- Wolfgang Schäuble1 [intervista integrale in Appendice] spiega la posizione del suo governo sulla fase attuale della politica europea.
- Possiamo scandagliarne il “sottostante” rispetto al ruolo della Germania.
- Il ministro delle Finanze tedesco non relega l'Italia a far da figurante, purché attui le riforme, i famosi compiti a casa.2
- Si fronteggiano i populismi osservando le regole pattuite.
- Sono necessarie ulteriori cessioni di sovranità nazionali, adottabili con soluzioni di tipo “pragmatico”.
- La condivisione dei rischi va preceduta dalla loro riduzione al minimo.
- Dal Fondo salva-Stati (ESM) ad un Fondo Monetario Europeo.
- A riferimento rimane l'“economia sociale di mercato” di Ludwig Erhard,3 uno dei massimi esponenti della scuola ordoliberista tedesca.
- Ciascun Paese si disponga alla propria crescita concorrenziale.
- Come “sociale” sarebbe l'economia di mercato, diverrebbe “inclusiva” la globalizzazione liberoscambista.
Dal
puzzle
greco
Nel
giro di poche settimane si sono aggiunti due tasselli alla
ricostruzione del puzzle di quanto realmente avvenne durante
le trattative europee che, nell'estate del 2015, portarono al terzo
memorandum dedicato alla Grecia.
Prima
del
ballottaggio francese, da Gianīs Varoufakīs, allora Ministro delle
Finanze nel primo Governo Tsipras, abbiamo appreso che Emmanuel
Macron, titolare per la Francia dell'analogo dicastero, fu tra i
pochi, se non l'unico, a cercare di evitare alla Grecia le pesanti
misure a cui poi venne sottoposta.
Non
sappiamo quanto e come la posizione di Macron e, supponiamo, quella
degli interessi francesi a cui dava voce, possano pesare sul futuro
dell'Unione.
Sappiamo
però (secondo tassello), per bocca di Schäuble, che la stragrande
maggioranza dei ministri delle Finanze era per una provvisoria uscita
della Grecia dall'euro; soluzione a cui non aderì il governo di
Atene, che preferì sottostare alle pesanti condizioni del remain,
piuttosto di venire messo “temporaneamente” alla porta. Il
ministro tedesco viene a confermare l'impressione immediata che,
posto e postosi in condizioni di estrema debolezza negoziale, Tsipras
si arrese di fronte ad un vero e proprio ricatto.
Poiché
Schäuble conferma Draghi sulla “irreversibilità” dell'euro, se
ne deduce che uscire dalla moneta unica non è consentito per
decisione autonoma di un Paese, secondo propria valutazione di
sostenibilità, ma solo su proposta della maggioranza dei
co-partecipanti, quando lo ritengano, loro per tutti, necessario.
Salvo rifiuto del ricevente proposta di aderire all'invito,
sottoscrivendo, in cambio, le pene più austere.
Ciò
bypassa l'adozione di una procedura formale per consentire ad un
Paese di uscire dall'euro in modo autonomo, con suo minimo danno,
essendo già operativo un pragmatico meccanismo di esclusione
“temporanea”, evitabile solo con suo danno massimo. Non si tratta
di un singolo caso. Non toccare i Trattati, agendo per sviluppi
interni e per escamotages,4
è metodo consolidato.
Resistendo
alla ricorrente richiesta di una concreta democratizzazione
dell'Unione, e fiutando l'aria che tira, per il governo tedesco è
più realistico far avanzare l'Eurozona e l'Unione tramite le
riunioni tra vertici governativi (l'intergovernativo), sulle cui
decisioni può meglio far valere la sua moral
suasion, persuasione
assai poco morale.
In
seconda battuta toccherà all'apparato tecno-burocratico gestire
quanto deciso, magari assumendo lo scomodo ruolo di capro espiatorio,
verso il quale comodamente deviare gli strali della crescente
insofferenza popolare, sempre rubricata come populismo.
Conseguentemente,
la medesima modalità viene riproposta per la
trasformazione-conduzione del Fondo salva-Stati (ESM) in un Fondo
Monetario Europeo.
Velocità
plurime
In
risposta alle richieste di democratizzazione, una volta aggirato
l'esercizio della volontà popolare per singole nazioni, tramite i
poteri decisionali conferiti all'Europa degli Esecutivi, sarebbe
bastante la creazione di un Parlamento ristretto alla zona euro,
sempre con poteri consultivi. Esso verrebbe ricavato da quello
attuale: lo formerebbero i deputati eletti nei Paesi partecipanti
alla moneta unica.
L'idea
di questa nuova istituzione è condivisa con Macron. Non viene detto
se ad essa corrisponderebbe anche una Commissione su misura
dell'Eurozona, investita dei relativi compiti di consigliare
l'intergovernativo5
ristretto e di controllare che le sue decisioni siano rispettate.
Per
i sostenitori della democratizzazione della zona euro sarebbe il
classico “contentino”, nella più complessiva sistemazione
dell'Europa a più velocità.
Va
da sé che il nocciolo della proposta tedesca sul come far avanzare
l'Unione non risieda nella duplicazione degli organi consultivi,
bensì nello sviluppo delle istituzioni della più pratica
governance.
In
parallelo con l'intergovernativo della zona euro non agirebbe solo la
Banca Centrale Europea (BCE), ma pure il nuovo Fondo Monetario
Europeo (FME), derivante dalla trasformazione del Fondo salva-Stati,
ossia dell'ESM,6
l'odierno Meccanismo europeo di stabilità, istituito dalle modifiche
al Trattato di Lisbona nel marzo del 2011.
Ispirazioni
Non
è qui il momento di ricordare le molteplici imprese dell'analogo
Fondo Monetario Internazionale, da cui trae ispirazione.
Esse
si ascrivono ad una istituzione che come altre, specie di carattere
economico, funzionano secondo i criteri di una tipica società di
capitali:
«(...)
il FMI agisce scontando, quanto al criterio del “voto”
deliberativo, il differente peso dei Paesi che vi aderiscono in
funzione della consistenza della contribuzione finanziaria, cioè del
rispettivo apporto al capitale del Fondo.»7
Non
di meno va annotato che la Francia ha maturato una specifica
competenza in materia, avendo espresso i due ultimi direttori del
FMI: l'attuale, Christine Lagarde, più volte ministro in diversi
governi del partito repubblicano, ed il suo predecessore, Dominique
Strauss-Kahn, del partito socialista, rimosso dall'incarico a seguito
di uno scandalo a sfondo sessuale. Strauss-Kahn fu tra i Vip
commensali alla cena di festa di Macron alla Copule,
dopo la sua vittoria al primo turno delle presidenziali.
Negli
ultimi tempi il FMI sembra preso da strabismo: da un lato i suoi
studi rimarcano la insostenibilità delle misure imposte, per esempio
alla Grecia; dall'altra ne condivide l'arcigna applicazione in quanto
membro della Troika. Delle due, in quale direzione andrebbe il
novello Fondo Monetario Europeo?
Al
rinegoziato asse franco-tedesco l'ardua risposta.
Da
parte italiana, porre nel neoeletto Macron eccessive speranze
potrebbe rivelarsi assai deludente, visti i precedenti francesi sin
dai tempi di Mitterrand. [Vedi
riquadro “Progetto comune”]
Progetto comune
«(...)
pur essendo evidente che in quel momento Berlino non può che
acconsentire alla richiesta francese [ndr: di introdurre la moneta
unica], è anche vero che porta a casa qualcosa di importante. Non
solo ottiene da Mitterrand la garanzia che la nuova moneta nascerà
sul modello del marco e avrà la stabilità come valore portante. Ma,
per quanto riguardo l'Italia (…), guadagna il sì francese a un
progetto comune ovviamente non reso esplicito, di
deindustrializzazione del nostro Paese. Pertanto, forse è dovuto
anche a questa circostanza se, nel '92, su forti pressioni esterne e
dopo la mini crociera del Panfilo Britannia
tra le acque di Civitavecchia e dell'Argentario con a bordo uomini di
Stato, capitani d'industria e rappresentanti dell'alta finanza
internazionale, il governo Amato varerà un imponente piano di
privatizzazioni di molti gioielli dello Stato: Iri, Eni, Ina, Comit
eccetera.
È
importante tenere presente che per Kohl, depotenziare sui mercati un
concorrente insidioso come l'Italia, è condizione indispensabile per
cercare di vincere la sfida della riunificazione che si annuncia
costosissima e quindi impopolare.»*
*
Angelo Polimeno, “Non chiamatelo euro”, Mondadori, 2015, pagg.
26-27.
Rischi
condivisi
Nel
denunciare i trasferimenti alla rovescia, dalle Periferie al Centro
anziché viceversa, Marcello Minenna8
ha descritto un meccanismo interno al Quantitative
easing
di Mario Draghi.
Grazie
ad esso, gli interessi sui titoli di Stato nazionali, pagati dal
Tesoro dei singoli Stati emittenti (Italia e Spagna soprattutto),
vengono incamerati dalla BCE che li acquista. Essa, a sua volta,
distribuisce gli interessi alle diverse banche centrali in
proporzione al loro apporto di capitale in BCE. Il giro si chiude con
la Bundesbank che incassa la maggior quota rispetto a Bankitalia ed
al Banco de España. In pratica, in cambio della liquidità ottenuta
a tassi d'interesse calmierati, i debitori pagano un “dividendo”
ai creditori.
Con
la rimarchevole differenza che, a causa dei diversi statuti interni,
Bundesbank gira l'incasso al governo federale, mentre Bankitalia li
rimette al 70% alle banche private, a loro volta dominanti nel suo
capitale. Una plastica dimostrazione di come nel nostro Paese si
manchi di “fare squadra”, all'opposto della Germania compatta nel
sodalizio governo-finanza-industria. Un sodalizio affatto nuovo nella
sua storia.
Nella
breve vita dell'ESM, dal cui sviluppo nascerebbe il FME, esiste il
caso esemplare spagnolo a cui fare riferimento. A spiegarcelo è uno
studio della Bocconi,9
diretto proprio dal professor Minenna. [Vedi
riquadro “ESM: il caso spagnolo”]
ESM: il caso spagnolo
Al
momento in cui nasce per sostituire il precedente EFSF, che richiede
semplici garanzie, l'ESM comporta il trasferimento di risorse reali
da parte degli Stati aderenti in proporzione al proprio PIL [vedi
grafico sotto],
per un esborso totale di 80 miliardi di €
da
versare in due tranches,
il 40% entro l'ottobre del 2012.
Contribuzione percentuale dei vari Stati membri dell'Unione
|
In
aggiunta al capitale fisico, la sua capacità di prestito deriva dal
mercato, chiamato a sottoscrivere le sue obbligazioni per un massimo,
di legge, di ulteriori 620 miliardi di euro (88,57% del totale).
Se,
come da dichiarata disponibilità europea, il governo di Mariano
Rajoy avesse avuto bisogno di 100 miliardi, il Fondo ESM avrebbe
dovuto raccoglierne 20 sul mercato, qualora il capitale fisico fosse
stato interamente versato. A conti fatti l'ESM soccorse Madrid “solo”
per circa 41 miliardi.
Osserva
Minenna che il governo spagnolo nell'estate del 2012 si trovava in
seria difficoltà con problemi di liquidità e di deficit
(oltre il 10%).
«Il
semplice avviamento dell'ESM è dunque costato al governo spagnolo
circa 4 miliardi di €, pari all'intero collocamento di un'asta di
media entità effettuato a tassi di interesse molto elevati; in
sostanza il governo spagnolo nel 2012 si è indebitato a tassi
punitivi per costituire il capitale con cui sono stati erogati i
prestiti nella forma di obbligazioni ESM o EFSF previsti per il
salvataggio del proprio sistema bancario.
«Ed
il paradosso non finisce qui: nonostante il bailout
del proprio sistema bancario, il governo spagnolo non è stato
esonerato dal versamento del rimanente 60% della quota di avviamento
dell'ESM (altri 5,76 miliardi di €). In ultima analisi, non senza
ironia, la partenza dell'attività del Fondo di stabilità ha reso
più probabile la richiesta da parte del governo spagnolo di un
intervento del Fondo, anche a supporto del proprio finanziamento
diretto. Come a dire: la Spagna averebbe finanziato a caro prezzo il
proprio deficit
futuro.»*
*
Marcello Minenna ed altri, “La moneta incompiuta”, seconda
edizione, Ediesse, 2016, pag. 353.
La
vicenda mostra: la debolezza di un Fondo sotto-capitalizzato rispetto
al sopravvenire di una crisi di una certa rilevanza; un circuito
vizioso per il quale le stabilizzazioni finanziarie europee finiscono
per alimentare le cause stesse dell'instabilità dei Paesi in
difficoltà.
Infine,
essa conferma la propensione basilare dei salvatori, tipica dei
creditori finanziari, ad approfittare delle difficoltà del soggetto
da salvare per infliggergli condizioni punitive.
Propensioni
Secondo
alcuni, tale propensione risiederebbe nella cultura tradizionale
tedesca per la quale, agli occhi dei salvatori, i salvati restano
comunque dei peccatori chiamati ad espiare le loro colpe.10
Quasi che l'etica protestante spiegasse non solo lo spirito
originario del capitalismo, secondo la celebre tesi di Max Weber, ma
pure il suo presente finanziario.
A
mio parere, questa perdurante condotta, è più riconducibile
all'Ottocento, durante il quale la Germania, per salire la scala
dello sviluppo scalciata da Inghilterra e Francia che stavano in
cima, abbracciò una sua forma specifica di nazionalismo economico.
In
contrasto con le teorie economiche di Adam Smith e David Ricardo,
l'economista Friedrich List (1789–1846) le aveva consegnato una
«visione
dell'economia come branca dell'arte di governo»,11
alla quale, non a caso, hanno attinto ed attingono i Paesi che si
ritrovano a voler salire quella scala.
Come
scrive Alfredo Gigliobianco,12
List «non
accetta i vantaggi comparati di Ricardo come un dato, ma sostiene che
i vantaggi si possono acquisire. Acquisirli è compito dello Stato,
che agisce attraverso le politiche. Il gold standard è una di tali
politiche (quella scelta dall'Inghilterra per mantenere la
supremazia), ma molte altre se ne possono enumerare: politica
commerciale, politica industriale, governo dei tassi di cambio,
politiche macroeconomiche.»
Nell'odierno
contesto, cosa serve all'affermazione della supremazia della
riunificata Germania, se non il sistema monetario europeo (del tutto
simile al gold
standard
britannico) per interpretare a proprio favore il liberismo ed il
liberoscambismo contemporanei?
All'interno
di questo approccio storico va compreso l'ordoliberismo, di cui
meglio si vedrà più avanti.
Senza
considerare il liberal-nazionalismo non si spiegano i ricorrenti
attriti sia con il Regno Unito, approdato alla Brexit, sia con il
partner
francese, al quale Schäuble rimprovera di porre ostacoli alle
cessioni di sovranità in capo all'Unione. Ostacoli, di contro, non
addebitabili alla Germania (e se ne comprende il motivo) ed
all'Italia (incomprensibile, se non in un'ottica di subalternità
della sua élites
dirigenti).
Per
tornare alla proposta di un FME, rimane da capire cosa comporti la
sua nascita che, per non dipendere dai mercati finanziari globali e
dai loro tassi d'interesse, dovrebbe disporre di un proprio capitale
fisico, apportato dagli Stati in misura superiore a quello di cui
dispone l'ESM. Nello specifico, a quali ulteriori versamenti in conto
capitale sarebbero costretti l'Italia o altri Paesi in permanenti
difficoltà?
Una
volta raggiunto l'obiettivo dell'inflazione al 2%,13
gli acquisti della BCE dei titoli emessi dal Tesoro italiano,
nell'ambito del Quantitative
Easing,
verranno a cessare. Con essi cadrà l'effetto calmieratore sui tassi
d'interessi da pagare, che pesano sul deficit
corrente. Ciò potrebbe reinnescare un rialzo dei tassi sulle nuove
emissioni da collocare sul mercato, appesantendo il bilancio sul lato
della spesa, riducendone ancor più i margini, nel rispetto degli
obblighi del Fiscal
Compact,
il patto di bilancio europeo.
Al
probabile rialzo dello spread14
si
accompagnerebbe una riduzione delle risorse da destinare al welfare
ed agli investimenti necessari al rilancio dell'occupazione, già ora
insufficienti oltre che male indirizzati.
Cos'altro
si dovrà privatizzare, tagliare e penalizzare socialmente?
Istigazione
al conflitto
In
fuga dai rischi condivisi, implicita nei vari meccanismi di stabilità
finanziaria, il ministro tedesco delle Finanze chiede ora che, in via
preliminare, i titoli di Stato non siano considerati “neutrali”,
ossia disgiunti dalle responsabilità degli emittenti nazionali, ed i
rischi anche bancari vengano tanto ridotti da risultare accettabili,
quando fossero alfine messi in comune.
Insomma,
la Germania condividerebbe i rischi... solo quando fossero ridotti
pressoché a zero.
Sta
di fatto che la condivisione è rimandata sine
die,
alle calende greche, mentre al contempo le decisioni della zona euro
verrebbero prese insieme ed oltremodo accentrate d'autorità.
Perdurante il rigore del Fiscal
Compact,
i rischi derivanti da quelle decisioni comuni sarebbero rimandati (in
gergo “segregati”) ai singoli Stati-nazione, as
usually,
come di consueto.
Alle
sovranità ulteriormente cedute all'intergovernativo dell'Eurozona,
corrisponderebbe l'esercizio di sovranità nazionali altresì più
passive, residuali e subalterne, chiamate all'ingrato compito di far
digerire ai propri popoli le conseguenze di politiche sulle quali
essi avrebbero ancor meno voce di oggi.
Questa
filosofia tedesca applica all'Europa il modello di globalizzazione
per il quale enormi profitti sono appannaggio della finanza
internazionale e delle grandi imprese oligopolistiche, mentre le sue
ricadute sociali e territoriali, i “cocci”, sono lasciati alle
politiche interne degli Stati. Starà a ciascuno di loro gestirsele
al meglio, secondo forza competitiva meritoriamente conquistata,
capacità di “fare squadra” nazionale, coesione propria tra
politica e finanza-industria. Una coesione di cui la Germania pensa
di essere patria maestra, sia nel posizionare le proprie imprese
all'incasso dei profitti, sia nel sapersi gestire le ricadute.
Viene
volutamente glissato il problema che la pratica attuazione di questa
filosofia finisce, in sé e per sé, per istigare al nazionalismo
conflittuale: il nazionalismo di supremazia degli Stati-nazione più
forti contro ill nazionalismo d'autodifesa di quelli più deboli. Ciò
nonostante la Germania crede di poter esercitare la propria
leadership
in Europa e dall'Europa nel mondo, somministrando a tutti la ricetta
ordoliberista.
Il
cane si morde la coda
Non
passi inosservato il richiamo di Schäuble a Ludwig Erhard, uno dei
massimi esponenti della scuola ordoliberista. Tutta la dirigenza
tedesca vi è saldamente ancorata: non solo il partito di Angela
Merkel, CDU/CSU, ma pure la SPD, il partito socialdemocratico.
Essa
è fautrice della “economia sociale di mercato”.
A
prescindere dall'origine storica dell'aggettivo “sociale” e dal
motivo per cui fu adottato,15
in tale economia è la competizione ad assumere il ruolo dominante.
Il “sociale”, ossia il welfare
e
le politiche del lavoro, livelli salariali inclusi, rientrano nei
fattori da rendere compatibili col “libero mercato”, con la
stabilità dei prezzi assunta a baricentro sistemico, del quale si fa
garante l'ordine monetario della banca centrale, ieri la Bundesbank
ed oggi la BCE.
In
concomitanza con l'adozione dell'euro, nato dopo un tribolato
periodo di gestazione, la Germania riunificata puntò sulla propria
attitudine neo-mercantilista, basata sull'incremento esponenziale
delle esportazioni e la contrazione sia dei consumi interni, sia
delle importazioni non funzionali al comando delle filiere
sub-fornitrici delle proprie produzioni.
Il
suo sistema finanziario-industriale ha goduto e gode di una
“svalutazione competitiva” di fatto (l'euro deprezzato rispetto
al marco) e dall'impossibilità di Paesi concorrenti come l'Italia di
ricorrervi, come in passato secondo l'andamento della propria
economia (l'euro sovrapprezzato rispetto alla lira).
La
Germania ha trasformato la rinuncia al marco in favore della moneta
unica, impostole da Mitterrand in cambio dell'assenso alla sua
riunificazione, in un vantaggio “improprio”, anche attraverso le
riforme Hartz (2003-2005), tempestivamente adottate dal governo
socialdemocratico di Gerhard Schröder.
Nelle
condizioni del sistema euro, che equivale ad un cambio fisso interno
e variabile all'esterno, vincolati i governi al pareggio di bilancio,
non rimane che fare ricorso alla deflazione salariale. Questa è la
ragione principale per cui alle riforme Hartz sono seguite analoghe
politiche in ciascun Paese concorrente, comprese la Reforma
Laboral
spagnola,
il
Jobs
Act
italiano e la Loi
Travail
francese. Riforme del lavoro di cui non si intravvede la fine,
proprio perché perseguono la finalità del rilancio economico
tramite la competitività su di esse basata.
Per
realizzarsi la deflazione salariale ha bisogno di un esercito di
riserva di disoccupati (liberi solo di emigrare), che premano
costantemente al ribasso sulle remunerazioni del lavoro. Allorché,
tuttavia, la disoccupazione raggiunge livelli socialmente
insopportabili, i governi delle Periferie si trovano
nell'impossibilità di farvi fronte con massicci investimenti
pubblici anche di assoluta necessità, come vorrebbe il nostro
territorio assai disastrato sul piano idro-geologico, sismico ed
ambientale. Questo perché la loro spesa è bloccata dai vincoli di
bilancio posti dai patti e dalle regole europee, a salvaguardia della
stabilità monetaria e finanziaria presupposta. Una stabilità resa
continuamente instabile proprio dai meccanismi che dovrebbero
garantirla: il cane si morde la coda.
Tacendo
della Grecia, sulla quale sono stati spenti i riflettori, viene
indicata alla pubblica ammirazione la ripresa spagnola, che sarebbe
stata veicolata dalle “riforme di struttura” promosse dal
governo.
Già
nel 2015 Simon Tilford riteneva che la crescita iberica fosse
collegabile essenzialmente all'abbassamento dei salari, nonché ad un
export di beni di scarsa qualità (low-value).
Un punto di vista confermato un anno più tardi dall'economista Angel
Talvera di Oxford Economics.
Alla
crescita delle esportazioni non ha corrisposto un incremento delle
importazioni. Nel 2016 il PIL cresce (+3,3%), ma la riduzione della
disoccupazione, comunque elevata (18,63%) soprattutto tra i giovani
(43%), è dovuta a contratti precari e malpagati. In totale, il 40%
dei 18,5 milioni di lavoratori iscritti all’Inps spagnola sono
precari. D'altro canto la Spagna ha potuto derogare dal limite del 3%
di deficit
sulla spesa, avendo un debito consolidato minore dell'Italia, benché
abbia ormai superato il 100% del PIL.16
È
disfattismo euroscettico reputare un simile successo, oltreché
socialmente inaccettabile, piuttosto gracile anche dal punto di vista
“strutturale”?
Fin
quando durerà l'effetto della riforma del lavoro Rajoy del 2012,
senza apportarvi ulteriori sostanziali peggioramenti, appena un altro
Paese sopravanzerà la Spagna nell'offrire al mercato internazionale
merci e servizi low-value?
Invano
dalla gabbia i governi italiani hanno cercato di sfuggire, in due
modi che ciclicamente si ripropongono: o tagliando austeramente la
spesa, come Monti, o cercando qualche spazio di flessibilità in
deficit
come Renzi per tentare un ottimistico rilancio.
Senonché
il Tesoro italiano, dopo alcuni anni, certifica il fallimento del
primo, essendo la manovra del “potestà straniero”, da Varese,
costataci ben 300 miliardi di PIL.17
Mentre sui progressivi passi avanti del secondo e del Jobs
Act
testimonia la realtà sotto gli occhi di tutti. In attesa degli
appuntamenti di autunno, quando si dovranno affrontare i bilanci 2008
e successivi, abbiamo un'inflazione in crescita ed una prevedibile
contrazione dei consumi, stando all’orizzonte disegnato da
Confcommercio-Censis.
Competizione
scaricabarile
Intanto
la Germania neo-mercantilista ha battuto ogni record esportativo e
può limitare al proprio interno disoccupazione e deflazione
salariale, avendo agito secondo la nota logica di impoverire il
proprio vicino (“beggar
thy neighbour”).
All'interno
del sistema europeo attuale, combinare la “stabilità sociale con
la competitività” può sembrare fattibile agli occhi della
maggioranza dei tedeschi, ma non altrettanto a quelli dei popoli
mediterranei.
Poiché
il surplus
[vedi
grafico “Germania: surplus
della bilancia commerciale”]
è lievitato dal 2009 al 2016, il fenomeno non può venire
considerato una mera coincidenza.
Germania: surplus della bilancia commerciale |
Dal
punto di vista dell'inclusione sociale, c'è chi vi vede una
insanabile contraddizione con la nostra Costituzione, nata proprio
per combinare democrazia e lavoro.18
La
critica, in modo fondato, si estende al contesto internazionale,
laddove l'ordoliberismo pretende che a tale inclusione sociale in
ciascun Paese possa corrispondere una cooperazione internazionale
stabile.
Se
l'Europa nutre al proprio interno una crescente dicotomia tra un
Centro e differenziate Periferie, quand'anche riuscisse a presentarsi
sulla scena mondiale come un'entità politica unica, quale contributo
darebbe ad un ordine internazionale effettivamente basato sulla
cooperazione tra pari?
Nonostante
tutta la storia del Novecento ci ammonisca ad agire per una riduzione
di squilibri ed asimmetrie tra Paesi a diversi livelli di sviluppo,
la competizione economica liberoscambista ci sta conducendo nella
direzione opposta. Cosa che generava scontri definiti geopolitici, in
quanto localizzati in grandi ma limitate aree, fin quando la
gerarchia mondiale non è stata messa in discussione.
Appare
del tutto evidente che gli Stati emergenti, tra cui Cina Russia ed
India, dovranno essere ammessi ad un nuovo ordine multi-partecipato,
rimodellando da un lato gli assetti monetari e finanziari e,
dall'altro, quelli commerciali e produttivi.
Ma
ciò dovrebbe avvenire in una situazione paragonabile a quella
verificatasi tra il 1890 ed il 1914,19
che allora vedeva entrare in crisi il sistema imperiale del Regno
Unito, basato su un determinato governo della moneta e delle
relazioni commerciali internazionali.
In
mutate condizioni e circostanze, questo spiegherebbe l'aspra contesa
in corso negli Stati Uniti, tra tendenze diversamente rispondenti
all'unico scopo di mantenere superpotenza in posizione egemone
sull'attuale scena mondiale.
The
question
Dalle
pagine dei giornali o dai teleschermi viene ripetutamente posto il
quesito:
Hanno
presente quelli che vogliono l'uscita dall'euro, a quali pesanti
costi andrebbe incontro il Paese? Perché non ci spiegano, conti alla
mano, che fine farebbero le pensioni ed il potere d'acquisto di noi
tutti, soprattutto dei più deboli?
La
domanda implica una sola scontata risposta.
Chi
sarebbe tanto stolto da non
continuare a soffrire “i sassi ed i dardi dell'oltraggiosa
fortuna”, scegliendo di “prender armi contro un mare di guai”
ed inutilmente soccombere?
But,
this is not the question.
In
termini più realistici potremmo riformulare la domanda per meglio
ponderare la scelta politica:
Quali
sarebbero i costi eventuali di uscita dalla moneta unica, posti
a confronto
con quelli che stiamo sostenendo e col rischio incombente di un
repentino tracollo?
Sempre
che, con Wolfgang Münchau del Financial
Times, un
governo italiano non volesse dar prova di arditismo in difesa
dell'euro:
«Il
vero dilemma per quelli che vogliono riforme di governo dell'euro è
che il solo modo di arrivarci è attraverso una credibile minaccia di
fare default. Devi essere pronto a distruggere l'euro, se vuoi
salvarlo. E in realtà una minaccia del genere può venire solo
dall'Italia, non dalla Francia.»20
Non
è in questione semplicemente un “piano inclinato” da rimettere
in asse con qualche tardiva riforma, peraltro pensata nella logica di
coloro che su quel piano ci hanno condotto.
Note
1
Tonia Mastrobuoni, “Schäuble: così Francia
e Germania cambieranno la Ue”, Repubblica, 11/05/2017. Versione
integrale in Appendice.
2
In tedesco: Hausaufgaben.
3
Ludwig Erhard, cancelliere
della Germania dal 1963 al 1966, è ritenuto la mente guida della
ripresa economica della Germania nel dopoguerra.
4
In italiano sinonimo di astuzia,
espediente, stratagemma, trovata, trucco.
5
Come già sottolineato l'intergovernativo si trova nella posizione
di fatto, assolutamente anomala, si accentrare su di sé sia i
poteri legislativi sia quelli esecutivi.
6
Acronimo
dall'inglese: European
Stability Mechanism.
7
Luciano Barra Caracciolo, “La costituzione nella palude”,
Imprimatur, 2015, pag. 253.
8
Vedasi in questo Blog: “Il verme nella mela”, aprile 2017.
9
Marcello Minenna ed altri, “La moneta incompiuta”, seconda
edizione, Ediesse, 2016, prefazione di Romano Prodi, pagg.348-355.
10
In tedesco debito (Schuld) è
sinonimo di colpa.
11
Marcello De Cecco, “Moneta e Impero”, Donzelli, dicembre 2016,
pag.20.
12
Sua introduzione al libro (pag. XI) di cui alla precedente nota.
13
L'obiettivo fissato per l'Eurozona è assai vicino, mentre in Italia
l'inflazione, in aprile, è all'1,9%, dovuta soprattutto al
lievitare dei prezzi del petrolio e dei trasporti.
14
Misura della differenza tra i tassi d'interesse dei titoli di Stato
tedeschi e quelli degli altri titoli dei singoli Stati europei.
15
Vedasi nota n° 7 nel Post “Jours de Gloire”, maggio 2017.
17
Vedi a pag. 17 del Piano nazionale di riforma (Pnr) nel Documento di
economia e finanza (Def), approvato dal governo Gentiloni il 12
aprile 2017.
18
Luciano Barra Caracciolo, “La Costituzione nella palude - Indagine
su trattati al di sotto di ogni sospetto”, Imprimatur, 2015.
19
Studiato da Marcello De Cecco, nel libro citato alla nota 11.
20
Wolfgang Münchau, “Macron
ha buone idee, ma Merkel è più forte”, Corriere della Sera,
L'Economia, 22 maggio 2017.
APPENDICE
APPENDICE
Da la Repubblica, 11 maggio 2017
http://www.repubblica.it/economia/2017/05/11/news/scha_uble_cosi_francia_e_germania_cambieranno_la_ue-165144892/
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Schäuble:
"Così Francia e Germania cambieranno la Ue"
Intervista
con il ministro delle Finanze tedesco: "L'Italia non sarà
esclusa, ma faccia le riforme". "I Trattati non si
modificano ma va rafforzata l'eurozona"
dalla
nostra corrispondente TONIA MASTROBUONI
BERLINO
- Se fosse un quadro, quello che si vede dalle finestre del sobrio
ufficio di Wolfgang Schäuble si potrebbe intitolare "il secolo
breve". Si intravedono un pezzo del Muro di Berlino, l'ingresso
dei sotterranei della Gestapo e le scintillanti vetrine di
Friedrichstrasse. E il ministro delle Finanze tedesco ha scelto di
concedere a Repubblica quest'intervista in esclusiva in un "momento
fatale" per il futuro dell'Europa, come lo avrebbe chiamato
Stefan Zweig. L'elezione di Emmanuel Macron all'Eliseo non è un
passaggio qualsiasi. Il politico cristianodemocratico 75enne, che fu
protagonista di almeno due momenti chiave della storia tedesca,
ministro dell'Interno di Kohl quando cadde il Muro e ministro delle
Finanze di Merkel nelle fasi più acute della crisi, spiega nei
dettagli come immagina, partendo dalla ripartenza franco-tedesca, il
futuro dell'Euro.
Emmanuel Macron è stato eletto domenica presidente francese...
"...e Sebastian Vettel è in testa ai mondiali della Formula uno con la Ferrari! Il che dimostra che la collaborazione italo-tedesca, quando funziona, è imbattibile (ride, ndr)".
...E il pericolo di un Le Pen all'Eliseo è scongiurato di nuovo. Ministro, il sollievo universale potrebbe significare che si torna a 'più Europa'?
"Anzitutto siamo tutti contenti che Emmanuel Macron sia diventato presidente. E 'più Europa' è da un tempo la posizione del governo tedesco. In Germania pensiamo da molto tempo che l'Unione monetaria vada rafforzata. Il problema è noto: abbiamo una politica monetaria comune senza una convergenza adeguata delle politiche economiche e finanziarie. Ci sono molte iniziative per compensare questo difetto: il piano Juncker, piani bilaterali. Ora si tratta di migliorare, intanto, nei Paesi dove mancano le riforme strutturali e la competitività. Il piano Juncker è stato rafforzato a 500 miliardi di euro. Ora bisogna creare le condizioni per investire. Ci stiamo lavorando: siamo disponibili a piani di cooperazione franco-tedeschi - ma anche con altri paesi. Le condizioni, però, vanno create nei singoli Paesi".
Cosa vuol dire?
"La strettoia, spesso, è dovuta non alla mancanza di fondi, ma alla mancanza di di presupposti per gli investimenti - anche in Germania. Un problema enorme sono le procedure per le autorizzazioni: infinitamente lunghe e farraginose. Il progetto dell'aeroporto di Berlino non sta fallendo per la mancanza di soldi, esattamente come la costruzione di strade nello Schleswig-Holstein o da altre parti. I mezzi non mancano, mancano le condizioni giuste".
Macron ha espresso, come lei, il desiderio di rafforzare l'area dell'euro.
"Ne abbiamo parlato spesso, io e lui. Se legge mie vecchie interviste e articoli troverà molti punti in comune".
Ma il suo Ministro delle Finanze comune ha altre caratteristiche, no? Lei vorrebbe che avesse possibilità di intervento sui bilanci.
"Sì, altrimenti non ha senso. E Macron e io la pensiamo esattamente allo stesso modo. Però bisognerebbe cambiare i Trattati europei".
...E non si può fare? Neanche dopo le elezioni tedesche?
"Non è certo un problema della Germania. Il trasferimento di pezzi di sovranità nazionali all'Europa non è mai fallito per colpa della Germania o l'Italia, ma piuttosto della Francia. Il presidente Macron e io siamo totalmente d'accordo su questo: ci sono due modi di rafforzare l'eurozona: cambiare i Trattati oppure farlo con pragmatismo attraverso l'intergovernativo. Modifiche dei Trattati richiedono l'unanimità e la ratifica nei Parlamenti nazionali o in alcuni Paesi addirittura un referendum. Siccome al momento non è realistico, dobbiamo provare ad andare avanti con gli strumenti esistenti, dunque attraverso uno sviluppo del trattato che regola il fondo salva-Stati Esm".
Il fondo salva-Stati Esm deve diventare un Fondo monetario europeo, come lei lo sostiene da tempo?"Sì, ne ho parlato spesso con Mario Draghi: bisognerebbe rafforzare le istituzioni perché la Bce non debba sempre portare il peso di tutto. Ma ci vogliono cambiamenti dei Trattati. Però non possiamo neanche non fare nulla, perché rischiamo che si disgreghi l'Europa. La seconda migliore soluzione, dunque, è quella di creare un Fondo monetario europeo, sviluppando lo statuto dell'Esm".
Emmanuel Macron è stato eletto domenica presidente francese...
"...e Sebastian Vettel è in testa ai mondiali della Formula uno con la Ferrari! Il che dimostra che la collaborazione italo-tedesca, quando funziona, è imbattibile (ride, ndr)".
...E il pericolo di un Le Pen all'Eliseo è scongiurato di nuovo. Ministro, il sollievo universale potrebbe significare che si torna a 'più Europa'?
"Anzitutto siamo tutti contenti che Emmanuel Macron sia diventato presidente. E 'più Europa' è da un tempo la posizione del governo tedesco. In Germania pensiamo da molto tempo che l'Unione monetaria vada rafforzata. Il problema è noto: abbiamo una politica monetaria comune senza una convergenza adeguata delle politiche economiche e finanziarie. Ci sono molte iniziative per compensare questo difetto: il piano Juncker, piani bilaterali. Ora si tratta di migliorare, intanto, nei Paesi dove mancano le riforme strutturali e la competitività. Il piano Juncker è stato rafforzato a 500 miliardi di euro. Ora bisogna creare le condizioni per investire. Ci stiamo lavorando: siamo disponibili a piani di cooperazione franco-tedeschi - ma anche con altri paesi. Le condizioni, però, vanno create nei singoli Paesi".
Cosa vuol dire?
"La strettoia, spesso, è dovuta non alla mancanza di fondi, ma alla mancanza di di presupposti per gli investimenti - anche in Germania. Un problema enorme sono le procedure per le autorizzazioni: infinitamente lunghe e farraginose. Il progetto dell'aeroporto di Berlino non sta fallendo per la mancanza di soldi, esattamente come la costruzione di strade nello Schleswig-Holstein o da altre parti. I mezzi non mancano, mancano le condizioni giuste".
Macron ha espresso, come lei, il desiderio di rafforzare l'area dell'euro.
"Ne abbiamo parlato spesso, io e lui. Se legge mie vecchie interviste e articoli troverà molti punti in comune".
Ma il suo Ministro delle Finanze comune ha altre caratteristiche, no? Lei vorrebbe che avesse possibilità di intervento sui bilanci.
"Sì, altrimenti non ha senso. E Macron e io la pensiamo esattamente allo stesso modo. Però bisognerebbe cambiare i Trattati europei".
...E non si può fare? Neanche dopo le elezioni tedesche?
"Non è certo un problema della Germania. Il trasferimento di pezzi di sovranità nazionali all'Europa non è mai fallito per colpa della Germania o l'Italia, ma piuttosto della Francia. Il presidente Macron e io siamo totalmente d'accordo su questo: ci sono due modi di rafforzare l'eurozona: cambiare i Trattati oppure farlo con pragmatismo attraverso l'intergovernativo. Modifiche dei Trattati richiedono l'unanimità e la ratifica nei Parlamenti nazionali o in alcuni Paesi addirittura un referendum. Siccome al momento non è realistico, dobbiamo provare ad andare avanti con gli strumenti esistenti, dunque attraverso uno sviluppo del trattato che regola il fondo salva-Stati Esm".
Il fondo salva-Stati Esm deve diventare un Fondo monetario europeo, come lei lo sostiene da tempo?"Sì, ne ho parlato spesso con Mario Draghi: bisognerebbe rafforzare le istituzioni perché la Bce non debba sempre portare il peso di tutto. Ma ci vogliono cambiamenti dei Trattati. Però non possiamo neanche non fare nulla, perché rischiamo che si disgreghi l'Europa. La seconda migliore soluzione, dunque, è quella di creare un Fondo monetario europeo, sviluppando lo statuto dell'Esm".
E
su cosa siete già d'accordo con Macron?"Potremmo
rafforzare i meccanismi. Ne ho parlato anche con Emmanuel Macron: con
i parlamentari del Parlamento europeo si potrebbe creare un
Parlamento dell'Eurozona. Che potrebbe avere un potere consultivo sul
fondo salva-Stati".Lei
ha anche proposto che l'Esm diventi una sorta di istituzione terza
che controlli rigorosamente i conti pubblici, senza margini di
flessibilità. Una sorta di commissario della Commissione
Ue...
"L'idea è semplice: se creiamo norme comuni, vanno applicate. Non mi piace essere criticato perché voglio che le regole siano rispettate. E' il motivo per cui cresce la distanza tra i cittadini e l'Europa: quando non vengon rispettate le regole. E' qualcosa che sfinisce le persone".E' stato un errore riconoscere molta flessibilità all'Italia?
"No, e non ho mai criticato la Commissione Ue per questo. Lo chieda al ministro Padoan. E trovo che il Patto conceda abbastanza margini di flessibilità. A proposito: se i debiti creassero crescita, la Germania dovrebbe crescere di meno. E invece. Non si può dare sempre la colpa agli altri. Se la Francia ed altri hanno problemi, non può essere sempre colpa della Germania".Ma la Spagna cresce a ritmi robusti adesso, dopo anni di sforamento del disavanzo.
"La Spagna ha fatto soprattutto le riforme. A proposito: anche l'Italia ha fatto molte riforme. Ma ormai devo stare attento quando elogio il suo Paese. Quando l'ho fatto prima del referendum dello scorso dicembre la reazione dei media italiani non è stata gradevole. Ho grande rispetto per il lavoro che sta facendo Gentiloni. Spero non lo danneggi".Ma l'Italia cresce poco. Secondo lei perché?"Non lo so. Anche il mio collega italiano, Pier Carlo Padoan, ritiene la crescita attuale insufficiente. Io penso che il percorso di riforme di Renzi, quando era presidente del Consiglio, sia stato giusto. Adesso temo che l'Italia soffra della fase attuale di incertezza politica. Spero sia rapidamente superata".Questa incertezza la spaventa?
"Ho una grande fiducia nella saggezza democratica dell'Italia. La Germania ha un interesse genuino al benessere di tutti, in Europa, compresa l'Italia".L'euro è "irreversibile", come sostiene Mario Draghi?
"Sì".Pensa che vada introdotto un meccanismo per consentire a qualcuno di uscire?
"Se un Paese non vuole uscire deve fare riforme strutturali, come la Grecia. Con l'euro è finita l'era in cui alcuni Paesi restavano competitivi attraverso la svalutazione delle monete. E' una scorciatoia politica. In questo sono perfettamente d'accordo con l'analisi di Mario Draghi sui difetti dell'eurozona. E quello che Draghi dice sempre è che i Paesi devono creare da soli le condizioni per crescere. In questo la Grecia sta migliorando. E il programmi di aiuti decisi durante la crisi per la Grecia, il Portogallo, Cipro, la Spagna e l'Irlanda sono stati molto criticati, ma hanno sempre portato risultati".Cos'altro può cambiare?
"Credo che il fondo salva-Stati ESM dovrebbe aiutare Paesi in difficoltà, ma penso anche che i titoli di Stato dovrebbero avere implicita, sin dall'emissione, la possibilità di una ristrutturazione. E un'altra cosa che va fatta, con cautela, è riconoscere la non neutralità dei titoli di Stato. So che è un tema spinoso. E penso anche che le regole per la ristrutturazione delle banche vadano applicate".Per lei la valutazione non neutrale dei titoli di Stato è un pre requisito per completare l'Unione bancaria con il deposito comune?
"Prima di mettere i rischi in comune, dobbiamo ridurli".L'Italia non sottoscriverà mai una cosa del genere."Ovunque, anche in Italia, i bilanci delle banche devono essere messi in ordine, va risolto il problema delle sofferenze. Su questo siamo d'accordo tutti. Lo abbiamo ampiamente fatto e alcune le abbiamo anche chiuse - Westdeutsche Landesbank non esiste più. E' un percorso doloroso. Ma è accaduto anche in Portogallo o in Spagna: deve essere gestito in modo cauto. Abbiamo negoziato a lungo le regole per le banche, ma se poi non le applichiamo alimentiamo i populismi".Facile per il governo tedesco insistere sul bail in e su regole create dopo che avevate già salvato i vostri istituti di credito con soldi pubblici..."Dopo il fallimento di Lehman Brothers emersero problemi acuti e fummo costretti ad agire in fretta. Poi si diffuse il pensiero che non bisognava più salvare le banche con soldi dei contribuenti. Una retorica globale. E allora abbiamo faticosamente creato regole per questo. E' vero, abbiamo ristrutturato WestLB quando valevano altre regole. Adesso, però, le regole saranno applicate rigorosamente anche qui - e anche qui in Germania ci sono istituti di credito con problemi".Quindi la direttiva sul bail in, quella che coinvolge anche azionisti e risparmiatori nei salvataggi, non si può cambiare?
"Si può parlare di tutto. Ma finché valgono le regole attuali, vanno applicate".
"L'idea è semplice: se creiamo norme comuni, vanno applicate. Non mi piace essere criticato perché voglio che le regole siano rispettate. E' il motivo per cui cresce la distanza tra i cittadini e l'Europa: quando non vengon rispettate le regole. E' qualcosa che sfinisce le persone".E' stato un errore riconoscere molta flessibilità all'Italia?
"No, e non ho mai criticato la Commissione Ue per questo. Lo chieda al ministro Padoan. E trovo che il Patto conceda abbastanza margini di flessibilità. A proposito: se i debiti creassero crescita, la Germania dovrebbe crescere di meno. E invece. Non si può dare sempre la colpa agli altri. Se la Francia ed altri hanno problemi, non può essere sempre colpa della Germania".Ma la Spagna cresce a ritmi robusti adesso, dopo anni di sforamento del disavanzo.
"La Spagna ha fatto soprattutto le riforme. A proposito: anche l'Italia ha fatto molte riforme. Ma ormai devo stare attento quando elogio il suo Paese. Quando l'ho fatto prima del referendum dello scorso dicembre la reazione dei media italiani non è stata gradevole. Ho grande rispetto per il lavoro che sta facendo Gentiloni. Spero non lo danneggi".Ma l'Italia cresce poco. Secondo lei perché?"Non lo so. Anche il mio collega italiano, Pier Carlo Padoan, ritiene la crescita attuale insufficiente. Io penso che il percorso di riforme di Renzi, quando era presidente del Consiglio, sia stato giusto. Adesso temo che l'Italia soffra della fase attuale di incertezza politica. Spero sia rapidamente superata".Questa incertezza la spaventa?
"Ho una grande fiducia nella saggezza democratica dell'Italia. La Germania ha un interesse genuino al benessere di tutti, in Europa, compresa l'Italia".L'euro è "irreversibile", come sostiene Mario Draghi?
"Sì".Pensa che vada introdotto un meccanismo per consentire a qualcuno di uscire?
"Se un Paese non vuole uscire deve fare riforme strutturali, come la Grecia. Con l'euro è finita l'era in cui alcuni Paesi restavano competitivi attraverso la svalutazione delle monete. E' una scorciatoia politica. In questo sono perfettamente d'accordo con l'analisi di Mario Draghi sui difetti dell'eurozona. E quello che Draghi dice sempre è che i Paesi devono creare da soli le condizioni per crescere. In questo la Grecia sta migliorando. E il programmi di aiuti decisi durante la crisi per la Grecia, il Portogallo, Cipro, la Spagna e l'Irlanda sono stati molto criticati, ma hanno sempre portato risultati".Cos'altro può cambiare?
"Credo che il fondo salva-Stati ESM dovrebbe aiutare Paesi in difficoltà, ma penso anche che i titoli di Stato dovrebbero avere implicita, sin dall'emissione, la possibilità di una ristrutturazione. E un'altra cosa che va fatta, con cautela, è riconoscere la non neutralità dei titoli di Stato. So che è un tema spinoso. E penso anche che le regole per la ristrutturazione delle banche vadano applicate".Per lei la valutazione non neutrale dei titoli di Stato è un pre requisito per completare l'Unione bancaria con il deposito comune?
"Prima di mettere i rischi in comune, dobbiamo ridurli".L'Italia non sottoscriverà mai una cosa del genere."Ovunque, anche in Italia, i bilanci delle banche devono essere messi in ordine, va risolto il problema delle sofferenze. Su questo siamo d'accordo tutti. Lo abbiamo ampiamente fatto e alcune le abbiamo anche chiuse - Westdeutsche Landesbank non esiste più. E' un percorso doloroso. Ma è accaduto anche in Portogallo o in Spagna: deve essere gestito in modo cauto. Abbiamo negoziato a lungo le regole per le banche, ma se poi non le applichiamo alimentiamo i populismi".Facile per il governo tedesco insistere sul bail in e su regole create dopo che avevate già salvato i vostri istituti di credito con soldi pubblici..."Dopo il fallimento di Lehman Brothers emersero problemi acuti e fummo costretti ad agire in fretta. Poi si diffuse il pensiero che non bisognava più salvare le banche con soldi dei contribuenti. Una retorica globale. E allora abbiamo faticosamente creato regole per questo. E' vero, abbiamo ristrutturato WestLB quando valevano altre regole. Adesso, però, le regole saranno applicate rigorosamente anche qui - e anche qui in Germania ci sono istituti di credito con problemi".Quindi la direttiva sul bail in, quella che coinvolge anche azionisti e risparmiatori nei salvataggi, non si può cambiare?
"Si può parlare di tutto. Ma finché valgono le regole attuali, vanno applicate".
Lei
è il politico più amato in Germania, ma nel resto del continente
meno. E' considerato il simbolo dell'austerità."Io
sono il simbolo della crescita".E
dove vede la crescita, in Europa?
"Ovunque! Per la prima volta da quasi un decennio la Commissione Ue si aspetta tassi di crescita positivi in tutti gli Stati membri. Io sono il ministro delle Finanze tedesco, quindi conosco soprattutto la Germania. Abbiamo una crescita forte e, grazie a una disoccupazione bassa, salari in aumento e consumi in crescita. Però sopporto il peso di essere considerato il capro espiatorio di tutti coloro che non riescono a risolvere i loro problemi, in Europa".E il surplus commerciale tedesco, non ha nulla a che fare con le sue politiche di risparmio che smorzano la domanda interna?
"Il surplus è per metà colpa dell'euro debole. E noi non crediamo che possa essere risolto se ci indeboliamo noi: sono gli altri che si devono rafforzare. La predominanza delle squadre spagnole in Champions League non può certo essere risolta indebolendo il Real Madrid. E' la Juventus che si è rafforzata".'Crescita inclusiva' è la nuova parola d'ordine dei consessi internazionali, ma che vuol dire?
"Sono felice che finalmente sia un tema discusso al livello internazionale, dopo anni che ho cercato di introdurlo nelle riunioni del Fmi, del G7 e del G20. La crescita 'inclusiva' può essere ottenuta soltanto se le differenze tra i Paesi avanzati e quelli emergenti si riducono. E' sbagliato dire che solo i Paesi più industrializzati debbano crescere di più. Ho sempre sostenuto che il divario va rimpicciolito. In Germania abbiamo avuto il padre dell'economia sociale di mercato, Ludwig Erhard. Lui diceva che la competitività e la stabilità sociale vanno sempre combinate, solo questo rende stabili le società. Vale anche per la comunità mondiale. Non è un caso che con la presidenza tedesca del G20 l'Africa sia per la prima volta nell'ordine del giorno".Lei è a favore di un assegno di disoccupazione comune in Europa, come Macron?
"Lasciamolo lavorare, intanto, ha un percorso complesso davanti a sé....In Europa abbiamo il problema che a causa degli standard di vita molto diversi tra Paesi, l'armonizzazione dei servizi sociali è un problema gigantesco".Lei ci crede al fatto che l’asse franco-tedesco possa rivitalizzare l’Europa?
"Noi tedeschi sappiamo che il nostro futuro sarà positivo solo se l'Europa starà bene. In Francia è in atto un processo interessante. Emmanuel Macron ha la stessa età di JF Kennedy quando divenne presidente. Ha fondato un movimento nuovo e ha vinto le elezioni. Trovo straordinario che sia andato sul palco del Louvre accompagnato dall'Inno alla gioia, l'inno europeo. Riempie molti giovani di speranza. Se qualche giovane in più fosse andato a votare a giugno in Gran Bretagna non avremmo avuto la Brexit. Però non dobbiamo neanche fare come se il rinnovato motore franco-tedesco fosse la ripartenza dell'Europa".Cosa intende dire?
"Senza l'Italia non si può fare l'integrazione europea. Ne sono sempre stato convinto: Carlo Azeglio Ciampi glielo potrebbe raccontare, se fosse ancora vivo. Le direbbe che (negli anni Novanta, ndr) un certo Wolfgang Schäuble, allora capogruppo della Cdu al Bundestag, si impegnò molto per fare entrare l'Italia nel gruppo di testa dell'euro, nonostante i problemi finanziari che aveva. E l'Italia ha fatto un'impresa grandiosa, all'epoca. Ma poi ci si è riposati per un ben pezzo sugli allori. L'Italia deve proseguire sul percorso di riforme. E' quello che volevo dire prima del referendum di dicembre scorso".
"Ovunque! Per la prima volta da quasi un decennio la Commissione Ue si aspetta tassi di crescita positivi in tutti gli Stati membri. Io sono il ministro delle Finanze tedesco, quindi conosco soprattutto la Germania. Abbiamo una crescita forte e, grazie a una disoccupazione bassa, salari in aumento e consumi in crescita. Però sopporto il peso di essere considerato il capro espiatorio di tutti coloro che non riescono a risolvere i loro problemi, in Europa".E il surplus commerciale tedesco, non ha nulla a che fare con le sue politiche di risparmio che smorzano la domanda interna?
"Il surplus è per metà colpa dell'euro debole. E noi non crediamo che possa essere risolto se ci indeboliamo noi: sono gli altri che si devono rafforzare. La predominanza delle squadre spagnole in Champions League non può certo essere risolta indebolendo il Real Madrid. E' la Juventus che si è rafforzata".'Crescita inclusiva' è la nuova parola d'ordine dei consessi internazionali, ma che vuol dire?
"Sono felice che finalmente sia un tema discusso al livello internazionale, dopo anni che ho cercato di introdurlo nelle riunioni del Fmi, del G7 e del G20. La crescita 'inclusiva' può essere ottenuta soltanto se le differenze tra i Paesi avanzati e quelli emergenti si riducono. E' sbagliato dire che solo i Paesi più industrializzati debbano crescere di più. Ho sempre sostenuto che il divario va rimpicciolito. In Germania abbiamo avuto il padre dell'economia sociale di mercato, Ludwig Erhard. Lui diceva che la competitività e la stabilità sociale vanno sempre combinate, solo questo rende stabili le società. Vale anche per la comunità mondiale. Non è un caso che con la presidenza tedesca del G20 l'Africa sia per la prima volta nell'ordine del giorno".Lei è a favore di un assegno di disoccupazione comune in Europa, come Macron?
"Lasciamolo lavorare, intanto, ha un percorso complesso davanti a sé....In Europa abbiamo il problema che a causa degli standard di vita molto diversi tra Paesi, l'armonizzazione dei servizi sociali è un problema gigantesco".Lei ci crede al fatto che l’asse franco-tedesco possa rivitalizzare l’Europa?
"Noi tedeschi sappiamo che il nostro futuro sarà positivo solo se l'Europa starà bene. In Francia è in atto un processo interessante. Emmanuel Macron ha la stessa età di JF Kennedy quando divenne presidente. Ha fondato un movimento nuovo e ha vinto le elezioni. Trovo straordinario che sia andato sul palco del Louvre accompagnato dall'Inno alla gioia, l'inno europeo. Riempie molti giovani di speranza. Se qualche giovane in più fosse andato a votare a giugno in Gran Bretagna non avremmo avuto la Brexit. Però non dobbiamo neanche fare come se il rinnovato motore franco-tedesco fosse la ripartenza dell'Europa".Cosa intende dire?
"Senza l'Italia non si può fare l'integrazione europea. Ne sono sempre stato convinto: Carlo Azeglio Ciampi glielo potrebbe raccontare, se fosse ancora vivo. Le direbbe che (negli anni Novanta, ndr) un certo Wolfgang Schäuble, allora capogruppo della Cdu al Bundestag, si impegnò molto per fare entrare l'Italia nel gruppo di testa dell'euro, nonostante i problemi finanziari che aveva. E l'Italia ha fatto un'impresa grandiosa, all'epoca. Ma poi ci si è riposati per un ben pezzo sugli allori. L'Italia deve proseguire sul percorso di riforme. E' quello che volevo dire prima del referendum di dicembre scorso".
Lei
è stato ministro delle Finanze durante la Grande crisi..."Quale
crisi? L'eurozona cresce dello 0,5% nel primo trimestre, i dati
finanziari migliorano. La crisi è alle nostre spalle e adesso
dobbiamo capire come andare avanti in modo positivo".Fu
un errore la sua proposta di far uscire temporaneamente la Grecia
dall'euro, nel drammatico luglio del 2015? "Le
sa ciò che Pier Carlo Padoan disse pubblicamente: una stragrande
maggioranza dei ministri delle Finanze erano convinti che sarebbe
stato meglio se la Grecia fosse uscita temporaneamente dall'euro. E'
stata la Grecia a decidere diversamente. Adesso ci stiamo impegnando
perché il terzo pianto di aiuti abbia successo".Lei
è famoso per essere leale. E' anche una qualità che riconosce a se
stesso. Lo è stato con Helmut Kohl, ma anche l'anno scorso con
Angela Merkel, quando la crisi dei profughi aveva fatto emergere
indiscrezioni sul fatto che lei potesse sostituirla alla cancelleria.
Lei invece preferì rimanerle leale. Perché?
"Ho un'idea un po' démodé della politica. Ovvio che sono molto ambizioso e ho l'esigenza di impormi. Altrimenti non sarei un politico. Ma cerco sempre di dire che non io sono la cosa più importante. E' vero, sono leale. Ma proprio perché sono leale, sono libero e scomodo. E forse in questa combinazione è tollerabile.
"Ho un'idea un po' démodé della politica. Ovvio che sono molto ambizioso e ho l'esigenza di impormi. Altrimenti non sarei un politico. Ma cerco sempre di dire che non io sono la cosa più importante. E' vero, sono leale. Ma proprio perché sono leale, sono libero e scomodo. E forse in questa combinazione è tollerabile.