mercoledì 22 aprile 2020

Se fosse una guerra

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Lotta al coronavirus







Se fosse una guerra...
Quando ci siamo resi conto che dovevamo combatterla, il nemico si era già infiltrato tra di noi, nella nostra società, dentro la nostra vita di ogni giorno. Si era portato in strategico vantaggio, prima che potessimo gridare l'allerta. Ci colse impreparati e fece strage dei più inermi ed indifesi, portatori della nostra memoria. Avevamo smantellato la più umana e necessaria delle nostre difese.
Se fosse una guerra...
A sorpresa, per insinuarsi tra noi scelse il fianco in apparenza più forte, in realtà meno resistente: la terra di Lombardia, luogo di grandi scambi e flussi, di merci e denaro, di uomini e donne, attenta più ai primi che ai secondi. Quale varco migliore per penetrare e poi mimetizzarsi?
Ignara della incombente guerra asimmetrica, dal suo celeste Palazzo, tra i grattacieli della Capitale Morale, era stata dichiarata obsoleta ogni difesa partigiana e svuotati i punti di guardia dislocati sul territorio sociale. Le sparse sentinelle, negli avamposti della sicurezza comune, ridotte con sicumera a passar carte o congedate. Imboscato lassù, il Comando Regionale aveva concentrate le migliori forze in caserme di supposta eccellenza, attorniate da vigilanza privata, restringendo all'indispensabile, creduto efficace, le truppe operative di graduati e soldati, pagati però con scarso soldo.
In quelle caserme penetrò il nemico dalle porte principali, senza neanche sparare, tanto le prime linee erano inavvertite. Poi da lì poté dilagare tra le corsie, le vie e le città, seminando morti e feriti. Il conto a migliaia non cessa.
Alla notizia delle prime stragi, i colonnelli felloni prima fecero spallucce, poi si misero a gara nel chiamare all'adunata generale, nascondendo la loro criminale inazione dietro buone parole sull'eroica lotta di chi, mandato allo sbaraglio, combatteva strenuamente nelle improvvisate trincee.
Se fosse una guerra...
Il Quartier Generale nella Capitale nazionale, pur avvertito del pericolo, si accorse di non disporre neanche delle indispensabili informazioni per capire che fare. La Nazione era stata privata di adeguate difese da tutti i governi della seconda Repubblica. E quelle residue erano state affidato ai Comandi Regionali. Ognuno per sé, compresi i servizi d'intelligence, incomunicanti tra loro e scollegati dal centro.
I pur predisposti piani d'emergenza si rivelarono lettera morta.
Ciascun Comando Regionale andava per proprio conto, senza una comune strategia. Dopo qualche cannonata su bersagli ristretti, dipinti di rosso allarmante, non rimaneva che chiamare all'estrema difesa di popolo: tutti barricati in casa! A guardia di se stessi.
Se fosse una guerra...
Pensavamo di vivere in pace, tante monadi, individui tuttalpiù famiglie, non una società benché divisa e divergente, né una comunità nazionale. Per le lontane guerre altrui solidali un tantino, ma solo da volonterose persone, umanamente ben disposte all'obolo pietoso e più raramente al vero soccorso che l'impegno politico della solidarietà reclama.
Subivamo il sacrificio della colpa, di essere maiali (ma in acronimo inglese), mediterranei spendaccioni e goderecci. Sebbene maltrattati eravamo nell'Europa fiduciosi, sicché abbiamo sguarnito le forze armate della nostra salute.
A cosa serviva?
Predicavano l'Europa ed il Mondo: meglio il superfluo privato consumo del necessario pubblico benessere.

Andrà tutto bene?
Nessun sopravvissuto potrà dirsi vincitore, se non trarrà insegnamento dall'amara esperienza delle vite perdute.

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