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Stato di necessità contro il terrorismo. Rapporto tra intelligence e politica estera. Ruolo della magistratura. Sovranità politica dell'Europa step by step e sovranità democratica.
- A
fine 2015 Gianni Pittella avanzò l'idea, su modello nord-americano,
di una Fbi europea “contro il terrorismo 2.0”.
- Dopo
le stragi di Bruxelles la ripropongono Enrico Letta ed Emma Bonino,
che collega sicurezza interna e politica estera.
- Ma
il magistrato Armando Spataro mette in guardia da servizi segreti
(dipendenti dai governi) al comando di tutte le operazioni.
- Problemi
insiti nelle diverse risposte.
- L'Unione
tra moneta unica, frontiere chiuse ai migranti e strategie di
sicurezza.
- Spinte
autoritarie e movimenti.
Pittella,
l'antesignano
A
seguito delle stragi di martedì 22 marzo a Bruxelles, molti politici
(tra cui Enrico Letta)
e commentatori hanno invocato la nascita di una Fbi
europea, sul modello nord-americano.
L'idea
non è nuova e la propugnò a fine 2015 Gianni Pittella,
presidente del gruppo dei Socialisti e Democratici (S&D) del
Parlamento europeo, in un incontro con il direttore esecutivo di
Europol [con
lui nella foto].
|
Gianni Pittella e Rob Wainwright |
Si
noti: non di un coordinamento in una più stretta ed efficiente
collaborazione tra agenzie dei Paesi dell'Unione, annunciata,
solennemente promessa e mai realizzata, ma di un vero e proprio
Ufficio centrale dell'Intelligence europeo rivolto alla sicurezza
interna dell'Unione.
Sarebbe
facile ironizzare su una proposta che punta ad un livello massimo,
quando nulla o quasi si è riusciti a fare a livello minimo. Si pensi
alle “falle informative” sull'asse stragista tra Parigi e
Bruxelles. Si pensi allo stesso Stato belga, in cui i sei servizi
esistenti non riescono a collaborare tra loro e, nella federazione,
le due componenti costitutive (di lingua francese e fiamminga) si
trattano in cagnesco, anteponendo le proprie gelose parzialità
all'interesse unitario.
D'altro
canto, una volta aperto lo spazio continentale alla libera
circolazione di persone, merci ed informazioni, come garantire
l'ordine, se le polizie restano chiuse, incomunicanti tra loro, a
presidio del solo territorio nazionale? In più, come impedire che
le insufficienze di uno diventino di tutti?
È
proprio sulla duplice debolezza, di ciascun Stato preso in
solitudine e dell'insieme degli Stati sullo spazio aperto
comunitario, che si concentrano le “ansie di sicurezza”,
derivandone un superiore stato di necessità, a cui dare risposta
attraverso una nuova istituzione dell'Unione: la Fbi d'Europa.
Schieramenti
precari
In
Italia essa viene presentata in alternativa agli “avvoltoi
populisti” sia continentali che di casa nostra. Questi, muovendo
dalla chiusura xenofoba verso l'immigrazione (da Paesi islamici e
non) vogliono e praticano il ripristino delle frontiere e,
conseguentemente, decretano la fine dello spazio, aperto dal trattato
di Schengen, alla libera circolazione comunitaria.
In
ciò consisterebbe la sostanziale differenza politica tra due
schieramenti alternativi.
Ma
questi schieramenti sono così distinguibili?
Prendere
a pretesto la lotta al terrorismo jihadista, facendo di ogni erba un
fascio, per condurre uno “scontro di civiltà” tra Cristianità
ed Islam, può rientrare in una strategia condotta sia da ogni
singolo governo nazionale quanto dall'Unione. Uno scontro che
potrebbe ben rientrare nella “Europa dei cannoni” invocata da
Angelo Panebianco.
Non
è chiaro, poi, se le “rinunce di libertà” imposte dalla
severità dello scontro, di cui alcuni Vip del giornalismo scrivono,
sarebbero minori o meno “regressive”, qualora venissero applicate
su scala pan-europea, piuttosto che nell'ambito ristretto di ciascun
Paese membro.
Parimenti
non è chiaro in quale dei due versanti possano essere rubricati i
governi che hanno disseminato di nuovi muri la via balcanica verso la
Mitteleuropa (compresa l'Austria a guida socialdemocratica), o
semplicemente chiuso le frontiere per “stato d'emergenza”
(Francia socialista), o si siano sottratti di fatto, e non
esplicitamente come la Polonia di Kaczynski
dopo le stragi di Bruxelles,
alla “ripartizione dei migranti” stabilito dal vertice europeo
nello scorso giugno.
Inoltre,
il Consiglio d'Europa si è espresso alla unanimità a favore
dell'accordo con la Turchia
sui migranti irregolari in Grecia, che ha “appaltato i confini
europei” alla medesima (come afferma Emma Bonino), attuando
respingimenti
de
facto
e
discriminando tra siriani e non.
Né
si vedono differenze sostanziali nelle “tecniche” della
comunicazione.
Stante
l'impatto sulla pubblica opinione delle devastazioni umane prodotte
dal terrorismo, nessuno si è astenuto dalla “strumentalizzazione a
caldo” degli eventi, impegnandosi ognuno nel rilancio dei propri
obiettivi e approfittando dell'occasione mediatica per gestire in
proprio il marketing politico-elettorale delle emozioni.
L'intelligence
non basta
Emma
Bonino, ministro degli Esteri nel fu governo Letta, si è posta sulla
scia dell'ex premier ampliandone la prospettiva.
Nell'intervista
rilasciata a La Stampa di Torino tratta in contemporanea
dell'Isis in Libia, del caso Regeni, del rapporto tra una necessaria
centrale unica europea modello Fbi e l'esigenza di una
politica estera comune. [Vedi
“Politica estera comune”]
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Politica
estera comune
-
I terroristi di Bruxelles sono passati indisturbati dall'Italia: cosa
facevano i nostri servizi?
«Posto
che perfino la sicurezza americana fu beffata nel 2001, se i
terroristi di Bruxelles non erano segnalati come potevamo
intercettarli? L'Europa fa grandi sforzi di coordinamento ma
l'intelligence non è questione di coordinare 28 paesi bensì di
politica estera, di sicurezza comune: se non c'è, non c'è
intelligence comune. Nell'integrazione dell'UE la sicurezza è
rimasta competenza nazionale: per rimediare bisognerebbe rivedere i
trattati e invece i paesi pensano a rivedere le proprie Costituzioni
illudendosi che chiudere le frontiere risolva il problema.»
-
Cosa risolve invece?
«Tenere
la barra dritta sugli Stati Uniti d'Europa a da lì costruire una
politica estera comune e un'intelligence comune tipo Fbi europea.
L'Italia, al di là delle polemiche, è il paese che si sta spendendo
di più per una maggiore integrazione. Dico le polemiche perché mi
dispiace sentire i nostri leader che parlano dell'Europa come
un'entità ostile: siamo tra i fondatori dell'UE e se non funziona
non è per via dei burocrati di Bruxelles ma perché così l'hanno
voluta i paesi
membri, Italia compresa.»
-
Ha l'impressione che l'Italia mantenga un basso profilo sui diversi
dossier internazionali?
«Non
credo nell’illusione dell’influenza nazionale, non ci aiuta a
governare i fenomeni. L’Italia a volte ha preso
delle iniziative, come Mare Nostrum. Ma anche lì la mia proposta di
farne un intervento europeo incrociò il fuoco di sbarramento di
Bruxelles. Davanti ai rifugiati in Grecia penso che abbiamo appaltato
i confini europei alla Turchia e mi dico che questa Europa - 500
milioni di abitanti, il continente più ricco del mondo - tra il
2008 e il 2014, durante la peggiore crisi economica, ha concesso 2,5
milioni di visti l’anno mostrandosi così consapevole del proprio
invecchiamento e del bisogno di manodopera. E non sappiamo gestire i
rifugiati?».
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Ne
emerge in tutta evidenza una connessione non solo logica ma pratica:
per condurre efficacemente la lotta al terrorismo dell'Isis (o
generalmente jihadista) l'attenzione al solo versante interno
europeo, tramite una Fbi dell'Ue, risulterebbe inutile senza
una politica estera comune.
Seguendo
il ragionamento della Bonino, potremmo andare oltre. Poiché l'Isis
non è solo terrorismo jihadista in franchising, incistato nei
ghetti delle fallite integrazioni nelle metropoli continentali, ma
una entità
belligerante nel vicino Oriente, in Siria-Iraq e Libia, una
estensione dall'emergenza “interna” a quella “esterna”, e dei
relativi apparati d'intelligence, corre in automatico. Anche sul filo
e nella deriva della guerra.
Senonché
l'Italia di Renzi nell'invocare maggiore integrazione appare
piuttosto solitaria, tuttalpiù in compagnia di una Grecia a
sovranità limitata dai poteri tripolitani di
Bruxelles-Francoforte-Berlino.
A
chi si riferisce Bonino quando accusa i Paesi che pensano a rivedere
le proprie Costituzioni piuttosto dei trattati in vigore? Alla
Francia del socialista Hollande? A quali altri?
Dell'accordo
tra Consiglio d'Europa e Turchia non appare contraddittorio solo
l'appalto dei confini, ma pure la pretesa di gestire le migrazioni
dei rifugiati opportunamente selezionati per provenienza e separati
dai migranti economici.
In
tali distinzioni si annida la motivazione “trainante”
dell'accoglienza: se è davvero quella “solidale ed umanitaria”
o, come emerge dalle stesse parole della Bonino, quella d'interesse
economico-sociale legata al calo delle nascite e all'”esercito di
riserva” di manodopera, magari qualificata di tipo siriano
(preferita dalla Germania).
In
questo ultimo caso, di fronte alla vastità dei fenomeni migratori
generati dalla mondializzazione, il calcolo di convenienza
economico-demografico rischia di rendere permanente la logica
dell'accordo Ue-Turchia, oggi presentato come dettato da una
situazione contingente ai limiti.
Inoltre,
rimangono in sospeso altre domande.
Pure
ammesso che si arrivi ad una politica estera comune, di cui al
momento non troviamo alcuna traccia (mentre ne troviamo in senso
inverso): chi comanderà la Fbi europea? I governi europei?
Riuniti in rappresentanza di 28 o 42 Paesi? La Commissione europea
oggi guidata da Junker? Una super-procura di nuova istituzione? In
base ad un nuovo Trattato?
Dalle
possibili risposte dipende il percorso concreto di una Europa che, da
Pittella a Letta alla Bonino, s'intende integrabile step by step.
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Il
controllo degli 007
Premessa
di Spataro: «Credo fortemente alla funzione delle agenzie di
informazione in ogni democrazia. Ma ho più volte affermato che va
potenziata la sinergia tra tutte le istituzioni e le forze in campo,
non il mero rafforzamento delle attività di intelligence. Bisogna
anche operare per rendere effettiva la cooperazione giudiziaria
internazionale, di cui sono protagonisti la magistratura e le forze
di polizia tradizionali».
L'intervistatore:
«Su questo punto l'Europa sembra all'anno zero».
Spataro:
«Le difficoltà dipendono dalle differenze di ordinamento. Molti
paesi dell'Unione europea non accettano che siano i pubblici
ministeri a dirigere le indagini della polizia giudiziaria, con la
conseguente sottrazione delle inchieste alle scelte politiche. E allo
stesso modo nella maggioranza degli stati non il principio – per
noi irrinunciabile – di assoluta indipendenza del pubblico
ministero rispetto al potere esecutivo».
L'intervistatore:
«Quando la lotta al terrorismo viene affidata agli 007 c'è il
rischio che venga a cadere ogni possibilità di controllo
democratico?»
Spataro:
«Se si opera principalmente attraverso i servizi di intelligence è
chiaro che la guida non potrà che essere politica. Di qui le scelte
prevalenti in favore dei servizi care ai governi europei, anche a
scapito dell'efficienza operativa e della qualità dei risultati.
Inoltre le regole secondo le quali operano i servizi non possono che
essere, per definizione, segrete, dunque diverse tra loro ed
incontrollabili, tali da alimentare spesso metodi d'azione a dir poco
criticabili». (…)
L'intervistatore:
«Molti sostengono che oggi la portata della minaccia sia tale da
imporre leggi speciali, paragonando la situazione creata dagli
attentati di Parigi e Bruxelles a una vera guerra, da combattere con
ogni mezzo.»
Spataro:
«La nostra democrazia non può tornare indietro di un solo passo e
non possono esistere, come qualcuno teorizza, zone grigie
nell'affrontare il terrorismo. Non si torna indietro neppure di un
millimetro, per la semplice ragione che sui diritti non si tratta. È
ovvio che ci troviamo di fronte a fenomeni nuovi, che comportano
l'esistenza di scenari di guerra. Ma l'Italia ha saputo dire no a
misure straordinarie come quelle introdotte dagli Stati Uniti, dalla
Gran Bretagna e dalla Francia. Dal 2005 il nostro paese ha varato tre
decreti per rispondere alla minaccia del terrorismo, tutti convertiti
in legge con grandissima maggioranza parlamentare». (…)
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Cooperazione
giudiziaria
Nell'intervista
rilasciata a La Repubblica da Armando Spataro [vedi
“Il controllo degli 007”], procuratore di Torino, dalla
collaudata esperienza “dagli anni di piombo al caso Abu Omar”,
traspare un modo di intendere la lotta al terrorismo diverso e
persino divergente da quello di coloro che propongono una Fbi
europea.
In
sostanza, Spataro sostiene:
chi
vuole dare mano libera ai servizi segreti, controllati dai governi,
lascia l'antiterrorismo alla loro gestione politica, con i connessi
rischi, ovvero l'adozione di metodi “a dir poco criticabili”
(come renditions, torture e prigioni off-shore) ;
sui
diritti non si deve trattare e va respinta l'introduzione di leggi
speciali del tipo di quelle adottate in altri Paesi come Usa, UK e
Francia;
nel
coordinamento di tutte le forze impiegate contro il terrorismo deve
assumere preminenza la cooperazione giudiziaria, alla quale far capo
l'operatività delle polizie;
in
ogni caso, l'indipendenza della magistratura italiana dal potere
politico segna una differenza di ordinamento per noi irrinunciabile.
Questa
posizione mette in risalto il ruolo della magistratura inquirente di
cui Spataro è esponente. Si potrebbe trattare di una rivendicazione
“corporativa” se, nel farlo, non evidenziasse l'indirizzo
politico in cui si viene a muovere la proposta di una Fbi europea,
presentata “neutralmente” come una semplice risposta europeista
allo stato di necessità.
Di
mezzo ci sono le già citate limitazione dei diritti e delle libertà,
spesso dichiarati “valori su cui si fonda l'Europa” salvo
aggiungere che, data la situazione, potrebbero venire sacrificati,
ovviamente in parte e in via del tutto transitoria.
Di
mezzo, soprattutto, c'è la questione di chi debba guidare la lotta
al terrorismo, giacché la sua efficienza ed efficacia, è assodato,
non dipende né dalla massa di dati concentrati in un unico
“cervellone informatico”, né da leggi speciali volute dai
governi e affidate agli 007.
La
“cooperazione giudiziaria” prospettata da Spataro, purché non
venga distorta in direzione di una Super-procura investigativa
europea e di un corrispondente Tribunale speciale anti-terrorismo
(ambedue obbedienti, magari, a norme sovra-nazionali speciali del
tipo di quelle adottate da Usa, Regno Unito e Francia),
comporterebbe, a mio parere, un maggior tasso di “controllo
democratico”rispetto alla istituzione di una Fbi europea.
Step
by step
Per
alcuni federalisti, in assenza di un salto qualitativo complessivo
che porti ad una sovranità unica, l'Unione dovrebbe costituirsi e
costruirsi un pezzo di sovranità alla volta, a rate, sospinta per
passi successivi dal sopraggiungere di particolari stati di
necessità. Quasi a comporre un puzzle
che, completato in ogni sua parte, si compirebbe infine nella
raggiunta unità sovrana degli Stati Uniti d'Europa.
Come
prima accennato, questa via alla sovranità comunitaria si presenta
come democratica alternativa a quella della riemergente sovranità
nazionale che viene, associata, comunque, alle chiusure xenofobe, ai
nuovi muri ed ai nazionalismi regressivi.
Ma
la storia contemporanea dell'Europa non convalida questa
rappresentazione democratica della via step by step.
Infatti,
già disponiamo di passi pregressi, di istituzioni comunitarie
sovra-nazionali, che hanno escluso il demos dall'esercizio sia
reale che formale della sovranità.
Abbiamo
assistito a sottrazioni di sovranità ai singoli Paesi, senza che la
sopraggiunta sovranità comunitaria, seppure “parziale”,
assumesse alcun carattere democratico. Al contrario, tale sottrazione
ha dato luogo ad un duplice potere sostanziale autoritario e
a(nti)-democratico: delle oligarchie politico-finanziarie, da un
lato, e, dall'altro, di alcuni Stati resi “più sovrani” in
rapporto ad altri, in un contesto a-simmetrico continentale di
divaricazioni crescenti tra centro e periferie.
Per
dirla chiara: una Fbi europea replicherebbe, sul piano della
sicurezza, l'adozione della moneta unica e l'istituzione della Banca
centrale europea nell'ambito di Trattati sempre oggetto di critiche e
mai o rivisti o abbandonati. Alle sue spalle sarebbe priva di uno
Stato federale con una sua Costituzione democraticamente fondata e
fondante. È questo l'approdo delle “civili
democrazie” europee?
Non
esistendo un Parlamento eletto allo scopo, da cui dipenda un Governo
federale, il risultato sarebbe inevitabilmente conseguente: sotto il
paravento della “tecnica”, stavolta non finanziaria e monetaria
bensì poliziesca, avremmo un ulteriore potere sovra-nazionale
sottratto a qualsivoglia “volontà popolare” e, di converso,
aggiunto alla disponibilità delle già dominanti e prima menzionate
forze oligarchiche e statuali.
Sfuggiremmo
certo ad una sovranità derivante dallo “Stato d'eccezione”
a cui mirano i fautori di confini xenofobi, nazionalismi
fascistizzanti e patriottardi, ma il risultato non sarebbe poi tanto
dissimile. Altrimenti, ci dicano i costruttori dell'Unione
Politica un pezzo alla volta, quale sovranità sarebbe esercitabile
dal popolo (o dai popoli) in simili condizioni di fatto. E,
soprattutto, di quali garanzie democratiche godrebbero i “diritti
dei cittadini” di cui l'Unione sarebbe inevitabilmente culla.
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Parlamenti
e TTIP
(…)
«Le indagini in corso in queste ore, la
ricostruzione della dinamica degli attentati e l'identificazione dei
terroristi ci confermano quanto sia micidiale non essere uniti: il
Belgio ha pagato caro le divisioni tra i diversi ceppi linguistici
(francese, olandese e tedesco). Divisioni che hanno impedito le
collaborazioni, hanno fatto alzare muri, diffidenze e gelosie. Una
nazione di poco più di 11 milioni di abitanti che oltre ai due rami
del Parlamento nazionale ha tre Parlamenti regionali (Fiandre,
Vallonia e Bruxelles), ognuno dei quali legifera non solo su problemi
locali ma in tutto l'ambito economico e politico. Perfino sulle
relazioni internazionali. Tanto che il famoso e molto discusso
Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti (TTIP) tra
Europa e Stati Uniti, una volta firmato dalla Commissione europea,
avrebbe bisogno della ratifica di ognuno dei 28 Paesi che formano
l'Unione ma con il voto di 35 Parlamenti. Sì perché in 26 nazioni
ci sarà il voto del Parlamento, in Germania due e nel solo caso del
Belgio sarà necessaria l'approvazione da parte di ben sette
Parlamenti diversi... ».
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Scelte
dirimenti
Non
è un caso se alcuni, tra cui il nuovo direttore di La Repubblica,
collegano lo stato di necessità della lotta al terrorismo
all'approvazione del TTIP, il trattato transatlantico di
libero scambio tra Ue e Stati Uniti, eventualmente impedito dal
persistere di tante assemblee elettive [vedi
“Parlamenti e TTIP”].
Obiettivamente sarebbe più sbrigativo farne a meno. Ma l'Europa
Unita non c'è e farne a meno sarebbe una decisa “torsione” verso
una china autoritaria dagli imprevedibili sviluppi.
Mi
pare, pertanto, essenziale comprendere la connessione tra i diversi
ambiti che vengono oggi ad intrecciarsi sempre più strettamente:
l'ambito delle questioni “economiche” per cui la sovranità è
passata alle oligarchie e quello costituzionale, da cui divincolarsi
in loro funzione.
Si
frappongono alla deriva il movimento contro il TTIP
e quello, in via di formazione contro la Riforma Renzi-Boschi della
Costituzione. Se quest'ultima passasse avremmo uno stravolgimento ben
più grave di quello rappresentato dal nuovo articolo 81, considerato
a ragione un “corpo estraneo”
nel nostro ordinamento.
In
Italia, il “conflitto inevitabile”
è già in atto e, ad esso, si deve accompagnare un
approfondimento sulla sovranità politica, qui intenzionalmente
iniziato.