sabato 2 maggio 2020

Debito pubblico e macchina europea

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Debito pubblico e macchina europea

Non è questione di un singolo meccanismo
(il MES), ma dell'intera macchina europea, per come è stata congegnata.
Dopo il fermo per pandemia, se la macchina Ue riprenderà a funzionare,
l'Italia in debito sarà la vittima designata.

In questo articolo ho cercato di rendere comprensibili alcune dinamiche economiche, troppo spesso raccontate in linguaggio per soli addetti e magari con parole chiave in inglese.
In questo tentativo so di essermi esposto a qualche semplificazione ed imprecisione. Era il prezzo da pagare. Mi riterrei soddisfatto del risultato solo se qualche lettore o lettrice volesse rendermi critica e giudizio. Ovviamente e non necessariamente ristretti al linguaggio.

Dopo poco più di un decennio dalla crisi del 2007-2008, dalla quale l'Italia non si era ripresa, soffiava già sull'Europa un vento di recessione, allorché la tempesta della pandemia è sopraggiunta, ponendoci di fronte alla immediata minaccia di una depressione, con il suo portato di durevole e vasta povertà.
Cosa fare per sventare la minaccia e rispondere all'emergenza, senza precludere al Paese una ripresa stabile, che gli eviti di sprofondare nel declino su cui era oramai avviato?
A questa domanda si possono dare risposte non univoche e certamente conflittuali, ma non è accettabile sia nascosta dietro una falsa rappresentazione della realtà e delle vere scelte politiche all'ordine del giorno.
La morsa
Alle prese con gli effetti devastanti del virus coronato il governo Conte cerca risorse. Deve sostenere un urto tremendo e l'alleanza che lo regge è disunita ed incerta. Di contro, quella che gli si oppone, dopo l'iniziale baldanza demagogica, mostra crepe evidenti ed è unita solo dalla voglia di potere.
Per coprire il grande fabbisogno di spesa, in tanti miliardi ancora da conteggiare, il governo non può poggiare su un gettito fiscale ridotto dalla crisi, né potrà nel prossimo futuro. Deve disporre di ingenti risorse straordinarie da subito, da somministrare anche a fondo perduto. La recessione rischia altrimenti di mutarsi in depressione, nonostante i molti miliardi straordinariamente attivati.
Il quadro riassunto dal Documento di Economia e Finanza del governo è davvero preoccupante. [Vedi nella finestra “I dati del DEF”, a seguire.] E potrebbe rivelarsi ottimistico. Alla concomitante caduta della domanda interna e degli investimenti corrisponde un crollo del Pil, di tali proporzioni da prospettare per il 2021 solo un parziale recupero in percentuale del Pil perso. L'emergenza sanitaria potrebbe durare due anni. Siamo dunque al cospetto di una crisi assai più grave di quella sperimentata dopo il crack finanziario del 2007-2008.
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I dati del DEF
Documento di Economia e Finanze*
Il governo prevede per il 2020:
1. Calo del Pil dell'8%;
2. Debito pubblico al 155,7% del Pil;
3. Disavanzo di Bilancio del 10,4% (di cui il 7,1% solo da pandemia).
Il calo del Pil è corrisponde alle diminuzioni:
- degli investimenti (-12,3%);
- dei consumi (-7,2%);
- dei redditi (-5,7%).
Per il 2021 prevede:
  • Recupero del Pil del 4,7%;
  • Debito al 152,7%;
  • Deficit dimezzato rispetto al 2020.
* 24 aprile 2020
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Per la comprensione degli attuali svolgimenti. non va dimenticato un fatto pregresso essenziale.
Ancora dalla precedente crisi non ci eravamo risollevati che i dati della produzione industriale tedesca,1 a cui una parte di quella italiana è legata in subfornitura, preannunciavano una ulteriore recessione per cause endogene. Prima del Covid-19, catalogato frettolosamente come “shock esterno” (esogeno). Esso è sì fenomeno naturale, ma derivante dal rapporto con la natura attuato dal modo di produzione e dal modello di consumo dominanti, quindi, in realtà e soprattutto, fenomeno sociale.
Disponendo di un ridotto gettito fiscale, a causa della contrazione economica, al governo non rimane che indebitare il Paese oltre il già accumulato: dal 134,8% del Pil 2019 si passerebbe al 155,7% nel 2020. Si tratta di una crescita debitoria non gestibile attraverso gli strumenti di politica finanziaria e monetaria di cui dispone uno Stato sovrano, giacché essi sono stati collocati nell'Unione e nella sua interna Zona euro: un non-Stato che però ha, di fatto, assunto il ruolo parallelo di “secondo Stato”.
Mai come in questo momento, la perdita di quote elevate della nostra sovranità è condizionante.
Il Paese, pertanto, si ritrova in balia da un lato dei liberalizzati mercati finanziari internazionali e, dall'altro, dei meccanismi operanti nell'Unione, in stretto e convergente legame coercitivo.
Da un lato preme il famigerato spread,2 sul quale pesa, seppure non automaticamente, la valutazione delle agenzie internazionali di rating, il “naso” dei mercati finanziari, che possono declassare il debito fin quasi a qualificarne i titoli come “spazzatura” (junk bonds). Aumentando il “rischio percepito” dagli investitori, nella misura dello spread, si alzano i tassi d'interesse sul nostro debito pubblico.
Le agenzie di rating, a loro volta, elaborano il loro outlook previsionale, con riferimento al grado di copertura assicurata dall'Europa, il cui assetto costituisce il secondo lato della morsa.
Affinché il contesto sia chiaro, va tenuto presente che, nei molti anni trascorsi in austerità, i risparmi ottenuti con i saldi primari di bilancio – entrate ed uscite al netto degli interessi - non sono serviti, proprio a causa dell'ammontare di quegli interessi, ad invertire la tendenza generale all'aumento del debito in rapporto al Pil. [Vedi grafico a seguire.]
La trattativa Stato-Unione
La manovra in via di attuazione, per tappe, da parte del governo [vedi nella finestra dedicata, a seguire], non è considerata da tutti sufficiente per coprire il fabbisogno, tanto dell'emergenza quanto della ripresa. Ragione per la quale le ansie e le aspettative si addensano sulle decisioni da prendere in ambito europeo.
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La manovra in corso
Il governo sta attuando una manovra complessiva da 150 mld (comprese le misure non impattanti sul Deficit).
In particolare:
- 12 mld per il pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione;
- 50 mld della Cassa Depositi e Prestiti per entrare nelle aziende in crisi, anche con “nazionalizzazioni temporanee”;
- 30 mld per le garanzie pubbliche alle liquidità erogate dal sistema bancario;
- 4 mld per il Fondo Garanzia Piccole-Medie Imprese;
- 24 mld per Cassa Integrazione (CIG), autonomi, Naspi, colf e badanti, congedi; di cui 3 mld per i reddito di emergenza dei lavoratori in nero ed atipici.
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Con qualche ritardo sugli inizi dello tsunami da epidemia, la Commissione europea, concordi gli Stati membri, ha sospeso l'arcigno Patto di Stabilità. La Banca centrale europea (Bce) ha messo sul tavolo il bazooka finanziario con un programma (Peep) di acquisti da 750 mld. Quest'ultimo non estingue i debiti sia pubblici che privati: si limita ad incorporarli. Ciò nonostante non è ben visto a Berlino, perché espande in modo “improprio” il ruolo della Bce. Il programma prevede l'acquisto dal mercato secondario3 di titoli di debito, buoni del Tesoro pubblici ed obbligazioni private, già in circolazione. In cambio restituisce liquidità al sistema bancario, che li tiene “in pancia”, onde consentirgli di erogare prestiti alle imprese ad un tasso agevolato rispetto al mercato. Se, in tal modo, lo spread è tenuto temporaneamente sotto controllo, non si può dire che sull'offerta di liquidità si possano nutrire soverchie speranze di successo.
Infatti, quando l'inventore dei bazooka, Mario Draghi, era ancora governatore della Bce, le grandi liquidità da lui immesse non indussero il “cavallo a bere” granché e l'economia a rimettersi in moto.
Chiariti i motivi di fondo, per cui l'andamento della trattativa tra i governi dell'Unione è divenuta così importante, occorre comprendere a quale punto essa è giunta.
Il 23 aprile, nell'ultima riunione del Consiglio europeo, i 27 capi di governo dei Paesi membri dell'Unione hanno stabilito che, dal 1° giugno, diventino operativi tre strumenti, considerati di “vecchio stampo”, cioè a debito, già indicati dai ministri delle Finanze (in ordine d'importanza):
  1. il MES (ex fondo salva-Stati), “senza condizioni” nei limiti delle spese sanitarie ed entro il 2% del Pil di ciascun Paese;
  2. i prestiti alle imprese della Banca europea per gli investimenti (Bei);
  3. il meccanismo “Sure” per la disoccupazione.
La messa in campo del MES è stata applaudita da alcune forze politiche (PD, IV, FI), benché siano da chiarire aspetti politici passati, come al solito, per “tecnici”, ovvero: se l'assenza di condizioni varrà per tutto il periodo della erogazione-restituzione del prestito; se il rientro in vigore del Patto di Stabilità, dopo la sospensione, potrà reimmettere di fatto le condizioni per ora accantonate; quanti siano realmente i miliardi a disposizione dell'Italia, qualora volesse accedervi. In teoria l'importo disponibile ammonterebbe a circa 37 mld, ma bisogna appurare se i soldi spesi per l'emergenza sanitaria verranno computati in modo “largo” o “ristretto”. Comunque, per aggirare una latente spaccatura (il M5S è contrario al MES) in seno alla maggioranza, Conte ha sospeso ogni giudizio in merito, in attesa di leggere il testo definitivo dell'accordo.
Poiché i tre succitati meccanismi implicano un ulteriore aumento del debito pubblico nazionale, in presenza di una generale caduta del Pil e delle entrate fiscali, le pressioni dei Paesi del Sud, tra cui l'Italia, si sono concentrati sull'unico strumento definito “nuovo”, ammesso all'esame, il Recovery Fund (RF) o Fondo comune per la ripresa.
Sulla natura del RF non c'è stata intesa, sicché la discussione tra i partners, riuniti in teleconferenza, ha sortito un nulla di fatto ed un rimando. Sarà la Commissione europea, nel cui prossimo bilancio (2021-2027) il RF è stato collocato e verrà gestito, a dover presentare agli inizi di maggio un progetto capace di raccogliere unanime consenso.
Non è un mistero quali siano i punti di disaccordo, focalizzati oltre ogni tecnicismo su:
  • l'entità complessiva del Fondo;
  • i termini della sua mutualizzazione;
  • l'eventuale bilanciamento tra la parte data in prestito (loan) e la parte data in trasferimento di sussidi senza restituzione (grant);
  • la priorità di accesso al Fondo per i Paesi più colpiti dalla pandemia.
Appare del tutto evidente che se al vertice s'è registrato “un passo avanti fuori da ogni attesa”, come ha sostenuto Conte in relazione al RF, - d'altronde la situazione è “fuori da ogni attesa”, per chi abbia trascurato l'avvertimento rappresentato dalle pandemie degli ultimi decenni – dalla definizione dei prima elencati punti molto dipenderà.
Non è dirimente il riconoscimento, contenuto nel comunicato finale, che il Fondo sia needed and urgent, necessario ed urgente.
In una prima proposta, la Commissione presieduta da Ursula von der Leyen aveva ipotizzato un RF attestato su 300 mld, da chiedere ai mercati in cambio di obbligazioni europee ed assegnabili in parte in prestiti ed in parte in sussidi. Macron e Sanchez hanno ribadito che il Fondo deve, invece, disporre di 1000-1500 mld, tutti assegnabili in sussidi agli Stati e sulla base dei reali danni subiti da ciascuno di essi a causa della pandemia. Sul versante opposto si sono schierati i “Paesi frugali”, Olanda in testa, che appartengono all'area core, capeggiata dalla Germania: non vogliono una grande entità del Fondo, né che sia assegnato in sussidi.
Lasciando ad altri la parte dei “cattivi”, Angela Merkel si è riservata una posizione mediatrice, pur opponendo un secco Nein ad un fondo per soli sussidi.
Nella stessa Germania gli orientamenti non sono univoci. Gli industriali hanno bisogno che la domanda interna ai Paesi mediterranei non crolli, al punto da inaridire il flusso delle esportazioni dei loro prodotti verso quei mercati. Nel suo complesso, però, il capitale tedesco è interessato a non intaccare gli attuali meccanismi asimmetrici, garantiti dalla macchina dell'Ue con al centro la moneta unica. In virtù di questa macchina, la Germania ha incamerato forti surplus e mantenuto sotto controllo il proprio debito pubblico. Sicché ha potuto già attivare, per proprio conto, 550 mld per rispondere alla crisi ed al contempo ristrutturarsi.
A determinare un ulteriore vantaggio nazionalistico di sistema concorre anche lo shock pandemico subito (sin qui) con minor danno, giacché la Germania ha potuto disporre di una sanità non falcidiata negli anni, come quella imposta ai Paesi periferici tramite l'austerità di bilancio.
Come può finire?
Ricorrere all'indebitamento dell'Unione per fare prestiti agli Stati membri, scartando l'ipotesi di affidare alla Bce il compito di “stampare” moneta, costituisce di per sé una scelta di fondo.
Il Recovery Fund è stato collocato all'interno del bilancio europeo gestito dalla Commissione,4 su proposta della Francia, la quale, per bocca del presidente Macron, ha sostenuto:
«Lo dico sinceramente: se l’Europa deve indebitarsi per fare prestiti agli Stati membri, allora non siamo all’altezza della risposta. Questi prestiti andranno ad aggiungersi al debito che questi Paesi già hanno e non risolveranno gli squilibri finanziari che ci sono nei Paesi più colpiti dalla crisi.»
Questo è il punto immediato. Di conseguenza, qualora, ipotesi altamente probabile, la “mediazione” della Germania si risolvesse nel darci un parziale sollievo in sussidi, che salvi le parvenze della “solidarietà” - e gli sbocchi per i propri prodotti industriali -, lasciando però che un nuovo debito pubblico si sommi a quello già accumulato, permanendo gli attuali Trattati europei e ripristinate le relative regole solo sospese, per l'Italia si schiuderebbe una via crucis.
Per non imboccarla, l'Italia, terzo Paese manifatturiero d'Europa, deve “fare da sola”. Per farlo non è priva delle risorse interne necessarie, né di spazi offerti dalla congiuntura internazionale.
Mi limito qui ad un solo aspetto. Quello dato dal forte risparmio privato italiano che, prima della pandemia, ammontava a circa 420 miliardi.
Questo risparmio, sicuramente assottigliato dalle impellenti necessità familiari, indotte dalla perdita di tante attività e dalla disoccupazione, si trova vieppiù esposto sia agli appetiti della finanza internazionale, che su di esso ha puntato gli occhi, sia alla normativa “bail-in” introdotta dall'Unione bancaria europea.
Il bail-in scatta in caso di crisi bancaria. È una modalità di salvataggio interno, tramite l'esclusivo e diretto coinvolgimento di azionisti, obbligazionisti e correntisti della banca in crisi.
Quale sia lo stato d'allerta in cui versano le banche, è desumibile dagli ostacoli burocratici frapposti alla erogazione effettiva dei prestiti alle piccole-medie imprese ed ai professionisti. Nonostante tali prestiti siano garantiti dallo Stato.
Ci si può chiedere: perché ricorrere ad onerosi e pericolosi prestiti europei ed internazionali, quando a casa nostra disponiamo di un risparmio di tale entità? Perché, in esecuzione del dettato costituzionale, non proteggerlo adeguatamente ed al tempo stesso mobilitarlo per la rinascita del Paese?
D'altro canto, il risparmio dei residenti potrebbe essere usato al fine di riprendere il controllo (come il Giappone) del debito pubblico nazionale, sottraendo quest'ultimo, in tempi e modi opportuni, alla soffocante morsa all'inizio descritta.
Contro ogni percorso d'interesse nazionale – e nell'interesse soprattutto dei lavoratori e delle parti sociali più impoverite - non mancano i soliti disponibili ad ogni “male minore”. Gli stessi che ci hanno condannato al male maggiore.
Non mancheranno nemmeno i sostenitori del “non c'è alternativa”, quando, al contrario, restare mal accompagnati è la peggior alternativa.
A dispetto di questi terroristi della sventura e raccoglitori di briciole dei pasti altrui, nei media così ben posizionati, nel breve giro di pochi anni - fors'anche di mesi - la realtà della via crucis si paleserà agli occhi della grande maggioranza del popolo italiano.
Non ci difenderemo “restando a casa”, ma prendendo pubblicamente e politicamente in mano il comune destino, con la forza e la fiducia che la resistenza al Covid-19 ha mostrato che abbiamo.
Il coraggio di quella partigiana ci sia d'esempio.

Note
2 Dato dalla differenza del tasso d'interesse tra i Bund tedeschi e gli altri titoli di debito pubblico emessi dai singoli Paesi membri.
3 A differenza del mercato primario, il mercato secondario è costituito da titoli ed obbligazioni già presenti sul mercato.
4 A differenza della “opzione Bce”, ed in linea per ora solamente teorica, in effetti, qualsivoglia mutualizzazione del RF è già solo parziale, poiché il debito europeo ricadrebbe, se “esigito”, sugli stessi Paesi in proporzione al rispettivo Pil.

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