(nel
disordine delle cose)
Nel
disordine delle cose
Per
decenni ci é stato raccontato che la liberalizzazione migratoria,
inizialmente soprattutto dall'Est europeo, avrebbe avuto prevalenti e
generali effetti benefici: di rimediare al saldo demografico
negativo; di consentire ai nuovi arrivati di occupare i posti oramai
disdegnati dagli italiani e dai loro figli “schizzinosi” e
“bamboccioni”; di garantire le entrate dello Stato e, con esse,
il welfare,
pensioni comprese.
Che
le cose non stessero proprio in questo modo, o, per lo meno, che alla
“generosità” dei governi non corrispondesse un vantaggio per
tutti, si capì cammin facendo.
In
Italia gli immigrati contribuiscono al Prodotto interno lordo per
oltre 123 miliardi di euro (8,8%),1
ma, venendo pagati mediamente assai meno degli italiani per le
medesime prestazioni lavorative (quando non devono accettare lavori
in nero con paghe da fame) ed infoltendo le file dei disoccupati,
inaspriscono la concorrenza al ribasso tra la mano d'opera meno
qualificata. Nell'insieme ne derivano salari più bassi e maggiori
profitti per le imprese, ma non una più elevata produttività.
Se
è vero che ogni anno gli immigrati versano molto più del doppio
nelle casse dell'Inps di quanto non ne percepiscano, le stesse fasce
più penalizzate sul fronte lavorativo sono poi costrette a
ripartirsi un welfare sempre
più asfittico.
Era
prevedibile che gli italiani più esposti all'impatto migratorio,
abbandonati di fronte ai problemi, se ne risentissero. Com'era
prevedibile che sul loro malcontento avrebbero fatto leva le forze
politiche xenofobe identitarie, razziste e neofasciste contro le
quali i “generosi” governi dicevano di voler combattere.
D'altronde
vivevamo nell'esaltazione di una globalizzazione, la quale, per
realizzarsi, invocava una “società aperta” universale, dove la
libera circolazione dei capitali finanziari, gli investimenti ed il
commercio senza ostacoli, implicavano, col localizzarsi funzionale ed
integrato delle produzioni, ordinato da una supposta “razionalità
del mercato”, una forza-lavoro che le seguisse. Ossia: lo
spostamento dei lavoratori nei luoghi in cui era richiesta. Sicché,
grazie a flussi migratori liberalizzati, domanda ed offerta di lavoro
si sarebbero senz'altro incontrati laddove, convenendo agli
investitori, sarebbe convenuto in definitiva a tutti quanti.
Questo
atteso utopico “ordine”, con l'arrivo della crisi successiva al
crack finanziario statunitense, si è tradotto nell'attuale
“disordine delle cose”.
Benché,
perseverando nell'attuale sistema economico-sociale, la sostenibilità
del welfare europeo
preveda entro il 2020 un “fabbisogno” di 42 milioni di immigrati
entro il 2020 e di 250 entro il 2060,2
gli Stati-nazione delle aree più ricche si chiudono. Qualcosa nel
calcolo economico espansivo ed in quello politico non torna più, se
essi hanno iniziato a riconsiderare i confini come frontiere
selettive e, nel palesarsi di logiche tanto apparentemente scomparse
quanto abilmente nascoste, i muri si sono moltiplicati.
Alfine
s'è scoperto che un Paese come l'Italia può accogliere solo coloro
che è in grado di integrare, salvo una ridotta franchigia per chi
deve essere salvato in mare, al quale però è sana prevenzione
impedire d'imbarcarsi.
Se
ne deduce che sviluppo e lavoro dovrebbero essere creati nei luoghi
da cui partono i migranti, i quali perciò andrebbero “aiutati a
casa loro”.
Ma
come farlo?
Sinora
le imprese ed i governi dei Paesi ricchi si sono distinti nel
depredarli “a casa loro”, mentre, in parallelo, il sistema
internazionale di aiuti allo sviluppo ed umanitari ha mostrato di
essere inadeguato allo scopo, quando non direttamente funzionale al
depredamento.
Forse
perché è l'impianto generale della globalizzazione liberista a
dover essere messo in discussione e rivoluzionato, a partire dagli
assetti dei settori base, come quello agro-alimentare.
In
queste pagine mi limiterò a considerare il portato politico del
realismo pragmatico che, proponendosi di far fronte ad uno “stato
di necessità” dai molteplici volti, estende la caccia ai
trafficanti di esseri umani nel cuore dell'Africa. Il tutto nella
reinterpretazione di una morale umanitaria “diversamente”
ipocrita, lontana dagli occhi e dal cuore metropolitano.
Diffuso
sentire
A
luglio il tema dell'immigrazione prevaleva su tutto il resto
nell'intenzione di voto.
Tra la
maggioranza degli italiani si era diffusa l'opinione che
l'accoglienza non spettasse solo a noi, ma a tutta l'Europa e non
potesse essere, come appariva, illimitata. Con crescente ansia e
preoccupazione venivano viste le immagini degli sbarchi di migranti,
profughi dalle guerre, economici ed ambientali, in prevalenza
provenienti dalle aree sub-sahariane, ma anche dal Corno d'Africa,
via Libia.3
Le operazioni di salvataggio in mare erano approvate con minor
convinzione e crescente perplessità. Spaventava un flusso in
quantità ritenute non più sostenibili economicamente ed integrabili
socialmente, esorbitanti rispetto alle possibilità di un Paese
“lasciato solo dall'Europa” ed alle prese con la lunga coda della
crisi.
Questo
diffuso sentire ha travalicato ogni discussione sulla funzionalità
dell'immigrazione allo sviluppo economico, ai conti pubblici ed al
welfare, sull'accoglienza umanitaria, sul divenire multietnico
e multiculturale della società.
A
seguito delle misure intraprese sotto la regia del ministro Marco
Minniti, che “in ritardo, ci dà ragione”, le forze favorevoli ai
muri contro i migranti (poveri) hanno gridato vittoria, chiedendo
divenissero ancora più drastiche.
Infine,
con l'aiuto del presidente Mattarella, alle discordie emerse in seno
alla stessa compagine governativa4
veniva messa una temporanea sordina e la strategia del ministro agli
Interni diventava dottrina di Stato, a cui la Chiesa cattolica dava
consacrazione. Dopodiché la legge sulla cittadinanza ius soli-ius
culturae5
è stata rimandata a dopo la finanziaria. Il governo deve
soppesare quanto convenga sul piano elettorale la sola buona
intenzione, poiché manca una maggioranza parlamentare disposta ad
approvarla.
Stato
di necessità
La
precedente linea tenuta da diversi governi, in particolare dal primo
ministro Matteo Renzi, veniva sconfessata?
Oppure
si stava semplicemente configurando uno “stato di necessità”
politico, inevitabile conseguenza di decenni di liberalismo, di cui
quello migratorio era componente utilissima solo per una parte
sociale ed economica, eppure anche per essa non indispensabile?
Fatto
sta che la retorica umanitaria governativa veniva rivoltata come un
guanto: tanto si era buoni prima nel salvare ed accogliere, quanto
adesso nell'impedire gli imbarchi, giacché il rischio d'annegare era
annullato al suo sorgere.
Non è
forse vero che, diradando gli attraversamenti dalla Libia, dal 9
agosto sono stati azzerati morti e dispersi su quella tratta?6
Dopo
aver favorito le migrazioni prima da Est e poi da Sud, all'interno
della globalizzazione, ora s'adotta la vecchia logica in base alla
quale per resistere alle prevedibili derive anti-democratiche in modo
così avventuristico ingenerate, sia necessario servirsi delle stesse
misure sempre invocate da coloro contro i quali si dice di voler
resistere.
In
questo modo si punta a sottrarre terreno alle forze xenofobe,
razziste e neofasciste, ma, così facendo, si scende sul loro
terreno, innescando una gara a chi è più “coerente”
nell'occuparlo.
In
ogni caso sarà di conforto una ritrovata sovranità nazionale,
seppur contro i deboli (a Sud), tanto da venire convalidata dai
solerti partners
europei che nei mesi precedenti ci avevano “lasciati soli”. Tra
loro l'amica Francia che, con il beneplacito anglo-americano, volle
l'aggressione alla Libia di Gheddafi,
a cui una riluttante Italia finì per partecipare. Con il risultato
evidente di aver precipitato il Paese africano nella disgregazione e
nella guerra tra bande e, sottaciuto, di aver riportato l'orologio
della storia ai tempi delle contese intra-europee per le terre
d'Africa.
Anche
qui è fatto valere uno “stato di necessità”: non si poteva
permettere che una multinazionale made
in Italy,
l'Eni, perdesse le posizioni precedentemente acquisite con Gheddafi
al potere, quando il Paese continua a vivere di energie fossili
importate.
Esultiamo:
siamo ritornati protagonisti, nostro malgrado ma coraggiosamente, sul
“bel suol d'amore” e, in un contesto reso altamente instabile
dall'incrocio di cento conflittuali interessi locali ed
internazionali, ci esponiamo anche sul piano militare. E consoliamoci
con cinico realismo: nel momento in cui scrivo è in corso un
sostanziale blocco dei flussi dalla Libia, ad agosto diminuiti di
oltre l'80 per cento, grazie a pragmatici filtri posti a Sud del
Mediterraneo.
Filtri
respingenti
Il
flusso dei migranti s'è bloccato, o quasi, dopo
l'ingiunzione
del governo di Fayez al-Sarraj, istallato a Tripoli dalla comunità
internazionale e fulcro dell'azione “stabilizzatrice” italiana, a
non valicare il limite delle 97 miglia marittime (le acque
territoriali sono di 12).
Un'area
presidiata dalla sua guardia costiera, finanziata con 46 milioni di
euro dall'Unione europea ed addestrata al controllo delle frontiere,
che non esita a sparare contro gli “intrusi”, ivi comprese le
imbarcazioni di Médecins
Sans Frontières (MSF).
Data
la decisione italiana di supportare, con navi militari alla fonda nel
porto di Tripoli, l'azione di contrasto della marina di Sarraj alle
partenze dei migranti,7
tutto si può dire, tranne che questo “autonomo” agire non sia
concertato con Roma e Bruxelles.
Per i
rischi connessi, la maggioranza delle organizzazioni non governative
(ong), che avevano occupato un ruolo essenziale nel soccorso in mare,
supplendo alle gravi carenze dell'operazione europea Triton-Sophia,
ha dovuto rinunciare alla propria missione umanitaria o, dopo una
temporanea sospensione, riprenderla in tono assai minore. Anche
perché gran parte delle partenze sono impedite all'imbarco o poco
più in là.
Ancora
prima le ong erano state sottoposte ad una verifica di legalità
della magistratura italiana e subito dopo, con inusuale tempestività,
alle pressioni del governo Gentiloni che, avendo ereditato dal
precedente governo Renzi l'obbligo di accoglienza nei soli porti
italiani, ha loro chiesto di sottoscrivere il “codice Minniti”
volto ufficialmente a contrastare i trafficanti, disciplinare le
modalità di salvataggio e trasbordo, alla presenza di personale
(armato) di polizia giudiziaria. Chi non firmava veniva “messo in
coda”, se non escluso dal sistema di salvataggio facente capo alla
Capitaneria di Porto di Fiumicino. [Vedi
riquadro “Mare Nostrum, Triton e Sophia”].
Mare
Nostrum, Triton e Sophia
Triton
è
un'operazione di sicurezza delle frontiere mediterranee dell'Unione
europea condotta da Frontex, l'agenzia europea di controllo delle
frontiere.
Subentra
il 1° novembre 2014, nel presidio dei flussi di migranti,
all'italiana Mare
Nostrum, operazione
varata nell'ottobre del 2013.
Mare
Nostrum
costava allo Stato italiano 9,5 milioni di euro al mese. Al momento
del subentro, il bilancio di Triton
è previsto a meno di 3 milioni mensili. Il passaggio a Triton
comporta, per la sua inadeguatezza, un forte aumento delle vittime:
da 1 persona morta su 53 migranti a 1 ogni 16.
Dopo
un naufragio, avvenuto in acque territoriali italiane il 28 aprile
2015, con 58 morti accertati e 700/900 dispersi, la Commissione
europea aggiunge 26,25 milioni di euro per Triton
e Poseidon
(missione gemella nell'Egeo) fino al termine del 2015 ed altri 38
milioni destinati solo a Triton
per
il 2016. Il tasso di mortalità si riduce ad 1 annegato ogni 427
migranti.
Nel
giugno del 2016 Federica Mogherini (Alto Commissario Ue per gli
affari esteri) lancia la missione Sophia,
con un dispiego europeo di mezzi aerei e navali più ampio, il
pattugliamento sino a 20-40 miglia a Nord della Libia, azioni di
ostacolo ai trafficanti con azioni di intelligence
e
di addestramento
della Guardia costiera libica, finanziata con 46 milioni di euro.
Sophia
conduce a buoni risultati sino all'entrata in vigore dell'accordo tra
Turchia ed Ue che sancisce la chiusura della rotta balcanica. Sale,
di conseguenza, il numero di coloro che sono indotti a percorrere la
via libica e la media degli annegamenti: 1 migrante ogni 38.
Sia
in Triton
che in Sophia,
il coordinamento delle operazioni di salvataggio in mare è affidato
alla Capitaneria di Porto della Guardia Costiera italiana a
Fiumicino, che impiega tutte le imbarcazioni rese disponibili dai
diversi Paesi e, oltre a queste, dalle organizzazioni non governative
(ong), senza le quali il disastro umanitario assumerebbe proporzioni
ben maggiori.
Da
Triton
in poi, il comando italiano delle operazioni europee è ottenuto dal
governo Renzi (2014) con il corrispondente impegno ad accogliere e
mettere al sicuro nei porti italiani “tutte le persone intercettate
nell'intera area operativa” (allegato 3 del piano).
Ora,
poiché la legalità sovrana è esercitata dal governo italiano e
pure dal governo Sarraj, legittimo per benedizione internazionale,
l'unica situazione fuori da ogni legalità e dignità umana è
restata quella in cui si trovano ingabbiati più di 400mila migranti,
concentrati nei campi libici.8
La maggior parte di essi è controllata dai trafficanti e dalle varie
fazioni in guerra;9
solo 34, una minima parte, è gestita dal governo Sarraj e dai 14
sindaci interlocutori del ministro Minniti, per un totale di 15mila
migranti “custoditi”, e fra questi non tutti sono accessibili
dalle preposte agenzie delle Nazioni Unite,10
nonché alle organizzazioni umanitarie.
Del
loro destino dice di volersi occupare, in seconda battuta, l'Unione
europea, in ripetizione del prototipo costituito dall'accordo con la
Turchia del 18 marzo 2016, che trattiene sul proprio territorio, a
pagamento comunitario, migranti e fuggitivi dalle guerre già
impossibilitati a battere la via balcanica. A Nord della Grecia e
della Serbia le giovani democrazie mitteleuropee avevano eretto muri
anti-immigrati di filo spinato, nello spirito di Visegrad.11
Ma, a
differenza della Turchia, la Libia attuale risponde almeno a “due
governi, due parlamenti e 140 tribù” (Emma Bonino); diverse
fazioni militari si combattono reciprocamente cambiando alleanze da
un giorno all'altro, certamente invischiate nella tratta dei migranti
e nei derivanti incassi mafiosi.
Corpi
schiavi nel viaggio
Quando
un magistrato sollevò, al cospetto di una Commissione parlamentare,12
il problema costituito dalle modalità di soccorso in mare di alcune
ong, la maggioranza dei grandi organi d'informazione gridò allo
scandalo: si gettava discredito su tutta un'opera umanitaria
meritoria per assecondare coloro che, da casa nostra, volevano far
affogare i migranti in mare. Il governo non aveva ancora cambiato
verso umanitario, ma si preparava a farlo.
Successivamente,
da indagini e prove emerse che almeno una delle ong, Jugend
Rettet,13
aveva interpretato il proprio ruolo in modo tanto conseguenziale
quanto “estremista”. Invece di seguire l'iter prescritto di
intervento in caso di acclarata emergenza, pare si sia accordata “di
fatto” con gli scafisti per trasbordare i migranti senza attendere
che le loro imbarcazioni andassero alla deriva e rischiassero di
colare a picco con il loro carico umano. In tal modo avrebbero però
agevolato l'agire degli scafisti ed incentivato il traffico illegale,
permettendo loro di organizzare numerosi trasporti su più brevi
tragitti “concordati”, non rischiare i loro incerti gommoni
motorizzati e persino di recuperarli per poi riusarli.
La
magistratura siciliana ha doverosamente intravvisto in queste
modalità di salvataggio il reato di “favoreggiamento
dell'immigrazione clandestina”, essendo tenuta a far rispettare la
legge contro i trafficanti di esseri umani e le loro associazioni
mafiose, quindi ogni collaborazione con esse, seppure motivata da
superiori finalità morali.
Sullo
sfondo permane il fatto che, con corridoi legali assai poco capienti14
o totalmente assenti, i migranti sono costretti a rivolgersi ai
trafficanti, gli unici a rispondere alla “domanda di trasporto”,
ovviamente per vie illegali. Questa funzione di trasferimento,
attraverso la Libia e dalla Libia, si svolge in uno spazio geografico
e temporale nel quale i migranti sono in loro totale balia. Privati
di ogni libertà personale, corpi schiavi nella moderna tratta,
sempre sottoponibili ad ogni tipo di vessazione da parte dei loro
custodi nei campi di detenzione: lavoro coatto, punizioni corporali e
torture, stupri, sequestro delle donne stuprate con richiesta di
riscatto alle famiglie d'origine.
Davvero
una condizione abominevole ed atroce.
Trasmutazione
I
migranti, quando abbandonano i loro Paesi d'origine, sono per lo più
consapevoli di quanto li attende e di rischiare in ogni momento la
vita. Quindi dev'essere ben grave la loro condizione, sia essa di
guerra o/e di miseria-emarginazione, se ciò nonostante decidono di
farlo. Nei Paesi di partenza perdere la vita per una qualsiasi
ragione (guerra, scontri tra gruppi armati, bande di razziatori,
malattie da noi curabilissime, ecc.) non è un evento inconsueto e
straordinario, ma routine quotidiana.
Nella
disperazione in cui sono stati ridotti, il fatto che l'emigrazione
privi i loro Paesi delle più vitali energie per intraprendere una
propria via di sviluppo e sia un effetto (il cosiddetto
“svuotamento”) pianificato dal liberalismo, semmai venga
considerato, è giocoforza trascurato. I migranti sperano, una volta
superate le tribolazioni del viaggio, comprese le drammatiche
incertezze dell'ultimo tratto marino, di raggiungere il suolo dei
Paesi ricchi, di cui l'Italia nel caso è primo approdo.
La
trasmutazione logistica in merce-lavoro dei migranti salvati, offerta
sul libero mercato europeo della manodopera, dovrebbe avvenire per
legalizzazione nei porti italiani. Solo ad essi è affidato il dovere
di accoglienza, secondo accordi sottoscritti a livello europeo. La
successiva identificazione è, in base alle regole stabilite a
Dublino, sempre compito del primo Paese di arrivo.15
Stando
alle dichiarazioni dell'ex ministra Emma Bonino [vedi
riquadro “Emma ci dice”], il monopolio italiano
dell'accoglienza-identificazione venne assunto dal governo Renzi “in
violazione degli accordi di Dublino”. Per quale motivo tanta
“disponibilità umanitaria”? Solo per ottenere il comando delle
operazioni europee di Triton?
Emma
ci dice
3
luglio 2017, Emma Bonino al Giornale
di Brescia:
«Nel
2014-2016 che il coordinatore
fosse
a Roma, alla Guardia
Costiera e
che gli sbarchi avvenissero tutti quanti in Italia, lo abbiamo
chiesto noi, l’accordo l’abbiamo fatto noi, violando di fatto
Dublino.»
«All’inizio
non ci siamo resi conto che era un problema strutturale e non di una
sola estate. E ci siamo fatti male da soli. Un po’ ci siamo legati
i piedi e un po’ francamente abbiamo sottovalutato la situazione.»
Con
la Libia,
«non si può fare un accordo, ammesso che sia accettabile,
semplicemente perché ha due governi, due parlamenti, 140 tribù.»
(...) «Una delle cose di cui
sono
più orgogliosa è Mare Nostrum (…) Sono convinta che sui cadaveri
non si costruisce niente. Poi non l'abbiamo voluta più perché era
troppo cara. Poi è intervenuta l’Ue prima con Triton
e
poi con l’operazione Sophia.»
Non
senza ragione, Luigi di Maio di M5S ha avanzato l'accusa che,
sottobanco, il governo Renzi abbia in realtà contrattato un occhio
più benevolo, “elastico”, della Commissione di Bruxelles sui
nostri sforamenti percentuali di bilancio.
Comunque
sia, il cumulo degli accordi europei sottoscritti, prima a Dublino
dai governi Berlusconi (2003 e 2011) e dal governo Letta (2013) e poi
per Triton dal governo Renzi (2014), ha lasciato l'Italia “con il
cerino in mano”, avendo messo il Paese nella condizione di unico
luogo legale Ue di sbarco-accoglienza-identificazione per il flusso
migratorio proveniente dalla Libia, divenuta la via obbligata pure
per tutti coloro che non potevano più passare dalla Grecia e dai
Balcani.
Il
compito che i governanti italiani si erano assunti, per spirito
gregario e per contropartite inconfessabili, è reso oltremodo
complicato dalla distinzione tra “profughi aventi diritto di
asilo”16
e “migranti economici” forzatamente illegali. I primi dovevano
venire distribuiti nei diversi Paesi Ue, ma, pure rispondenti ai
requisiti di diritto, il “sistema quote” dell'Unione non trova
pratica attuazione. Mentre per i secondi siamo nella totale assenza
di reali prospettive.
Ne
deriva che una parte degli sbarcati si sottrae all'identificazione,
poiché ciò li vincolerebbe a restare in territorio italiano
nonostante sia diretta a Nord della penisola, dove ci sono più
opportunità di lavoro. Essi si disperdono sul territorio alla
chetichella per tentare, all'occasione, di passare oltre le sigillate
frontiere settentrionali. Mentre gli “identificati” sono ospitati
in un sistema di accoglienza decentrato, incontrando la resistenza
non solo delle amministrazioni locali di centro-destra, ma talvolta
anche di quelle di centro-sinistra.
Inconfessabili
amicizie
Sul
litorale tra Sabrata e Zawiya, per un centinaio di chilometri ad
Ovest di Tripoli, partivano, e partono in numero ridotto, la maggior
parte delle imbarcazioni di migranti dirette verso l'Italia. Lì è
situato anche il terminal dell'Eni.
La
guardiania del terminal e dell'annesso compound è stata
appaltata alla famiglia Dabbashi (500 miliziani) dalla Mellitah
Oil and Gas, società controllata in joint-venture da Eni
e Noc (compagnia statale passata al governo Sarraj). Questa milizia
è invischiata da anni nel traffico di migranti, insieme ad un altro
contractor di Noc, la milizia di Mohammed Kashlaf, ed al
comandante dei guardacoste al-Bija. Arrestati e ridotti alla fame, i
migranti sono costretti a lavorare in affitto, spesso nello stesso
settore petrolifero. Dopo un periodo variabile che può durare anni,
essi, adeguatamente spremuti, ottengono l'agognato passaggio in mare:
nel prezzo del biglietto è inclusa la mazzetta per il comandante dei
guardacoste al-Bija, che seleziona ed autorizza.
Per
quale motivo la guardia costiera libica è diventata d'acchito così
efficiente nell'impedire il traffico?
Sono
arrivati alle milizie, riferisce il britannico Middle
East Eye,17
5 milioni di euro dall'Italia ed altre utilità per la milizia di
Kashlaf dai servizi segreti italiani. A confermare l'accordo italiano
con i trafficanti e nella sostanza quanto asserisce Middle
East Eye,
concorrono altre fonti: le agenzie Reuters
ed
Associated
press,18
il Corriere
della Sera.19
Secondo Ap
le milizie coinvolte sono la “Brigata 48” e la “Brigata del
martire Anas al-Dabashi”:
«L'integrazione
ufficiale delle due milizie tra le forze di Serraj permetterebbe
all'Italia di lavorare direttamente con loro visto che non sarebbero
considerato come trafficanti ma parte del governo riconosciuto».
Il
ministro Minniti ha chiesto alle ong di sottoscrivere un protocollo
ufficiale contro i trafficanti mentre si accordava sottobanco con
questi ultimi, pagandoli, per poi integrarli nella legalità di un
governo messo in piedi grazie ai buoni uffici di Roma.
Sarebbe
troppo accusarlo di coprire la propria strategia, avente lo scopo
principale di difendere gli interessi di una multinazionale italiana
(Eni) e di respingere i migranti, con la finzione della lotta ai
trafficanti per evitare morti nel Mediterraneo?
Sarebbe
troppo attribuirgli metodi neo-coloniali?
Umanitarismo
a seguire
Non si
può imputare il ministro Minniti di avere di mira le ong e la loro
opera di soccorso: esse furono semplicemente utilizzate per
sopperire alle carenze europee e, finito il loro uso ed abuso, sono
di conseguenza messe in libertà.
D'altro
canto è ipocrita anche affermare che il codice di comportamento loro
sottoposto fosse finalizzato al ripristino di legalità e ad evitare
tragedie, se teniamo conto degli accordi con i trafficanti
(ovviamente smentiti dal governo), pagati per porre un primo filtro
ai passaggi in mare, in attesa di incorporarli nell'apparato del
governo di riferimento.
Cronologia
di un successo
18
marzo 2016 – Il prototipo: accordo tra Unione europea e Turchia,
alla quale vengono dati 6 miliardi di euro per sigillare la frontiera
con la Grecia e chiudere la rotta balcanica. Il flusso migratorio si
riverserà per lo più sulla rotta libico-italiana.
[30
giugno 2017 – Rispetto al 2016 viene registrato un aumento di
immigrati dalla Libia nel primo semestre 2016 di +18,7%, con un
totale di 83.360 sbarcati.]
21
maggio 2017 – Prima riunione del ministro Minniti con i colleghi di
Libia, Niger e Ciad per la costruzione di centri di accoglienza in
Niger e Ciad dei migranti irregolari conformi agli standard umanitari
e per promuovere lo sviluppo di una economia legale alternativa a
quella
dei trafficanti. Implicito il ricorso a finanziamenti italiani e/o
europei per bloccare a Sud i flussi migratori.
13
luglio 2017 – Prima riunione a Tripoli tra Minniti, 14 sindaci
libici ed il governo di Fayez al-Sarraj. Informalmente coinvolto
anche il governo cirenaico del generale Haftar.
26
agosto 2017 – Seconda riunione a Roma. Nella dichiarazione
congiunta: “La Libia guarda con aspettativa al tempestivo sostegno
dell'Italia e della Ue ai progetti già proposti e che saranno
proposti in futuro, finalizzati al miglioramento delle condizioni di
chi vive nelle aree colpite dai traffici.”
28
agosto 2017 – Riunione a Roma dei ministri dell'Interno di Italia,
Libia, Ciad, Mali e Niger. Ribadita la cooperazione contro i
trafficanti e nel rispetto dei diritti umani di rifugiati e migranti.
I progetti di sviluppo potranno valersi dei finanziamenti del Trust
Fund Ue per l'Africa.
28
agosto 2017 – Vertice europeo a Parigi. Germania, Spagna e Francia,
grazie ad Angela Merkel, si dicono disponibili a sostenere
l'approccio italiano. Non più hotspots in Italia, ma in campi Onu
in Africa, dove effettuare la distinzione tra migranti economici e
rifugiati. La Merkel afferma che “il sistema di Dublino va
rivisto, perché sfavorisce i Paesi d'arrivo.”
Marco
Minniti non è uno sprovveduto. Ha programmato la sua strategia in
due tempi [vedi riquadro “Cronologia di un
successo”]. Una volta posto un primo filtro sulla costa, si
tratta di porne altri più a Sud, in Libia ed ai sui confini
meridionali, e persino nei Paesi d'origine in Africa occidentale.
Perciò occorreva coinvolgere i diversi soggetti libici, nonché i
governi delle ex colonie francesi di Ciad, Mali e Niger.
Sapendo
che tutto ciò avrebbe comportato un notevole costo, bisognava
ottenere il consenso dei più importanti governi euro-occidentali, se
l'Italia non voleva accollarsi tutti gli esborsi necessari.
Gli
obiettivi dichiarati sono:
- creare “centri di accoglienza” in Libia del tipo dei Cie italiani, nei quali separare i “profughi aventi diritto” dai migranti economici da respingere, ovvero i famosi hotspots voluti dall'Unione europea;
- per assicurare standard umanitari minimi in questi centri, coinvolgere l'ONU, ossia OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) e UNHCR (profughi e rifugiati), nonché estendere la missione delle ong operanti in Libia negli ospedali e a protezione dell'infanzia;
- promuovere un'economia legale alternativa a quella dei trafficanti per assorbire la manodopera da loro reclutata, anche avvalendosi dei fondi europei per lo sviluppo in Africa.
Stando
alle parole dello stesso Minniti:
«sui
diritti umani garantiti a chi non parte più mi gioco la faccia».20
Una
faccia già rimasta imperturbabile nel sovvenzionare i trafficanti
per trasformarli (quanto a lungo?) in controllori di se stessi. Una
faccia che conferisce disinvoltamente patenti di legalità alle
milizie artefici del traffico e che, tramite il vice-ministro degli
Esteri Mario Giro,21
chiede ora alle ong operanti in Libia di aderire ad un piano di 6
milioni di euro, stanziati dalla Agenzia per la Cooperazione allo
sviluppo, volti a fornire i campi libici beni di prima necessità, in
attesa di affidare loro la gestione diretta dei campi medesimi.
Si
corre il “rischio di strumentalizzazione dell'azione umanitaria”?22
Forse è il caso di riconsiderare il ruolo delle ong, che troppo
spesso accettano di svolgere funzioni umanitarie in strategie che di
umanitario hanno giusto la loro copertura.
Ministro
d'Oltremare
È
sintomatico che il ministro agli Interni si occupi in modo così
ampio di affari internazionali e metta in secondo piano l'attività
del ministero degli Esteri. Sembrerebbe un'anomalia, una indebita
“invasione di campo”, ma non lo è. Egli non abbandona mai il
terreno suo specifico: perseguire il traffico mafioso di esseri
umani, spingendosi, come ritiene suo compito, sin nel cuore
dell'Africa.
Ed è
proprio in questo che si palesa l'approccio politico del suo ufficio
e lo sbocco effettivo del suo pragmatismo che, da “necessariamente”
cinico qual è stato sinora, vorrebbe diventare umanitario.
Il
ministro degli Interni ragiona in termini di sicurezza, perché è un
“tecnico della sicurezza”, “un militare”, secondo Massimo
D'Alema, nel cui governo si occupava di servizi segreti. “Un'altra
sua passione”, coltivata dai tempi in cui con Francesco Cossiga
creò l'Icsa, Intelligence
Culture and Strategic Analysis,
una
fondazione per studiare ed allevare lo spionaggio per conto della
Nato.
Quando
inoltra i poteri di polizia e di servizi di intelligence al di
fuori dei propri confini, estende di fatto un fondamentale esercizio
di sovranità dall'Italia a territori d'oltremare. L'etichetta
“cooperativa” può bastare al governo di Tripoli, ma non a quello
di Tobruk del generale Khalifa Haftar. Nell'incontro con lui avuto a
Bengasi, il 5 settembre, Minniti ha esortato i libici a “non
apparire come uno stato canaglia”, un invito che sa di ammonimento
in stile alleanza atlantica.
Ma
cosa accadrebbe, se le navi della marina militare italiana, oggi in
acque libiche, venissero per qualche ragione attaccate da una
qualsiasi milizia? Che ne sarebbe dei “vincoli di mandato” a cui
la missione è sottoposta dal parlamento italiano?
Per
evitare una pericolosa deriva bellica potrebbero non bastare le
prebende erogate alle varie milizie ed ai potentati locali, visto che
– è facile presumerlo – i ricattatori alzeranno la posta e la
questione migratoria si è venuta ad intrecciare con un disordine
libico originato sia dalle contese per accaparrarsi le fonti
energetiche del “bel suol d'amore”, sia per il protagonismo di
governi come quello egiziano di Al-Sisi [nella
foto].
D'altro
canto, l'uso della ragione umanitaria si è già prestata a tragici
stravolgimenti. Assai breve è stato il passaggio tra l'esercizio del
“diritto d'ingerenza umanitaria” e la “guerra umanitaria”.
Ossimoro di cui si è ammantato l'espansionismo della massima potenza
d'Occidente che, in quanto “poliziotto del mondo” - non a caso
una estensione planetaria del criterio di sicurezza - etichetta ogni
suo nemico statuale come “canaglia” per poi auto-concedersi il
diritto di aggredirlo per salvare il mondo.
Non è
cominciata così la sequela dei disastrosi interventi in Medio
Oriente ed in Nord Africa?
Mascherature
Il
problema delle migrazioni internazionali non può essere affrontato
dal punto di vista prevalente della lotta ai trafficanti, quand'anche
essa venga condotta con strumenti economici volti a sottrarre loro la
manovalanza degli addetti, impiegandoli in attività alternative
legali. Il traffico si prosciuga non già eliminando i trafficanti ma
le ragioni per le quali si emigra e si fugge, ossia le radici del
traffico.
È
persino banale ricordarlo.
Offrire
un'alternativa all'economia del traffico è un pannicello caldo,23
giacché l'entità dei disastri in tanta parte dell'Africa è di tale
ampiezza e profondità che la manovalanza alle mafie che praticano il
traffico assai difficilmente verrà a mancare, alimentata dalle
stesse cause che spingono centinaia di migliaia di persone a fuggire.
Quanto
alla creazione di centri simili ai nostri Centri di identificazione
ed espulsione (Cie) in territorio africano - in Italia dalla gestione
non proprio irreprensibile24
- l'intento sembra non tener conto che nella zona Ovest dell'Africa
esiste un'area, somigliante alla Schengen europea, denominata Ecowas,
comprendente 15 Stati membri, in cui i cittadini possono circolare
liberamente.
Sul
piano ufficiale il governo Gentiloni-Minniti conta, attraverso la
cooperazione con i governi di Mali, Niger e Ciad, sovvenzionata
dall'Ue, di bloccare i flussi ancora più a Sud, anche dalla Nigeria.
Quest'ultima, primo Paese (21%) di provenienza dei migranti sbarcati,
non è stata coinvolta nella “cabina di regia” italo-africana
organizzata dal ministro Minniti.
In
quel Paese l'attività dell'Eni, come di altre multinazionali
dell'energia, concorre a generare le cause delle migrazioni. Non è
privo di significato il fatto che Eni, nei suoi massimi dirigenti,
sia accusata dalla magistratura milanese di “corruzione
internazionale” per l'acquisizione del giacimento nigeriano Opl
245. Per analoghe ragioni altre indagini hanno riguardato il cane a
sei zampe in Algeria e Congo.
Ecco
una pratica dimostrazione di come i migranti vengano aiutati “a
casa loro”.
Finanziare
“progetti di sviluppo” alternativi all'economia del traffico, in
cabina di regia con le élites
africane al potere, endemicamente corrotte, che hanno dato prova di
subalternità compradora
verso i governi occidentali e le loro protette multinazionali, appare
come una formale mascheratura del pagamento di un sostanziale
servizio di respingimento dei migranti svolto sempre più a Sud.
Coloro
che plaudono all'efficacia del “pacchetto Minniti” sono inebriati
dalla momentanea efficienza del filtro libico e dalla ripresa di un
ruolo forte dell'Italia, non più succube delle mire francesi sulla
Libia e del gioco a scaricabarile dell'Unione europea. E non vedono
altro. Costoro sembrano non accorgersi della precarietà dei
risultati acquisiti nella esecuzione della prima fase del
“pacchetto”, sia della aleatorietà delle promesse umanitarie a
seguire, sia delle conseguenze di una sovranità legale sì
ripristinata in patria ma estesa oltremare in un contesto di guerre
intestine alimentate da mire neo-coloniali.
Scivolamenti
La
cooperazione internazionale suppone l'autonomia dei Paesi
partecipanti. La Libia di Gheddafi era relativamente indipendente
dall'Occidente, perciò il suo regime è stato attaccato e
rovesciato. Poi lui stesso assassinato, prima che potesse profferir
parola davanti al mondo.
Attualmente,
né il governo tripolitano di Sarraj né quello cirenaico di Haftar
sono nelle condizioni di poter esercitare minimi livelli di
autonomia, se non negli angusti margini concessi dai loro
patrocinanti esteri. Qualora uscissero da questi margini sarebbero
dichiarati “canaglia” e trattati di conseguenza come il loro
predecessore.
Una
volta accettato il coinvolgimento nell'aggressione, avendo da
difendere posizioni d'interesse acquisite anche nell'ambito di un
negoziato che andava a chiudere un lungo contenzioso post-coloniale,
scivolare nella contesa neo-coloniale è stata l'ovvia conseguenza.
Una contesa accettata poi per uno “stato di necessità”
pre-costruito tramite la guerra, ma in completo contrasto con la
nostra Costituzione che ne vieta il ricorso, concependo la
cooperazione internazionale in modo opposto a quello praticato.
Sgomberi
metropolitani
A metà
agosto le forze dell'ordine hanno sgomberato un palazzo a Roma, tra
via Curtatone e piazza Indipendenza.
La
vicenda è densa di risvolti che superano le modalità dello sgombero
e le polemiche del momento. È stata scoperchiata una situazione
diffusa per cui in Italia coloro che non hanno un tetto, italiani ed
immigrati, rifugiati e non, sono costretti ad occupare case per
averlo. Costretti all'illegalità sono spesso vittime nel corso delle
occupazioni dell'installarsi di sistemi illegali di gestione, quando
non irretiti, sin da prima, da vere e proprie mafie, a capo del
racket delle occupazioni abusive.
Secondo
uno studio effettuato nel 2016,25
su un totale di 750 mila alloggi di edilizia residenziale pubblica,
circa 48 mila risultano occupati, e tra essi l'81% con la forza. Tra
il 2004 ed il 2013 il fenomeno è cresciuto del 20,9%, interessando
il Mezzogiorno per il 53,4%, il Centro per il 36,5% e coinvolgendo
anche l'area milanese.
Agenzie
immobiliari criminali gestiscono il business delle
occupazioni, in cui vengono coinvolti in particolare gli immigrati.
Esse preferiscono, per rallentare i tempi della giustizia, dare la
precedenza ai casi più bisognosi, che sono anche i più da loro
ricattabili. Particolarmente odiose sono poi i casi di occupazione di
alloggi già abitati che costringono gli “sloggiati”, per
ritornarne in possesso, a tempi di attesa piuttosto lunghi, visto
l'intasamento dei tribunali.
Alle
amministrazioni locali non può essere chiesto di creare corsie
privilegiate per coloro che vengono sgomberati dalle forze
dell'ordine, saltando le graduatorie stabilite per le assegnazioni.
D'altro canto, agli sfollati deve essere dato dalle autorità almeno
un tetto in strutture adibite allo scopo, senza costringere le
persone alla strada.
Ci si
può chiedere: perché si è lasciato incancrenire il problema della
casa, in un Paese dove sono vuote 7 milioni di abitazioni, mentre
aumenta non la popolazione ma il consumo di territorio agricolo a
causa dell'urbanizzazione selvaggia?
Se i
vari governi hanno praticato un laissez-faire tale da
consentire al racket delle occupazioni di prosperare, non è stata
fatta solo una scelta di “disordine pubblico”, ma pure una
politica di concorrenza e divisione tra poveri e più poveri. Ambedue
le scelte convergono, salvo spendere belle parole solidali di totale
ipocrisia, nel fornire una base di risentimento di cui si avvalgono
coloro che seminano xenofobia e razzismo contro gli immigrati.
E qui
giunge un punto di verifica dirimente dell'attivismo del ministro
d'Oltremare, tanto potente in Africa nel coordinare supposte
politiche umanitarie di sviluppo alternativo, quanto impotente in
territorio metropolitano ad andare oltre gli sgomberi di polizia.
Eppure, in questo caso, Minniti non avrebbe che da chiedere la
cooperazione della cabina di regia alla quale abitualmente partecipa:
il Consiglio dei Ministri. In tal caso, tuttavia, per metter mano ad
un piano casa adeguato, non di nuove costruzioni ma di utilizzo degli
alloggi vuoti, il governo dovrebbe aprire un capitolo per massicci
nuovi investimenti sociali. Invece di procedere nello smantellamento
del welfare, dovrebbe rifinanziarlo, incontrando la
prevedibile opposizione di Bruxelles. E Mutti Merkel sarebbe
d'accordo nel chiedere il doveroso rispetto dei vincoli di bilancio.
Va
sottolineato
Delle vicende
riportate sottolineo alcuni aspetti:
- i sepolcri imbiancati dell'umanitarismo sono passati dalla “generosità” verso l'immigrazione, sulla pelle degli strati più deboli dei Paesi d'accoglienza, alla politica dei respingimenti con filtri posti sempre più a Sud a diretto danno dei migranti;
- le politiche del lavoro e di spesa sociale (per la casa innanzitutto) hanno ampliato il lavoro malpagato, in nero e gli spazi offerti alle mafie, incentivando la conflittualità tra poveri e più poveri, nonché tra italiani ed immigrati;
- in successione sia il liberalismo migratorio che il blocco posto a Sud hanno rafforzato le forze xenofobe, razziste e neo-fasciste;
- le organizzazioni non governative sono strumentalmente utilizzate per coprire strategie politiche anti-umanitarie e sono di fronte alla scelta se farne parte o divincolarsi da esse e come farlo;
- l'affermazione della legalità e della sovranità italiane è andata oltre i propri limiti costituzionali per inoltrarsi oltremare, assumendo logiche neo-coloniali con rischi di coinvolgimenti bellici;
- l'impegno umanitario “a seguire” in Libia e l'idea di “aiutarli a casa loro” in Africa sono contraddetti dai fatti e dagli interessi sostenuti nella pratica di governo;
- la globalizzazione, sostenuta dagli internazionalisti della finanza e delle multinazionali, è in crisi e mette in questione l'umanitarismo (sistema di aiuti umanitari), tramite il quale essa pretendeva di sopperire ai disastri che generava nel suo compiersi.
Europa
fortezza
Tra
mille litigi, l'Europa sembra trovare un unico punto di convergenza
unitaria sul fronte Sud, nella politica dei respingimenti. Negata a
parole, essa si attua: alle frontiere terrestri della nostra
penisola, da Ventimiglia al Brennero; a Nord della Grecia e della
Serbia, con i muri di filo spinato sulla rotta dei Balcani,
completati dall'accordo con la Turchia.
Ora,
chiusa ad Est e, momentaneamente, al centro del Mediterraneo la
pressione migratoria si accentua verso Ovest ed investe le enclavi
spagnole in Marocco, cercando di valicare le barriere anche qui di
filo spinato, pagate dall'Ue ed innalzate sotto l'egida di Frontex,
nonché sul mar Nero a Sud-Est.
Quando
si consideri l'effetto delle stragi terroristiche ad opera del
fondamentalismo jihadista, tutto sembra oramai congiurare verso
l'affermazione della paventata “fortezza Europa”.
Come
siamo giunti a questo punto varrà lo sforzo di un'ulteriore
approfondimento.
Note
1
Rapporto Caritas del 2015.
2
Rapporto di Credit Suisse del 2015.
3
Tra le circa 181mila persone sbarcate in Italia nel 2016, i Paesi di
maggiore provenienza sono nell'ordine: Nigeria (21%), Eritrea (12%),
Guinea, Gambia e Costa d’Avorio (7%), Senegal (6%), Sudan e Mali
(5%).
4
A fine agosto il ministro Orlando si è “smarcato”, avanzando
delle critiche alle affermazioni di Minniti sulla situazione di
emergenza democratica in cui si sarebbe trovata l'Italia ed alla
quale il suo pacchetto di misure avrebbe posto rimedio. Il ministro
Del Rio, dopo alcune critiche agli inizi d'agosto, è ritornato ad
esprimere il proprio dissenso a metà settembre.
5
La legge ius
soli-ius culturae
dal punto di vista di principio è condivisibile e doverosa.
Tuttavia, nel merito, presenta alcuni punti discutibili, tra cui, ad
esempio, il disallineamento rispetto ad analoghe normative adottate
da altri Paesi europei.
6
Ma non all'interno delle 96 miglia marine sorvegliate esclusivamente
dalla guardia costiera libica del governo Sarraj.
7
Nella sola prima decade di agosto il blocco alla partenza della
Guardia costiera libica ha riguardato circa 1.300 persone.
8
400mila sono i contabilizzati dal governo di Tripoli, ma, riferisce
“Avvenire” il 3/09/2017, in realtà i migranti intrappolati
sarebbero quasi 1 milione.
9
Secondo UNICEF solo a Tripoli sono almeno 13.
10
Si tratta di UNHCR
(United
Nations High Commissioner for Refugees),
l'Agenzia dell'ONU specializzata nella gestione dei rifugiati che
opera in collegamento con l'Organizzazione mondiale per le
migrazioni (OIM).
11
Il Gruppo di Visegrad comprende: Polonia, Ungheria, Cechia e
Slovacchia.
12
A fine aprile, Carmelo Zuccaro, procuratore capo a Catania.
13
La procura di Trapani ha messo sotto sequestro la nave Iuventa
di Jugend Rettet.
14
A fine agosto le persone che hanno potuto fruirne sono state circa
900.
15
Il
regolamento di Dublino III (2013/604/CE) si applica a tutti gli
Stati membri ad eccezione della Danimarca. È entrato in vigore il
19 luglio 2013. Si basa sullo stesso principio dei due precedenti
regolamenti: il primo Stato membro in cui vengono memorizzate le
impronte digitali o viene registrata una richiesta di asilo è
responsabile della richiesta d'asilo di un rifugiato. Ad avallarlo
per l'Italia fu il governo Letta, ma in precedenza, Dublino 2003 e
Dublino 2011, furono sottoscritti da Berlusconi con la Lega Nord al
governo.
16
A giugno il 58% delle richieste d'asilo sono
state respinte. Poiché nel 2016 più di 46mila persone hanno fatto
ricorso, il governo ha decretato misure più stringenti, ovvero di
“snellimento” dell'iter processuale. Negli
ultimi 4 anni solo 15mila domande di asilo sono state accolte,
mentre, in deroga alla normativa sulla richiesta di soggiorno, sono
stati accordati 150mila permessi di soggiorno.
17
Del reportage di Middle East Eye e
di quanto contenuto nel paragrafo ha scritto Guido Rampoldi,
“L'Italia blocca i migranti, ma finanzia di trafficanti”, il
Fatto Quotidiano, 30 agosto 2017.
18
Vedi anche Domenico Romano, “Accordo tra l'Italia e le milizie per
fermare i migranti in Libia”, il Manifesto, 31 agosto 2017.
19
Lorenzo Cremonesi, “Migranti e scafisti, cosa accade davvero in
Libia – Nel covo di zio Dabbashi. Così il principe degli scafisti
ha schierato le sue milizie per fermare i migranti”, Corriere
della Sera, 9/09/2017. Nel reportage si conferma che il capo della
brigata Ahmad Dabbashi, “collaboratore di primo piano del governo
italiano”, avrebbe ricevuto 5 milioni di euro per il suo nuovo
servizio.
20
Marco Minniti a Marina di Pietrasanta, alla festa de “il Fatto
Quotidiano”, domenica 3 settembre 2017.
21
Francesca Schianchi, “I campi dei migranti in Libia sotto il
controllo delle Ong. Il piano proposto dal viceministro degli Esteri
Giro ai volontari”, La Stampa, 8/09/2017.
22
Marco
Bertotto responsabile
Advocacy di Medici Senza Frontiere all'Huffigton
Post, “Msf
al governo: 'Bandi per gestire i campi profughi in Libia? No,
grazie: facciamo da soli già da un anno'”, “Non accettiamo
fondi da chi crea il problema: è controsenso", 8/09/2017.
23
Il 7 settembre, Minniti ha dichiarato al britannico Guardian:
“Siamo molto trasparenti, dovevamo aiutare le comunità a
liberarsi dai trafficanti per produrre un reddito alternativo.”
24
Il tribunale di Bari ha qualificato il Cie di Bari, chiuso nel 2016,
come un luogo assimilabile ad campo di concentramento nazista
(Auschwitz) o ad una prigione di massima sicurezza statunitense
(Guantanamo e Alcatraz).
25
Analisi di
Federcasa,
in collaborazione con Vpsitex e Nomisma.