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Il
20 maggio è stato pubblicato un appello
al voto per “La Sinistra” di tante persone e personalità
della sinistra italiana.1
Non
trattandosi di un partito, ma di una “coalizione unitaria”, e per
di più di un appello a votarla, non si può pretendere sia
articolato e rispondente a tutte le questioni, purché su quelle
dirimenti per il momento politico in corso nell'occasione elettorale
(le europee), si esprima con chiarezza, dandoci modo di aderire o
meno all'invito.
Partirò,
pertanto, da quelle affrontate, lasciando quelle eluse alla parte
finale della disamina.
Avversari
Gli
avversari degli oppressi sono coloro che hanno stravolto il progetto
dell'unità europea, sognato a Ventotene nel 1941:
«Quel progetto è
stato ed è stravolto, da un lato, dalla logica neoliberista che ha
ispirato il Trattato di Maastricht e le successive intese
intergovernative, come il micidiale Fiscal compact, che, perseguendo
politiche di austerità, hanno aggravato la crisi con gravi
conseguenze per l’occupazione e le condizioni di vita delle
persone.
Dall’altro
lato il percorso dell’unità europea è oggi seriamente minacciato2
dall’avanzata
delle destre nazionaliste, xenofobe, razziste e sessiste.»
A
venire minacciato è un percorso che doveva esserci, ma non c'è, o
quello dettato da Maastricht?
Forse
si vuol dire che, mentre il progetto di Ventotene è stato stravolto
e potrebbe essere ripristinato, l'avanzata delle destre mette a
repentaglio il sogno stesso di un'Europa unita.
Poiché
le destre sono nazionaliste, xenofobe, razziste, sessiste, ci si può
chiedere se, invece, quelle che hanno dominato la scena, attuando la
logica neo-liberista (Maastricht, intergovernativi, Fiscal
compact,
austerità), siano meno di destra. In altri termini, le forze
politiche che hanno aggravato la crisi, a danno dell'occupazione e
delle condizioni di vita delle persone, se non sono di destra, in
quale parte della rappresentazione destra-sinistra possono venire
collocate?
Perché
sono lasciate in un limbo indeterminato?
A
spiegarcene il motivo non contribuiscono le successive affermazioni.
Due
strade
«Se
si continua sulla prima strada si rischia l’implosione della Ue,
perché si approfondiscono le differenze tra paesi e all’interno di
questi.
Se
si sceglie la seconda si arriverebbe alla deflagrazione della Ue, a
un ritorno alle piccole patrie l’una contro l’altra armate.
In
entrambi i casi il nostro paese verrebbe lasciato in balia dei grandi
gruppi economici e finanziari che già con la globalizzazione
selvaggia hanno sottratto il potere di decidere sulla nostra sorte ad
ogni controllo democratico.»
Sembra
quasi che le due strade procedano separatamente per poi
ricongiungersi: l'una porta all'implosione; l'altra alla
deflagrazione, ovvero all'esplosione.
Prima
osservazione. Stante il largo predominio delle due vie, convergenti
nel risultato finale, salvo l'irrealistico eventuale salvataggio in
extremis del progetto di Ventotene, che l'Unione imploda od
esploda appare di poco conto. L'aspetto
principale diventa come salvare dal naufragio le “persone”.
Qualsiasi ritardo nell'approntare le scialuppe di salvataggio sarebbe
imperdonabile, segnatamente per quelle “persone” che sarebbero
prive di scialuppe proprie per non venire sommerse.
Seconda
osservazione. Esiste tuttavia un prima
ed un poi nella storia
dell'Unione, durante la quale negli anni si è strutturata in un
Centro, a trazione tedesca, e differenziate Periferie sia a Sud che
ad Est. Il ritorno alle piccole patrie non è caduto dal cielo. È
dovuto al modo stesso in cui si è allargata ad Oriente (vedi
ex-Jugoslavia), divaricandosi rispetto al Sud mediterraneo. Ne
consegue che è la prima via ad aver e innescato la seconda, proprio
obbedendo agli interessi dei gruppi economici e finanziari che, per
farlo, dovevano sottrarsi ad
ogni controllo democratico. La globalizzazione, infatti, è stata
fatta per
essere selvaggia, per deregolare ciò che in ambito democratico non
poteva essere deregolato.
Eccoci
arrivati al nodo: la sottrazione di democrazia avviene sottraendo
sovranità, perché la prima non può vivere senza la seconda.
In
contraddizione
«Recuperare
la sovranità nazionale in questa situazione è illusorio.
Certo bisogna lottare in tutti i paesi per modificare le politiche
dominanti, certo bisogna battersi per l’attuazione della
Costituzione e affermarne la prevalenza rispetto a trattati
neoliberisti.»
Perché
è illusorio? Non c'è spiegazione.
Di
contro, invece, non sarebbe illusorio pensare di recuperare sovranità
nell'ambito di un'Unione che, in
questo situazione concreta,
è priva di qualsivoglia processo di unificazione politica popolare.
Se
affermi la prevalenza
della nostra Costituzione (immagino depurata dall'art. 81 del 2012
che obbligo al pareggio di bilancio) rispetto ai trattati, recuperi
proprio la sovranità nazionale contro le politiche europee
dominanti. Dunque, non è illusorio il recupero della sovranità
nazionale, che è esattamente ciò che avviene quando anteponi
ai trattati in essere la Costituzione nazionale.
Non
si tratta semplicemente di una contraddizione logica: è una
contraddizione politica, gravida di conseguenze, dalle quali non si
può prescindere.
Va
chiarito almeno uno dei motivi per il quale l'Unione sia stata
costruita sulla base delle politiche economiche, finanziarie e
monetarie, trascurando di accompagnarle (o anteporle) con un processo
di unificazione politica democratica.
I
nazionalismi delle piccole patrie
sono stati preceduti e persino sostenuti da quello delle
grandi patrie, ossia dai
nazionalismi di potenza dei Germania e Francia, ai quali l'Italia ha
creduto di poter partecipare. Gli oligopoli finanziarizzati che hanno
potuto spaziare ed affermarsi in tutto il continente, non sono privi
di Stati alle loro spalle. Se ancora c'è qualcuno che crede a questa
favola, almeno dovrebbe riflettere su quanto va facendo Donald Trump.
Ad
ogni buon conto, bisogna rispondere alla domanda: il palese
nazionalismo europeo delle piccole patrie è più pericoloso del
nascosto nazionalismo delle grandi patrie?
Forza
collettiva
«Dipende
da noi, dalla forza collettiva che riusciranno a mobilitare i
movimenti sociali, dei lavoratori, femministi, ambientalisti,
pacifisti per ottenere un’Europa radicalmente diversa, più giusta,
più democratica.
Un’Europa
impegnata a eliminare le insostenibili diseguaglianze, le cause delle
guerre e a prevenire le catastrofi ambientali; aperta al
Mediterraneo, ai processi migratori e in pace con gli altri popoli.
Senza
la forza che solo un’altra Europa unita può mettere in campo,
nessuna delle rivendicazioni che ci stanno a cuore potrebbero
essere conquistate.»
La
forza collettiva, della quale abbiamo sicuramente bisogno, in quale
ambito
politico esistente
può farsi valere?
La
risposta è data proprio dall'appello, quando sostiene che occorre
far prevalere la nostra Costituzione, rispetto ai trattati che ci
riducono a sovranità limitata. Certo, è auspicabile che la forza
collettiva si faccia strada in tutta Europa, ma ciò dovrà portare
ad un nuovo assetto europeo che destrutturi
l'Unione:
questo significa privarla degli attuali trattati, a partire dal
trattato di Maastricht, fondativo dell'Unione, che contiene l'euro,
il sistema a moneta unica.
Il nostro dettato
costituzionale indica la via della cooperazione tra pari rivolta alla
pace, alla quale potrà contribuire l'apertura agli altri Paesi del
Mediterraneo.
In
questo contesto l'accenno alla libertà migratoria è troppo vago e
si confonde con la posizione no
borders, organica
alla globalizzazione liberista.
Elusione
L'appello
denuncia giustamente il pericolo costituito dalla Lega.
Imputa
al PD di avere abbandonato i più poveri, invece di proteggerli.
Tuttavia l'elenco delle contro-riforme economico-sociali volute dal
PD non rientra nella mancata protezione, bensì nelle politiche
liberiste interne, in sintonia con quelle europee. Perciò la
sinistra europea social-democratica si è omologata alla destra
liberal-democratica, dalla quale non è più distinguibile.
Gli
sforzi della Vera Autentica Sinistra, alla quale appartengono i
firmatari dell'appello, per evitare questa omologazione sono falliti
e non se ne vogliono trarre le dovute conseguenze. Lo dimostra
l'insistenza nel portare l'esempio della Grecia, dove, nonostante il
forte consenso ottenuto da Syriza, quest'ultima si è ritrovata a
gestire il protettorato della Troika.
«Per
questo [mancata
protezione]
le vittime di questo malgoverno si sono rifugiate nel rancore,
perdendo la fiducia nella politica e coltivando la pericolosa
illusione dell’uomo forte al comando. In questo modo è dilagato un
discorso di destra, sessista, razzista, che prende gli immigrati come
capro espiatorio.»
S'impone
una riflessione sul “rancore”.
Che
alcuni settori della società nutrano rancore è verosimile. Tuttavia
il voto di milioni di italiani, in particolare al M5S, non ha
denotato rancore e sfiducia nella politica, bensì scontento,
disillusione, rabbia e voglia di
cambiamento della politica. Non si può eluderli, rubricando
il loro pronunciamento in un detestabile risentimento.
Con
questa parte della nostra società occorre dialogare, senza
supponenze, in particolare non evitando la revisione autocritica di
una strategia che ripropone da decenni una sinistra reale sempre da
salvare-rifare-rifondare. Una litania, diventata col tempo sconsolato
piagnisteo, se non un modo di mettersi in un angolo della storia che
avviene sotto i nostri occhi, alla quale si rimprovera di svolgersi a
dispetto delle proprie buone proposizioni e dei propri positivi
sentimenti.
Ciascuno
di noi voterà secondo coscienza, o si asterrà perché non si
riconosce minimamente in alcuna delle liste presentate.
È
comunque pura fantasia ritenere che la scadenza elettorale del 26
maggio:
«deciderà
se affossare o rilanciare il progetto dell’unità europea, quale
l’avevano sognato gli antifascisti al confino a Ventotene fin dal
lontano 1941.»
Note
2
Tutte le frasi in grassetto sono nel testo originale.
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