Messe a fuoco
Lavoro: modello tedesco da emulare?
[Clicca sul titolo se vuoi scaricare l'articolo in formato PDF, corredato di foto, grafici e riquadri.]
La funzione dei mini-jobs nella liberalizzazione socialdemocratica tedesca. Il contesto dell'italica imitazione.
Dal
momento che il governo Renzi si appresta alla riforma dei rapporti di
lavoro, Jobs
Act,
dichiarando di assumere a riferimento il modello tedesco, appare
importante comprendere da vicino in cosa consista e a quale strategia
di politica economica corrisponda.
La
liberalizzazione del mercato del lavoro tedesco
Viene
attuata dal 2002-2003 da parte del governo socialdemocratico di
Gerhard Schröder,
secondo le indicazioni di una commissione diretta da Peter Hartz, ex
capo del personale della Volkswagen. Sono perciò conosciute come
riforme Hartz I-IV. Furono concepite nell'ambito di politiche di
tagli al sistema sociale (sanità e sussidio di disoccupazione), di
innalzamento dell'età pensionabile (portata a 67 anni), di
diminuzione delle imposte alle industrie con innalzamento delle
imposte indirette e la creazione di un segmento di bassi salari. Tra
i provvedimenti più noti ed incisivi figurano i cosiddetti
mini-jobs.
Il
fenomeno mini-jobs.
Dal 2003 ai giorni nostri il numero di coloro che vivono soltanto di
un mini-job è rimasto pressoché costante (4,9 milioni) mentre sono
raddoppiati i cosiddetti Nebenjobbers1,
ossia
coloro che sommano un mini-job ad un lavoro a tempo determinato o
indeterminato (si tratta di circa 2,7 milioni di persone).
Inizialmente, soppiantati dai mini-jobs, sono andati persi circa
340.000 posti a tempo pieno, con una ricaduta negativa sulla cassa
malattia. Al tempo stesso sono diminuiti il lavoro nero, la
disoccupazione (con il contributo del lavoro interinale e del lavoro
part-time) e l'impiego di lavoro immigrato di basso profilo
professionale.
Secondo
una ricerca dell’Università di Duisburg-Essen i lavoratori dei
mini-jobs lavorano più ore percependo uno stipendio inferiore. Sono
in maggioranza giovani under 25, stranieri e persone prive di
formazione professionale. Per alcune categorie professionali il
mini-job rappresenta un’ottima opportunità: per gli studenti, per
esempio, l’attività ridotta si può facilmente conciliare con lo
studio.
Notoriamente
Schröder, in seguito a questa politica, perse le elezioni,
essendogli venuto meno il sostegno della sua tradizionale base
elettorale. Ma le sue riforme ebbero successo, ovviamente un successo
nell'ambito della visione mainstream
dell'economia. Infatti, le retribuzioni reali sono cresciute meno
della produttività. Di conseguenza: “Fra
il 2000 e il 2010 i costi del lavoro per unità di prodotto in
Germania sono aumentati del 3,9%, in Italia del 32,5%. I costi dei
prodotti tedeschi così sono diminuiti del 18,2 % rispetto agli altri
Paesi dell’euro”.2
Ingegneria
socio-economica
L'introduzione
dei mini-jobs corrisponde ad una sorta di ingegneria socio-economica,
in forza della quale:
-
le Piccole Medie Imprese sono state spinte ad incrementare
l'automazione per impiegare mini-jobber, diminuendo il costo del
lavoro;
-
casalinghe, pensionati, studenti, sussidiati hanno potuto arrotondare
il loro budget mensile senza particolari oneri fiscali;
-
il mini-job non consente l'ottenimento del permesso di soggiorno e
gli immigrati senza skill non possono competere con il mini-jobber
residente che gode di altri sussidi integrativi (vedi riquadro).
La
strategia di politica economica
Bisogna
dare atto alla élite dirigente tedesca di aver agito con
tempestività e almeno una visione a breve-medio termine piuttosto
efficace. La Germania era restia ad accettare la moneta unica e, a
fronte delle pressioni francesi, pose condizioni assai restrittive in
particolare sulle politiche monetarie e fiscali. Ufficialmente non
voleva né esporsi all'inflazione né pagare per i debiti contratti
da altri, diffidando del lassismo di alcuni governi europei. In
pratica si dispose ad approfittare del contesto venutosi a creare
anche grazie alle condizioni da essa stessa poste. Varò misure di
deflazione salariale e di temporanea stabilità sociale interne per
assumere un vantaggio competitivo esterno, soprattutto nell'ambito
dell'area dei Paesi aderenti alla moneta unica, l'Eurozona. Oltre al segmento di bassi salari, poteva contare su persistenti dislivelli retributivi tra Länder dell'Ovest e Länder dell'Est, di recente acquisizione. I mini-jobs hanno assunto, pertanto, un ruolo paradigmatico nel modello tedesco: con una base interna di contenimento. dei consumi determinata da una consistente fascia di bassi salari, esso è proteso verso le esportazioni. Da più parti definito neo-mercantilista, scarica sul vicino europeo propri disequilibri.
Nell'ambito
della Unione Europea non deve sfuggire un ulteriore aspetto
strutturale della strategia tedesca, derivante dalla centralità
delle proprie imprese industriali rispetto alle filiere e ai
distretti produttivi allocati nei Paesi periferici. L'Italia, ad
esempio, è fornitrice di componenti anche di qualità e concorre in
posizione subalterna al prodotto finito made
in Germany
poi esportato. Altri Paesi più periferici assumono un ruolo ancora
più subordinato nella dicotomia Centro-Periferie che, pre-esistente
nel mondo, è stata riprodotta su scala europea.
Il
rovescio della medaglia
Il
modello germanico vantava negli ultimi decenni dello scorso secolo un
indice di diseguaglianza sociale e di distribuzione della ricchezza
inferiore ad altri Paesi ricchi. Ma secondo l’Ocse: “La
diseguaglianza dei redditi in Germania è salita rapidamente dal 2000
in poi”. Secondo una ricerca della Conferenza Nazionale sulla
Povertà (Nak) presentata nel dicembre scorso, il 10% della
popolazione tedesca possiede oggi il 53% della ricchezza, nel 1998
era il 45% e nel 2003 il 49%. Il patrimonio delle classi medie, negli
stessi anni, è diminuito dal 52 al 46%, mentre nel 2010 metà della
popolazione si divideva appena l’1% della ricchezza. Strano per una
nazione che tra il 2007 e il 2012 ha visto crescere il patrimonio
nazionale di 1.400 miliardi di euro.3
Un
simile andamento contraddice l'economia sociale di mercato a cui la
Germania dice di ispirarsi. D'altro canto una politica
liberal-liberista di mercato, anche se si avvale di alcune coperture
sociali vieppiù indebolite e con ricadute negative spalmate nel
tempo soprattutto per i giovani (nel caso dei mini-jobs si tratta
delle pensioni da fame e dello svuotamento della cassa malattia), è
destinata a perdere ogni carattere "sociale" sia nazionale
che europeo. La contraddizione è manifesta pure se la si guarda dal
lato delle donne, non a caso rese protagoniste e "ruolizzate"
nell'utilizzo dei mini-jobs, o della retorica sull'integrazione dei
nuovi immigrati.
Emulazione
all'italiana?
A
quasi tre lustri di distanza il governo Renzi pensa di ripetere il
modello tedesco. Sappiamo già che potrà disporre di minori
coperture assistenziali integrative. Inoltre, difficilmente potrà
modificare le strutture produttive già consolidate, nelle filiere e
nei distretti. Non è indifferente il peso del tempo trascorso: nel
frattempo è scoppiata la Crisi e l'Italia vi ha perso un quarto
della sua produzione manifatturiera. Poiché, banalmente, all'export
dell'uno corrisponde pari import per gli altri, appare materialmente
impossibile che ciascun Paese europeo possa perseguire con successo
il modello neo-mercantilista tedesco. Il gioco a scaricare sul vicino
i propri squilibri sortirà il solo effetto di disgregare l'Euro e
l'Unione. Eppure gli indirizzi non mutano, come sostanzialmente non
mutano sul piano internazionale, nonostante l'esperienza della Crisi.
Le
tutele crescenti promesse ai giovani disoccupati verranno attuate in
un quadro, di diritti welfare
e salariale, decrescente4
per tutti, giovani compresi. Tuttalpiù l'emulazione italiana potrà
portare ad una semplificazione del quadro normativo (il
"disboscamento" di leggi e leggine), traducendosi in una
imitazione tardiva della Germania, una sua versione "stracciona",
per usare un precedente storico di altre tardive italiche imitazioni.
1
Dall'unione delle parole neben (tedesca) e jobbers (inglese).
2
Secondo Roland Berger, consigliere economico di Angela Merkel.
3
Il Fatto Quotidiano, 18 settembre 2013
4
Si tratta in questo caso di "decrescita infelice".
Mini-jobs
450
€
mensili max, 15
ore
di lavoro settimanali (almeno formalmente), 140
€
mensili di costi aggiuntivi per il datore di lavoro pari al 30,99%:
15% per la pensione obbligatoria (a cui la lavoratrice - la
maggioranza è donna - può aggiungere il 3,9%); 13% per la sanità;
2% al fisco; 0,99% all'indennità di malattia, maternità e fondo
insolvenza.
In
Germania non esiste salario minimo, sicché i mini-jobbers, per
accordo o costrizione, possono trovarsi a lavorare più di 15 ore
settimanali. Valgono le stesse regole dal lavoro "normale":
diritto alla continuazione del pagamento del salario in caso di
malattia e di ferie; stessa protezione contro il licenziamento delle
lavoratrici dipendenti a tempo pieno (Protezione
Act)
compresa la legge sulla protezione della maternità ai sensi della
quale ha diritto anche a prestazioni economiche. Il mini-jobber senza
un ulteriore impiego risulta disoccupato e più precisamente
“lavoratore marginale” e può chiedere un lavoro più stabile
all’ufficio del lavoro.
In
quanto "lavoro marginale" il mini-job non consente agli
immigrati l'ottenimento del permesso di soggiorno.
In
genere il mini-job arriva a 400 € netti al
mese. Ad essi si possono sommare: il reddito minimo garantito (Hartz
IV) di 360 €, l'affitto pagato per l'alloggio, le cure mediche, il
costo del riscaldamento, tariffe ridotte sui trasporti, 250 € circa
per ogni figlio.
Matura
una pensione pari a 3,11 € mese per ogni anno di contribuzione. Con
40 anni continuativi si arriva a 124 € mensili.
Nessun commento:
Posta un commento