giovedì 13 ottobre 2016

Referendum: i costi della politica

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Referendum: i costi della politica


Nel dibattito referendario è entrato di prepotenza il tema dei costi della politica, alla cui riduzione contribuirebbe la riforma costituzionale.
Se ci concentriamo sui risparmi e tralasciamo tutti gli altri aspetti, sicuramente di maggiore importanza, vediamo che la contesa converge sulla loro effettiva entità.
Secondo Maria Elena Boschi1, Ministro per le Riforme Costituzionali ed i Rapporti con il Parlamento, oltre alle ricadute economiche complessive derivanti dalla riforma costituzionale, calcolabili a regime in 10 miliardi annui (mirabolante!), vi sarebbero 490 milioni annui di minori costi “istituzionali”.
Poiché 320 sarebbero imputabili al superamento delle Province e 20 alla soppressione del Cnel, per Palazzo Madama la riduzione ammonterebbe a 150 milioni: 80 milioni dalle indennità parlamentari dei senatori; 70 dal funzionamento delle commissioni e dai rimborsi dovuti ai gruppi.
Di tutt'altro parere è il senatore Lucio Malan (Forza Italia) che riduce l'eventuale risparmio totale a poco più di 50 milioni (circa il 10%).
Per portare chiarezza, mi rifaccio ai calcoli del professore bocconiano Roberto Perotti, dimissionario dall'incarico, ricoperto da settembre 2014 a novembre 2015, di consigliere economico del presidente del Consiglio ed impegnato nella spending review, la revisione della spesa.
Nel suo libro “Status quo”2 è riportata una sintesi di quanto sarebbe “ottenibile”: 

Tra le voci non compare quella relativa alle Province già oggetto della legge Delrio 7 aprile 2014, perciò arbitrariamente infilata nei risparmi dovuti alla riforma sottoposta a referendum. In compenso vengono inseriti nell'elenco i risparmi regionali, in base ad una disposizione della riforma che ne abolisce i gruppi consiliari e limita i corrispettivi dei consiglieri al “tetto” percepito dai sindaci dei capoluoghi di regione (sui quali mancano dati sistematici). Raffrontati al totale governativo di 490 milioni annui, il totale di Perotti è pari a meno del 40%. Conclusione: il governo imbroglia sui conti per convincere al Sì.
Ma il fatto ancor più grave che in questi anni il governo non ha sostanzialmente messo mano ai costi della politica, mentre ha continuato a tagliare il welfare.
Prendiamo dallo stesso testo di Perotti il caso dei deputati italiani, messi a paragone con quelli britannici nel 2015. In sintesi, comprese varie voci mensili (indennità, diaria, spese forfettari, spese da documentare, contributi ai gruppi parlamentari e rimborsi elettorali) «un deputato britannico costa al contribuente 19.825 euro, uno italiano 26.823, il 35% in più. Ma si ricordi che il reddito netto che va nelle tasche del deputato è circa il triplo in Italia che in Gran Bretagna: 13.297 contro 4.613 euro.»
Inoltre la spesa di funzionamento della Camera (630 deputati) è più del doppio di quella della House of Commons (650 deputati). La tanto declamata riduzione di questa spesa, tra il 2012 ed il 2014, è stata modestissima e «per lo più dovuta ad un'unica voce: il personale dipendente.»
Illuminante è poi il paragone tra i consiglieri regionali della Lombardia ed i membri della Camera dei rappresentanti del Massachussets (Usa). Perotti conclude: «il compenso netto in Lombardia è il doppio che nello stato americano.»
A questo status quo che conserva i privilegi del personale politico, si somma la conservazione dei corrispondenti privilegi dei dirigenti dello Stato, in tutti i settori, dai ministeri al corpo diplomatico della Farnesina. Il sistematico uso dei medesimi mezzucci per aggirare limiti e codici di comportamento, magari stabiliti da loro stessi, sembra il vero marchio distintivo di questa “classe dirigente”.
Perotti lascia supporre che il governo Renzi vorrebbe ma non può, perciò un bel rafforzamento dell'esecutivo gioverebbe (e voterà Sì).
Gli è sfuggito che il rottamatore tende semplicemente a mettere “i suoi” al posto “degli altri”. D'altronde il suo libro è uscito prima che fossero noti i nuovi gratificanti compensi riservati ai “suoi”, collocati ai vertici della Rai per funzionare da megafono di regime. Pratico annuncio dell'avvenire radioso che ci riserva. Se vince.

Note

1 Question time alla Camera, 8 giugno 2016.
2 Roberto Perotti, “Status quo – Perché in Italia è difficile cambiare le cose”, Feltrinelli, 2016. Le citazioni che seguono sono tratte da questo testo.

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