lunedì 17 novembre 2014

Immigrazione

Riccardo Bernini - ottobre 2014
Messe a fuoco

Immigrazione

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Percezione e realtà attuale. Una Grande Contraddizione ci sovrasta. L'interventismo umanitario e l'integrazione fallita. Multiculturalismo. Disgregazioni e nuova identità: il doloroso parto.

Tre momenti diversi di vita quotidiana
A casa della vecchia nonna la TV mostra le immagini di migliaia di persone provenienti dalla coste dell'Africa, salvate din mare aperto e sbarcate in Sicilia. La badante ucraina non riesce a trattenere un moto di avversione: "Cosa vogliono questi negri? Perché non se ne stanno a casa loro?" Alla nonnina italiana, in permanente "attrito" culturale con lei, non par vero di assumere una posizione benevola e universale: "Cosa vorresti che facessimo? Dovremmo lasciarli annegare tutti? E, poi, non sei anche tu una immigrata?" Risposta: Sì, ma europea."
Nel corso di una discussione, da un'amica mi sento dire: "Non dico che dovremmo loro negare il salvataggio in mare, ma certo dobbiamo trovare un modo per arginare questa ondata di flussi. Non siamo in grado di reggerla."
In un dibattito televisivo, talk-show, spunta un'osservazione: "Con minori costi umani ed economici potremmo organizzare un ponte umanitario dai paesi di partenza e trasferire le persone direttamente in Italia, magari con una ripartizione dell'accoglienza a livello europeo."
Nel turbinio di immagini, osservazioni, proiezioni politiche, ci si ritrova spiazzati. Dalla parte dell'umanità più afflitta e maltrattata, attratti dall'idea di piena pacifica convivenza, comprendiamo che "qualcosa non quadra". Cominciamo ad interrogarci sulla rapporto tra la realtà e parole come intervento umanitario, integrazione, società multietnica e multiculturale.

Fonte: ISTAT
Dalle porte di casa
Dall'Ucraina negli anni successivi alla dichiarazione d'indipendenza, correva il 1991, sono emigrate 7 milioni di persone. Di certo la guerra in corso non costituirà un incentivo a restare o tornare, soprattutto per i giovani maschi in età militare. L'espansione europea occidentale verso Est, da Nord a Sud, ha creato una seconda cintura periferica di forte immigrazione, a ridosso della prima cintura, più interna e costituita dai PIIGS.1 Già inglobati o in procinto di entrare, a questa seconda cintura di Paesi periferici interni all'UE si è recentemente candidata la stessa Ucraina.
Questi processi rappresentano la riproduzione su scala continentale delle polarizzazioni mondiali, sicché anche nell'Eurozona si è costituito un centro forte attorno alla Germania e sono stati ridotti a prima periferia i Paesi denominati con la spregiativo PIIGS.2
Inoltre, i flussi dal Nord Africa e dal Medio Oriente, ma pure dal Corno d'Africa, sono fortemente incrementati dai conflitti in corso, a cui non è mancato il solito "apporto" atlantico-occidentale3. Ai migranti che fuggono la miseria si aggiungono coloro che fuggono dalle guerre e dai campi profughi generati dalle guerre.
Nonostante l'Italia sia per molti solo una sponda di approdo per poi raggiungere altri Paesi del continente; malgrado l'inadeguata accoglienza, la detenzione nei CIE,4 ed un sistema che alimenta lo status di irregolari ridotti all'emarginazione e al più spietato sfruttamento, nelle campagne del Meridione come nelle periferie urbane del Nord, la popolazione straniera residente in Italia tende a stabilizzarsi nella crescita.

Emergenza!
La crisi europea non sembra costituire un deterrente per chi è colpito da crisi ben più devastanti.
"Secondo Frontex è proprio l'Italia ad aver ricevuto il maggior incremento delle richieste di asilo nel secondo quadrimestre 2014 con un balzo del 471%. In termini assoluti si parla di circa 45 mila richieste. Insieme a Germania e Svezia, l'Italia ha cumulato il 60% di quelle totali."5
La ragione è la fuga via mare, la stessa che, data la durata del viaggio su tragitti oramai tradizionali, rende estremamente improbabile l'arrivo di casi di infezione da virus Ebola, il quale ha tempi di incubazione minori.
Ad una più attenta disamina l'immigrazione in Italia presenta al momento un quadro così riassumibile: dalla fuga via mare deriva un temporaneo incremento degli irregolari, i quali dal 2011 erano in diminuzione; l'aumento della popolazione immigrata deriva dai tassi di natalità più che dall'affluenza dall'estero.
In un Paese abituato ad inseguire le emergenze, con relative liti dei governi sui costi, dal livello nazionale a quello europeo, l'informazione dimentica spesso non solo di andare alle cause delle guerre e alle responsabilità di chi poi litiga sulle ricadute economiche, ma, soprattutto, alla radice dei problemi.
La grande contraddizione
Presa dall'immediato, l'opinione pubblica è distolta dall'attenzione sul quadro più complessivo, globale, strutturale.
La questione viene posta, con estrema lucidità da un pensatore controcorrente, Samir Amin, che in un libro sulla Crisi dedica un intero capitolo6 al trascurato problema dell'agricoltura, vista nella dimensione più ampia. Il suo ragionamento parte dall'indubbio successo dell'agricoltura familiare moderna in Europa occidentale e negli Stati Uniti, grazie alla quale la produttività per lavoratore/anno (l'equivalente di 1000/2000 tonnellate di cereali) permette al 5% della popolazione attiva di nutrire la parte restante e pure di esportare l'eccedente.7 Come in un subappalto, essa è stretta in una tenaglia: "da una parte l'agro-business (che oggi gli impone le sementi selezionate, domani gli imporrà gli OGM) e la finanza (che gli concede i crediti necessari), e dall'altra i colossi della commercializzazione."
Ne deriva un inquietante quesito: nel momento in cui l'agricoltura del Sud8 del mondo verrà modernizzata per "via capitalistica", come sta avvenendo, quale sarà il destino di circa 3 miliardi di esseri umani che da essa traggono il proprio sostentamento? "Nel giro di cinquant'anni nessuno sviluppo industriale, più o meno competitivo, potrebbe assorbire neppure un terzo di questa riserva, persino nell'ipotesi fantastica di una crescita continua del 7% annuale per tre quarti dell'umanità." Pertanto, allo spopolamento delle campagne corrisponderà sempre più l'addensarsi di milioni di esclusi nelle bidonvilles di immense megalopoli.
Con tutta evidenza, in mancanza di un'inversione di tendenza politica ed economica, con riguardo particolare alla sovranità alimentare e ai rapporti di produzione in agricoltura, la sopravvivenza di queste popolazioni sarà il problema dei problemi. Secondariamente, anche se solo una parte di esse, come già accade, inevitabilmente tenterà di raggiungere i Paesi più ricchi, i flussi migratori avranno un forte ed insopprimibile incremento.
L'interventismo umanitario
Sul piano internazionale i Paesi ricchi, tra cui l'Italia e l'UE, continuano a spingere nella direzione, sin qui seguita, di trasformazione delle agricolture degli altri Paesi a danno delle loro popolazioni rurali e a tutto vantaggio delle "nostre" multinazionali ed oligarchie finanziarizzate. Al tempo stesso, cercano, sul piano interno, di regolare i derivanti flussi immigratori allo scopo di rinfoltire le fila dell'esercito di riserva occupazionale, in misura tale, però, da non perdere il controllo sociale. Un classico loop della mondializzazione: creare sistematicamente squilibri disastrosi, a livello globale, approfittandone a livello locale pur nella pretesa di mantenere "coesione territoriale", stabilità e governabilità.
In questo contesto, i governi nazionali di casa nostra, nel pendolo conservativo delle alternanze bipartitiche o in grandi coalizioni consociative,9 seguono tutti una medesima corrente mainstream. Al cui interno appare prevalente l'ideologia dell'interventismo umanitario, nelle versioni compassionevole o solidaristica.
Senza qui riprendere la controversa questione di quanto sia utile e liberatorio l'aiuto delle ONG o la pratica di relazioni asimmetriche di partenariato, prendiamo atto delle concrete conseguenze delle guerre umanitarie. Alle quali, con pervicace ipocrisia, seguono aiuti e salvataggi umanitari, largamente insufficienti di fronte alle immani tragedie procurate e sui costi dei quali si aprono continue illuminanti dispute.10 Per tacere delle declamate politiche di integrazione.11
Nella corrente mainstream, dai connotati prima ricordati, scorrono anche le posizioni di chiusura. Condividono con le posizioni di apertura l'interventismo militare, lo spirito atlantico-occidentale, di cui inalberano i vessilli di identità culturale, nonché le politiche economiche di stampo liberal-liberista. Ma vi si differenziano parzialmente per teorizzare e fomentare scontri di civiltà e di religioni, caldeggiare muscolari restaurazioni di antiche dominazioni oltre i limes imperiali, sigillando i confini nel controllo repressivo esterno e interno ai propri territori.
Tra ipocrisie umanitarie, regole dettate e disattese, colpevoli inazioni, rimpalli di responsabilità, prende forza la corrente esondativa delle posizioni più estreme, xenofobe, razziste e neofasciste.
Coesione, disgregazione, neofascismo
Un duplice default politico mina la "coesione territoriale" agognata dai governi.
Da un lato mostra la corda l'integrazione, come assimilazione dell'immigrato posto in condizione subalterna verso lo Stato d'adozione, a cui dovrebbe giocoforza adeguarsi. Dopo generazioni è comunque socialmente discriminato. Esemplari appaiono i fallimenti francesi.12
Dall'altro emerge il rovescio dell'idea di una società multiculturale che pretenderebbe convivenza e coesione in una sorta di asettica e distanziata tolleranza tra diseguali, di ognuno per sè, persino in enclavi urbane autogestite. In questo caso sono i fallimenti inglesi ad occupare la scena.13
Le ricette succitate, a cui bisognerebbe aggiungere quella tedesca dell'immigrato lavoratore ospite (Gastarbeiter) e, in quanto tale provvisorio (!), che hanno una loro lunga storia alle spalle,14 si fondano sul presupposto che sia possibile la coesione senza effettiva inclusione e condivisione. Quasi che la sempre più folta presenza di milioni di immigrati, per produrre convivenza, non debba partorire, tra le doglie, nuove comuni identità a sostanziare l'amalgama politico e culturale di un radicale rinnovamento sociale.
Oltre questa siepe può esserci buio pesto, giacché, sotto la pressione di una crisi sistemica e non solo economica, il diktat "ognuno a casa propria", pur essendo praticamente inapplicabile e forse anche per questo, può raccogliere consenso ed imporsi, dando luogo nella disgregazione ad esiti assai più dolorosi del doloroso parto evocato poc'anzi.
Che si restringano nei confini di una patria nazionale (la Francia) o di una piccola patria localistica15 regionale (il Veneto, la Padania), queste forze politiche possono contare su pretesti e motivazioni disparate16 ed allargare la propria base di appoggio, compattando il panico di intere fasce, ed aree territoriali,17 di ceti medi lasciati in balia della crisi, con gli strati più poveri della società su cui sono scaricati i disagi, messi in competizione per il lavoro, gli alloggi, i servizi sociali. è oramai storia di questi ultimi anni: si sono affermate proprio nei quartieri popolari, una volta rossi, di molte città d'Europa. Da Vienna a Marsiglia, a Milano.
D'altronde è proprio la globalizzazione liberal-liberista (alveo mainstream) a generare volutamente disgregazione e, di converso, una reazione di arroccamento e recupero identitario. A ciò va aggiunta la politica deliberata di fomentare nazionalismi, patrie etniche e confessionali per inglobare l'Oriente europeo18 riducendolo a periferia, che ora torna come un boomerang sull'Unione Europea.
Slide tratta da: Immigrazione: Risorsa o Minaccia?
www.Quattrogratti.info,23 agosto 2012
A poco vale ricordare che gli immigrati sopperiscono al calo demografico dei Paesi ricchi e contribuiscono alla ricchezza nazionale più di quanto non ricevano in sostegno e welfare, sorreggendo il sistema pensionistico di paesi come l'Italia. Una reale inclusione comporta il parto di una identità nuova, condivisa, risultante di una profonda trasformazione culturale, politica e sociale interna ed internazionale.
Non si tratta, paternalisticamente, di dare la "canna da pesca" ai Paesi poveri, ma di non continuare a strappargliela di mano. Nell'accettazione di un nuovo sistema di relazioni globali finalmente multipolare, va innanzitutto assicurata la sovranità alimentare di ciascuno e di tutti i popoli.
Bisogna affrontare i problemi del nostro tempo per ciò che realmente sono. Un sistema, un mondo è finito: prima ne prederemo atto, meglio sarà per tutti noi, ai quali si prospetta, in caso contrario, un futuro prossimo assai simile agli anni Trenta dello scorso secolo.

1 Acronimo di: Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna
2 Pigs in inglese significa maiali.
3 Mi riferisco agli interventi militari e non solo, sotto varie denominazioni e coperture ideologiche.
4 Il sistema dei centri per immigrati include: i Centri di identificazione ed espulsione (CIE), i Centri di soccorso e di prima accoglienza (Cpsa), i Centri di Accoglienza (Cda) e i Centri di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati (Cara).
5 Salvatore Cannavò, "Boom dell'asilo politico, ma l'Italia è una tappa", Il Fatto Quotidiano, 22 ottobre 2014.
6 Samir Amin, La Crisi, Punto Rosso, 2009, da pag. 105.
7 In Italia al deficit commerciale del settore agro-alimentare (2013: -6.111 milioni di euro) concorre, tra l'altro, la carenza di produzioni primarie, al 75% del fabbisogno. Quest'ultima è dovuta sia alle restrizioni dell'UE, sia alla politica urbanistica che, dal 1970 ad oggi, ha ridotto la superficie coltivata da 18 a 13 milioni di ettari.
8 Sull'argomento è assai utile la lettura di Jean-Pierre Boris, Le roman noir des matières premières, Pluriel, 2010.
9 Nel caso italiano la distinzione è oltremodo difficile.
10 Come nel caso della richiesta italiana di condividere Mare Nostrum con il resto dell'Unione Europea.
11 Un esempio di pratica dell'integrazione è dato dalla legge sui mini-jobs tedeschi introdotti dal socialdemocratico Schröder.
12 Il disagio da esclusione dei figli e dei nipoti degli immigrati dal Nord-Africa è all'origine delle ribellioni nelle banlieues.
13 Tra i tagliagole dell'Isis forte è la presenza delle seconde/terze generazioni di immigrati islamici provenienti da città come Londra.
14 Per una trattazione più approfondita, può essere assai utile il libro di Annamaria Rivera, "La guerra dei simboli", Dedalo, 2005.
15 In questi casi non si può neppure definire etnica.
16 Per esempio: le delocalizzazioni e la moneta unica.
17 Essendo i distretti produttivi localizzati, la loro crisi diventa crisi di intere aree geografiche.
18 Dalla ex-Jugoslavia all'Ucraina: un lungo sentiero di guerre.


Mercato, immigrazione, salari
Ha-Joon Chang*, "23 cose che non ti hanno mai detto sul capitalismo", il Saggiatore, 2012 (2010)

"Se alcuni mercati sembrano liberi, è solo perché ne accettiamo ciecamente le regole." (...) " Nei paesi ricchi i salari sono determinati più dai controlli sull'immigrazione che da qualsiasi altro criterio, inclusa la legislazione sui salari minimi." (...) "Se salari e tassi d'interesse sono (in larga parte) determinati dalla politica, allora lo sono anche tutti gli altri prezzi, visto che dipendono direttamente da essi."
"Le differenze tra i salari dei paesi poveri e i salari dei paesi ricchi non derivano tanto dai differenti livelli di produttività, quanto dai controlli sull'immigrazione. Se ci fosse libertà di migrazione, gran parte dei lavoratori ricchi potrebbe essere, e di fatto è, rimpiazzata da lavoratori dei paesi poveri. In altre parole, i salari sono perlopiù determinati politicamente." (...) "La loro alta produttività è l'eredità storica delle istituzioni collettive che li sorreggono. Quindi che siano retribuiti in base al loro valore individuale è un mito (...)."
"(...) In pratica, il conducente svedese riceve uno stipendio quasi cinquanta volte più alto del suo collega indiano." (...) "La ragione principale per cui Sven viene pagato di più è, per dirla apertamente, il protezionismo: i lavoratori svedesi sono protetti dalla concorrenza dei lavoratori indiani e di altri paesi poveri dai controlli sull'immigrazione."
"Mentre criticano la legislazione sul salario minimo, le norme sugli orari di lavoro e le varie barriere 'artificiali' all'accesso al lavoro imposte dai sindacati, pochi economisti citano il controllo sull'immigrazione fra quelle odiose regole che mettono in pericolo il funzionamento del libero mercato del lavoro non ce n'è uno che invochi l'abolizione del controllo sull'immigrazione."
* L'Autore coreano, professore a Cambridge, è più conosciuto dal vasto pubblico per la tesi contenuta nel 4° capitolo (La lavatrice ha cambiato la vita più di internet) del libro da cui riporto questi estratti.

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