendeva di sopperire ai disastri che generava nel suo compiersi.
Europa fortezza
Tra mille litigi, l'Europa sembra trovare un unico punto di convergenza unitaria sul fronte Sud, nella politica dei respingimenti. Negata a parole, essa si attua: alle frontiere terrestri della nostra penisola, da Ventimiglia al Brennero; a Nord della Grecia e della Serbia, con i muri di filo spinato sulla rotta dei Balcani, completati dall'accordo con la Turchia.
Ora, chiusa ad Est e, momentaneamente, al centro del Mediterraneo la pressione migratoria si accentua verso Ovest ed investe le enclavi spagnole in Marocco, cercando di valicare le barriere anche qui di filo spinato, pagate dall'Ue ed innalzate sotto l'egida di Frontex, nonché sul mar Nero a Sud-Est.
Quando si consideri l'effetto delle stragi terroristiche ad opera del fondamentalismo jihadista, tutto sembra oramai congiurare verso l'affermazione della paventata “fortezza Europa”.
Come siamo giunti a questo punto varrà lo sforzo di un'ulteriore approfondimento.

Note
1 Rapporto Caritas del 2015.
2 Rapporto di Credit Suisse del 2015.
3 Tra le circa 181mila persone sbarcate in Italia nel 2016, i Paesi di maggiore provenienza sono nell'ordine: Nigeria (21%), Eritrea (12%), Guinea, Gambia e Costa d’Avorio (7%), Senegal (6%), Sudan e Mali (5%).
4 A fine agosto il ministro Orlando si è “smarcato”, avanzando delle critiche alle affermazioni di Minniti sulla situazione di emergenza democratica in cui si sarebbe trovata l'Italia ed alla quale il suo pacchetto di misure avrebbe posto rimedio. Il ministro Del Rio, dopo alcune critiche agli inizi d'agosto, è ritornato ad esprimere il proprio dissenso a metà settembre.
5 La legge ius soli-ius culturae dal punto di vista di principio è condivisibile e doverosa. Tuttavia, nel merito, presenta alcuni punti discutibili, tra cui, ad esempio, il disallineamento rispetto ad analoghe normative adottate da altri Paesi europei.
6 Ma non all'interno delle 96 miglia marine sorvegliate esclusivamente dalla guardia costiera libica del governo Sarraj.
7 Nella sola prima decade di agosto il blocco alla partenza della Guardia costiera libica ha riguardato circa 1.300 persone.
8 400mila sono i contabilizzati dal governo di Tripoli, ma, riferisce “Avvenire” il 3/09/2017, in realtà i migranti intrappolati sarebbero quasi 1 milione.
9 Secondo UNICEF solo a Tripoli sono almeno 13.
10 Si tratta di UNHCR (United Nations High Commissioner for Refugees), l'Agenzia dell'ONU specializzata nella gestione dei rifugiati che opera in collegamento con l'Organizzazione mondiale per le migrazioni (OIM).
11 Il Gruppo di Visegrad comprende: Polonia, Ungheria, Cechia e Slovacchia.
12 A fine aprile, Carmelo Zuccaro, procuratore capo a Catania.
13 La procura di Trapani ha messo sotto sequestro la nave Iuventa di Jugend Rettet.
14 A fine agosto le persone che hanno potuto fruirne sono state circa 900.
15 Il regolamento di Dublino III (2013/604/CE) si applica a tutti gli Stati membri ad eccezione della Danimarca. È entrato in vigore il 19 luglio 2013. Si basa sullo stesso principio dei due precedenti regolamenti: il primo Stato membro in cui vengono memorizzate le impronte digitali o viene registrata una richiesta di asilo è responsabile della richiesta d'asilo di un rifugiato. Ad avallarlo per l'Italia fu il governo Letta, ma in precedenza, Dublino 2003 e Dublino 2011, furono sottoscritti da Berlusconi con la Lega Nord al governo.
16 A giugno il 58% delle richieste d'asilo sono state respinte. Poiché nel 2016 più di 46mila persone hanno fatto ricorso, il governo ha decretato misure più stringenti, ovvero di “snellimento” dell'iter processuale. Negli ultimi 4 anni solo 15mila domande di asilo sono state accolte, mentre, in deroga alla normativa sulla richiesta di soggiorno, sono stati accordati 150mila permessi di soggiorno.
17 Del reportage di Middle East Eye e di quanto contenuto nel paragrafo ha scritto Guido Rampoldi, “L'Italia blocca i migranti, ma finanzia di trafficanti”, il Fatto Quotidiano, 30 agosto 2017.
18 Vedi anche Domenico Romano, “Accordo tra l'Italia e le milizie per fermare i migranti in Libia”, il Manifesto, 31 agosto 2017.
19 Lorenzo Cremonesi, “Migranti e scafisti, cosa accade davvero in Libia – Nel covo di zio Dabbashi. Così il principe degli scafisti ha schierato le sue milizie per fermare i migranti”, Corriere della Sera, 9/09/2017. Nel reportage si conferma che il capo della brigata Ahmad Dabbashi, “collaboratore di primo piano del governo italiano”, avrebbe ricevuto 5 milioni di euro per il suo nuovo servizio.
20 Marco Minniti a Marina di Pietrasanta, alla festa de “il Fatto Quotidiano”, domenica 3 settembre 2017.
21 Francesca Schianchi, “I campi dei migranti in Libia sotto il controllo delle Ong. Il piano proposto dal viceministro degli Esteri Giro ai volontari”, La Stampa, 8/09/2017.
22 Marco Bertotto responsabile Advocacy di Medici Senza Frontiere all'Huffigton Post, “Msf al governo: 'Bandi per gestire i campi profughi in Libia? No, grazie: facciamo da soli già da un anno'”, “Non accettiamo fondi da chi crea il problema: è controsenso", 8/09/2017.
23 Il 7 settembre, Minniti ha dichiarato al britannico Guardian: “Siamo molto trasparenti, dovevamo aiutare le comunità a liberarsi dai trafficanti per produrre un reddito alternativo.”
24 Il tribunale di Bari ha qualificato il Cie di Bari, chiuso nel 2016, come un luogo assimilabile ad campo di concentramento nazista (Auschwitz) o ad una prigione di massima sicurezza statunitense (Guantanamo e Alcatraz).
25 Analisi di Federcasa, in collaborazione con Vpsitex e Nomisma.