Riccardo Bernini - ottobre 2014
Messe a fuoco
Messe a fuoco
Krajne e dintorni
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Territori di confine. Dalle piccole patrie della ex-Jugoslavia all'Ucraina. Guerre d'Europa e NATO. Con l'egemonia USA traballa anche la globalizzazione?
Prima
che la crisi Ucraina deflagrasse, l'allora ministro degli esteri
dell'Italia in visita a Kiev, Mogherini, ebbe a ricordare che la
parola krajna
significa terra di confine, non necessariamente luogo di separazione
ma possibile territorio di congiunzione. Non muro ma ponte. Forse per
questo dovette attendere un po' per essere nominata Alto
rappresentante per la politica estera dell'UE (Mrs.
PESC).
Nomina che avvenne dopo dichiarazioni successive più "rassicuranti".
Confine
Di krajne l'opinione pubblica italiana e occidentale aveva cominciato a sentir parlare qualche decennio fa, quando esplose la crisi jugoslava e, tra le tante autoproclamazioni di indipendenza, proprio la Repubblica Serba di Krajna, proclamata il 1° aprile del 1991 dalla maggioranza serba allora residente1 nelle regioni di Krajna e Slavonia (capitale Knin) della Croazia, non ricevette alcun riconoscimento dalla "comunità internazionale".
Di krajne l'opinione pubblica italiana e occidentale aveva cominciato a sentir parlare qualche decennio fa, quando esplose la crisi jugoslava e, tra le tante autoproclamazioni di indipendenza, proprio la Repubblica Serba di Krajna, proclamata il 1° aprile del 1991 dalla maggioranza serba allora residente1 nelle regioni di Krajna e Slavonia (capitale Knin) della Croazia, non ricevette alcun riconoscimento dalla "comunità internazionale".
Come
per un incidente autostradale il problema fu allora "risolto",
ripristinando la normale viabilità con il fattivo contributo USA
allo sgombero della popolazione serba. Una feroce pulizia etnica
tenuta nascosta, essendo assai poco funzionale al racconto
atlantico-occidentale per cui le vittime sarebbero state unicamente e
inizialmente quelle schierate dalla parte "nostra". Come se
la logica delle piccole patrie etniche e confessionali fosse stata
solo di Milosevic e non anche di Izetbegovic e Tudjman2
o dell'albanese UCK. Il nemico doveva essere serbo e così, qualche
anno dopo (1999), anche l'Italia3,
con D'Alema premier, poté partecipare alla guerra umanitaria di
Clinton e della Nato in Kosovo. E senza neppure la copertura di un
mandato dell'ONU.
Crimea
ed Ucraina
Con
la crisi Ucraina sono tornate alla ribalta le vicende jugoslave. A
parti rovesciate: ciò che allora giustificò i fulminei
riconoscimenti delle autoproclamate repubbliche da parte di governi
europei (Italia in prima fila con Austria e Vaticano4),
sulla scorta di referendum organizzati manu militari, non vale più.
Quale sia la misura minima necessaria, di spazio territoriale abitato
dalla prevalente etnia, per ottenere il sigillo di liceità, lo
decide, come sempre, il civile occidente. In un simile dibattito,
poteva mancare la presa di posizione di un campione degli "europei
della libera Europa", che tanta libertà a tutto il mondo ha
dato? Bernard-Henry Lévy5
ha sentito immediatamente il bisogno di spiegarci la perfetta ragione
delle cancellerie occidentali nel rifiutarsi di riconoscere alla
Crimea il diritto di autoproclamarsi indipendente dall'Ucraina per
aderire alla Federazione Russa, nonostante la storia.6
Il
filosofo francese paragona il caso della Crimea a quello della
Repubblica Srpska in Bosnia. Ma, per non contraddirsi, sottilmente
distingue: fu giusto negare ai serbi bosniaci il diritto
all'autodeterminazione riconosciuto alla Bosnia, mentre quello stesso
diritto fu attestato agli albanesi del Kosovo, in quanto pluriennali
vittime delle persecuzioni della Serbia. Dimenticando, con rinnovata
filosofica disinvoltura, il precedente dell'epurazione dei serbi di
Krajna.
Sulla
Crimea, inoltre, obiettava: 1) il suo territorio è stato invaso da
30.000 soldati, "accerchiato le sue caserme e terrorizzato le
sue popolazioni"; 2) le modalità di indizione e di svolgimento
del referendum, "sotto l'autorità di un governo fantoccio",
"appare, nel migliore dei casi, come una farsa e, nel peggiore,
come un atto di forza"; 3) se l'Europa approvasse avremmo
"conseguenze apocalittiche: cosa risponderemmo se, forti di
questo precedente, i baschi spagnoli e francesi reclamassero la loro
unificazione?"; idem per ungheresi della Transilvania, albanesi
della Macedonia, turchi della Bulgaria, russofoni dei Paesi baltici,
fiamminghi del Belgio. Nessuna frontiera in Europa sarebbe più
sicura.
In
forza delle prime due obiezioni finisce per prospettare l'ennesimo
intervento militare umanitario a protezione dei popoli minacciati
nella loro fisica integrità e contro "il progetto imperialista
putiniano". Come fu per il Kosovo. Cotanto elevato pensiero
potrebbe indurci a conferire troppo credito al morale, umanitario
dovere degli "europei della libera Europa", piuttosto che
ai loro interessi materiali e politici, a cui mostrano un secolare e
più sicuro attaccamento. Ma è sull'ultima obiezione che occorre
porre l'attenzione: il precedente! Il fatto è che avendo
seminato a piene mani riconoscimenti e scontri etnici e
confessionali, per disgregare ed espandere l'egemonia occidentale a
Est, ora se ne temono le conseguenze anche a casa propria. Il virus
rischia di contagiare tutto il vecchio continente e oltre.
Intanto
a Cernobbio
La
frattura inserita a Oriente tra Russia ed Europa è sembrata subito
essere più conveniente per gli Stati Uniti che per molti Paesi
europei. Negli ambienti del business
si è fatto largo il sospetto che dietro l'appoggio ai nazionalisti
di Maidan,7
ci fosse un disegno volto a ricreare nelle regioni contese un muro di
divisione tra Russia e Unione Europea. La reazione di Putin ad una
possibile estensione della Nato alle porte di Mosca era piuttosto
prevedibile e prevista. In gioco c'è la politica energetica, il
South Stream, gli
interscambi commerciali e gli investimenti soprattutto tedeschi.8
Tutto ciò nel momento in cui è in corso la trattativa, tenuta
riservata, tra UE e USA per la TTIP
(Transatlantic Trade and Investment Partnership), proposto
da Washington.
Nell'ultima
assise di Cernobbio l'ex ambasciatore Sergio Romano, già a suo tempo
su posizioni eterodosse a proposito della ex-Jugoslavia, si è
confrontato sul tema della crisi ucraina con il senatore John
Sidney McCain, candidato repubblicano alla presidenza sconfitto da
Obama. A giudicare dal consenso ricevuto dall'intervento di Romano,
la escalation
di sanzioni verso la Russia e le sue conseguenze economiche e
politiche non è affatto gradita al mondo imprenditoriale. Il
caso ha voluto che, con il quasi contemporaneo scoppio della crisi in
Siria-Iraq dovuta all'emergere del pericolo Isis, il senatore McCain
fosse chiamato in causa per le sue missioni in Medio-Oriente e
proprio per i rapporti con i tagliagole.9
Solo una sottovalutazione dell'ISIS o una "diabolica"
coazione a ripetizione della operazione nord-americana relativa ad Al
Qaida e Bin Laden?
Ma
cosa hanno a che fare la Crimea, l'Ucraina, il fondamentalismo
islamico e la ex-Jugoslavia?
Allargamento della NATO 1949-2009 [Fonte: Wikipedia] |
Il
NO alla guerra in Ucraina
Di
fronte alla guerra ucraina alcuni analisti, pur dichiarandosi
contrari ad un nostro coinvolgimento militare, stentano a comprendere
il nesso tra le diverse crisi.10
È il caso di Aldo Giannuli11
che scrive di un "circoscritto caso jugoslavo", come se in
quella guerra, la prima in Europa dalla fine del conflitto mondiale,
non siano rintracciabili semi di perniciosa ed attualissima
fecondità. Giannuli, professore all'Università Statale di Milano e
autore di due interessanti libri sulla crisi,12
avanza l'ipotesi che si voglia andare ad una specie di "prova
d'assaggio" rivolta a preparare psicologicamente l'opinione
pubblica ad una più estesa guerra. E a conferma cita numerosi
precedenti storici. Contrarie alla guerra e favorevoli ad un mondo
multipolare, le sue posizioni meritano attenzione.
Non
per un puntiglio storico, ma il caso jugoslavo sarebbe stato
"circoscritto" se non avesse avuto alcun seguito: eppure
proprio la guerra in Ucraina dimostra l'opposto e, a ben vedere, pure
il caso del Califfato.
Il
caso jugoslavo e oltre
Non
voglio prendere in esame il modo come l'Europa si è costruita verso
Est, riproducendo su scala continentale la dicotomia tra Centro e
Periferie a cui è stato sottoposto l'intero globo. Ciò nondimeno
può essere dimenticato il fatto che mentre la Germania si unificava
e poneva le premesse per porsi al Centro, la disgregazione della
Jugoslavia e di altri Paesi poneva le condizioni inverse, ossia la
loro riduzione in Periferie addirittura di seconda fascia (della
prima ne fanno parte di cosiddetti PIIGS13).
Che
avallare le piccole patrie etniche e confessionali, nonché istigare
allo scontro territoriale e nazionalistico, fosse utile solo a breve
e in funzione dell'immediato economico, ma lanciasse un boomerang
sul medio termine, è una evidenza successiva: il risultato di una
scelta politica. Sicché da allora nessuna frontiera in Europa
risulta stabile e sicura.
Interessa
qui ricordare che la Serbia, nel decennio della crisi jugoslava, ebbe
nella Russia uno dei pochi alleati. Nell'iniziazione dello spazio
europeo allo scontro interetnico e interreligioso, in un quadro di
generale regressione al passato, si resuscitò la tradizione di Mosca
capitale del mondo ortodosso e pure il panslavismo ottocentesco.
Oltretutto l'Occidente non esitò a favorire in Bosnia l'intervento
di bande internazionali islamiste a fianco del riconosciuto governo
fondamentalista di Izetbegovic. In quelle bande figuravano gruppi
combattenti di Bin Laden (con relative teste mozzate di serbi esibite
come trofei davanti alla macchina fotografica!).
Comunque,
colpire la Serbia significava già allora puntare sulla Russia. Serve
ricordare qualche precedente storico del primo Novecento?
Nei
primi anni della guerra jugoslava gli Stati Uniti e la NATO, pur
operativi sul campo, si mantennero in posizione coperta e defilata.
Bastava attendere che i governi europei, già in ordine sparso,
mostrassero tutta la loro impotenza politica, anche come Unione, dopo
aver contribuito allo sfascio e innescato il conflitto. Esemplare fu
l'eccidio di Srebrenica, perpetrato dalle milizie dei četnici serbi
di Karadzic, nonostante la presenza dei caschi blu dell'ONU. Non
sapevano "uscirne" da soli e, dunque, gli USA ebbero aperta
la via per "mettere i piedi nel piatto", sia militarmente
che diplomaticamente. Qualche anno dopo si ebbe il già menzionato
intervento nel Kosovo con relativa installazione (Camp Bondsteel)
di una base nord-americana a comando NATO.
Dopo Maidan e quello che è stato visto come un colpo di Stato, si ebbe una corrispondente reazione russa. Era nell'aria. Come la mossa, da parte di Putin, di presentarsi agli occhi della propria opinione pubblica quale alfiere dell'identità pan-russa, alla cui riesumazione andavano per altro da anni contribuendo misure discriminatorie verso i russofoni,14 messe in atto dal Baltico al Mar Nero da oltranzisti politici a cui non è mai mancato l'appoggio atlantico-occidentale.
Dopo Maidan e quello che è stato visto come un colpo di Stato, si ebbe una corrispondente reazione russa. Era nell'aria. Come la mossa, da parte di Putin, di presentarsi agli occhi della propria opinione pubblica quale alfiere dell'identità pan-russa, alla cui riesumazione andavano per altro da anni contribuendo misure discriminatorie verso i russofoni,14 messe in atto dal Baltico al Mar Nero da oltranzisti politici a cui non è mai mancato l'appoggio atlantico-occidentale.
Come
accadde nella ex-Jugoslavia, durante gli anni successivi alla caduta
del muro, nella crisi ucraina l'Europa si è dimostrata uno spazio
politico a "sovranità condizionata" dalla sovrastante
presenza della NATO a direzione statunitense. Alleati ma tenuti
sempre sotto controllo, con una particolare attenzione alla
riunificata Germania. Con il crollo dell'Unione Sovietica il problema
degli USA consisteva nel contenere e condizionare il ruolo della
Germania in Europa. Poiché la Federazione Russa non fu inclusa né
nell'alleanza militare, né nell'UE,15
una così forte espansione della NATO ad Est non poteva non suscitare
allarme a Mosca, tanto più se portata ai confini ucraini,16
o a mettere in forse la storica base navale di Sebastopoli in Crimea,
connessa strategicamente all'unica base russa nel Mediterraneo,
allocata in una Siria in preda alla guerra. Quale modo migliore per
inserire una frattura tra Germania-Europa e Russia, nel momento i cui
traballa l'egemonia nord-americana sul mondo?
Globalizzazione
addio?
Se
ne potrebbe anche concludere che Washington, reagendo alla caduta
della propria egemonia, stia minando le basi stesse della declamata
globalizzazione. Disseminando filo spinato, senza il richiamo
pavloviano anticomunista, punta a una riedizione rinnovata della
vecchia
"strategia di contenimento"? Fatto sta che oltre alla già
citata
TTIP
per l'Europa, Washington propone la Trans-Pacific
Partnership (TPP),
per chiudere da un lato la Germania e l'Unione
Europea verso la Russia e, dall'altra, il Giappone e l'India verso la
Cina, nel duplice sottinteso obiettivo: scardinare e dividere i
Brics; tenere al guinzaglio i partners nella Triade17.
Si tratterebbe di una strategia, non di un effetto conseguente ad un
errore di prospettiva; e andrebbe oltre il "debole" Obama.
1
Fu l'impero austro-ungarico nel Cinquecento ad istituirvi una Marca
militare (Militärgrenze) insediando contadini serbi armati per meglio
difendere il proprio confine dall'espansione turco-ottomana.
2
Nell'ordine, gli allora presidenti di Serbia, Bosnia e Croazia.
3
In violazione palese del dettato costituzionale, all'articolo 11.
4
Papa Wojtyla non fu esente dall'"uso di Dio" che contribuì
ad innescare il conflitto nella ex-Jugoslavia.
5
"Corriere della sera", 17 marzo 2014.
6
Nel 1954, la Crimea fu "donata" da Krusciev all'Ucraina
nell'ambito dell'URSS, per festeggiare i 300 anni di unione tra
Russia e Ucraina.
7
Tra cui gruppi paramilitari neofascisti in prima linea.
8 Dal 2006 al 2009, gli investimenti industriali tedeschi in Russia sono cresciuti del 132%, mentre sono diminuiti del 33% in Gran Bretagna, del 17% in Italia e del 10% in Francia. Fonte: G. Gabellini, Eurasia-rivista.org, La "questione tedesca", 14/3/2014.
9
Il "Fatto Quotidiano", 11 settembre 2014, pubblica una
foto del senatore con Ibrahim al Bradi al Baghdadi, capo del
Califfato.
10
Sorprendente è l'assenza di qualsiasi riferimento al caso jugoslavo
nel pur pregevole libro di L. Canfora e G. Zagrebelsky, "La
maschera democratica dell'oligarchia", Laterza, maggio 2014.
11
Blog di Beppe Grillo, 6/10/2014, No alla guerra in Ucraina.
12
Aldo Giannuli: "2012: la grande crisi", Ponte delle
Grazie, 2010; "Uscire dalla crisi è possibile", Ponte
delle Grazie, 2012.
13
Acronimo di: Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna.
14
Cristina Carpinelli, Paesi Baltici: tra integrazione europea e
"apartheid", CESPI 2013, in
http://www.cespi-ong.org/wp-content/uploads/2013/12/Carpinelli.pdf
15
Romano Prodi affermò che un inglobamento della Russia avrebbe
trasformato l'Europa in una superpotenza.
16
Mosca dista 460 km dalla frontiera ucraina. Nell'Operazione
Barbarossa (attacco all'URSS), l'Ucraina assunse un ruolo strategico
per le armate tedesche del fianco Sud, in direzione di Stalingrado.
17
Samir Amin definisce Triade l'alleanza USA-Europa-Giappone.
18
Traducibile in: guerra fresca (tra USA e Cina).
Gli
USA e la crisi ucraina*
Il
2 ottobre, in un discorso agli studenti della 'Kennedy School of
Government', un istituto di scienze politiche della Università di
Harvard, il vicepresidente americano Joseph R. Biden ha
parlato con queste parole: "Abbiamo dato a Putin una scelta
semplice: rispetta la sovranità dell'Ucraina o affronta conseguenze
sempre più pesanti. Questo ci ha permesso di mobilitare i maggiori
Paesi sviluppati del mondo per far pagare alla Russia un prezzo
reale. É vero che non volevano farlo. Ma ancora una volta è stata
la leadership americana ed il presidente degli Stati Uniti, che ha
insistito, spesso quasi svergognando l'Europa per costringerla a
resistere e a prendersi il contraccolpo economico. E i risultati sono
una fuga imponente di capitali dalla Russia, l'arresto praticamente
totale dell'investimento estero, il rublo ai minimi storici rispetto
al dollaro e l'economia russa sull'orlo della recessione."
*
La dichiarazione di J. R. Biden è riportata da Sergio Romano sul
'Corriere della Sera' del 13 ottobre 2014, in risposta ad un lettore.
Romano riferisce, inoltre, che nello stesso discorso Biden ha
accusato l'Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e la Turchia di
avere aiutato direttamente o indirettamente le milizie dell'ISIS in
Siria.
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