lunedì 16 novembre 2015

Manovre di cassa all'Inps

Manovre di cassa all'Inps

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INPS: sono eque le nuove proposte di Tito Boeri? Presupposti contraddittori dell'equità compatibile coi bilanci. Lavoro e quiescenza ai tempi del capitalismo postindustriale.
  • Nella sua ultima proposta il presidente dell'INPS, Tito Boeri, chiede di prelevare dalle pensioni alte e medio-alte in favore di un'esangue assistenza di base che intende riordinare.
  • La risposta del governo è provvisoria e negativa, poco chiara nelle sue motivazioni, soprattutto preoccupata di non sconfessare il clima di “fiducia” nella mini-ripresa in atto.
  • Sono in questione travasi di cassa discutibili, basati su una “equità compatibile” con le esigenze di bilancio e la perdurante crisi fiscale dello Stato imposta da Bruxelles.
  • Ma forse ancor più lo sono i tempi di vita, di lavoro e studio, di quiescenza, nella società postindustriale e dopo decenni di liberismo.
Tempismo intempestivo
Non si può certo disconoscere a Tito Boeri il tempismo. La sua proposta, “Non per cassa ma per equità” [vedi sintesi nel riquadro “Tito propone...”], è stata divulgata a pochi giorni dall'appuntamento pubblico dedicato all'INPS con Papa Francesco, del quale si conoscono le idee sociali in difesa dei poveri e degli emarginati. 
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Tito propone...
Titolo: “Non per cassa ma per equità.” 
In modo “equo”, propone di reperire risorse e redistribuirle, con un aggravio nell'immediato e una riduzione di 
spesa dal 2020 in poi.

  • Reddito minimo garantito di 500 € mensili a famiglia; punta a dimezzare la povertà tra gli over 55 che non hanno ancora maturato i requisiti pensionistici.
  • Flessibilità in uscita per consentire di andare in pensione prima (età di 63 anni e 7 mesi, rivalutabile con le aspettative di vita; minimo 20 anni di contribuzione; almeno 1.500 € mensili) di quanto previsto dalla Fornero (66 anni di età e 3 mesi a fine 2015), con penalizzazioni tra l'8 e il 9% in base ai contributi versati.
  • Riordino delle 8 diverse forme di assistenza dell'Inps che vanno ai redditi più elevati (30%), con riduzioni e ritiro (9%) dei trasferimenti.
  • Erogazioni “filtrate” secondo parametri di reddito familiare, Isee, valore catastale dell'abitazione principale e patrimonio mobiliare familiare.
  • Cristallizzazione” delle pensioni tra i 3.500-5.000 € (mensili lorde) da allineare nel tempo al calcolo contributivo.
  • Prelievo sopra i 5.000 € (in particolare dei “Fondi speciali”, delle pensioni d'oro e dei vitalizi di parlamentari nazionali e regionali) per tornare alla congruità del contributivo.
  • Limitazione della norma capestro sulle “ricongiunzioni onerose” (settore scuola).
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L'ex professore della Bocconi si candida ad un posto nel governo?
Sibillina è stata la risposta del ministro del lavoro e della previdenza sociale, Poletti, che accenna a “costi sociali non indifferenti e non equi”. Renzi, invece, ha riconosciuto la correttezza “tecnica” pur giudicandola politicamente intempestiva, in quanto inquinerebbe il clima di “fiducia” sul quale punta anche la Legge di stabilità (ex Finanziaria) e metterebbe le mani su pensioni da 2.000 € al mese [vedi riquadro “Matteo non dispone”].
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Matteo non dispone

  • Giuliano Poletti (comunicato del Ministero del lavoro): «Contributo utile ma si è deciso di rinviare perché quel piano, oltre a misure utili come la flessibilità in uscita, ne contiene altre che mettono le mani nel portafoglio a milioni di pensionati, con costi sociali non indifferenti e non equi».
  • Matteo Renzi (da Vespa): «Alcuni correttivi proposti dall’Inps di Tito Boeri avevano un valore di equità - spiega il premier -: si sarebbe chiesto un contributo a chi ha avuto più di quanto versato. Non mi è sembrato il momento: dobbiamo dare fiducia agli italiani. Se metti le mani sulle pensioni di gente che prende 2.000 euro al mese, non è una manovra che dà serenità e fiducia. Per carità, magari è pure giusto a livello teorico. Ma la linea di questa legge è la fiducia, la fiducia, la fiducia. E, dunque, non si tagliano le pensioni».
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Leggendo le cifre di cui scrive Boeri, non si capisce come partendo da 3.500 € lordi si possano mettere in discussione assegni mensili di 2mila netti. Ma, data la straordinaria imposizione fiscale italiana sulle pensioni e le imprecise comunicazioni sul lordo e sul netto, tra mensilità (con 13a?) ed annualità, qualsiasi conto può apparire ballerino.
Per giunta, la maggior parte dei commentatori ha mancato di chiedersi come abbia fatto l'INPS a calcolare la differenza tra le erogazioni attuali, effettuate secondo il sistema retributivo, e l'effettivo montante contributivo cumulato dagli ex dipendenti pubblici (ex INPDAP), non disponendo, fatto risaputo, di uno storico attendibile. Miracolo della matematica
attuariale! Tanto più se consideriamo l'elevato numero dei dirigenti pubblici, sproporzionato rispetto ai loro dipendenti, a paragone di Paesi come Germania, Francia ed Inghilterra, ad oggi divenuti pensionati. Il loro addensamento nelle fasce media (3.500-5.000 €) ed alta (oltre 5.000 €) dev'essere senz'altro rilevante...
(R)Aggiramenti
Boeri e la Consulta nutrono una differente idea di equità. Quest'ultima, nella sentenza sulla legge Fornero, tra l'altro1, ha fissato due cardini costituzionali ineludibili: per l'assistenza non devono essere chiamati a pagare solo i pensionati seppur d'oro, ma tutti i cittadini attraverso la fiscalità generale; va salvaguardata la continuità tra il tenore di vita durante il periodo lavorativo e quello in quiescenza.
All'opposto, partendo dal presupposto che le pensioni calcolate col metodo retributivo siano, per la parte che supera il montante contributivo, indebitamente percepite, Boeri fissa una suo limite sociale “soggettivo”, al di sopra del quale si può tosarle, in diversa e progressiva misura, per finanziare l'attuale assistenza, inadeguata agli occhi di tutti.
Comunque la si voglia chiamare, si tratta di un travaso da una cassa all'altra dell'INPS, perché non ci sono accantonamenti reali ma solo virtuali e si eroga, come in un conto corrente, quanto si incassa dai versamenti vigenti. Viene da chiedersi: che ne è della promessa di separare l'assistenza dalla previdenza?
Al pronunciamento della Corte costituzionale sulla legge Fornero, in estate il governo si è adeguato eludendone la sostanza: ha sistemato a modo suo il pregresso, decidendo erogazioni in linea con le “compatibilità di bilancio” stabilite da Bruxelles. Una manovra di aggiramento che sa di raggiro.
Proteso a rafforzare il clima psicologico di “fiducia” ritenuto essenziale per confermare la mini-ripresa in atto2, il governo Renzi accantona i problemi di fondo che sorgono sia dalla sentenza della suprema Corte, sia dal disegno di Boeri. Al fare, in realtà, l'esecutivo preferisce il guadagnare tempo, nella malcelata speranza che la ripresa economica gli levi le più scottanti castagne dal fuoco.
Limiti sempre rivedibili
Indubbiamente l'ultimo pacchetto riformatore di Boeri si veste di equità e di rigore “attuariale” nei conti. Dalle casse dell'INPS propone di prendere ai più ricchi per dare ai più poveri, colpendo invisi privilegi tra cui quelli della “casta” politico-parlamentare.
Giustizialismo re-distributivo?
Si faccia attenzione. Una volta sdoganato il principio in forza del quale dalla differenza previdenziale tra retributivo e contributivo sia lecito attingere per finanziare l'assistenza sociale, cosa potrà impedire ad un governo di abbassare al di sotto dei 3.500 € lordi mensili il limite per il più “equo” dei suoi aggiustamenti? Non è proprio nelle pensioni medio-basse che maggiore è la distanza tra contributivo e retributivo?
Una “equità compatibile” è una contraddizione in sé, giacché la “compatibilità” nelle condizioni concrete della politica economica governativa, può vanificare qualsiasi presupposto di “equità”. Quante volte ci siamo sentiti ripetere che, con l'ultima riforma delle pensioni, i conti erano definitivamente sistemati? Quanto affidabili sono le promesse della nostra “classe dirigente”?
Il combinato disposto del via libera ai travasi di cassa nell'INPS secondo la logica contributiva e la matematica attuariale, da un lato, e dei vincoli di bilancio introdotti in Costituzione3, dall'altro, possono giustificare qualsiasi politica antisociale.
Tempi da cambiare
Non ritornerò su argomenti già trattati, quali il meccanismo di rivalutazione dei contributi legato all'andamento del Pil, posto alla base del sistema contributivo. Tutti sanno che esso conduce la maggioranza dei giovani di oggi, tanto più se precari e a partita IVA, ad una pensione di legno. A dispetto della demagogia ufficiale (vedi Fornero), per la quale sarebbe la cupidigia degli anziani attuali la fonte dei futuri mali.
Vorrei si vedessero le cose da un'altra angolazione.
Benché il sistema retributivo corrispondesse alla società industriale avanzata e alla logica macro-economica di mantenere adeguata la domanda interna, esso non fu un regalo, ma frutto di aspre lotte sindacali e politiche. Poi, le grandi industrie nazionali vennero smantellate e le produzioni de-localizzate alla ricerca di massimi profitti in una mondializzazione su misura del capitale finanziario. Passammo al postindustriale.
Agli economisti liberisti spettò pure il compito di elaborare sistemi previdenziali sempre più privatistici, da cui la voluta insufficienza del sistema pubblico (contributivo) ai fini di una dignitosa pensione. Senonché, come sono aumentati disoccupazione, precarietà e sotto-salari, è cresciuta a dismisura l'esclusione e la povertà. E trascinato nella china è anche chi è al lavoro, dovendogli la totalità del proprio tempo.
A tutto ciò non porranno rimedio le mini-crescite renziane che, ai ritmi attuali, impiegherebbero decenni4 solo per tornare ai livelli occupazionali pre-crisi.
Liberarci dal liberismo è tanto necessario quanto ridare dignità e vivibilità d'insieme, collettivo ed individuale, ai nostri tempi di vita, ai ritmi quotidiani, ai periodi di attività ed inattività lavorativa, alle diverse età. Oggi sono fratturati, contrapposti e sottoposti, ad intermittenza o in modo permanente, al crescente rischio di finire tra gli esclusi ed i “bisognosi”. Non è più e solo questione di assistenza e previdenza.

1 Sulla sentenza della Consulta e sul tema della pensioni, vedi in questo Blog “Pensioni: l'equità compatibile”, giugno 2015.
2 La mini-crescita è dovuta a fattori esterni all'azione di governo: basso costo del petrolio; emissioni quantitative di moneta della Bce; svalutazione competitiva dell'euro. Seguendo i parametri europei, gli scostamenti del Pil degli 0 virgola implicano: se in + una piccola disponibilità di spesa (irrilevante per l'occupazione); se in – l'automatico innalzamento della pressione fiscale.
3 Il virus dell'austerità è stato inserito in Costituzione con il nuovo articolo 81.
4 Secondo Luca Ricolfi (Nell'orto dei decimali non cresce il lavoro, Il sole24ore, 8/11/2015) Matteo Renzi avrebbe più di 70 anni.

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