sabato 27 maggio 2017

Si legge Oiropa

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Si scrive Europa, ma si pronuncia Oiropa.



Lo spunto
  • Wolfgang Schäuble1 [intervista integrale in Appendice] spiega la posizione del suo governo sulla fase attuale della politica europea.
  • Possiamo scandagliarne il “sottostante” rispetto al ruolo della Germania.
  • Il ministro delle Finanze tedesco non relega l'Italia a far da figurante, purché attui le riforme, i famosi compiti a casa.2
  • Si fronteggiano i populismi osservando le regole pattuite.
  • Sono necessarie ulteriori cessioni di sovranità nazionali, adottabili con soluzioni di tipo “pragmatico”.
  • La condivisione dei rischi va preceduta dalla loro riduzione al minimo.
  • Dal Fondo salva-Stati (ESM) ad un Fondo Monetario Europeo.
  • A riferimento rimane l'“economia sociale di mercato” di Ludwig Erhard,3 uno dei massimi esponenti della scuola ordoliberista tedesca.
  • Ciascun Paese si disponga alla propria crescita concorrenziale.
  • Come “sociale” sarebbe l'economia di mercato, diverrebbe “inclusiva” la globalizzazione liberoscambista.

Dal puzzle greco
Nel giro di poche settimane si sono aggiunti due tasselli alla ricostruzione del puzzle di quanto realmente avvenne durante le trattative europee che, nell'estate del 2015, portarono al terzo memorandum dedicato alla Grecia.
Prima del ballottaggio francese, da Gianīs Varoufakīs, allora Ministro delle Finanze nel primo Governo Tsipras, abbiamo appreso che Emmanuel Macron, titolare per la Francia dell'analogo dicastero, fu tra i pochi, se non l'unico, a cercare di evitare alla Grecia le pesanti misure a cui poi venne sottoposta.
Non sappiamo quanto e come la posizione di Macron e, supponiamo, quella degli interessi francesi a cui dava voce, possano pesare sul futuro dell'Unione.
Sappiamo però (secondo tassello), per bocca di Schäuble, che la stragrande maggioranza dei ministri delle Finanze era per una provvisoria uscita della Grecia dall'euro; soluzione a cui non aderì il governo di Atene, che preferì sottostare alle pesanti condizioni del remain, piuttosto di venire messo “temporaneamente” alla porta. Il ministro tedesco viene a confermare l'impressione immediata che, posto e postosi in condizioni di estrema debolezza negoziale, Tsipras si arrese di fronte ad un vero e proprio ricatto.
Poiché Schäuble conferma Draghi sulla “irreversibilità” dell'euro, se ne deduce che uscire dalla moneta unica non è consentito per decisione autonoma di un Paese, secondo propria valutazione di sostenibilità, ma solo su proposta della maggioranza dei co-partecipanti, quando lo ritengano, loro per tutti, necessario. Salvo rifiuto del ricevente proposta di aderire all'invito, sottoscrivendo, in cambio, le pene più austere.
Ciò bypassa l'adozione di una procedura formale per consentire ad un Paese di uscire dall'euro in modo autonomo, con suo minimo danno, essendo già operativo un pragmatico meccanismo di esclusione “temporanea”, evitabile solo con suo danno massimo. Non si tratta di un singolo caso. Non toccare i Trattati, agendo per sviluppi interni e per escamotages,4 è metodo consolidato.
Resistendo alla ricorrente richiesta di una concreta democratizzazione dell'Unione, e fiutando l'aria che tira, per il governo tedesco è più realistico far avanzare l'Eurozona e l'Unione tramite le riunioni tra vertici governativi (l'intergovernativo), sulle cui decisioni può meglio far valere la sua moral suasion, persuasione assai poco morale.
In seconda battuta toccherà all'apparato tecno-burocratico gestire quanto deciso, magari assumendo lo scomodo ruolo di capro espiatorio, verso il quale comodamente deviare gli strali della crescente insofferenza popolare, sempre rubricata come populismo.
Conseguentemente, la medesima modalità viene riproposta per la trasformazione-conduzione del Fondo salva-Stati (ESM) in un Fondo Monetario Europeo.
Velocità plurime
In risposta alle richieste di democratizzazione, una volta aggirato l'esercizio della volontà popolare per singole nazioni, tramite i poteri decisionali conferiti all'Europa degli Esecutivi, sarebbe bastante la creazione di un Parlamento ristretto alla zona euro, sempre con poteri consultivi. Esso verrebbe ricavato da quello attuale: lo formerebbero i deputati eletti nei Paesi partecipanti alla moneta unica.
L'idea di questa nuova istituzione è condivisa con Macron. Non viene detto se ad essa corrisponderebbe anche una Commissione su misura dell'Eurozona, investita dei relativi compiti di consigliare l'intergovernativo5 ristretto e di controllare che le sue decisioni siano rispettate.
Per i sostenitori della democratizzazione della zona euro sarebbe il classico “contentino”, nella più complessiva sistemazione dell'Europa a più velocità.
Va da sé che il nocciolo della proposta tedesca sul come far avanzare l'Unione non risieda nella duplicazione degli organi consultivi, bensì nello sviluppo delle istituzioni della più pratica governance.
In parallelo con l'intergovernativo della zona euro non agirebbe solo la Banca Centrale Europea (BCE), ma pure il nuovo Fondo Monetario Europeo (FME), derivante dalla trasformazione del Fondo salva-Stati, ossia dell'ESM,6 l'odierno Meccanismo europeo di stabilità, istituito dalle modifiche al Trattato di Lisbona nel marzo del 2011.
Ispirazioni
Non è qui il momento di ricordare le molteplici imprese dell'analogo Fondo Monetario Internazionale, da cui trae ispirazione.
Esse si ascrivono ad una istituzione che come altre, specie di carattere economico, funzionano secondo i criteri di una tipica società di capitali:
«(...) il FMI agisce scontando, quanto al criterio del “voto” deliberativo, il differente peso dei Paesi che vi aderiscono in funzione della consistenza della contribuzione finanziaria, cioè del rispettivo apporto al capitale del Fondo.»7
Non di meno va annotato che la Francia ha maturato una specifica competenza in materia, avendo espresso i due ultimi direttori del FMI: l'attuale, Christine Lagarde, più volte ministro in diversi governi del partito repubblicano, ed il suo predecessore, Dominique Strauss-Kahn, del partito socialista, rimosso dall'incarico a seguito di uno scandalo a sfondo sessuale. Strauss-Kahn fu tra i Vip commensali alla cena di festa di Macron alla Copule, dopo la sua vittoria al primo turno delle presidenziali.
Negli ultimi tempi il FMI sembra preso da strabismo: da un lato i suoi studi rimarcano la insostenibilità delle misure imposte, per esempio alla Grecia; dall'altra ne condivide l'arcigna applicazione in quanto membro della Troika. Delle due, in quale direzione andrebbe il novello Fondo Monetario Europeo?
Al rinegoziato asse franco-tedesco l'ardua risposta.
Da parte italiana, porre nel neoeletto Macron eccessive speranze potrebbe rivelarsi assai deludente, visti i precedenti francesi sin dai tempi di Mitterrand. [Vedi riquadro “Progetto comune”]

Progetto comune

«(...) pur essendo evidente che in quel momento Berlino non può che acconsentire alla richiesta francese [ndr: di introdurre la moneta unica], è anche vero che porta a casa qualcosa di importante. Non solo ottiene da Mitterrand la garanzia che la nuova moneta nascerà sul modello del marco e avrà la stabilità come valore portante. Ma, per quanto riguardo l'Italia (…), guadagna il sì francese a un progetto comune ovviamente non reso esplicito, di deindustrializzazione del nostro Paese. Pertanto, forse è dovuto anche a questa circostanza se, nel '92, su forti pressioni esterne e dopo la mini crociera del Panfilo Britannia tra le acque di Civitavecchia e dell'Argentario con a bordo uomini di Stato, capitani d'industria e rappresentanti dell'alta finanza internazionale, il governo Amato varerà un imponente piano di privatizzazioni di molti gioielli dello Stato: Iri, Eni, Ina, Comit eccetera.
È importante tenere presente che per Kohl, depotenziare sui mercati un concorrente insidioso come l'Italia, è condizione indispensabile per cercare di vincere la sfida della riunificazione che si annuncia costosissima e quindi impopolare.»*

* Angelo Polimeno, “Non chiamatelo euro”, Mondadori, 2015, pagg. 26-27.

Rischi condivisi
Nel denunciare i trasferimenti alla rovescia, dalle Periferie al Centro anziché viceversa, Marcello Minenna8 ha descritto un meccanismo interno al Quantitative easing di Mario Draghi.
Grazie ad esso, gli interessi sui titoli di Stato nazionali, pagati dal Tesoro dei singoli Stati emittenti (Italia e Spagna soprattutto), vengono incamerati dalla BCE che li acquista. Essa, a sua volta, distribuisce gli interessi alle diverse banche centrali in proporzione al loro apporto di capitale in BCE. Il giro si chiude con la Bundesbank che incassa la maggior quota rispetto a Bankitalia ed al Banco de España. In pratica, in cambio della liquidità ottenuta a tassi d'interesse calmierati, i debitori pagano un “dividendo” ai creditori.
Con la rimarchevole differenza che, a causa dei diversi statuti interni, Bundesbank gira l'incasso al governo federale, mentre Bankitalia li rimette al 70% alle banche private, a loro volta dominanti nel suo capitale. Una plastica dimostrazione di come nel nostro Paese si manchi di “fare squadra”, all'opposto della Germania compatta nel sodalizio governo-finanza-industria. Un sodalizio affatto nuovo nella sua storia.
Nella breve vita dell'ESM, dal cui sviluppo nascerebbe il FME, esiste il caso esemplare spagnolo a cui fare riferimento. A spiegarcelo è uno studio della Bocconi,9 diretto proprio dal professor Minenna. [Vedi riquadro “ESM: il caso spagnolo”]

ESM: il caso spagnolo

Al momento in cui nasce per sostituire il precedente EFSF, che richiede semplici garanzie, l'ESM comporta il trasferimento di risorse reali da parte degli Stati aderenti in proporzione al proprio PIL [vedi grafico sotto], per un esborso totale di 80 miliardi di € da versare in due tranches, il 40% entro l'ottobre del 2012.

Contribuzione percentuale dei vari Stati membri dell'Unione
monetaria al capitale fisico del Fondo ESM

In aggiunta al capitale fisico, la sua capacità di prestito deriva dal mercato, chiamato a sottoscrivere le sue obbligazioni per un massimo, di legge, di ulteriori 620 miliardi di euro (88,57% del totale).
Se, come da dichiarata disponibilità europea, il governo di Mariano Rajoy avesse avuto bisogno di 100 miliardi, il Fondo ESM avrebbe dovuto raccoglierne 20 sul mercato, qualora il capitale fisico fosse stato interamente versato. A conti fatti l'ESM soccorse Madrid “solo” per circa 41 miliardi.
Osserva Minenna che il governo spagnolo nell'estate del 2012 si trovava in seria difficoltà con problemi di liquidità e di deficit (oltre il 10%).
«Il semplice avviamento dell'ESM è dunque costato al governo spagnolo circa 4 miliardi di €, pari all'intero collocamento di un'asta di media entità effettuato a tassi di interesse molto elevati; in sostanza il governo spagnolo nel 2012 si è indebitato a tassi punitivi per costituire il capitale con cui sono stati erogati i prestiti nella forma di obbligazioni ESM o EFSF previsti per il salvataggio del proprio sistema bancario.
«Ed il paradosso non finisce qui: nonostante il bailout del proprio sistema bancario, il governo spagnolo non è stato esonerato dal versamento del rimanente 60% della quota di avviamento dell'ESM (altri 5,76 miliardi di €). In ultima analisi, non senza ironia, la partenza dell'attività del Fondo di stabilità ha reso più probabile la richiesta da parte del governo spagnolo di un intervento del Fondo, anche a supporto del proprio finanziamento diretto. Come a dire: la Spagna averebbe finanziato a caro prezzo il proprio deficit futuro.»*

* Marcello Minenna ed altri, “La moneta incompiuta”, seconda edizione, Ediesse, 2016, pag. 353.

La vicenda mostra: la debolezza di un Fondo sotto-capitalizzato rispetto al sopravvenire di una crisi di una certa rilevanza; un circuito vizioso per il quale le stabilizzazioni finanziarie europee finiscono per alimentare le cause stesse dell'instabilità dei Paesi in difficoltà.
Infine, essa conferma la propensione basilare dei salvatori, tipica dei creditori finanziari, ad approfittare delle difficoltà del soggetto da salvare per infliggergli condizioni punitive.
Propensioni
Secondo alcuni, tale propensione risiederebbe nella cultura tradizionale tedesca per la quale, agli occhi dei salvatori, i salvati restano comunque dei peccatori chiamati ad espiare le loro colpe.10 Quasi che l'etica protestante spiegasse non solo lo spirito originario del capitalismo, secondo la celebre tesi di Max Weber, ma pure il suo presente finanziario.
A mio parere, questa perdurante condotta, è più riconducibile all'Ottocento, durante il quale la Germania, per salire la scala dello sviluppo scalciata da Inghilterra e Francia che stavano in cima, abbracciò una sua forma specifica di nazionalismo economico.
In contrasto con le teorie economiche di Adam Smith e David Ricardo, l'economista Friedrich List (1789–1846) le aveva consegnato una «visione dell'economia come branca dell'arte di governo»,11 alla quale, non a caso, hanno attinto ed attingono i Paesi che si ritrovano a voler salire quella scala.
Come scrive Alfredo Gigliobianco,12 List «non accetta i vantaggi comparati di Ricardo come un dato, ma sostiene che i vantaggi si possono acquisire. Acquisirli è compito dello Stato, che agisce attraverso le politiche. Il gold standard è una di tali politiche (quella scelta dall'Inghilterra per mantenere la supremazia), ma molte altre se ne possono enumerare: politica commerciale, politica industriale, governo dei tassi di cambio, politiche macroeconomiche.»
Nell'odierno contesto, cosa serve all'affermazione della supremazia della riunificata Germania, se non il sistema monetario europeo (del tutto simile al gold standard britannico) per interpretare a proprio favore il liberismo ed il liberoscambismo contemporanei?
All'interno di questo approccio storico va compreso l'ordoliberismo, di cui meglio si vedrà più avanti.
Senza considerare il liberal-nazionalismo non si spiegano i ricorrenti attriti sia con il Regno Unito, approdato alla Brexit, sia con il partner francese, al quale Schäuble rimprovera di porre ostacoli alle cessioni di sovranità in capo all'Unione. Ostacoli, di contro, non addebitabili alla Germania (e se ne comprende il motivo) ed all'Italia (incomprensibile, se non in un'ottica di subalternità della sua élites dirigenti).
Per tornare alla proposta di un FME, rimane da capire cosa comporti la sua nascita che, per non dipendere dai mercati finanziari globali e dai loro tassi d'interesse, dovrebbe disporre di un proprio capitale fisico, apportato dagli Stati in misura superiore a quello di cui dispone l'ESM. Nello specifico, a quali ulteriori versamenti in conto capitale sarebbero costretti l'Italia o altri Paesi in permanenti difficoltà?
Una volta raggiunto l'obiettivo dell'inflazione al 2%,13 gli acquisti della BCE dei titoli emessi dal Tesoro italiano, nell'ambito del Quantitative Easing, verranno a cessare. Con essi cadrà l'effetto calmieratore sui tassi d'interessi da pagare, che pesano sul deficit corrente. Ciò potrebbe reinnescare un rialzo dei tassi sulle nuove emissioni da collocare sul mercato, appesantendo il bilancio sul lato della spesa, riducendone ancor più i margini, nel rispetto degli obblighi del Fiscal Compact, il patto di bilancio europeo.
Al probabile rialzo dello spread14 si accompagnerebbe una riduzione delle risorse da destinare al welfare ed agli investimenti necessari al rilancio dell'occupazione, già ora insufficienti oltre che male indirizzati.
Cos'altro si dovrà privatizzare, tagliare e penalizzare socialmente?
Istigazione al conflitto
In fuga dai rischi condivisi, implicita nei vari meccanismi di stabilità finanziaria, il ministro tedesco delle Finanze chiede ora che, in via preliminare, i titoli di Stato non siano considerati “neutrali”, ossia disgiunti dalle responsabilità degli emittenti nazionali, ed i rischi anche bancari vengano tanto ridotti da risultare accettabili, quando fossero alfine messi in comune.
Insomma, la Germania condividerebbe i rischi... solo quando fossero ridotti pressoché a zero.
Sta di fatto che la condivisione è rimandata sine die, alle calende greche, mentre al contempo le decisioni della zona euro verrebbero prese insieme ed oltremodo accentrate d'autorità. Perdurante il rigore del Fiscal Compact, i rischi derivanti da quelle decisioni comuni sarebbero rimandati (in gergo “segregati”) ai singoli Stati-nazione, as usually, come di consueto.
Alle sovranità ulteriormente cedute all'intergovernativo dell'Eurozona, corrisponderebbe l'esercizio di sovranità nazionali altresì più passive, residuali e subalterne, chiamate all'ingrato compito di far digerire ai propri popoli le conseguenze di politiche sulle quali essi avrebbero ancor meno voce di oggi.
Questa filosofia tedesca applica all'Europa il modello di globalizzazione per il quale enormi profitti sono appannaggio della finanza internazionale e delle grandi imprese oligopolistiche, mentre le sue ricadute sociali e territoriali, i “cocci”, sono lasciati alle politiche interne degli Stati. Starà a ciascuno di loro gestirsele al meglio, secondo forza competitiva meritoriamente conquistata, capacità di “fare squadra” nazionale, coesione propria tra politica e finanza-industria. Una coesione di cui la Germania pensa di essere patria maestra, sia nel posizionare le proprie imprese all'incasso dei profitti, sia nel sapersi gestire le ricadute.
Viene volutamente glissato il problema che la pratica attuazione di questa filosofia finisce, in sé e per sé, per istigare al nazionalismo conflittuale: il nazionalismo di supremazia degli Stati-nazione più forti contro ill nazionalismo d'autodifesa di quelli più deboli. Ciò nonostante la Germania crede di poter esercitare la propria leadership in Europa e dall'Europa nel mondo, somministrando a tutti la ricetta ordoliberista.
Il cane si morde la coda
Non passi inosservato il richiamo di Schäuble a Ludwig Erhard, uno dei massimi esponenti della scuola ordoliberista. Tutta la dirigenza tedesca vi è saldamente ancorata: non solo il partito di Angela Merkel, CDU/CSU, ma pure la SPD, il partito socialdemocratico.
Essa è fautrice della “economia sociale di mercato”.
A prescindere dall'origine storica dell'aggettivo “sociale” e dal motivo per cui fu adottato,15 in tale economia è la competizione ad assumere il ruolo dominante. Il “sociale”, ossia il welfare e le politiche del lavoro, livelli salariali inclusi, rientrano nei fattori da rendere compatibili col “libero mercato”, con la stabilità dei prezzi assunta a baricentro sistemico, del quale si fa garante l'ordine monetario della banca centrale, ieri la Bundesbank ed oggi la BCE.
In concomitanza con l'adozione dell'euro, nato dopo un tribolato periodo di gestazione, la Germania riunificata puntò sulla propria attitudine neo-mercantilista, basata sull'incremento esponenziale delle esportazioni e la contrazione sia dei consumi interni, sia delle importazioni non funzionali al comando delle filiere sub-fornitrici delle proprie produzioni.
Il suo sistema finanziario-industriale ha goduto e gode di una “svalutazione competitiva” di fatto (l'euro deprezzato rispetto al marco) e dall'impossibilità di Paesi concorrenti come l'Italia di ricorrervi, come in passato secondo l'andamento della propria economia (l'euro sovrapprezzato rispetto alla lira).
La Germania ha trasformato la rinuncia al marco in favore della moneta unica, impostole da Mitterrand in cambio dell'assenso alla sua riunificazione, in un vantaggio “improprio”, anche attraverso le riforme Hartz (2003-2005), tempestivamente adottate dal governo socialdemocratico di Gerhard Schröder.
Nelle condizioni del sistema euro, che equivale ad un cambio fisso interno e variabile all'esterno, vincolati i governi al pareggio di bilancio, non rimane che fare ricorso alla deflazione salariale. Questa è la ragione principale per cui alle riforme Hartz sono seguite analoghe politiche in ciascun Paese concorrente, comprese la Reforma Laboral spagnola, il Jobs Act italiano e la Loi Travail francese. Riforme del lavoro di cui non si intravvede la fine, proprio perché perseguono la finalità del rilancio economico tramite la competitività su di esse basata.
Per realizzarsi la deflazione salariale ha bisogno di un esercito di riserva di disoccupati (liberi solo di emigrare), che premano costantemente al ribasso sulle remunerazioni del lavoro. Allorché, tuttavia, la disoccupazione raggiunge livelli socialmente insopportabili, i governi delle Periferie si trovano nell'impossibilità di farvi fronte con massicci investimenti pubblici anche di assoluta necessità, come vorrebbe il nostro territorio assai disastrato sul piano idro-geologico, sismico ed ambientale. Questo perché la loro spesa è bloccata dai vincoli di bilancio posti dai patti e dalle regole europee, a salvaguardia della stabilità monetaria e finanziaria presupposta. Una stabilità resa continuamente instabile proprio dai meccanismi che dovrebbero garantirla: il cane si morde la coda.
Tacendo della Grecia, sulla quale sono stati spenti i riflettori, viene indicata alla pubblica ammirazione la ripresa spagnola, che sarebbe stata veicolata dalle “riforme di struttura” promosse dal governo.
Già nel 2015 Simon Tilford riteneva che la crescita iberica fosse collegabile essenzialmente all'abbassamento dei salari, nonché ad un export di beni di scarsa qualità (low-value). Un punto di vista confermato un anno più tardi dall'economista Angel Talvera di Oxford Economics.
Alla crescita delle esportazioni non ha corrisposto un incremento delle importazioni. Nel 2016 il PIL cresce (+3,3%), ma la riduzione della disoccupazione, comunque elevata (18,63%) soprattutto tra i giovani (43%), è dovuta a contratti precari e malpagati. In totale, il 40% dei 18,5 milioni di lavoratori iscritti all’Inps spagnola sono precari. D'altro canto la Spagna ha potuto derogare dal limite del 3% di deficit sulla spesa, avendo un debito consolidato minore dell'Italia, benché abbia ormai superato il 100% del PIL.16
È disfattismo euroscettico reputare un simile successo, oltreché socialmente inaccettabile, piuttosto gracile anche dal punto di vista “strutturale”?
Fin quando durerà l'effetto della riforma del lavoro Rajoy del 2012, senza apportarvi ulteriori sostanziali peggioramenti, appena un altro Paese sopravanzerà la Spagna nell'offrire al mercato internazionale merci e servizi low-value?
Invano dalla gabbia i governi italiani hanno cercato di sfuggire, in due modi che ciclicamente si ripropongono: o tagliando austeramente la spesa, come Monti, o cercando qualche spazio di flessibilità in deficit come Renzi per tentare un ottimistico rilancio.
Senonché il Tesoro italiano, dopo alcuni anni, certifica il fallimento del primo, essendo la manovra del “potestà straniero”, da Varese, costataci ben 300 miliardi di PIL.17 Mentre sui progressivi passi avanti del secondo e del Jobs Act testimonia la realtà sotto gli occhi di tutti. In attesa degli appuntamenti di autunno, quando si dovranno affrontare i bilanci 2008 e successivi, abbiamo un'inflazione in crescita ed una prevedibile contrazione dei consumi, stando all’orizzonte disegnato da Confcommercio-Censis.
Competizione scaricabarile
Intanto la Germania neo-mercantilista ha battuto ogni record esportativo e può limitare al proprio interno disoccupazione e deflazione salariale, avendo agito secondo la nota logica di impoverire il proprio vicino (“beggar thy neighbour”).
All'interno del sistema europeo attuale, combinare la “stabilità sociale con la competitività” può sembrare fattibile agli occhi della maggioranza dei tedeschi, ma non altrettanto a quelli dei popoli mediterranei.
Poiché il surplus [vedi grafico “Germania: surplus della bilancia commerciale”] è lievitato dal 2009 al 2016, il fenomeno non può venire considerato una mera coincidenza.

Germania: surplus della bilancia commerciale

Dal punto di vista dell'inclusione sociale, c'è chi vi vede una insanabile contraddizione con la nostra Costituzione, nata proprio per combinare democrazia e lavoro.18
La critica, in modo fondato, si estende al contesto internazionale, laddove l'ordoliberismo pretende che a tale inclusione sociale in ciascun Paese possa corrispondere una cooperazione internazionale stabile.
Se l'Europa nutre al proprio interno una crescente dicotomia tra un Centro e differenziate Periferie, quand'anche riuscisse a presentarsi sulla scena mondiale come un'entità politica unica, quale contributo darebbe ad un ordine internazionale effettivamente basato sulla cooperazione tra pari?
Nonostante tutta la storia del Novecento ci ammonisca ad agire per una riduzione di squilibri ed asimmetrie tra Paesi a diversi livelli di sviluppo, la competizione economica liberoscambista ci sta conducendo nella direzione opposta. Cosa che generava scontri definiti geopolitici, in quanto localizzati in grandi ma limitate aree, fin quando la gerarchia mondiale non è stata messa in discussione.
Appare del tutto evidente che gli Stati emergenti, tra cui Cina Russia ed India, dovranno essere ammessi ad un nuovo ordine multi-partecipato, rimodellando da un lato gli assetti monetari e finanziari e, dall'altro, quelli commerciali e produttivi.
Ma ciò dovrebbe avvenire in una situazione paragonabile a quella verificatasi tra il 1890 ed il 1914,19 che allora vedeva entrare in crisi il sistema imperiale del Regno Unito, basato su un determinato governo della moneta e delle relazioni commerciali internazionali.
In mutate condizioni e circostanze, questo spiegherebbe l'aspra contesa in corso negli Stati Uniti, tra tendenze diversamente rispondenti all'unico scopo di mantenere superpotenza in posizione egemone sull'attuale scena mondiale.


The question
Dalle pagine dei giornali o dai teleschermi viene ripetutamente posto il quesito:
Hanno presente quelli che vogliono l'uscita dall'euro, a quali pesanti costi andrebbe incontro il Paese? Perché non ci spiegano, conti alla mano, che fine farebbero le pensioni ed il potere d'acquisto di noi tutti, soprattutto dei più deboli?
La domanda implica una sola scontata risposta.
Chi sarebbe tanto stolto da non continuare a soffrire “i sassi ed i dardi dell'oltraggiosa fortuna”, scegliendo di “prender armi contro un mare di guai” ed inutilmente soccombere?
But, this is not the question.
In termini più realistici potremmo riformulare la domanda per meglio ponderare la scelta politica:
Quali sarebbero i costi eventuali di uscita dalla moneta unica, posti a confronto con quelli che stiamo sostenendo e col rischio incombente di un repentino tracollo?
Sempre che, con Wolfgang Münchau del Financial Times, un governo italiano non volesse dar prova di arditismo in difesa dell'euro:
«Il vero dilemma per quelli che vogliono riforme di governo dell'euro è che il solo modo di arrivarci è attraverso una credibile minaccia di fare default. Devi essere pronto a distruggere l'euro, se vuoi salvarlo. E in realtà una minaccia del genere può venire solo dall'Italia, non dalla Francia.»20
Non è in questione semplicemente un “piano inclinato” da rimettere in asse con qualche tardiva riforma, peraltro pensata nella logica di coloro che su quel piano ci hanno condotto.

Note
1 Tonia Mastrobuoni, “Schäuble: così Francia e Germania cambieranno la Ue”, Repubblica, 11/05/2017. Versione integrale in Appendice.
2 In tedesco: Hausaufgaben.
3 Ludwig Erhard, cancelliere della Germania dal 1963 al 1966, è ritenuto la mente guida della ripresa economica della Germania nel dopoguerra.
4 In italiano sinonimo di astuzia, espediente, stratagemma, trovata, trucco.
5 Come già sottolineato l'intergovernativo si trova nella posizione di fatto, assolutamente anomala, si accentrare su di sé sia i poteri legislativi sia quelli esecutivi.
6 Acronimo dall'inglese: European Stability Mechanism.
7 Luciano Barra Caracciolo, “La costituzione nella palude”, Imprimatur, 2015, pag. 253.
8 Vedasi in questo Blog: “Il verme nella mela”, aprile 2017.
9 Marcello Minenna ed altri, “La moneta incompiuta”, seconda edizione, Ediesse, 2016, prefazione di Romano Prodi, pagg.348-355.
10 In tedesco debito (Schuld) è sinonimo di colpa.
11 Marcello De Cecco, “Moneta e Impero”, Donzelli, dicembre 2016, pag.20.
12 Sua introduzione al libro (pag. XI) di cui alla precedente nota.
13 L'obiettivo fissato per l'Eurozona è assai vicino, mentre in Italia l'inflazione, in aprile, è all'1,9%, dovuta soprattutto al lievitare dei prezzi del petrolio e dei trasporti.
14 Misura della differenza tra i tassi d'interesse dei titoli di Stato tedeschi e quelli degli altri titoli dei singoli Stati europei.
15 Vedasi nota n° 7 nel Post “Jours de Gloire”, maggio 2017.
17 Vedi a pag. 17 del Piano nazionale di riforma (Pnr) nel Documento di economia e finanza (Def), approvato dal governo Gentiloni il 12 aprile 2017.
18 Luciano Barra Caracciolo, “La Costituzione nella palude - Indagine su trattati al di sotto di ogni sospetto”, Imprimatur, 2015.
19 Studiato da Marcello De Cecco, nel libro citato alla nota 11.
20 Wolfgang Münchau, “Macron ha buone idee, ma Merkel è più forte”, Corriere della Sera, L'Economia, 22 maggio 2017.

APPENDICE

Da la Repubblica, 11 maggio 2017 

http://www.repubblica.it/economia/2017/05/11/news/scha_uble_cosi_francia_e_germania_cambieranno_la_ue-165144892/

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Schäuble:

"Così Francia e Germania cambieranno la Ue"

Intervista con il ministro delle Finanze tedesco: "L'Italia non sarà esclusa, ma faccia le riforme". "I Trattati non si modificano ma va rafforzata l'eurozona"

dalla nostra corrispondente TONIA MASTROBUONI

BERLINO - Se fosse un quadro, quello che si vede dalle finestre del sobrio ufficio di Wolfgang Schäuble si potrebbe intitolare "il secolo breve". Si intravedono un pezzo del Muro di Berlino, l'ingresso dei sotterranei della Gestapo e le scintillanti vetrine di Friedrichstrasse. E il ministro delle Finanze tedesco ha scelto di concedere a Repubblica quest'intervista in esclusiva in un "momento fatale" per il futuro dell'Europa, come lo avrebbe chiamato Stefan Zweig. L'elezione di Emmanuel Macron all'Eliseo non è un passaggio qualsiasi. Il politico cristianodemocratico 75enne, che fu protagonista di almeno due momenti chiave della storia tedesca, ministro dell'Interno di Kohl quando cadde il Muro e ministro delle Finanze di Merkel nelle fasi più acute della crisi, spiega nei dettagli come immagina, partendo dalla ripartenza franco-tedesca, il futuro dell'Euro.
Emmanuel Macron è stato eletto domenica presidente francese...
"...e Sebastian Vettel è in testa ai mondiali della Formula uno con la Ferrari! Il che dimostra che la collaborazione italo-tedesca, quando funziona, è imbattibile (ride, ndr)".
...E il pericolo di un Le Pen all'Eliseo è scongiurato di nuovo. Ministro, il sollievo universale potrebbe significare che si torna a 'più Europa'?
"Anzitutto siamo tutti contenti che Emmanuel Macron sia diventato presidente. E 'più Europa' è da un tempo la posizione del governo tedesco. In Germania pensiamo da molto tempo che l'Unione monetaria vada rafforzata. Il problema è noto: abbiamo una politica monetaria comune senza una convergenza adeguata delle politiche economiche e finanziarie. Ci sono molte iniziative per compensare questo difetto: il piano Juncker, piani bilaterali. Ora si tratta di migliorare, intanto, nei Paesi dove mancano le riforme strutturali e la competitività. Il piano Juncker è stato rafforzato a 500 miliardi di euro. Ora bisogna creare le condizioni per investire. Ci stiamo lavorando: siamo disponibili a piani di cooperazione franco-tedeschi - ma anche con altri paesi. Le condizioni, però, vanno create nei singoli Paesi".
Cosa vuol dire?
"La strettoia, spesso, è dovuta non alla mancanza di fondi, ma alla mancanza di di presupposti per gli investimenti - anche in Germania. Un problema enorme sono le procedure per le autorizzazioni: infinitamente lunghe e farraginose. Il progetto dell'aeroporto di Berlino non sta fallendo per la mancanza di soldi, esattamente come la costruzione di strade nello Schleswig-Holstein o da altre parti. I mezzi non mancano, mancano le condizioni giuste".
Macron ha espresso, come lei, il desiderio di rafforzare l'area dell'euro.
"Ne abbiamo parlato spesso, io e lui. Se legge mie vecchie interviste e articoli troverà molti punti in comune".
Ma il suo Ministro delle Finanze comune ha altre caratteristiche, no? Lei vorrebbe che avesse possibilità di intervento sui bilanci.
"Sì, altrimenti non ha senso. E Macron e io la pensiamo esattamente allo stesso modo. Però bisognerebbe cambiare i Trattati europei".
...E non si può fare? Neanche dopo le elezioni tedesche?
"Non è certo un problema della Germania. Il trasferimento di pezzi di sovranità nazionali all'Europa non è mai fallito per colpa della Germania o l'Italia, ma piuttosto della Francia. Il presidente Macron e io siamo totalmente d'accordo su questo: ci sono due modi di rafforzare l'eurozona: cambiare i Trattati oppure farlo con pragmatismo attraverso l'intergovernativo. Modifiche dei Trattati richiedono l'unanimità e la ratifica nei Parlamenti nazionali o in alcuni Paesi addirittura un referendum. Siccome al momento non è realistico, dobbiamo provare ad andare avanti con gli strumenti esistenti, dunque attraverso uno sviluppo del trattato che regola il fondo salva-Stati Esm".
Il fondo salva-Stati Esm deve diventare un Fondo monetario europeo, come lei lo sostiene da tempo?"Sì, ne ho parlato spesso con Mario Draghi: bisognerebbe rafforzare le istituzioni perché la Bce non debba sempre portare il peso di tutto. Ma ci vogliono cambiamenti dei Trattati. Però non possiamo neanche non fare nulla, perché rischiamo che si disgreghi l'Europa. La seconda migliore soluzione, dunque, è quella di creare un Fondo monetario europeo, sviluppando lo statuto dell'Esm".
E su cosa siete già d'accordo con Macron?"Potremmo rafforzare i meccanismi. Ne ho parlato anche con Emmanuel Macron: con i parlamentari del Parlamento europeo si potrebbe creare un Parlamento dell'Eurozona. Che potrebbe avere un potere consultivo sul fondo salva-Stati".Lei ha anche proposto che l'Esm diventi una sorta di istituzione terza che controlli rigorosamente i conti pubblici, senza margini di flessibilità. Una sorta di commissario della Commissione Ue...
"L'idea è semplice: se creiamo norme comuni, vanno applicate. Non mi piace essere criticato perché voglio che le regole siano rispettate. E' il motivo per cui cresce la distanza tra i cittadini e l'Europa: quando non vengon rispettate le regole. E' qualcosa che sfinisce le persone".
E' stato un errore riconoscere molta flessibilità all'Italia?
"No, e non ho mai criticato la Commissione Ue per questo. Lo chieda al ministro Padoan. E trovo che il Patto conceda abbastanza margini di flessibilità. A proposito: se i debiti creassero crescita, la Germania dovrebbe crescere di meno. E invece. Non si può dare sempre la colpa agli altri. Se la Francia ed altri hanno problemi, non può essere sempre colpa della Germania".
Ma la Spagna cresce a ritmi robusti adesso, dopo anni di sforamento del disavanzo.
"La Spagna ha fatto soprattutto le riforme. A proposito: anche l'Italia ha fatto molte riforme. Ma ormai devo stare attento quando elogio il suo Paese. Quando l'ho fatto prima del referendum dello scorso dicembre la reazione dei media italiani non è stata gradevole. Ho grande rispetto per il lavoro che sta facendo Gentiloni. Spero non lo danneggi".
Ma l'Italia cresce poco. Secondo lei perché?"Non lo so. Anche il mio collega italiano, Pier Carlo Padoan, ritiene la crescita attuale insufficiente. Io penso che il percorso di riforme di Renzi, quando era presidente del Consiglio, sia stato giusto. Adesso temo che l'Italia soffra della fase attuale di incertezza politica. Spero sia rapidamente superata".Questa incertezza la spaventa?
"Ho una grande fiducia nella saggezza democratica dell'Italia. La Germania ha un interesse genuino al benessere di tutti, in Europa, compresa l'Italia".
L'euro è "irreversibile", come sostiene Mario Draghi?
"Sì".
Pensa che vada introdotto un meccanismo per consentire a qualcuno di uscire?
"Se un Paese non vuole uscire deve fare riforme strutturali, come la Grecia. Con l'euro è finita l'era in cui alcuni Paesi restavano competitivi attraverso la svalutazione delle monete. E' una scorciatoia politica. In questo sono perfettamente d'accordo con l'analisi di Mario Draghi sui difetti dell'eurozona. E quello che Draghi dice sempre è che i Paesi devono creare da soli le condizioni per crescere. In questo la Grecia sta migliorando. E il programmi di aiuti decisi durante la crisi per la Grecia, il Portogallo, Cipro, la Spagna e l'Irlanda sono stati molto criticati, ma hanno sempre portato risultati".
Cos'altro può cambiare?
"Credo che il fondo salva-Stati ESM dovrebbe aiutare Paesi in difficoltà, ma penso anche che i titoli di Stato dovrebbero avere implicita, sin dall'emissione, la possibilità di una ristrutturazione. E un'altra cosa che va fatta, con cautela, è riconoscere la non neutralità dei titoli di Stato. So che è un tema spinoso. E penso anche che le regole per la ristrutturazione delle banche vadano applicate".
Per lei la valutazione non neutrale dei titoli di Stato è un pre requisito per completare l'Unione bancaria con il deposito comune?
"Prima di mettere i rischi in comune, dobbiamo ridurli".
L'Italia non sottoscriverà mai una cosa del genere."Ovunque, anche in Italia, i bilanci delle banche devono essere messi in ordine, va risolto il problema delle sofferenze. Su questo siamo d'accordo tutti. Lo abbiamo ampiamente fatto e alcune le abbiamo anche chiuse - Westdeutsche Landesbank non esiste più. E' un percorso doloroso. Ma è accaduto anche in Portogallo o in Spagna: deve essere gestito in modo cauto. Abbiamo negoziato a lungo le regole per le banche, ma se poi non le applichiamo alimentiamo i populismi".Facile per il governo tedesco insistere sul bail in e su regole create dopo che avevate già salvato i vostri istituti di credito con soldi pubblici..."Dopo il fallimento di Lehman Brothers emersero problemi acuti e fummo costretti ad agire in fretta. Poi si diffuse il pensiero che non bisognava più salvare le banche con soldi dei contribuenti. Una retorica globale. E allora abbiamo faticosamente creato regole per questo. E' vero, abbiamo ristrutturato WestLB quando valevano altre regole. Adesso, però, le regole saranno applicate rigorosamente anche qui - e anche qui in Germania ci sono istituti di credito con problemi".Quindi la direttiva sul bail in, quella che coinvolge anche azionisti e risparmiatori nei salvataggi, non si può cambiare?
"Si può parlare di tutto. Ma finché valgono le regole attuali, vanno applicate".
Lei è il politico più amato in Germania, ma nel resto del continente meno. E' considerato il simbolo dell'austerità."Io sono il simbolo della crescita".E dove vede la crescita, in Europa? 
"Ovunque! Per la prima volta da quasi un decennio la Commissione Ue si aspetta tassi di crescita positivi in tutti gli Stati membri. Io sono il ministro delle Finanze tedesco, quindi conosco soprattutto la Germania. Abbiamo una crescita forte e, grazie a una disoccupazione bassa, salari in aumento e consumi in crescita. Però sopporto il peso di essere considerato il capro espiatorio di tutti coloro che non riescono a risolvere i loro problemi, in Europa".
E il surplus commerciale tedesco, non ha nulla a che fare con le sue politiche di risparmio che smorzano la domanda interna? 
"Il surplus è per metà colpa dell'euro debole. E noi non crediamo che possa essere risolto se ci indeboliamo noi: sono gli altri che si devono rafforzare. La predominanza delle squadre spagnole in Champions League non può certo essere risolta indebolendo il Real Madrid. E' la Juventus che si è rafforzata".
'Crescita inclusiva' è la nuova parola d'ordine dei consessi internazionali, ma che vuol dire?
"Sono felice che finalmente sia un tema discusso al livello internazionale, dopo anni che ho cercato di introdurlo nelle riunioni del Fmi, del G7 e del G20. La crescita 'inclusiva' può essere ottenuta soltanto se le differenze tra i Paesi avanzati e quelli emergenti si riducono. E' sbagliato dire che solo i Paesi più industrializzati debbano crescere di più. Ho sempre sostenuto che il divario va rimpicciolito. In Germania abbiamo avuto il padre dell'economia sociale di mercato, Ludwig Erhard. Lui diceva che la competitività e la stabilità sociale vanno sempre combinate, solo questo rende stabili le società. Vale anche per la comunità mondiale. Non è un caso che con la presidenza tedesca del G20 l'Africa sia per la prima volta nell'ordine del giorno".
Lei è a favore di un assegno di disoccupazione comune in Europa, come Macron?
"Lasciamolo lavorare, intanto, ha un percorso complesso davanti a sé....In Europa abbiamo il problema che a causa degli standard di vita molto diversi tra Paesi, l'armonizzazione dei servizi sociali è un problema gigantesco".
Lei ci crede al fatto che l’asse franco-tedesco possa rivitalizzare l’Europa?
"Noi tedeschi sappiamo che il nostro futuro sarà positivo solo se l'Europa starà bene. In Francia è in atto un processo interessante. Emmanuel Macron ha la stessa età di JF Kennedy quando divenne presidente. Ha fondato un movimento nuovo e ha vinto le elezioni. Trovo straordinario che sia andato sul palco del Louvre accompagnato dall'Inno alla gioia, l'inno europeo. Riempie molti giovani di speranza. Se qualche giovane in più fosse andato a votare a giugno in Gran Bretagna non avremmo avuto la Brexit. Però non dobbiamo neanche fare come se il rinnovato motore franco-tedesco fosse la ripartenza dell'Europa".
Cosa intende dire?
"Senza l'Italia non si può fare l'integrazione europea. Ne sono sempre stato convinto: Carlo Azeglio Ciampi glielo potrebbe raccontare, se fosse ancora vivo. Le direbbe che (negli anni Novanta,
ndr) un certo Wolfgang Schäuble, allora capogruppo della Cdu al Bundestag, si impegnò molto per fare entrare l'Italia nel gruppo di testa dell'euro, nonostante i problemi finanziari che aveva. E l'Italia ha fatto un'impresa grandiosa, all'epoca. Ma poi ci si è riposati per un ben pezzo sugli allori. L'Italia deve proseguire sul percorso di riforme. E' quello che volevo dire prima del referendum di dicembre scorso".

Lei è stato ministro delle Finanze durante la Grande crisi..."Quale crisi? L'eurozona cresce dello 0,5% nel primo trimestre, i dati finanziari migliorano. La crisi è alle nostre spalle e adesso dobbiamo capire come andare avanti in modo positivo".Fu un errore la sua proposta di far uscire temporaneamente la Grecia dall'euro, nel drammatico luglio del 2015? "Le sa ciò che Pier Carlo Padoan disse pubblicamente: una stragrande maggioranza dei ministri delle Finanze erano convinti che sarebbe stato meglio se la Grecia fosse uscita temporaneamente dall'euro. E' stata la Grecia a decidere diversamente. Adesso ci stiamo impegnando perché il terzo pianto di aiuti abbia successo".Lei è famoso per essere leale. E' anche una qualità che riconosce a se stesso. Lo è stato con Helmut Kohl, ma anche l'anno scorso con Angela Merkel, quando la crisi dei profughi aveva fatto emergere indiscrezioni sul fatto che lei potesse sostituirla alla cancelleria. Lei invece preferì rimanerle leale. Perché?
"Ho un'idea un po' démodé della politica. Ovvio che sono molto ambizioso e ho l'esigenza di impormi. Altrimenti non sarei un politico. Ma cerco sempre di dire che non io sono la cosa più importante. E' vero, sono leale. Ma proprio perché sono leale, sono libero e scomodo. E forse in questa combinazione è tollerabile.