Mesopotamica 2
Adriano Sofri e Paolo Mieli, uniti nella lotta contro i pacifisti della Perugia-Assisi, chiamano in causa pure Papa Francesco, che ha il torto di non aderire all'ennesima “giusta guerra”.
Differenze
su misura
La
guerra contro lo Stato Islamico, ora che viene condotta dai “nostri”
in appoggio alle truppe di Baghdad per liberare Mosul, riempie di
entusiasmo e carica le penne di certi commentatori come se fossero
bombardieri strategici.
Non
pari entusiasmo, anzi qualche malcelato mal di pancia, avevano
suscitato analoghe operazioni contro il Califfato da parte del regime
siriano appoggiato dall'aviazione russa.
Ma
tant'è. Neanche il tempo di avvertire dell'imminente arrivo di
“bombe amiche”1
che, dalle colonne del Corriere
della Sera
Paolo Mieli2,
in aperta polemica con i pacifisti, chiama in causa pure il Papa.
«Il
popolo cattolico, gli stessi religiosi pregano per una cosa a Roma o
ad Assisi, per un'altra a Sirte, per una terza a Mosul, per una
quarta ad Aleppo. Per mettersi la coscienza a posto, basta che tutti,
compreso il Santo Padre, facciano poi finta di non vedere la
disparità di motivazioni che inducono all'inginocchiamento (…)»
Allo
scopo il Papa dovrebbe dotarsi e dotare il suo popolo di «un'unità
di misura che consenta di esprimere giudizi coerenti in merito al
complicato conflitto.»
Un'unità
di misura che soppesi le differenze:
«Come
non vedere, poi, la differenza tra l'ignobile carneficina di Aleppo e
la (per ora) più contenuta offensiva contro Mosul? I pacifisti
potrebbero obiettare che anche ad Aleppo, nei primi giorni, la
controffensiva siriana sembrava in grado di chiudere il caso in poco
tempo. E se i jihadisti di Mosul fossero capaci di resistere casa per
casa come quelli di Aleppo, cosa dovrebbero fare i “liberatori”?
Rallentare? Lasciar perdere?»
En
passant se ne deduce, a fil di logica, che l'entità della
carneficina dipende dallo sperabile diverso comportamento militare
dei tagliagole di Abu Bakr al-Baghdadi, restando tuttavia salva, per
misteriose ragioni, la bontà intenzionale delle “nostre” bombe.
Ma
è nella parte iniziale dell'articolo che la retorica della
dura-necessità-della-guerra trova una sorprendente argomentazione.
Mieli, richiamandosi ad un
articolo di Adriano Sofri su l'Unità,
si associa alla polemica con i pacifisti della Perugia-Assisi, i
quali osano affermazioni del tipo: “Aleppo o Mosul non fa
differenza!”; “la guerra è un crimine insopportabile sempre e
comunque”; “a finire sotto le bombe è sempre la povera gente”.
Verità
tanto inoppugnabili da “costringere” il sodale Sofri a
rimproverare ai pacifisti di andare ad Assisi, standosene al sicuro,
piuttosto che rischiare la vita marciando verso Aleppo o Mosul! Una
critica solo ad un passo dall'accusa di “panciafichismo” di
triste memoria...
A
supporto della sua tesi, Sofri aveva portato il comprensibile plauso
all'offensiva anti-Califfatto di un gruppo di profughi cristiani in
attesa di rientrare nei luoghi d'origine. Essi, a differenza dei
cattolici di Assisi e Roma, si “inginocchiano” per la giusta
guerra e sanno vedere le differenze.
Come
se la storia, anche recente, delle epurazioni religiose ed etniche in
Medio Oriente si potesse politicamente restringere al sentimento di
una sola tra le comunità colpite.
Usa
e getta
Ma
chi ha scatenato la lunga sequenza di guerre in Medio Oriente,
riducendo infine la Mesopotamia all'attuale disastro di scontri tra
religioni e tribù?
Anche
se solo ci soffermassimo un attimo sulla più recente nascita ed
affermazione dell'Isis troveremmo sempre e comunque le medesime
responsabilità.
Accadde
prima con Saddam Hussein e con al-Queda: inizialmente usati e poi
oggetto di “guerre giuste”, quando pretesero di essere
ricompensati “oltremisura” per i servigi resi.
Viene
il fondato sospetto che anche Erdogan abbia temuto di venire
violentemente scaricato. È infatti piuttosto “strana” la
coincidenza tra il suo “contro-golpe” in patria, con relative
accuse agli Stati Uniti, e la decisione di dare il via alla
operazione “Scudo dell'Eufrate”. Formalmente per mostrarsi
impegnato contro il Califfato, ma in pratica rivolta contro la lotta
di liberazione dei curdi e la possibile nascita, alla sua frontiera
siriana, di un'entità statuale curda indipendente.
Di
certo la stessa scena si è ripetuta quando, staccandosi da al-Nusra
(al-Queda in Siria), al-Baghdadi, vista la malaparata della guerra
contro il regime di Damasco3,
decise di allargarsi dalla Siria ai pozzi petroliferi iracheni,
rianimando il ricatto del terrorismo internazionale.
O
si vuol sostenere che il Califfato non è stato, tramite l'Arabia
Saudita e la Turchia, “nostri” preziosi alleati nell'area,
opportunamente ispirato, foraggiato e tenuto in vita? O quei regimi
tanto democratici hanno fatto tutto a “nostra” insaputa?
Stringente
realismo
I
nostri realistici commentatori cantano una mezza messa.
Si
faccia attenzione alla dinamica dei fatti. Non volendo mettere gli
“scarponi a terra”, salvo qualche reparto speciale sotto
copertura, hanno armato truppe indigene per muovere contro l'Isis. Ma
questa ennesima operazione bellica è mossa da un'unica
preoccupazione: impedire alla concorrenza, della Russia e della
“mezzaluna sciita” a guida iraniana, di mettere in discussione il
ruolo dominante delle potenze occidentali in Medio Oriente. È
umanitarismo o cinismo?
Una
volta eliminato lo Stato Islamico, vorrebbero una pacificazione
mesopotamica
a loro misura geopolitica. Tuttavia, non sono più in grado di
ri-ordinare a piacimento il caos generato dalle loro stesse scelte
politiche.
Sicché
i commentatori di casa nostra non trovano di meglio che attaccare il
pacifismo, che pone alla radice la questione dell'uso della forza e
della guerra per regolare le relazioni internazionali.
Come
ben sanno navigati politici quali Mieli e Sofri, avendo in una
lontana gioventù frequentato i movimenti di lotta, tra la fine degli
anni sessanta e gli inizi dei settanta, il pacifismo non implica
necessariamente negare il diritto dei popoli aggrediti ed oppressi di
scegliersi quale resistenza mettere in atto. Neanche il cattolicesimo
nega che essa, alle strette, possa divenire autodifesa armata,
altrimenti non avremmo avuto cattolici nella nostra Resistenza.
Indicando
un albero per nascondere la foresta chiamano in causa pure Francesco.
Il Papa ha il torto di non essere caduto nella trappola di applaudire
una guerra per difendere la “cristianità violentata”, quando
proprio le precedenti guerre d'aggressione, i delitti più efferati e
continue intromissioni violente hanno volutamente scatenato lo
scontro tra religioni ed etnie, di cui le comunità cristiane sono
vittime. Preferirebbero che seguisse l'esempio di Wojtila, che
patrocinò le piccole patrie etnico-confessionali a disgregare nel
sangue la Jugoslavia.
Botero, Abu Ghraib |
Il
realismo stringente dei fautori della guerra è sempre quello
dell'adesso, focalizzato sul particolare per imporre la logica
generale dell'emergenza immediata, dimentico del prima (le cause) e
del poi (le conseguenze).
TINA,
There is no alternative4
Ora
ci prospettano una pacificazione mesopotamica, che Mieli
vorrebbe veicolata da un “controllo internazionale” nei territori
liberati dall'Isis. Sanno che, nel migliore dei casi, ci
consegneranno un gracile compromesso basato su momentanei equilibri
spartitori tra potenze grandi, più o meno riconosciute tali,
instabili potenze subalterne “di teatro” e substrato di locali
forze in permanente scontro identitario.
Eppure
continuano a ripeterci: “Va bene, avrete pure ragione sulle passate
guerre, ma ora che si fa di fronte alla centrale del terrorismo?”
Ci
spieghino i sostenitori della “guerra giusta”, le ragioni per le
quali i governi delle capitali occidentali non hanno nemmeno tentato
una strategia alternativa, pur praticabile e possibile.
Li
riconosciamo tutti grandi esperti nell'imporre sanzioni, embarghi e
quant'altro5,
non esitando nemmeno a privare la popolazione civile di medicine
essenziali. Quanti bambini sono morti in Iraq tra la prima guerra del
Golfo e la seconda?
Dispongono
di tecnologie planetarie le più sofisticate che usano anche per
spiarsi a vicenda.
Conoscono
perfettamente per quali canali da anni passano danaro, armi e
combattenti esteri (foreign
figthers),
i traffici di petrolio, di reperti archeologici e pure di profughi e
migranti.
Potevano
“soffocare” il Califfato colpendolo con maggiore precisione dei
loro droni.
Perché
non l'hanno fatto?
The
answer, my friend, is blowin' in the wind. The answer in blowin' in
the wind...6
2
Paolo Mieli, “Un controllo
internazionale nei territori liberati dall'Isis”, Corriere della
Sera, 24 ottobre 2016.
3
Sul punto di dare il via ai bombardamenti contro al-Assad, accusato
di uso di armi chimiche, Obama decise all'ultimo di soprassedere.
4
Non c'è alternativa, slogan reso famoso da Margaret Thatcher.
5
L'altra faccia del liberoscambismo pro
domo sua.
6
Bob Dylan, “The
Freewheelin'”, 1962, “Yes,
'n' how many times must the cannonballs fly. Before they're forever
banned? The
answer,
my
friend, is blowin' in the wind,
The answer is blowin' in the wind...”.
Traducibile in:
"Sì,
e quante volte i proiettili dovranno fischiare prima di venir
banditi per sempre? La
risposta, amico mio, soffia nel vento. La risposta soffia nel
vento...”
-->
Nessun commento:
Posta un commento