giovedì 31 maggio 2018

Eurodevoti

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       Eurodevoti



Perché Mattarella e M5S-Lega sono entrati in conflitto. Il richiamo del Presidente agli insegnamenti di Luigi Einaudi che si affidava alla “confraternita” dei periti. I vincoli esterni trapiantati in Costituzione. Il “Contratto per il governo del cambiamento” sull'Unione europea. Atti di devozione alla moneta unica.


Il 12 maggio Mattarella a Dogliani commemora Luigi Einaudi e, facendo riferimento al suo settennato tra il 1948 ed il 1955, rivendica le proprie prerogative in relazione al conferimento dell'incarico di premier e di nomina dei ministri. Lascia intendere che i membri del governo devono obbedire non solo a specchiata moralità, ma essere rispettosi dei vincoli derivanti dall'ordinamento europeo e degli obblighi internazionali.
Emerge un conflitto, da tempo annunciato, sul rapporto tra Italia ed Europa, che coinvolge le principali istituzioni dello Stato, l'insieme della Carta ed i “vincoli esterni” incorporati al suo interno nel 2001 e nel 2012, in ossequio ai Trattati.
La nuova volontà popolare, espressasi nel voto e che ha trovato nel “Contratto per il governo del cambiamento” una risposta di compromesso, si trova subito di fronte alle limitazioni di sovranità nazionale poste in essere dai precedenti governi eurodevoti e dai mercati finanziari.
La visione liberale dell'Europa di Einaudi, a cui il capo dello Stato si riallaccia, presenta aspetti antidemocratici e tecnocratici non più supportata dalla parvenza di benefici effetti.

L'introiezione del vincolo

Se le politiche comunitarie non sono conformi ai bisogni, agli interessi ed al voto espresso dagli italiani, quale diritto prevale sovrano? Quello nazionale d'oggi o quello derivante dagli obblighi internazionali assunti in passato?
Secondo il costituzionalista Ugo De Siervo1 prevale quello dei vincoli comunitari sottoscritti.
In effetti, quando nel 2001 venne riformato il titolo V della Carta, all'art. 117 si stabilì che Stato e Regioni legiferano «nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali». Più gravemente nel 2012, all'art. 81, venne introdotto nella Carta l'obbligo di pareggio di bilancio, derivante dai vincoli europei.
Su posizioni opposte sono altri costituzionalisti, come il professore Massimo Villone, per il quale non si può rispondere con un formalismo giuridico al problema squisitamente politico posto dal voto.2
Aggiungo che l'obbligo internazionale sottoscritto andrebbe comunque rispettato, se ad esso corrispondesse un ordinamento statuale sovranazionale nel quale si siano riconosciuti i popoli coinvolti. Ma, checché ne dica De Siervo, l'Unione non è uno Stato federale né confederale, bensì il risultato di un insieme di Trattati, ai quali fu tentato di dare una parvenza di Costituzione, peraltro respinta da referendum in due Paesi.3 Essa è diretta da vertici intergovernativi, senza che un'assemblea di rappresentanti eletti possa sia legiferare liberamente, pur in ambiti circoscritti, sia determinare una maggioranza politica sulla quale reggere un proprio esecutivo; parlamento e commissione europea sono de facto organi consultivi dei vertici intergovernativi e la governance è garantita dalle tecno-strutture, i cosiddetti euro-tecnocrati, sulla cui funzione si era concentrata benevola l'attenzione di Luigi Einaudi.
Sul piano pratico, ad esempio, la moneta è unica ma gli interessi sui bond, i titoli di debito pubblico, sono differenziati, poiché ciascun Paese dell'eurozona risponde non in solido del proprio debito. Come meravigliarsi che poi lo spread4 diventi uno strumento speculativo e giunga a destabilizzare la sfera politica?
Ogni trattato dovrebbe contenere una modalità di recessione, in mancanza della quale perde “cogenza”, vale a dire obbligatorietà.
Dall'Unione si può recedere, come nel caso inglese, attivando l'articolo 50 del Trattato di Lisbona, eppure non è dato sapere come si può uscire dalla moneta unica e dall'Eurozona, istituita a Maastricht.5 Quando si tratta di moneta (e finanza) la via è senza ritorno? La sovranità popolare ed il diritto sono annullabili ed annullati per l'eternità?
Il conflitto in corso è nell'aria da alcuni anni.6 Nonostante gli inserimenti in Costituzione dei “vincoli esterni” accennati poc'anzi, le “novità” restano corpi estranei e cozzano contro l'impianto generale che fonda la Repubblica sulla sovranità popolare.
Una inaccettabile pedagogia
Rispetto all'Europa, nel “Contratto per il governo del cambiamento”, [vedi il testo integrale del punto 29, in allegato.] tra M5S e Lega, si segue una logica che possiamo interpretare come “pedagogica”.
Innanzitutto i contraenti mettono in evidenza che ai proclami di principio nell'Unione non hanno fatto seguito adeguate e coerenti azioni. Sicché i grandi obiettivi politici enunciati nei Trattati europei, non hanno trovato pratica attuazione, anzi le applicazioni, da anni sotto i nostri occhi, contraddicono gli obiettivi dichiarati.
Ne deriva la richiesta di una sequenza di azioni correttive, affinché si realizzino effettivamente le promesse di coesione economica e sociale, di politica monetaria aderente in positivo alle dicotomie territoriali, di organismi elettivi legittimati a prendere decisioni, in un quadro di ritrovata identità democratica e solidale perché sottratta alla supremazia di uno o più Stati membri. Pure le competenze che l'Unione ha dimostrato di non saper gestire al meglio, andrebbero riportate alla gestione dei singoli Stati.
Vi si sostiene che il sistema di regole di mercato adottato non risponde agli interessi dei cittadini e va ridiscussa la governance economica europea (moneta, Patto di stabilità e di crescita, Fiscal compact, ecc.) in quanto impianto «asimmetrico e basato sul predominio del mercato rispetto alla più vasta dimensione economica e sociale».
L'approccio del “Contratto” rovescia i ruoli in commedia: non è anti-europeo chi vuole tradurre gli obiettivi politici dichiarati (le finalità costitutive) in pratica conseguente, bensì chi nei fatti li disattende fino a sovvertirli.
Per parte mia osservo che sarà pur vero che una serie di obiettivi sono condivisibili: cooperazione, solidarietà, convergenza... compresa la critica all'impianto asimmetrico della governance...
Tuttavia, rimane il fatto che l'imprinting politico sui Trattati è di tipo ordo-liberista, funzionale alla finanziarizzazione dell'economia, e, nel caso della moneta unica, predisposto a sviluppi diseguali ed asimmetrici tra territori e Paesi, dai quali doveva sgorgare in modo “naturale” la supremazia di alcuni e la subalternità degli altri. Da questo punto di vista, i tecnici chiamati ad applicare i Trattati non si sono discostati dall'input politico primario e lo hanno realizzato con disciplina teutonica.
Ma atteniamoci al ragionamento del “Contratto”, per il quale la contraddizione tra disegno politico ed attuazione tecnico-pratica è dirimente, lasciando disponibili solo due condotte:
  1. continuare a chiedere il “riequilibrio”, rassicurare i nostri partners che mai e poi mai usciremo dall'euro e dai Trattati; in subordine battere i pungi sul tavolo per spaventarli un po' ma non troppo, per subito dopo desistere;
  2. chiedere, argomentare pubblicamente le nostre ragioni e trattare, lasciando intendere (senza dichiararlo) di essere pronti a ripiegare sul Piano B7, in caso di esito complessivamente negativo delle negoziazioni.
La prima condotta, nelle due variabili, è stata già sperimentata con pessimi risultati in questi ultimi anni. Non rimarrebbe che adottare la seconda.
Un governo italiano che seguisse questa linea instraderebbe il confronto pubblico lungo un percorso di apprendimento politico, durante il quale o si accettano via via le correzioni necessarie ai supposti fini, o, rigettandole, si renderebbe chiaro che all'Italia, magari non più sola, non resterebbe alternativa alcuna al pieno recupero della sovranità ceduta all'Unione europea.
Quando si dispone di un Piano B, pur considerandolo una extrema ratio, non si è più obbligati ad accettare diktat ed imposizioni. Viceversa, la controparte dislocata tra Bruxelles, Berlino e Francoforte deve soppesare per bene cosa significherebbe, dopo la Brexit, un'uscita dell'Italia dalla moneta unica. Non volendo essere costretta a più miti consigli e volendo preservare le proprie posizioni di supremazia egemonica, è obbligata perciò ad impedire che il percorso pedagogico si attui.
Se in Italia gli eurodevoti non fossero certi della irriducibilità della Germania a condividere i rischi della moneta unica, non avrebbero paura che il confronto europeo sull'euro si svolga. Sanno bene che, pur di non condividere i rischi, a Berlino preferirebbero fare a meno dell'euro, lasciando la borghesia finanziaria italiana da sola alle prese con un Paese che non le si sottomette. Altrimenti, perché avrebbe scelto di farsi forza con vincoli esterni?
Ecco perché, invece di disporsi al dialogo, hanno subito preferito la drammatizzazione dello spread, che oscilla non tanto a comando di qualcuno – secondo la spiegazione complottarda - ma a causa proprio degli automatismi d'allarme inseriti nell'area economica e valutaria comune, i quali erigono i mercati finanziari a supremi giudici di ultima istanza, in un circuito totalmente vizioso.
Ecco perché all'Italia è negato un piano B, del quale sia la Germania che la Francia dispongono.
Ora un coro unanime ci ammonisce: vi siete scordati della Grecia! Volete finire desolati davanti ad un bancomat che vi nega i soldi per la spesa?
Il compito principale di un capo dello Stato è richiamare al rispetto dei patti internazionali, benché si rivelino d'iniquo e deleterio effetto pratico, o di assecondare la libera affermazione della volontà del proprio popolo nell'esercizio democratico della sovranità nazionale?
La confraternita di Einaudi
Veniamo al Luigi Einaudi che piace a Mattarella.
Nel maggio del lontano 1961 Einaudi scriveva per il Corriere della Sera un pezzo intitolato: “Lettere dell'alfabeto”.8
All'autore gli acronimi dei numerosi organismi internazionali del tempo (MEC, ONU, NATO, SEATO, ecc.) apparivano come lettere di un alfabeto internazionale dei trattati.
L'articolo riveste una particolare importanza perché sintetizza il punto di vista del liberalismo cosmopolita in tempi in cui stava sulla difensiva e doveva accontentarsi di porre freno ai mutamenti radicali, di “struttura”,9 insomma alla voglia di socialismo. E Luigi Einaudi trova quanto fossero fecondi non tanto e non solo i Trattati, scritti dai politici, ma soprattutto la loro pratica attuazione da parte di uno stuolo di esperti, che chiama “confraternita”.
In estrema sintesi egli constatava con piacere che il vigore della confraternita peritale si affermava negli organismi internazionali «sottraendo così agli stati singoli una parte della loro sovranità», con effetti anche sul diritto costituzionale interno.
I parlamenti chiamati ad esprimersi seccamente sui Trattati con un sì o con un no, prendere o lasciare,10 si trovano sovrastati dalla confraternita che, nelle aspettative di Einaudi, avrebbe agito a fin di bene, come si evince dall'estratto qui riportato in finestra. Non solo nell'allargare coerentemente le misure, volte in questo caso alla abolizione delle dogane, ad una più ampia circolazione di persone, servizi e capitali, ma soprattutto a porre rimedio agli squilibri derivanti dall'applicazione delle convenzioni stesse.
Lettere dell'alfabeto
Corriere della Sera”, 4 maggio 1961
di Luigi Einaudi

Estratto
«Forse il capolavoro si contempla nel trattato di Roma del 25 marzo 1957 per la istituzione della Comunità economica europea. Pensato dapprima col proposito di unificare le dogane fra i sei Paesi contraenti: Italia, Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo, esso finì per essere esteso a tutti i campi dell’attività umana. Come può invero un uomo perito delle cose economiche immaginare si possano abolire gradatamente le dogane interne fra i sei Stati, istituire una tariffa doganale comune, abolire le restrizioni quantitative fra gli Stati membri, senza riflettere che liberando le merci, occorre altresì statuire la libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali, abolire o ridurre o regolare le restrizioni monopolistiche alla concorrenza fra le imprese e imprese, abolire le pratiche dannose di svendite artificiali (dumping) e disporre aiuti alle imprese danneggiate dalla regolazione internazionale? Come è possibile lasciare i prodotti dell’agricoltura e dell’industria scorazzare liberamente da un paese all’altro, senza escogitare mezzi per impedire le crisi dovute all’irrompere improvviso di merci a buon prezzo in paesi incapaci a resistere alla concorrenza? Importa anche preoccuparsi delle bilancie attive e passive dei pagamenti, delle congiunture sfavorevoli, e dei rischi di disoccupazione; e provvedere affinché la politica sociale dei paesi contraenti si inspiri a principii uniformi, sicché, con contributi tratti da un fondo comune, si dia rimedio agli squilibri che dalla applicazione delle convenzioni possono derivare.»

La sovranità è stata sottratta, via via che si andava estendendo l'ambito di pertinenza dei Trattati, ma la confraternita peritale, sulla quale la Germania ed i più stretti alleati hanno investito tutta la loro attenzione, ha agito non nella direzione auspicata da Einaudi, ma all'opposto. È il fallimento del disegno tecnocratico del liberalismo europeo.11
Mattarella degli eurodevoti
Nel momento in cui il presidente Mattarella si rifiuta di nominare Paolo Savona a ministro dell'Economia, PD e Berlusconi si schierano al suo fianco. Ma l'atto di devozione all'euro non si spinge fino ad appoggiare Cottarelli. Anche Liberi e Uguali si dicono dalla parte del presidente, mostrando un'ansia di rientro nei ranghi del PD pari solo alla propria inutilità politica.
Potere al Popolo, invece, si dice contraria alla decisione di Mattarella, pur opponendosi al governo M5S-Lega. Tomaso Montanari, presidente di Libertà e giustizia, assume una posizione simile. Stefano Fassina (LeU) si era spinto fino ad appoggiare la candidatura di Paolo Savona a ministro dell'economia. Ciò nonostante tutti costoro, compreso Curzio Maltese (L'altra Europa con Tsipras), che ha più volte mostrato di apprezzare le posizioni di M5S nel parlamento di Bruxelles, non paiono voler trarre le dovute conseguenze politiche dai loro giudizi.12 Non si spostano dalla tribuna del politically correct anti-Lega e non assumono in prima persona la contraddizione principale di sovranità democratica che esige una risposta concreta.
Quasi che il Paese disponga di un'altra porta da cui passare per cominciare a rompere il grumo di potere sovranazionale della finanza. Sotto sotto la vince una ben strana convinzione “de sinistra” per cui soggiace comunque al nazionalismo chi vuole difendersi dalla supremazia e dall'egemonismo, mentre chi quella supremazia e quell'egemonismo lo pratica sarebbe internazionalista, a sua insaputa.
Note
1 Ugo De Siervo, “Quei vincoli impossibili da superare”, La Stampa, 23 maggio 2018.
2 Intervista di Silvia Truzzi a Massimo Villone, “Veti? Il Quirinale non può imporre indirizzi politici”, il Fatto Quotidiano, 24/05/2018.
3 I referendum popolari in Olanda e Francia del 2005 respinsero quello che era un ennesimo trattato, presentato come fosse una Costituzione europea.
4 Il differenziale di interessi tra Bund tedeschi e Buoni di altri Paesi, sempre a scadenza decennale.
5 L'Unione economica e monetaria (UEM) dell'Unione europea è stata istituita con il Trattato di Maastricht (1992).
6 Vladimiro Giacché, “Costituzione italiana contro trattati europei – Il conflitto inevitabile”, Imprimatur, 2015.
7 Il Piano B è il piano di emergenza, la scialuppa nazionale di salvataggio (ritorno alla Lira) nel caso in cui l'euro andasse a picco.
8 http://www.luigieinaudi.it/doc/lettere-dellalfabeto/
9 Rovesciandone il senso originario, i centri studi (Think Tanks) del liberismo mondiale hanno riproposto le “riforme di struttura” in chiave restaurativa: privatizzazioni, tagli a pensioni, sanità ed istruzione pubblica, precarizzazione del lavoro, liberalizzazioni, ecc. Infatti, ogni qual volta si richiama un Paese membro dell'Ue al rispetto dei patti, gli viene chiesto di accompagnare ai tagli doverose “riforme di struttura”.
10 Come se rispondessero ad un quesito referendario. I fautori italiani dell'attuale Europa si sono ben guardati dall'indire referendum consultivi per sapere cosa pensavano gli italiani dei Trattati da loro firmati.
11 Sul tema del liberalismo che qui non si discosta affatto dal liberismo, si vedano di Luciano Barra Caracciolo: “Euro e [o] democrazia costituzionale – La convivenza impossibile tra Costituzione e Trattati europei”, DIKE Giuridica Editrice, 2013; “La Costituzione nella palude – Indagine su trattati al di sotto di ogni sospetto”, Imprimatur, 2015.
12 Barbara Spinelli (L'Altra Europa con Tsipras) nutre invece sulla sovranità posizioni più avanzate.




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Contratto per il governo

del cambiamento
29. UNIONE EUROPEA (pag. 53-55)
Alla luce delle problematicità emerse negli ultimi anni, l’Italia chiederà la piena attuazione degli obiettivi stabiliti nel 1992 con il Trattato di Maastricht, confermati nel 2007 con il Trattato di Lisbona, individuando gli strumenti da attivare per ciascun obiettivo. In particolare chiederà:
  1. di fissare le linee di governo della domanda e dell’offerta globale allo scopo di raggiungere l’obiettivo concordato di “promuovere un progresso economico e sociale equilibrato e sostenibile, segnata- mente mediante la creazione di uno spazio senza frontiere interne, il rafforzamento della coesione economica e sociale e l’instaurazione di un’unione economica”;
  2. di estendere alla BCE lo Statuto vigente delle principali banche centrali del mondo per raggiungere un’unione monetaria adeguata agli squilibri geopolitici ed economici prevalenti e coerente con gli obiettivi dell’unione economica;
  3. di condividere le scelte concordate per “affermare l’identità europea sulla scena internazionale” che sia sganciata dall’immagine del- la supremazia di uno o piu Stati-membri in contrasto con il fondamento democratico dell’Unione;
  4. di attuare l’impegno preso in sede di Trattato di istituire “una cittadinanza dell’Unione” che sia espressione della parità “dei diritti e degli interessi dei cittadini” europei;
  5. di rafforzare come stabilito una “stretta cooperazione nel settore della giustizia e degli affari interni”;
  6. di sviluppare il necessario “acquis comunitario, (...) al fine di valutare (...) in quale misura si renda necessario rivedere le politiche e le forme di cooperazione instaurate (...) allo scopo di garantire l’efficacia dei meccanismi e delle istituzioni comunitarie”.
    Quest’ultimo obiettivo richiede il rafforzamento del ruolo e dei poteri del Parlamento europeo, in quanto unica istituzione europea ad avere una legittimazione democratica diretta e il contestuale depotenzia- mento degli organismi decisori europei privi di tale legittimazione.
Intendiamo inoltre favorire l’incremento dei percorsi di coordinamento decisionale a livello europeo con la dimensione locale, garantendo un maggior coinvolgimento dei territori attraverso una rappresentanza effettiva delle Regioni, e definire con precisione le competenze esclusive dell’Unione per rafforzare la sua incisività e capacita decisionale. Occorre inoltre, conformemente ai principi UE di sussidiarietà e proporzionalità vagliare le competenze dell’UE riportando agli Stati quelle che non possono essere efficientemente gestite a livello di Unione e rafforzando al contempo l’incisività e la capacita decisionale dell’UE sul suo ambito di intervento.
Al di la della definizione del quadro generale va riesaminato il com- plesso sistema di regole del mercato che si e andato accumulando nel tempo che non risponde agli interessi dei cittadini. Vanno debellati i fenomeni di dumping all’interno dell’Unione, eliminate le decisioni lesive degli interessi della piccola industria, valorizzate le nostre eccellenze produttive, perseguite le contraffazioni, le violazioni dei marchi e la circolazione dei falsi, proibendo le confusioni tra “Made by Italy” e “Made in Italy” e imponendo la dichiarazione di origine dei prodotti. Sotto il profilo del bilancio UE e in vista della programmazione settennale imminente occorre ridiscuterlo con l’obiettivo di renderlo coerente con il presente contratto di governo.
Con lo spirito di ritornare all’impostazione delle origini in cui gli Stati europei erano mossi da un genuino intento di pace, fratellanza, cooperazione e solidarietà si ritiene necessario rivedere, insieme ai partner europei, l’impianto della governance economica europea (politica monetaria, Patto di Stabilita e crescita, Fiscal compact, MES, procedura per gli equilibri macroeconomici eccessivi, etc.) attualmente asimmetrico, basato sul predominio del mercato rispetto alla piu vasta dimensione economica e sociale. Ci impegneremo infine nel superamento degli effetti pregiudizievoli per gli interessi nazionali derivanti dalla direttiva Bolkenstein.
Per quanto concerne Ceta, MESChina, TTIP e trattati di medesima ispirazione ci opporremo agli aspetti che comportano un eccessivo affievolimento della tutela dei diritti dei cittadini, oltre a una lesione della corretta e sostenibile concorrenza sul mercato interno.
L’Unione deve esplicitamente riconoscere che l’Italia rappresenta un confine geografico esterno che va adeguatamente protetto per garantire e tutelare il principio della libera circolazione delle persone e delle merci. In particolare, intendiamo riformare i meccanismi di gestione di fondi UE preassegnati all’Italia. 


martedì 15 maggio 2018

La Repubblica che non c'è

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che non c'è


La seconda Repubblica muore restando incompiuta. La ripresa della sovranità nazionale, democratica e costituzionale contro l'Europa della finanza ad egemonia tedesca e francese, unico antidoto alle divisioni territoriali, alla decadenza, al nazionalismo xenofobo e neo-fascista. Verso la III Repubblica.

Breve storia di un fallimento
Ci fu detto che, con il prevalere del liberalismo economico, la caduta del Muro, la crisi dei partiti del dopoguerra e quant'altro, saremmo entrati nella seconda Repubblica. Con essa sarebbe cessata l'anomalia italiana e avremmo finalmente goduto di una sana alternanza di governo, come nelle “più avanzate democrazie occidentali”, facilitata da una legge elettorale maggioritaria grazie alla quale “la sera delle elezioni si sa chi ha vinto”.
Senonché, a causa di inspiegati motivi, le cose non sono andate affatto in questa direzione.
Nella nuova Repubblica, non solo il numero dei partiti non diminuisce, ma l'impresa di coalizzarli in due poli (centro-sinistra e centro-destra) dà origine a confuse ammucchiate. Forzati all'unione, i partiti non smettono di litigare anche una volta al governo. Fatto rilevante, pur alternandosi al potere e declamando reciproche differenze, le due coalizioni finiscono per seguire le stesse politiche che penalizzano il lavoro, quasi tutto il lavoro, e favoriscono il grande capitale a vocazione finanziaria.
Quando scoppia la crisi del 2007-2008 le criticità si accentuano. Alle elezioni del 2013 spunta un terzo incomodo, il M5S. Il bipolarismo entra in crisi e pure il sistema elettorale maggioritario (l'incostituzionale Porcellum) non garantisce una maggioranza di governo. Così nascono esecutivi di più o meno larghe intese che rendono ancor più indistinguibili sinistra e destra, semmai in pochi anni di alternanza fosse rimasta qualche percepibile differenza.
Galvanizzato dal successo del PD alle europee del 2014, il premier Matteo Renzi vara una riforma costituzionale con annessa legge elettorale (l'incostituzionale Italicum) di impronta gollista, andando incontro ad una cocente sconfitta nel dicembre del 2016. Poiché dieci anni prima una riforma similare, proposta dal centro-destra, subì la stessa sorte, si può affermare con certezza che la maggioranza del popolo italiano non vuole rinunciare alla Costituzione della prima Repubblica. Ergo: la seconda si avvia alla fine restando incompiuta.

SECONDO GUSTAVO ZAGREBELSKY

Sostituire il Rosatellum

«Un governo di coalizione su pochi punti (…) E un Parlamento che sostituisca il Rosatellum con una legge proporzionale a preferenza unica, senza liste bloccate di nominati né paracadutati con le famigerate multicandidature, che ci restituisca un Parlamento di veri eletti dai cittadini, quindi capace di autonomia. I quali poi diano vita a coalizioni omogenee e, a fine legislatura, ne rispondano agli elettori.»
Tre poli
«Il 3 è il numero perfetto anche per il pensiero costituzionale: la cifra dell'equilibrio dinamico che garantisce tutti. Se in parlamento hai tre forze, due potrebbero accordarsi per eliminare la terza, ma poi si piomberebbe nel numero 2: la stasis e lo scontro. Invece conviene a tutti che esista sempre una terza forza, a garanzia delle altre due, contro l'esplodere del conflitto radicale.»
Il fare e l'essere
«é vero che i problemi non sono né di destra né di sinistra. Ma le soluzioni lo sono, eccome. La sicurezza urbana, la gestione dei flussi migratori, la questione fiscale, il tema del lavoro sono problemi che tutti devono porsi: ma il modo di risolverli non è uguale a seconda che li si guardi da destra o da sinistra. Il fare dipende dall'essere, che non si ricava dalle enunciazioni programmatiche.»

*Dall'intervista di Marco Travaglio, “Eversivo l'Aventino di Renzi – Nel proporzionale ci si allea”, il Fatto Quotidiano, 1/5/2018.
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Perversioni elettorali
Se una Repubblica dall'esecutivo troppo forte è rifiutata dalla maggioranza e le leggi elettorali maggioritarie di “governabilità” hanno fatto fiasco, con l'emergere di una terza forza politica e la conseguente fine del bipolarismo, appare d'obbligo il ritorno al proporzionale.
Tutti sembrano adeguarsi a questo inevitabile ritorno e, in un primo momento, si guarda al modello tedesco. Ma il sistema elettorale ritagliato ad hoc, dopo che in commissione era stato purgato dal voto disgiunto vigente in Germania, viene fatto saltare in aula dal PD. Quanto fossero capziose le motivazioni addotte per cassare il Tedeschellum, lo si accerta quando lo stesso PD e FI si accordano sul Rosatellum, ottenendone poi l'approvazione interessata della Lega.
La legge elettorale attualmente in vigore, il Rosatellum, presenta aspetti di incostituzionalità, eppure, al pari del Porcellum, venne validata senza che il Capo dello Stato avanzasse pubbliche riserve, in un clima di generale voluta indifferenza.
Poiché i suoi ideatori subiranno un pesante smacco alle elezioni di marzo, sono in molti a pensare alla “eterogenesi dei fini”,1 o all'avverarsi del famoso proverbio per il quale “il diavolo fa le pentole ma non i coperchi”. Fatta per fregare i populisti antisistema, la legge su misura del proprio tornaconto produce invece il risultato opposto.

D'altro canto, da tre partiti pro-maggioritario non poteva che nascere un proporzionale perverso, congegnato in modo tale da impedire al M5S (proporzionalista), se avesse avuto successo, di vincere.
Nel Rosatellum prevalse, più che la volontà di affermarsi, il riposto proposito di impedire ai vincitori di governare. A conferma delle vere finalità del Rosatellum, basta dare un'occhiata ai principali giornali, dopo il pronunciamento del presidente Mattarella del 7 maggio a favore di un governo neutrale. Gridano, qualunquisticamente, alla “irresponsabilità di tutti i partiti” e finiscono per caldeggiare il rifiuto delle urne. Piuttosto del cambiamento, meglio una democrazia senza popolo?
PD e FI misero in conto l'affermazione della Lega all'uninominale nelle aree settentrionali, come prezzo da pagare in cambio del suo appoggio alla legge Rosati e dell'assunzione del vincolo di coalizione nel centro-destra. Sicché, una volta ingabbiato Salvini, attratto anche dall'idea di cannibalizzare FI restandole avvinghiata, solo l'inverosimile raggiungimento del 40% da parte dei Cinque Stelle avrebbe permesso loro di governare in solitudine. Di contro, l'altro forno sarebbe rimasto sicuramente chiuso, essendo i parlamentari del PD vincolati al capo che li ha nominati. Pertanto, il lungo stallo post elettorale è in buona parte dovuto alle perversioni del Rosatellum, consistenti:
  • nella possibilità di formare coalizioni vincolanti prima del voto e non dopo il voto, come è nella logica del proporzionale;
  • nelle nomine dei candidati su listini bloccati dalle segreterie di partito, garantite dalle multi-candidature e non liberi di scegliere una volta eletti.
A questo proposito la proposta elettorale di Zagrebelsky coglieva solo parzialmente nel segno.
Nel passaggio
Come sostiene Zagrebelsky, il proporzionale è più aderente alle pluralità politiche, culturali e sociali presenti nel Paese, insomma al nostro DNA. Al tempo stesso, il tripolarismo pare il più rispondente alla nostra Costituzione anche materiale.
Sono ragionamenti sulle istituzioni politiche di sicura ratio democratica che, tuttavia, non colgono il passaggio nel quale siamo coinvolti. Per capirlo serve ancor meno fare ricorso al vecchio paradigma interpretativo destra-sinistra.
Per quali motivi il sistema bipolare abbinato al maggioritario e la seconda Repubblica, incompiuta sul piano costituzionale, sono andati al fallimento?
Essenzialmente perché, oltre a forzare all'unione partiti discordanti (le “ammucchiate”), mostrarono che i governi ai quali davano origine finivano, anche quando si alternavano, per seguire le stesse politiche antipopolari a cospetto della crisi economica, dell'Europa e della globalizzazione.
Pertanto la vera linea di demarcazione in questo momento non passa tra destra e sinistra, ammesso che siano distinguibili non idealmente ma praticamente. Passa tra “populisti euroscettici anti-sistema” e partiti dell'ancien régime. Questi ultimi sono schierati con i poteri forti finanziari e sono fautori della permanente cessione alle oligarchie europee di rilevanti quote di sovranità nazionale, senza le quali la sovranità popolare e costituzionale non ha un luogo vivo e concreto in cui esistere. E d'appresso non lo ha neppure la lotta di classe nelle sue forme più partecipate e politicamente avanzate.
Sfuggendo a questo passaggio, giocare a fare la sinistra più a sinistra non ottiene alcun seguito: non morde la realtà.2 M5S e Lega hanno raccolto un così ampio consenso perché hanno saputo collegare la durezza del disagio sociale interno alla questione nazionale in Europa e nel mondo. Andrebbero, di conseguenza, incalzati sui vincoli ai quali non riescono a sottrarsi: quello interno italiano della Lega verso Berlusconi;3 quello esterno europeo che vede incerto il M5S, non a caso pressato dal presidente Mattarella, fattosi garante dei trattati internazionali.
Gridare al nazionalismo, alla xenofobia ed alla fascistizzazione, non difendendo la sovranità nazionale nella quale si esercita, in molteplici forme, la volontà popolare, produce solo preservazione degli attuali assetti di potere. Assetti che, in Europa, ingabbiano nella moneta unica e nell'austerità ordo-liberista territori e Paesi, riducendoli a periferie di un centro “a trazione tedesca” e, nell'ambizione di Macron, francese. Il primo nazionalismo da contrastare è quello che pretende egemonia sull'Ue.
Guardare ora all'eventuale governo M5S-Lega con la “puzza sotto il naso”4 condanna chi lo fa ad estraniarsi, a rimanere attaccato a sostantivi senza sostanza, a coltivare un essere politico privo di aderenza sociale e capacità di fare.
È in questo passaggio repubblicano che una forza per il socialismo e la pace non può rinunciare ad esserci e ritrovarsi.

Note:
1 Tra i quali Massimo Cacciari, mentre Marco Travaglio ha scritto del “diavolo (che) fa le pentole ma non i coperchi”.
2 Alle ultime politiche, il risultato di Liberi e Uguali è stato assai al di sotto delle attese, mentre Potere al Popolo ha raccolto circa la metà dei suffragi che a suo tempo furono destinati all'Altra Europa per Tsipras.
3 Un vincolo interno che pure richiama quello esterno, vista la dichiarata fedeltà di FI alla linea del partito popolare europeo.
4 Un esempio di questo atteggiamento è dato da Norma Rangeri del Manifesto, quando definisce il M5S “un partito di centro radicalizzato”. Cosa sarebbero mai i Cinque Stelle? Democristiani en colére?


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