sabato 25 maggio 2019

Rancore

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Il 20 maggio è stato pubblicato un appello al voto per “La Sinistra” di tante persone e personalità della sinistra italiana.1
Non trattandosi di un partito, ma di una “coalizione unitaria”, e per di più di un appello a votarla, non si può pretendere sia articolato e rispondente a tutte le questioni, purché su quelle dirimenti per il momento politico in corso nell'occasione elettorale (le europee), si esprima con chiarezza, dandoci modo di aderire o meno all'invito.
Partirò, pertanto, da quelle affrontate, lasciando quelle eluse alla parte finale della disamina.
Avversari
Gli avversari degli oppressi sono coloro che hanno stravolto il progetto dell'unità europea, sognato a Ventotene nel 1941:
«Quel progetto è stato ed è stravolto, da un lato, dalla logica neoliberista che ha ispirato il Trattato di Maastricht e le successive intese intergovernative, come il micidiale Fiscal compact, che, perseguendo politiche di austerità, hanno aggravato la crisi con gravi conseguenze per l’occupazione e le condizioni di vita delle persone.
Dall’altro lato il percorso dell’unità europea è oggi seriamente minacciato2 dall’avanzata delle destre nazionaliste, xenofobe, razziste e sessiste.»
A venire minacciato è un percorso che doveva esserci, ma non c'è, o quello dettato da Maastricht?
Forse si vuol dire che, mentre il progetto di Ventotene è stato stravolto e potrebbe essere ripristinato, l'avanzata delle destre mette a repentaglio il sogno stesso di un'Europa unita.
Poiché le destre sono nazionaliste, xenofobe, razziste, sessiste, ci si può chiedere se, invece, quelle che hanno dominato la scena, attuando la logica neo-liberista (Maastricht, intergovernativi, Fiscal compact, austerità), siano meno di destra. In altri termini, le forze politiche che hanno aggravato la crisi, a danno dell'occupazione e delle condizioni di vita delle persone, se non sono di destra, in quale parte della rappresentazione destra-sinistra possono venire collocate?
Perché sono lasciate in un limbo indeterminato?
A spiegarcene il motivo non contribuiscono le successive affermazioni.
Due strade
«Se si continua sulla prima strada si rischia l’implosione della Ue, perché si approfondiscono le differenze tra paesi e all’interno di questi.
Se si sceglie la seconda si arriverebbe alla deflagrazione della Ue, a un ritorno alle piccole patrie l’una contro l’altra armate.
In entrambi i casi il nostro paese verrebbe lasciato in balia dei grandi gruppi economici e finanziari che già con la globalizzazione selvaggia hanno sottratto il potere di decidere sulla nostra sorte ad ogni controllo democratico.»
Sembra quasi che le due strade procedano separatamente per poi ricongiungersi: l'una porta all'implosione; l'altra alla deflagrazione, ovvero all'esplosione.
Prima osservazione. Stante il largo predominio delle due vie, convergenti nel risultato finale, salvo l'irrealistico eventuale salvataggio in extremis del progetto di Ventotene, che l'Unione imploda od esploda appare di poco conto. L'aspetto principale diventa come salvare dal naufragio le “persone”. Qualsiasi ritardo nell'approntare le scialuppe di salvataggio sarebbe imperdonabile, segnatamente per quelle “persone” che sarebbero prive di scialuppe proprie per non venire sommerse.
Seconda osservazione. Esiste tuttavia un prima ed un poi nella storia dell'Unione, durante la quale negli anni si è strutturata in un Centro, a trazione tedesca, e differenziate Periferie sia a Sud che ad Est. Il ritorno alle piccole patrie non è caduto dal cielo. È dovuto al modo stesso in cui si è allargata ad Oriente (vedi ex-Jugoslavia), divaricandosi rispetto al Sud mediterraneo. Ne consegue che è la prima via ad aver e innescato la seconda, proprio obbedendo agli interessi dei gruppi economici e finanziari che, per farlo, dovevano sottrarsi ad ogni controllo democratico. La globalizzazione, infatti, è stata fatta per essere selvaggia, per deregolare ciò che in ambito democratico non poteva essere deregolato.
Eccoci arrivati al nodo: la sottrazione di democrazia avviene sottraendo sovranità, perché la prima non può vivere senza la seconda.
In contraddizione
«Recuperare la sovranità nazionale in questa situazione è illusorio. Certo bisogna lottare in tutti i paesi per modificare le politiche dominanti, certo bisogna battersi per l’attuazione della Costituzione e affermarne la prevalenza rispetto a trattati neoliberisti.»
Perché è illusorio? Non c'è spiegazione.
Di contro, invece, non sarebbe illusorio pensare di recuperare sovranità nell'ambito di un'Unione che, in questo situazione concreta, è priva di qualsivoglia processo di unificazione politica popolare.
Se affermi la prevalenza della nostra Costituzione (immagino depurata dall'art. 81 del 2012 che obbligo al pareggio di bilancio) rispetto ai trattati, recuperi proprio la sovranità nazionale contro le politiche europee dominanti. Dunque, non è illusorio il recupero della sovranità nazionale, che è esattamente ciò che avviene quando anteponi ai trattati in essere la Costituzione nazionale.
Non si tratta semplicemente di una contraddizione logica: è una contraddizione politica, gravida di conseguenze, dalle quali non si può prescindere.
Va chiarito almeno uno dei motivi per il quale l'Unione sia stata costruita sulla base delle politiche economiche, finanziarie e monetarie, trascurando di accompagnarle (o anteporle) con un processo di unificazione politica democratica.
I nazionalismi delle piccole patrie sono stati preceduti e persino sostenuti da quello delle grandi patrie, ossia dai nazionalismi di potenza dei Germania e Francia, ai quali l'Italia ha creduto di poter partecipare. Gli oligopoli finanziarizzati che hanno potuto spaziare ed affermarsi in tutto il continente, non sono privi di Stati alle loro spalle. Se ancora c'è qualcuno che crede a questa favola, almeno dovrebbe riflettere su quanto va facendo Donald Trump.
Ad ogni buon conto, bisogna rispondere alla domanda: il palese nazionalismo europeo delle piccole patrie è più pericoloso del nascosto nazionalismo delle grandi patrie?
Forza collettiva
«Dipende da noi, dalla forza collettiva che riusciranno a mobilitare i movimenti sociali, dei lavoratori, femministi, ambientalisti, pacifisti per ottenere un’Europa radicalmente diversa, più giusta, più democratica.
Un’Europa impegnata a eliminare le insostenibili diseguaglianze, le cause delle guerre e a prevenire le catastrofi ambientali; aperta al Mediterraneo, ai processi migratori e in pace con gli altri popoli.
Senza la forza che solo un’altra Europa unita può mettere in campo, nessuna delle rivendicazioni che ci stanno a cuore potrebbero essere conquistate.»
La forza collettiva, della quale abbiamo sicuramente bisogno, in quale ambito politico esistente può farsi valere?
La risposta è data proprio dall'appello, quando sostiene che occorre far prevalere la nostra Costituzione, rispetto ai trattati che ci riducono a sovranità limitata. Certo, è auspicabile che la forza collettiva si faccia strada in tutta Europa, ma ciò dovrà portare ad un nuovo assetto europeo che destrutturi l'Unione: questo significa privarla degli attuali trattati, a partire dal trattato di Maastricht, fondativo dell'Unione, che contiene l'euro, il sistema a moneta unica.
Il nostro dettato costituzionale indica la via della cooperazione tra pari rivolta alla pace, alla quale potrà contribuire l'apertura agli altri Paesi del Mediterraneo.
In questo contesto l'accenno alla libertà migratoria è troppo vago e si confonde con la posizione no borders, organica alla globalizzazione liberista.
Elusione
L'appello denuncia giustamente il pericolo costituito dalla Lega.
Imputa al PD di avere abbandonato i più poveri, invece di proteggerli. Tuttavia l'elenco delle contro-riforme economico-sociali volute dal PD non rientra nella mancata protezione, bensì nelle politiche liberiste interne, in sintonia con quelle europee. Perciò la sinistra europea social-democratica si è omologata alla destra liberal-democratica, dalla quale non è più distinguibile.
Gli sforzi della Vera Autentica Sinistra, alla quale appartengono i firmatari dell'appello, per evitare questa omologazione sono falliti e non se ne vogliono trarre le dovute conseguenze. Lo dimostra l'insistenza nel portare l'esempio della Grecia, dove, nonostante il forte consenso ottenuto da Syriza, quest'ultima si è ritrovata a gestire il protettorato della Troika.
«Per questo [mancata protezione] le vittime di questo malgoverno si sono rifugiate nel rancore, perdendo la fiducia nella politica e coltivando la pericolosa illusione dell’uomo forte al comando. In questo modo è dilagato un discorso di destra, sessista, razzista, che prende gli immigrati come capro espiatorio.»
S'impone una riflessione sul “rancore”.
Che alcuni settori della società nutrano rancore è verosimile. Tuttavia il voto di milioni di italiani, in particolare al M5S, non ha denotato rancore e sfiducia nella politica, bensì scontento, disillusione, rabbia e voglia di cambiamento della politica. Non si può eluderli, rubricando il loro pronunciamento in un detestabile risentimento.
Con questa parte della nostra società occorre dialogare, senza supponenze, in particolare non evitando la revisione autocritica di una strategia che ripropone da decenni una sinistra reale sempre da salvare-rifare-rifondare. Una litania, diventata col tempo sconsolato piagnisteo, se non un modo di mettersi in un angolo della storia che avviene sotto i nostri occhi, alla quale si rimprovera di svolgersi a dispetto delle proprie buone proposizioni e dei propri positivi sentimenti.
Ciascuno di noi voterà secondo coscienza, o si asterrà perché non si riconosce minimamente in alcuna delle liste presentate.
È comunque pura fantasia ritenere che la scadenza elettorale del 26 maggio:
«deciderà se affossare o rilanciare il progetto dell’unità europea, quale l’avevano sognato gli antifascisti al confino a Ventotene fin dal lontano 1941.»
Note
2 Tutte le frasi in grassetto sono nel testo originale.

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