sabato 23 aprile 2016

Pensioni tombali

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Mentre Tito Boeri annuncia che i trentaseienni andranno in pensione (da fame) a 75 anni, c'è chi sostiene: «gli anziani sono diventati più benestanti a spese dei giovani».

Un refrain stucchevole
Continua il dibattito sulle pensioni italiane, luogo di certezze matematiche e di stress politico.
Spesso gli articoli su carta stampata e in Rete, dopo sguardi sconsolati ai conti dell'INPS, recriminazioni sul passato clientelare della prima Repubblica (tempi d'abbondanza!) e critiche alla Fornero, diventata il parafulmine delle politiche di Monti, si concludono nel solito scontato modo: gli anziani sono privilegiati a danno dei giovani.
Al refrain non si sottrae nemmeno Stefano Feltri1, confluendo nella corrente di pensiero che vede nel conflitto tra generazioni, con i vecchi a farla da padroni, la ragione della iniquità previdenziale. Sicché al lettore rimane l'impressione che la Fornero sia stata solo piuttosto maldestra (i “tecnici”, si sa, vanno per le spicce), nel perseguire una pur giusta linea politica di riequilibrio, tesa a salvaguardare i giovani togliendo agli anziani, pensionati e pensionandi.
Paradigmi di politica economica
Riposizioniamo il problema.
Le pensioni del sistema retributivo stavano in relazione sistemica con le remunerazioni del lavoro, il welfare ed il ruolo attivo dello Stato in una data economia, tra il secondo dopoguerra e la fine degli anni settanta del '900. Tenere i livelli pensionistici un po' sotto, ma non troppo, rispetto a salari e stipendi, con questi ultimi aggiornati tramite scala mobile e contratti nazionali di lavoro, serviva a corroborare i consumi, a dare sbocco alle produzioni e, complessivamente, a reggere il Pil con il connesso gettito fiscale. Nel paradigma keynesiano tout se tient.
Con le riforme liberali e l'adesione all'economia globalizzata “di mercato”, in cui lo Stato non è la soluzione ma il problema (Reagan), si ridiede vita al paradigma liberista, deregolamentando flussi di capitali, localizzazioni produttive, lavoro, dipendente ed autonomo, e quant'altro. Dulcis in fundo, in Italia il sistema pensionistico adottò il “contributivo”. E poi, tardivamente, tramite aiutini fiscali si facilitò la nascita di Fondi pensione con i Tfr (cointeressando le élites sindacali) e la sottoscrizione di pensioni integrative private. Pure in questo paradigma “tutto si doveva tenere”.
Per troppi, Sergio Cofferati compreso, l'insieme era ben congegnato. Senonché, a dispetto della perfezione in sé del modello matematico-assicurativo, il paradigma generale liberista mostrò il suo vero interno scopo. Per farla breve: i ricchi si arricchirono, i poveri sprofondarono e la middle class vide sfoltirsi di molto le sue fila. In particolare, il lavoro subì un possente attacco salariale ed occupazionale, precarizzandosi strutturalmente. Potevano le pensioni restarne fuori? Ciò che all'interno del passato paradigma era considerato “normale”, divenne in quello ad esso subentrato un “insopportabile privilegio”. Come se a ridurre giovani e lavoro in queste misere condizioni non sia il perdurante liberismo, bensì le vestigia dell'economia postbellica. Come se la insostenibilità degli esborsi pensionistici non derivasse dalla insostenibilità sociale del paradigma liberista, che ha sconfessato nei fatti ogni sua promessa di “roseo avvenire”.
Poiché il crack finanziario del 2007-2008 e la recessione ne sancirono il fiasco storico, ma non il suo superamento politico, ora si arranca alla ricerca di rattoppi.
Pezze
Tutto ciò non è accaduto in un giorno.
In itinere, i tempi di passaggio dal “retributivo” al “contributivo”, prima diluiti (riforma Dini), sono stati a più riprese accorciati, in misura però mai bastevole. Ed oggi, per non deprimere troppo i giovani assicurati, l'INPS deve supporre, nelle “buste arancioni”, un improbabile e costante aumento del Pil nazionale negli anni a venire, se vuole dare a ciascuno di essi l'idea che avrà una parvenza di pensione. Ma guai a gettare il panico sulle aspettative giovanili, svelando la verità, pure la Camusso si adombra.2
Pertanto, in occasione dell'ennesima pezza al “contributivo”, relativa ai pensionamenti anticipati, c'è chi propone di sottrarre ai già pensionati quanto serve per rimettere in sesto i bilanci dell'Istituto e del connesso debito pubblico, sollevando i giovani lavoratori odierni dal peso di pagarne le perdite3 e sempre promettendo loro future pensioni meno penalizzanti.
Domani ti pago”, alla Totò
Incuranti del fatto che, se ciò accadesse, il cane si morderebbe la coda ancora una volta, giacché la domanda interna cadrebbe ulteriormente, rafforzando il circuito vizioso deflazionistico e ne risentirebbe il malandato Pil.
È un déjà vu. Se non bastasse l'esperienza rovinosa del governo Monti, a questo proposito si veda la Grecia: tagliando le pensioni, insieme ad altre componenti del welfare, il debito pubblico, invece di rientrare, cresce. E viene messa in forse la stessa capacità di “ristoro” dei suoi arcigni creditori internazionali.
Da qui la schizofrenia che pervade il FMI, membro della Troika insediata ad Atene, ma anche coloro che da un lato invocano tagli e sacrifici e, dall'altra, visto l'esito deludente del Quantitative easing di Draghi, prospettano di “gettare soldi dall'elicottero”, guardandosi bene però dal dirci quanti, quando, dove e, soprattutto, a chi.4
Non ripeterò il già scritto in questo Blog5 sul nostro sistema pensionistico. Mi limito ad una considerazione.
Come il “retributivo” concorse a determinare il prolungamento della vita, perseverare col “contributivo” accorcerà la vita ai vecchi a tal punto che esso diverrà “sostenibile”, auto-convalidandosi. Problema contabile risolto.

1 Stefano Feltri, “I pensionati non sono la priorità”, il Fatto Economico, 20 aprile 2016. La citazione virgoletta nel sottotitolo è tratta da questo articolo.
2 Vedi dichiarazione di Susanna Camusso del 20 aprile 2016 contro gli avvertimenti di Tito Boeri, presidente dell'INPS.
3 Vigente la “ripartizione” di cassa, per cui il gettito corrente dei versamenti contributivi paga le erogazioni pensionistiche attuali.
4 Se indirizzati in modo adeguato potrebbero produrre benefico effetto, anche di ordine economico generale.
5 “Pensioni: l'equità compatibile” e “Scheda pensioni”, 06/2015.

lunedì 4 aprile 2016

Una Fbi europea?

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Una Fbi europea?

Stato di necessità contro il terrorismo. Rapporto tra intelligence e politica estera. Ruolo della magistratura. Sovranità politica dell'Europa step by step e sovranità democratica.

  • A fine 2015 Gianni Pittella avanzò l'idea, su modello nord-americano, di una Fbi europea “contro il terrorismo 2.0”.
  • Dopo le stragi di Bruxelles la ripropongono Enrico Letta ed Emma Bonino, che collega sicurezza interna e politica estera.
  • Ma il magistrato Armando Spataro mette in guardia da servizi segreti (dipendenti dai governi) al comando di tutte le operazioni.
  • Problemi insiti nelle diverse risposte.
  • L'Unione tra moneta unica, frontiere chiuse ai migranti e strategie di sicurezza.
  • Spinte autoritarie e movimenti.

Pittella, l'antesignano
A seguito delle stragi di martedì 22 marzo a Bruxelles, molti politici (tra cui Enrico Letta1) e commentatori hanno invocato la nascita di una Fbi europea, sul modello nord-americano.
L'idea non è nuova e la propugnò a fine 2015 Gianni Pittella2, presidente del gruppo dei Socialisti e Democratici (S&D) del Parlamento europeo, in un incontro con il direttore esecutivo di Europol [con lui nella foto].
Gianni Pittella e Rob Wainwright
Si noti: non di un coordinamento in una più stretta ed efficiente collaborazione tra agenzie dei Paesi dell'Unione, annunciata, solennemente promessa e mai realizzata, ma di un vero e proprio Ufficio centrale dell'Intelligence europeo rivolto alla sicurezza interna dell'Unione.
Sarebbe facile ironizzare su una proposta che punta ad un livello massimo, quando nulla o quasi si è riusciti a fare a livello minimo. Si pensi alle “falle informative” sull'asse stragista tra Parigi e Bruxelles. Si pensi allo stesso Stato belga, in cui i sei servizi esistenti non riescono a collaborare tra loro e, nella federazione, le due componenti costitutive (di lingua francese e fiamminga) si trattano in cagnesco, anteponendo le proprie gelose parzialità all'interesse unitario.
D'altro canto, una volta aperto lo spazio continentale alla libera circolazione di persone, merci ed informazioni, come garantire l'ordine, se le polizie restano chiuse, incomunicanti tra loro, a presidio del solo territorio nazionale? In più, come impedire che le insufficienze di uno diventino di tutti?
È proprio sulla duplice debolezza, di ciascun Stato preso in solitudine e dell'insieme degli Stati sullo spazio aperto comunitario, che si concentrano le “ansie di sicurezza”, derivandone un superiore stato di necessità, a cui dare risposta attraverso una nuova istituzione dell'Unione: la Fbi d'Europa.
Schieramenti precari
In Italia essa viene presentata in alternativa agli “avvoltoi populisti” sia continentali che di casa nostra. Questi, muovendo dalla chiusura xenofoba verso l'immigrazione (da Paesi islamici e non) vogliono e praticano il ripristino delle frontiere e, conseguentemente, decretano la fine dello spazio, aperto dal trattato di Schengen, alla libera circolazione comunitaria.
In ciò consisterebbe la sostanziale differenza politica tra due schieramenti alternativi.
Ma questi schieramenti sono così distinguibili?
Prendere a pretesto la lotta al terrorismo jihadista, facendo di ogni erba un fascio, per condurre uno “scontro di civiltà” tra Cristianità ed Islam, può rientrare in una strategia condotta sia da ogni singolo governo nazionale quanto dall'Unione. Uno scontro che potrebbe ben rientrare nella “Europa dei cannoni” invocata da Angelo Panebianco3.
Non è chiaro, poi, se le “rinunce di libertà” imposte dalla severità dello scontro, di cui alcuni Vip del giornalismo scrivono4, sarebbero minori o meno “regressive”, qualora venissero applicate su scala pan-europea, piuttosto che nell'ambito ristretto di ciascun Paese membro.
Parimenti non è chiaro in quale dei due versanti possano essere rubricati i governi che hanno disseminato di nuovi muri la via balcanica verso la Mitteleuropa (compresa l'Austria a guida socialdemocratica), o semplicemente chiuso le frontiere per “stato d'emergenza” (Francia socialista), o si siano sottratti di fatto, e non esplicitamente come la Polonia di Kaczynski dopo le stragi di Bruxelles, alla “ripartizione dei migranti” stabilito dal vertice europeo nello scorso giugno.
Inoltre, il Consiglio d'Europa si è espresso alla unanimità a favore dell'accordo con la Turchia5 sui migranti irregolari in Grecia, che ha “appaltato i confini europei” alla medesima (come afferma Emma Bonino), attuando respingimenti6 de facto e discriminando tra siriani e non.
Né si vedono differenze sostanziali nelle “tecniche” della comunicazione.
Stante l'impatto sulla pubblica opinione delle devastazioni umane prodotte dal terrorismo, nessuno si è astenuto dalla “strumentalizzazione a caldo” degli eventi, impegnandosi ognuno nel rilancio dei propri obiettivi e approfittando dell'occasione mediatica per gestire in proprio il marketing politico-elettorale delle emozioni.
L'intelligence non basta
Emma Bonino, ministro degli Esteri nel fu governo Letta, si è posta sulla scia dell'ex premier ampliandone la prospettiva.
Nell'intervista rilasciata a La Stampa di Torino tratta in contemporanea dell'Isis in Libia, del caso Regeni, del rapporto tra una necessaria centrale unica europea modello Fbi e l'esigenza di una politica estera comune. [Vedi “Politica estera comune”]

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Politica estera comune

- I terroristi di Bruxelles sono passati indisturbati dall'Italia: cosa facevano i nostri servizi?
«Posto che perfino la sicurezza americana fu beffata nel 2001, se i terroristi di Bruxelles non erano segnalati come potevamo intercettarli? L'Europa fa grandi sforzi di coordinamento ma l'intelligence non è questione di coordinare 28 paesi bensì di politica estera, di sicurezza comune: se non c'è, non c'è intelligence comune. Nell'integrazione dell'UE la sicurezza è rimasta competenza nazionale: per rimediare bisognerebbe rivedere i trattati e invece i paesi pensano a rivedere le proprie Costituzioni illudendosi che chiudere le frontiere risolva il problema.»
- Cosa risolve invece?
«Tenere la barra dritta sugli Stati Uniti d'Europa a da lì costruire una politica estera comune e un'intelligence comune tipo Fbi europea. L'Italia, al di là delle polemiche, è il paese che si sta spendendo di più per una maggiore integrazione. Dico le polemiche perché mi dispiace sentire i nostri leader che parlano dell'Europa come un'entità ostile: siamo tra i fondatori dell'UE e se non funziona non è per via dei burocrati di Bruxelles ma perché così l'hanno voluta i paesi membri, Italia compresa.»
- Ha l'impressione che l'Italia mantenga un basso profilo sui diversi dossier internazionali?
«Non credo nell’illusione dell’influenza nazionale, non ci aiuta a governare i fenomeni. L’Italia a volte ha preso delle iniziative, come Mare Nostrum. Ma anche lì la mia proposta di farne un intervento europeo incrociò il fuoco di sbarramento di Bruxelles. Davanti ai rifugiati in Grecia penso che abbiamo appaltato i confini europei alla Turchia e mi dico che questa Europa - 500 milioni di abitanti, il continente più ricco del mondo - tra il 2008 e il 2014, durante la peggiore crisi economica, ha concesso 2,5 milioni di visti l’anno mostrandosi così consapevole del proprio invecchiamento e del bisogno di manodopera. E non sappiamo gestire i rifugiati?».

Estratti da:
Emma Bonino: 'Anche l'Italia rischia – Serve una Fbi europea'”, La Stampa, intervista di Francesca Paci, 29/03/2016.
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Ne emerge in tutta evidenza una connessione non solo logica ma pratica: per condurre efficacemente la lotta al terrorismo dell'Isis (o generalmente jihadista) l'attenzione al solo versante interno europeo, tramite una Fbi dell'Ue, risulterebbe inutile senza una politica estera comune.
Seguendo il ragionamento della Bonino, potremmo andare oltre. Poiché l'Isis non è solo terrorismo jihadista in franchising, incistato nei ghetti delle fallite integrazioni nelle metropoli continentali, ma una entità7 belligerante nel vicino Oriente, in Siria-Iraq e Libia, una estensione dall'emergenza “interna” a quella “esterna”, e dei relativi apparati d'intelligence, corre in automatico. Anche sul filo e nella deriva della guerra.
Senonché l'Italia di Renzi nell'invocare maggiore integrazione appare piuttosto solitaria, tuttalpiù in compagnia di una Grecia a sovranità limitata dai poteri tripolitani di Bruxelles-Francoforte-Berlino.
A chi si riferisce Bonino quando accusa i Paesi che pensano a rivedere le proprie Costituzioni piuttosto dei trattati in vigore? Alla Francia del socialista Hollande? A quali altri?
Dell'accordo tra Consiglio d'Europa e Turchia non appare contraddittorio solo l'appalto dei confini, ma pure la pretesa di gestire le migrazioni dei rifugiati opportunamente selezionati per provenienza e separati dai migranti economici.
In tali distinzioni si annida la motivazione “trainante” dell'accoglienza: se è davvero quella “solidale ed umanitaria” o, come emerge dalle stesse parole della Bonino, quella d'interesse economico-sociale legata al calo delle nascite e all'”esercito di riserva” di manodopera, magari qualificata di tipo siriano (preferita dalla Germania).
In questo ultimo caso, di fronte alla vastità dei fenomeni migratori generati dalla mondializzazione, il calcolo di convenienza economico-demografico rischia di rendere permanente la logica dell'accordo Ue-Turchia, oggi presentato come dettato da una situazione contingente ai limiti.
Inoltre, rimangono in sospeso altre domande.
Pure ammesso che si arrivi ad una politica estera comune, di cui al momento non troviamo alcuna traccia (mentre ne troviamo in senso inverso): chi comanderà la Fbi europea? I governi europei? Riuniti in rappresentanza di 28 o 42 Paesi? La Commissione europea oggi guidata da Junker? Una super-procura di nuova istituzione? In base ad un nuovo Trattato?
Dalle possibili risposte dipende il percorso concreto di una Europa che, da Pittella a Letta alla Bonino, s'intende integrabile step by step.
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Il controllo degli 007
Premessa di Spataro: «Credo fortemente alla funzione delle agenzie di informazione in ogni democrazia. Ma ho più volte affermato che va potenziata la sinergia tra tutte le istituzioni e le forze in campo, non il mero rafforzamento delle attività di intelligence. Bisogna anche operare per rendere effettiva la cooperazione giudiziaria internazionale, di cui sono protagonisti la magistratura e le forze di polizia tradizionali».
L'intervistatore: «Su questo punto l'Europa sembra all'anno zero».
Spataro: «Le difficoltà dipendono dalle differenze di ordinamento. Molti paesi dell'Unione europea non accettano che siano i pubblici ministeri a dirigere le indagini della polizia giudiziaria, con la conseguente sottrazione delle inchieste alle scelte politiche. E allo stesso modo nella maggioranza degli stati non il principio – per noi irrinunciabile – di assoluta indipendenza del pubblico ministero rispetto al potere esecutivo».
L'intervistatore: «Quando la lotta al terrorismo viene affidata agli 007 c'è il rischio che venga a cadere ogni possibilità di controllo democratico?»
Spataro: «Se si opera principalmente attraverso i servizi di intelligence è chiaro che la guida non potrà che essere politica. Di qui le scelte prevalenti in favore dei servizi care ai governi europei, anche a scapito dell'efficienza operativa e della qualità dei risultati. Inoltre le regole secondo le quali operano i servizi non possono che essere, per definizione, segrete, dunque diverse tra loro ed incontrollabili, tali da alimentare spesso metodi d'azione a dir poco criticabili». (…)
L'intervistatore: «Molti sostengono che oggi la portata della minaccia sia tale da imporre leggi speciali, paragonando la situazione creata dagli attentati di Parigi e Bruxelles a una vera guerra, da combattere con ogni mezzo.»
Spataro: «La nostra democrazia non può tornare indietro di un solo passo e non possono esistere, come qualcuno teorizza, zone grigie nell'affrontare il terrorismo. Non si torna indietro neppure di un millimetro, per la semplice ragione che sui diritti non si tratta. È ovvio che ci troviamo di fronte a fenomeni nuovi, che comportano l'esistenza di scenari di guerra. Ma l'Italia ha saputo dire no a misure straordinarie come quelle introdotte dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna e dalla Francia. Dal 2005 il nostro paese ha varato tre decreti per rispondere alla minaccia del terrorismo, tutti convertiti in legge con grandissima maggioranza parlamentare». (…)

Estratti da:
Armando Spataro, “I servizi segreti non bastano. Per sconfiggere il terrorismo giudici e forze di polizia”, La Repubblica, intervista di Gianluca di Feo, 29 marzo 2016.
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Cooperazione giudiziaria
Nell'intervista rilasciata a La Repubblica da Armando Spataro [vedi “Il controllo degli 007”], procuratore di Torino, dalla collaudata esperienza “dagli anni di piombo al caso Abu Omar”, traspare un modo di intendere la lotta al terrorismo diverso e persino divergente da quello di coloro che propongono una Fbi europea.
In sostanza, Spataro sostiene:
  • chi vuole dare mano libera ai servizi segreti, controllati dai governi, lascia l'antiterrorismo alla loro gestione politica, con i connessi rischi, ovvero l'adozione di metodi “a dir poco criticabili” (come renditions, torture e prigioni off-shore) ;
  • sui diritti non si deve trattare e va respinta l'introduzione di leggi speciali del tipo di quelle adottate in altri Paesi come Usa, UK e Francia;
  • nel coordinamento di tutte le forze impiegate contro il terrorismo deve assumere preminenza la cooperazione giudiziaria, alla quale far capo l'operatività delle polizie;
  • in ogni caso, l'indipendenza della magistratura italiana dal potere politico segna una differenza di ordinamento per noi irrinunciabile.
Questa posizione mette in risalto il ruolo della magistratura inquirente di cui Spataro è esponente. Si potrebbe trattare di una rivendicazione “corporativa” se, nel farlo, non evidenziasse l'indirizzo politico in cui si viene a muovere la proposta di una Fbi europea, presentata “neutralmente” come una semplice risposta europeista allo stato di necessità.
Di mezzo ci sono le già citate limitazione dei diritti e delle libertà, spesso dichiarati “valori su cui si fonda l'Europa” salvo aggiungere che, data la situazione, potrebbero venire sacrificati, ovviamente in parte e in via del tutto transitoria.
Di mezzo, soprattutto, c'è la questione di chi debba guidare la lotta al terrorismo, giacché la sua efficienza ed efficacia, è assodato, non dipende né dalla massa di dati concentrati in un unico “cervellone informatico”, né da leggi speciali volute dai governi e affidate agli 007.
La “cooperazione giudiziaria” prospettata da Spataro, purché non venga distorta in direzione di una Super-procura investigativa europea e di un corrispondente Tribunale speciale anti-terrorismo (ambedue obbedienti, magari, a norme sovra-nazionali speciali del tipo di quelle adottate da Usa, Regno Unito e Francia), comporterebbe, a mio parere, un maggior tasso di “controllo democratico”rispetto alla istituzione di una Fbi europea.
Step by step
Per alcuni federalisti, in assenza di un salto qualitativo complessivo che porti ad una sovranità unica, l'Unione dovrebbe costituirsi e costruirsi un pezzo di sovranità alla volta, a rate, sospinta per passi successivi dal sopraggiungere di particolari stati di necessità. Quasi a comporre un puzzle che, completato in ogni sua parte, si compirebbe infine nella raggiunta unità sovrana degli Stati Uniti d'Europa.
Come prima accennato, questa via alla sovranità comunitaria si presenta come democratica alternativa a quella della riemergente sovranità nazionale che viene, associata, comunque, alle chiusure xenofobe, ai nuovi muri ed ai nazionalismi regressivi.
Ma la storia contemporanea dell'Europa non convalida questa rappresentazione democratica della via step by step.
Infatti, già disponiamo di passi pregressi, di istituzioni comunitarie sovra-nazionali, che hanno escluso il demos dall'esercizio sia reale che formale della sovranità.
Abbiamo assistito a sottrazioni di sovranità ai singoli Paesi, senza che la sopraggiunta sovranità comunitaria, seppure “parziale”, assumesse alcun carattere democratico. Al contrario, tale sottrazione ha dato luogo ad un duplice potere sostanziale autoritario e a(nti)-democratico: delle oligarchie politico-finanziarie, da un lato, e, dall'altro, di alcuni Stati resi “più sovrani” in rapporto ad altri, in un contesto a-simmetrico continentale di divaricazioni crescenti tra centro e periferie.
Per dirla chiara: una Fbi europea replicherebbe, sul piano della sicurezza, l'adozione della moneta unica e l'istituzione della Banca centrale europea nell'ambito di Trattati sempre oggetto di critiche e mai o rivisti o abbandonati. Alle sue spalle sarebbe priva di uno Stato federale con una sua Costituzione democraticamente fondata e fondante. È questo l'approdo delle “civili democrazie” europee?
Non esistendo un Parlamento eletto allo scopo, da cui dipenda un Governo federale, il risultato sarebbe inevitabilmente conseguente: sotto il paravento della “tecnica”, stavolta non finanziaria e monetaria bensì poliziesca, avremmo un ulteriore potere sovra-nazionale sottratto a qualsivoglia “volontà popolare” e, di converso, aggiunto alla disponibilità delle già dominanti e prima menzionate forze oligarchiche e statuali.
Sfuggiremmo certo ad una sovranità derivante dallo “Stato d'eccezione”8 a cui mirano i fautori di confini xenofobi, nazionalismi fascistizzanti e patriottardi, ma il risultato non sarebbe poi tanto dissimile. Altrimenti, ci dicano i costruttori dell'Unione Politica un pezzo alla volta, quale sovranità sarebbe esercitabile dal popolo (o dai popoli) in simili condizioni di fatto. E, soprattutto, di quali garanzie democratiche godrebbero i “diritti dei cittadini” di cui l'Unione sarebbe inevitabilmente culla.
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Parlamenti e TTIP
(…) «Le indagini in corso in queste ore, la ricostruzione della dinamica degli attentati e l'identificazione dei terroristi ci confermano quanto sia micidiale non essere uniti: il Belgio ha pagato caro le divisioni tra i diversi ceppi linguistici (francese, olandese e tedesco). Divisioni che hanno impedito le collaborazioni, hanno fatto alzare muri, diffidenze e gelosie. Una nazione di poco più di 11 milioni di abitanti che oltre ai due rami del Parlamento nazionale ha tre Parlamenti regionali (Fiandre, Vallonia e Bruxelles), ognuno dei quali legifera non solo su problemi locali ma in tutto l'ambito economico e politico. Perfino sulle relazioni internazionali. Tanto che il famoso e molto discusso Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti (TTIP) tra Europa e Stati Uniti, una volta firmato dalla Commissione europea, avrebbe bisogno della ratifica di ognuno dei 28 Paesi che formano l'Unione ma con il voto di 35 Parlamenti. Sì perché in 26 nazioni ci sarà il voto del Parlamento, in Germania due e nel solo caso del Belgio sarà necessaria l'approvazione da parte di ben sette Parlamenti diversi... ».
Tratto da:
Mario Calabresi, “Da Bruxelles a Parigi solo l'Europa unita può salvarci dai terroristi”, La Repubblica, 24/03/2016.
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Scelte dirimenti
Non è un caso se alcuni, tra cui il nuovo direttore di La Repubblica, collegano lo stato di necessità della lotta al terrorismo all'approvazione del TTIP, il trattato transatlantico di libero scambio tra Ue e Stati Uniti, eventualmente impedito dal persistere di tante assemblee elettive [vedi “Parlamenti e TTIP”]. Obiettivamente sarebbe più sbrigativo farne a meno. Ma l'Europa Unita non c'è e farne a meno sarebbe una decisa “torsione” verso una china autoritaria dagli imprevedibili sviluppi.
Mi pare, pertanto, essenziale comprendere la connessione tra i diversi ambiti che vengono oggi ad intrecciarsi sempre più strettamente: l'ambito delle questioni “economiche” per cui la sovranità è passata alle oligarchie e quello costituzionale, da cui divincolarsi in loro funzione.
Si frappongono alla deriva il movimento contro il TTIP e quello, in via di formazione contro la Riforma Renzi-Boschi della Costituzione. Se quest'ultima passasse avremmo uno stravolgimento ben più grave di quello rappresentato dal nuovo articolo 81, considerato a ragione un “corpo estraneo” nel nostro ordinamento.
In Italia, il “conflitto inevitabile”9 è già in atto e, ad esso, si deve accompagnare un approfondimento sulla sovranità politica, qui intenzionalmente iniziato.

1 Enrico Letta all'Avvenire «La situazione è fuori controllo. La risposta? Subito un Fbi europeo», 23/03/2016.
2 Gianni Pittella: “Per affrontare il 'terrorismo 2.0' l'Europol deve diventare una Fbi europea”, 3/12/2015.
3 Vedi In questo Blog: “Cul de sac”, marzo 2016.
4 Lucia Annunziata, “Il Belgio è uno stato fallito e alcuni alleati ci stanno tradendo”, L'Huffington Post, 22/03/2016.
5 http://www.repubblica.it/esteri/2016/03/18/news/il_testo_completo_dell_accordo_ue-turchia-135813440/
6 La contorsione linguistico-formale adoperata sul “rispetto del principio di non-refoulement” non elimina il problema.
7 Sulla cui origine e natura, vedi anche n questo Blog: “Parole burka”, dicembre 2015.
8 “Sovrano è chi decide sullo stato d'eccezione”, Carl Schmitt, Le categoria del 'politico', il Mulino, 1972, pag. 33 e seguenti, Presentazione di Gianfranco Miglio.
9 Vladimiro Giacché, “Costituzione italiana contro Trattati europei. Il conflitto inevitabile”, Imprimatur, 2015.