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Referendum: i costi della politica
Nel
dibattito referendario è entrato di prepotenza il tema dei costi
della politica, alla cui riduzione contribuirebbe la riforma
costituzionale.
Se
ci concentriamo sui risparmi e tralasciamo tutti gli altri aspetti,
sicuramente di maggiore importanza, vediamo che la contesa
converge sulla loro effettiva entità.
Secondo
Maria Elena Boschi1,
Ministro per le Riforme Costituzionali ed i Rapporti con il
Parlamento, oltre alle ricadute economiche complessive derivanti
dalla riforma costituzionale, calcolabili a regime in 10 miliardi
annui (mirabolante!), vi sarebbero 490 milioni annui di minori costi
“istituzionali”.
Poiché
320 sarebbero imputabili al superamento delle Province e 20 alla
soppressione del Cnel, per Palazzo Madama la riduzione ammonterebbe a
150 milioni: 80 milioni dalle indennità parlamentari dei senatori;
70 dal funzionamento delle commissioni e dai rimborsi dovuti ai
gruppi.
Di
tutt'altro parere è il senatore Lucio Malan (Forza Italia) che
riduce l'eventuale risparmio totale a poco più di 50 milioni (circa
il 10%).
Per
portare chiarezza, mi rifaccio ai calcoli del professore bocconiano
Roberto Perotti, dimissionario dall'incarico, ricoperto da settembre
2014 a novembre 2015, di consigliere economico del presidente del
Consiglio ed impegnato nella spending
review, la
revisione della spesa.
Nel
suo libro “Status quo”2
è riportata una sintesi di quanto sarebbe “ottenibile”:
Tra
le voci non compare quella relativa alle Province già oggetto della
legge Delrio 7 aprile 2014, perciò arbitrariamente infilata nei
risparmi dovuti alla riforma sottoposta a referendum. In compenso
vengono inseriti nell'elenco i risparmi regionali, in base ad una
disposizione della riforma che ne abolisce i gruppi consiliari e
limita i corrispettivi dei consiglieri al “tetto” percepito dai
sindaci dei capoluoghi di regione (sui quali mancano dati
sistematici). Raffrontati al totale governativo di 490 milioni annui,
il totale di Perotti è pari a meno del 40%. Conclusione: il governo
imbroglia sui conti per convincere al Sì.
Ma
il fatto ancor più grave che in questi anni il governo non ha
sostanzialmente messo mano ai costi della politica, mentre ha
continuato a tagliare il welfare.
Prendiamo
dallo stesso testo di Perotti il caso dei deputati italiani, messi a
paragone con quelli britannici nel 2015. In sintesi, comprese varie
voci mensili (indennità, diaria, spese forfettari, spese da
documentare, contributi ai gruppi parlamentari e rimborsi elettorali)
«un deputato britannico costa al contribuente 19.825 euro, uno
italiano 26.823, il 35% in più. Ma si ricordi che il reddito netto
che va nelle tasche del deputato è circa il triplo in Italia che in
Gran Bretagna: 13.297 contro 4.613 euro.»
Inoltre
la spesa di funzionamento della Camera (630 deputati) è più del
doppio di quella della House of Commons (650 deputati). La
tanto declamata riduzione di questa spesa, tra il 2012 ed il 2014, è
stata modestissima e «per lo più dovuta ad un'unica voce: il
personale dipendente.»
Illuminante
è poi il paragone tra i consiglieri regionali della Lombardia ed i
membri della Camera dei rappresentanti del Massachussets (Usa).
Perotti conclude: «il compenso netto in Lombardia è il doppio che
nello stato americano.»
A
questo status quo che conserva i privilegi del personale
politico, si somma la conservazione dei corrispondenti privilegi dei
dirigenti dello Stato, in tutti i settori, dai ministeri al corpo
diplomatico della Farnesina. Il sistematico uso dei medesimi
mezzucci per aggirare limiti e codici di comportamento, magari
stabiliti da loro stessi, sembra il vero marchio distintivo di questa
“classe dirigente”.
Perotti
lascia supporre che il governo Renzi vorrebbe ma non può, perciò un
bel rafforzamento dell'esecutivo gioverebbe (e voterà Sì).
Gli
è sfuggito che il rottamatore tende semplicemente a mettere “i
suoi” al posto “degli altri”. D'altronde il suo libro è uscito
prima che fossero noti i nuovi gratificanti compensi riservati ai
“suoi”, collocati ai vertici della Rai per funzionare da megafono
di regime. Pratico annuncio dell'avvenire radioso che ci riserva. Se
vince.
Note
1
Question time alla Camera, 8 giugno 2016.
2
Roberto Perotti, “Status quo – Perché in Italia è difficile
cambiare le cose”, Feltrinelli, 2016. Le citazioni che seguono
sono tratte da questo testo.
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