mercoledì 31 ottobre 2018

Sovranità vo' cercando

[Clicca sul titolo qui sotto se vuoi scaricare l'articolo in formato PDF]

Le posizioni di Steve Bannon e della traballante leadership europea. Depistaggi, falsi dilemmi e scelte reali nel “passaggio” post-liberista. Visioni alternative di sovranità.
I sostenitori della sovranità nazionale sono assai diversi tra loro, eppure i prevalenti media fingono che siano uguali, facendo di ogni erba un fascio.
C'è l'erba di Steve Bannon, stratega della campagna elettorale di Donald Trump ed ora impegnato in Europa a fianco di Salvini & C. Ci sono poi le erbe dei no global, di Alessandro Di Battista del M5S e di France Insoumise. Sicché metterle tutte nello stesso fascio risponde solo al desiderio di presentare gli avversari, soprattutto se avversari delle logiche egemoniche, come un unico velenoso “fascio nemico”.
Benché questo atteggiamento si nutra dell'illusione di vincere in un sol colpo e gli uni e gli altri, le possibili conseguenze possono essere assai pericolose.
La maggiore tra queste consiste nel mistificare le posizioni in campo per depistare l'opinione pubblica. Non ne deriva una minore aspirazione popolare alla sovranità. Indebolisce solo le forze democratiche, socializzanti e cooperative che ne reclamano il ripristino. Non guadagna consenso agli organismi sovranazionali: regala solo spazio al sovranismo nazionalistico aggressivo1. Un regalo che esso accetta talmente volentieri da condividere la rappresentazione dello scontro politico in atto con il vecchio establishment europeo.
Sembrano in accanito contrasto tra loro, ma si specchiano e rispecchiano, incentivandosi a vicenda contro ogni reale cambiamento.

Steve lo scippatore
Steve Bannon è stato oggetto da parte del connazionale Michael Moore di una duplice accusa, in apparenza contraddittoria.
Per il regista di Bowling a Columbine”:2
«Bannon ha scippato alla sinistra la bandiera della rivoluzione populista.»
Aggiungendo tra l'altro:
«Ho parlato a lungo con Steve Bannon, e mi ha fatto capire che l’obiettivo del suo movimento in Europa è resuscitare il fascismo, sotto mentite spoglie.»
In altri termini, il tentativo anche in Europa di resuscitare il fascismo, pur sotto altre sembianze, si avvale della bandiera della “rivoluzione populista”, che la sinistra si è fatta scippare, perché, per così dire, “in altre faccende affaccendata”.
A darcene involontariamente conto è lo stesso Steve Bannon.
In una recente intervista a Federico Fubini,3 fervente difensore dell'Unione europea, il buon Steve sostiene che l'Italia è al centro dell'universo politico ed un modello per la ridefinizione della politica in questo secolo. Mostra una certa conoscenza dei problemi italo-europei, quando respinge l'idea che l'avversione di Bruxelles alla manovra economica del governo italiano sia originata dalle dimensioni del deficit piuttosto che dalla «sostanza di quello che fanno: le pensioni, queste cose.»
Dopodiché, contraddicendosi, auspica imprecisati “aggiustamenti di bilancio” e che il governo si prenda cura del problema dell'economia, anche in vista dell'appuntamento delle prossime elezioni europee, ritenuto essenziale.
La scelta taroccata
È a questo punto, sulla scelta posta davanti all'Europa, che Bannon palesa una inaspettata e sospetta ignoranza dei fatti e della storia più recente della costruzione dell'Unione.
Non tanto per la risposta all'accusa di volere indebolire l'Europa per conto di Washington, sulla quale dissimula, quanto per la connotazione degli schieramenti posti a cospetto degli elettori europei:
«C'è il progetto franco-tedesco, gli Stati Uniti d'Europa: più integrazione, più burocrazia che detta le regole. Salvini, il leader ungherese Viktor Orbán e altri sono il contrappeso. Le Europee sono una scelta tra Stati Uniti d'Europa o un'unione di nazioni sovrane.»
Federico Fubini si guarda bene dall'approfondire l'argomento ed in quel che segue sarà chiaro il perché.
Appare impossibile che un intellettuale americano, presentato come un fine analista seppure “di parte avversa”, sia all'oscuro dei fatti:
- l'Ue detta sì le regole ma in assenza di un reale processo di unificazione politica (dopo alcuni tentativi andati miseramente falliti) e, soprattutto, in presenza di un processo inverso all'integrazione, ovvero di conclamato distacco economico tra Paesi del centro a guida teutonica e Paesi periferici per lo più mediterranei;
- la traduzione su scala continentale della globalizzazione liberista (Unione ed Eurozona) è stata realizzata nel segno della supremazia tedesca e del suo nazionalismo egemonico.
Il verme nella mela
Poiché Bannon non è uno sprovveduto, anche lui, al pari dei difensori dell'attuale Unione europea, Eurozona compresa, gioca sui due lati della contraddizione, proponendone una rappresentazione di comodo.
In primo luogo, deve rendere secondaria la questione sociale che invece è principale. Il M5S nel governo Conte non può eluderla con aggiustamenti di budget rinunciatari, come lascia intendere Bannon, pena il venir meno dell'appoggio delle classi impoverite dall'austerity europea.
In secondo luogo, per quanto Washington si professi amica dell'Europa, certamente non gradisce, al pari di Londra, un'Unione sotto egemonia tedesca. Ma Bannon non può affermarlo apertamente.4 Altrimenti dovrebbe ammettere di esprimere il punto di vista del nazionalismo statunitense (America first), il quale avversa la globalizzazione libero-scambista solo ora che non può più avvantaggiarsene, come ha fatto per decenni dopo la svolta internazionale voluta dal duo Reagan-Thatcher.
E pure il supposto antidoto, rappresentato da una Unione di stati sovrani, dovrebbe fare i conti con un nazionalismo di supremazia, il quale per forza di cose ingenera un nazionalismo di autodifesa per la riconquista della sovranità espropriata. Se scompare l'Unione non scompaiono d'acchito le contraddizioni che ne hanno generato la crisi.
A parti invertite, il dilemma proposto da Bannon s'attaglia perfettamente alla rappresentazione politica del traballante establishment continentale: anch'esso vorrebbe che fossimo posti di fronte alla scelta tra un'Europa sul modello federativo Usa, di cui non esistono i presupposti minimi, ed una unione di nazioni sovrane, assolutamente impossibile qualora tra esse continuasse ad persistere il nazionalismo egemonico, tanto più se divenisse aggressivo sul piano politico per sopperire alla perdita dei privilegi economici.
In realtà non è difficile prevedere che, come han fatto gli Stati Uniti di Trump verso il mondo, farebbe la Germania Federale verso l'Europa, nel momento in cui il suo neo-mercantilismo non potesse più godere dei vantaggi asimmetrici, surplus esportativo in testa, di cui ora indebitamente gode.
Si scoprirebbe così il verme nella mela dell'Unione (il nazionalismo teutonico), come si è scoperto quello nella mela della globalizzazione liberista (il nazionalismo yankee).
Polany moment5
Nonostante per alcuni importanti aspetti la situazione sia piuttosto diversa da quella analizzata da Karl Polany, molte sono le analogie che ci aiutano a comprendere per grandi linee l'attuale “passaggio” post-liberista.
Come acutamente scrive Sergio Cesaratto [vedi finestra “Ordoliberismo e Polany”] attraverseremmo un “momento Polany”, cioè saremmo alle prese con i contro-movimenti della società verso lo sfascio provocato da anni di laissez faire liberista.

ORDOLIBERISMO e POLANY
«Identificherei due componenti dell'ordoliberismo. La prima è di fiducia estrema nei meccanismi di mercato affermati dalla teoria neoclassica dominante. Sebbene tale fiducia non distingua gli ordoliberisti dal tradizionale pensiero liberista anglosassone, quest'ultimo è certamente più pragmatico e delega a un ipotetico “lungo periodo” certe virtù del mercato, ammettendo in pratica una gestione più keynesiana della politica economica. La seconda componente, che distingue l'ordoliberismo dalla scuola austriaca di Friedrich von Hayek e Ludwig von Mises (con la quale condivide la fede indiscussa nel laissez faire), è nell'idea che il mercato non sarebbe una creatura naturale, ma richieda per affermarsi la tutela dello Stato che se l'assume come compito primario. L'ordine economico si fa ordine costituzionale (rimando per questo al bel libro di Alessandro Somma, 2014). Come giudicare questa posizione, ovvero il mercato come istituzione imposta alla società umana, che curiosamente accomuna gli ordoliberisti a uno studioso agli antipodi come il celebre antropologo Karl Polany (1886-1964)? Quest'ultimo vedeva nell'imposizione del laissez faire sfrenato la distruzione delle relazioni comunitarie, a cui la società avrebbe reagito a sinistra (con i movimenti socialisti) oppure a destra (col nazifascismo) chiedendone la fine. Molti hanno richiamato il pensiero di Polany a proposito delle reazioni popolari di questi anni alla globalizzazione. “Polany moment” l'ho definito (…). Polany giudicherebbe dunque un errore l'idea ordoliberista di uno Stato che impone i principi del laissez faire, invece che porsi come barriera democratica allo strapotere del mercato (Storey, 2017, p.4).»
da Sergio Cesaratto,
Chi non rispetta le regole? - Italia e Germania, le doppie morali sull'euro”, Imprimatur, 2018, pagg. 70-71.

Sebbene la Germania pratichi la cosiddetta “economia sociale di mercato”6 e abbia condotto la costruzione europea secondo i precetti dell'ordoliberismo, una sorta di liberismo ordinato (Ordnung) dallo Stato, nondimeno ci ritroveremmo dinnanzi ad un “momento Polany”.
In altri termini, la fascistizzazione, pur sotto mentite spoglie, non sarebbe che uno dei possibili sbocchi allo sfascio generato dalla globalizzazione liberista, che avrebbe come unica alternativa una ripresa del binomio democrazia-socializzazione, la quale a sua volta presuppone una ripresa della sovranità nazionale.
Sovranità alternative
Su posizioni nettamente divergenti, rispetto a Steve Bannon, è il messaggio che dal Guatemala lancia Alessandro Di Battista7 del Movimento 5 Stelle, che echeggia il discorso no global di inizio millennio.

Il DiBa” mette in evidenza il problema di fondo agro-alimentare di Paesi come il Guatemala: l'accesso alla terra dei contadini indigeni; il diritto di coltivarla e di goderne i frutti economici.
In un ambito più complessivo che coinvolge anche l'Italia, sostiene:
«La battaglia del secolo sarà tra chi si vuole riprendere quote di sovranità e chi invece continua a volerle cedere a organizzazioni sovranazionali che stanno distruggendo i diritti economici e sociali della popolazioni.»
Sulla stessa lunghezza d'onda, pur collocandosi nel classico schema destra-sinistra, si è espresso Jean-Luc Mélenchon, leader di France Insoumise [vedi finestra dedicata] che alle ultime elezioni politiche ha raccolto quasi il 20% dei suffragi.
Come France Insoumise ha reagito
alla bocciatura dell'Italia
da parte della Commissione europea
«Io preferisco difendere la sovranità popolare e il governo italiano. Per la prima volta la Commissione se la prende con il budget votato dal Parlamento di uno Stato che rispetta i trattati. Si capisce che è una espropriazione della sovranità dei popoli. Possiamo condannare le scelte politiche degli italiani, ma non il diritto di decidere quello che è il bene del loro Paese.»
Jean-Luc Mélenchon, leader di France Insoumise
(da Il Fatto Quotidiano, 25 ottobre 2018)

Al contrario di una sinistra italiana tanto inconsistente nei consensi quanto sottomessa, France Insoumise ha sentito l'obbligo non di sottili distinguo, ma di assumere sulla sovranità nazionale democratica una posizione netta, indicandola come prioritaria rispetto ai contenuti stessi della manovra economica del governo italiano.
D'altro canto, se la democrazia non può esistere senza sovranità, mentre quest'ultima può affermarsi facendo a meno della democrazia, l'unica reale alternativa alla deriva preconizzata da Bannon risiede nel coniugare la ripresa di sovranità nazionale con l'affermazione del binomio democrazia+socializzazione per una effettiva cooperazione continentale ed inter-nazionale.
Note:
1 Distinguendolo dal patriottismo o nazionalismo di autodifesa, con diretto riferimento alla Resistenza italiana. Essa divenne in pieno lotta patriottica, quando fu chiaro che il fascismo, sostenitore sin dalla sua nascita del nazionalismo più aggressivo (bellico), si era reso protagonista del peggiore disastro nazionale, nonché servo dell'occupazione tedesca dell'Italia settentrionale. In sintesi: antitaliano.
2 Paolo Mastrolilli, La Stampa, 17 settembre 2018.
3 Federico Fubini intervista Steve Bannon, “L'Italia è un modello. Ma il governo ora aggiusti il bilancio”, Corriere della Sera, 22 ottobre 2018.
4 Nella citata intervista, all'accusa di Fubini di voler indebolire l'Europa, Bannon risponde: «No. L'America guarda all'Occidente giudeo-cristiano come a un blocco di nazioni indipendenti. Ma l'amicizia profonda con l'Europa è molto solida. Pochi in America capiscono la Ue. Capiscono la Germania, la Francia, l'Italia.»
5 Parafrasi del “momento Minsky” relativo ai meccanismi di collasso dei mercati finanziari, indagati dall'economista americano Hyman Philip Minsky (1919-1996).
6 Gli ordoliberisti tedeschi incollarono l'etichetta “sociale” sulla loro politica economica, il classico verme per fare abboccare all'amo tutti i benpensanti ai quali basta la parolina politicamente corretta. Sull'argomento vedi anche Luciano Barra Caracciolo, “La Costituzione nella Palude”, Imprimatur, 2015, pag. 184.
7 Alessandro Di Battista, “Guatemala, in viaggio con un guerrigliero”, Il Fatto Quotidiano, 13 ottobre 2018.

Nessun commento:

Posta un commento