giovedì 27 ottobre 2016

Mesopotamica II

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Mesopotamica 2

Adriano Sofri e Paolo Mieli, uniti nella lotta contro i pacifisti della Perugia-Assisi, chiamano in causa pure Papa Francesco, che ha il torto di non aderire all'ennesima “giusta guerra”.


Differenze su misura
La guerra contro lo Stato Islamico, ora che viene condotta dai “nostri” in appoggio alle truppe di Baghdad per liberare Mosul, riempie di entusiasmo e carica le penne di certi commentatori come se fossero bombardieri strategici.
Non pari entusiasmo, anzi qualche malcelato mal di pancia, avevano suscitato analoghe operazioni contro il Califfato da parte del regime siriano appoggiato dall'aviazione russa.
Ma tant'è. Neanche il tempo di avvertire dell'imminente arrivo di “bombe amiche”1 che, dalle colonne del Corriere della Sera Paolo Mieli2, in aperta polemica con i pacifisti, chiama in causa pure il Papa.
«Il popolo cattolico, gli stessi religiosi pregano per una cosa a Roma o ad Assisi, per un'altra a Sirte, per una terza a Mosul, per una quarta ad Aleppo. Per mettersi la coscienza a posto, basta che tutti, compreso il Santo Padre, facciano poi finta di non vedere la disparità di motivazioni che inducono all'inginocchiamento (…)»
Allo scopo il Papa dovrebbe dotarsi e dotare il suo popolo di «un'unità di misura che consenta di esprimere giudizi coerenti in merito al complicato conflitto.»
Un'unità di misura che soppesi le differenze:
«Come non vedere, poi, la differenza tra l'ignobile carneficina di Aleppo e la (per ora) più contenuta offensiva contro Mosul? I pacifisti potrebbero obiettare che anche ad Aleppo, nei primi giorni, la controffensiva siriana sembrava in grado di chiudere il caso in poco tempo. E se i jihadisti di Mosul fossero capaci di resistere casa per casa come quelli di Aleppo, cosa dovrebbero fare i “liberatori”? Rallentare? Lasciar perdere?»
En passant se ne deduce, a fil di logica, che l'entità della carneficina dipende dallo sperabile diverso comportamento militare dei tagliagole di Abu Bakr al-Baghdadi, restando tuttavia salva, per misteriose ragioni, la bontà intenzionale delle “nostre” bombe.
Ma è nella parte iniziale dell'articolo che la retorica della dura-necessità-della-guerra trova una sorprendente argomentazione.
Mieli, richiamandosi ad un articolo di Adriano Sofri su l'Unità, si associa alla polemica con i pacifisti della Perugia-Assisi, i quali osano affermazioni del tipo: “Aleppo o Mosul non fa differenza!”; “la guerra è un crimine insopportabile sempre e comunque”; “a finire sotto le bombe è sempre la povera gente”.
Verità tanto inoppugnabili da “costringere” il sodale Sofri a rimproverare ai pacifisti di andare ad Assisi, standosene al sicuro, piuttosto che rischiare la vita marciando verso Aleppo o Mosul! Una critica solo ad un passo dall'accusa di “panciafichismo” di triste memoria...
A supporto della sua tesi, Sofri aveva portato il comprensibile plauso all'offensiva anti-Califfatto di un gruppo di profughi cristiani in attesa di rientrare nei luoghi d'origine. Essi, a differenza dei cattolici di Assisi e Roma, si “inginocchiano” per la giusta guerra e sanno vedere le differenze.
Come se la storia, anche recente, delle epurazioni religiose ed etniche in Medio Oriente si potesse politicamente restringere al sentimento di una sola tra le comunità colpite.
Usa e getta
Ma chi ha scatenato la lunga sequenza di guerre in Medio Oriente, riducendo infine la Mesopotamia all'attuale disastro di scontri tra religioni e tribù?
Anche se solo ci soffermassimo un attimo sulla più recente nascita ed affermazione dell'Isis troveremmo sempre e comunque le medesime responsabilità.
Accadde prima con Saddam Hussein e con al-Queda: inizialmente usati e poi oggetto di “guerre giuste”, quando pretesero di essere ricompensati “oltremisura” per i servigi resi.
Viene il fondato sospetto che anche Erdogan abbia temuto di venire violentemente scaricato. È infatti piuttosto “strana” la coincidenza tra il suo “contro-golpe” in patria, con relative accuse agli Stati Uniti, e la decisione di dare il via alla operazione “Scudo dell'Eufrate”. Formalmente per mostrarsi impegnato contro il Califfato, ma in pratica rivolta contro la lotta di liberazione dei curdi e la possibile nascita, alla sua frontiera siriana, di un'entità statuale curda indipendente.
Di certo la stessa scena si è ripetuta quando, staccandosi da al-Nusra (al-Queda in Siria), al-Baghdadi, vista la malaparata della guerra contro il regime di Damasco3, decise di allargarsi dalla Siria ai pozzi petroliferi iracheni, rianimando il ricatto del terrorismo internazionale.
O si vuol sostenere che il Califfato non è stato, tramite l'Arabia Saudita e la Turchia, “nostri” preziosi alleati nell'area, opportunamente ispirato, foraggiato e tenuto in vita? O quei regimi tanto democratici hanno fatto tutto a “nostra” insaputa?
Stringente realismo
I nostri realistici commentatori cantano una mezza messa.
Si faccia attenzione alla dinamica dei fatti. Non volendo mettere gli “scarponi a terra”, salvo qualche reparto speciale sotto copertura, hanno armato truppe indigene per muovere contro l'Isis. Ma questa ennesima operazione bellica è mossa da un'unica preoccupazione: impedire alla concorrenza, della Russia e della “mezzaluna sciita” a guida iraniana, di mettere in discussione il ruolo dominante delle potenze occidentali in Medio Oriente. È umanitarismo o cinismo?
Una volta eliminato lo Stato Islamico, vorrebbero una pacificazione mesopotamica a loro misura geopolitica. Tuttavia, non sono più in grado di ri-ordinare a piacimento il caos generato dalle loro stesse scelte politiche.
Sicché i commentatori di casa nostra non trovano di meglio che attaccare il pacifismo, che pone alla radice la questione dell'uso della forza e della guerra per regolare le relazioni internazionali.
Come ben sanno navigati politici quali Mieli e Sofri, avendo in una lontana gioventù frequentato i movimenti di lotta, tra la fine degli anni sessanta e gli inizi dei settanta, il pacifismo non implica necessariamente negare il diritto dei popoli aggrediti ed oppressi di scegliersi quale resistenza mettere in atto. Neanche il cattolicesimo nega che essa, alle strette, possa divenire autodifesa armata, altrimenti non avremmo avuto cattolici nella nostra Resistenza.
Indicando un albero per nascondere la foresta chiamano in causa pure Francesco. Il Papa ha il torto di non essere caduto nella trappola di applaudire una guerra per difendere la “cristianità violentata”, quando proprio le precedenti guerre d'aggressione, i delitti più efferati e continue intromissioni violente hanno volutamente scatenato lo scontro tra religioni ed etnie, di cui le comunità cristiane sono vittime. Preferirebbero che seguisse l'esempio di Wojtila, che patrocinò le piccole patrie etnico-confessionali a disgregare nel sangue la Jugoslavia.
Botero, Abu Ghraib
Il realismo stringente dei fautori della guerra è sempre quello dell'adesso, focalizzato sul particolare per imporre la logica generale dell'emergenza immediata, dimentico del prima (le cause) e del poi (le conseguenze).
TINA, There is no alternative4
Ora ci prospettano una pacificazione mesopotamica, che Mieli vorrebbe veicolata da un “controllo internazionale” nei territori liberati dall'Isis. Sanno che, nel migliore dei casi, ci consegneranno un gracile compromesso basato su momentanei equilibri spartitori tra potenze grandi, più o meno riconosciute tali, instabili potenze subalterne “di teatro” e substrato di locali forze in permanente scontro identitario.
Eppure continuano a ripeterci: “Va bene, avrete pure ragione sulle passate guerre, ma ora che si fa di fronte alla centrale del terrorismo?”
Ci spieghino i sostenitori della “guerra giusta”, le ragioni per le quali i governi delle capitali occidentali non hanno nemmeno tentato una strategia alternativa, pur praticabile e possibile.
Li riconosciamo tutti grandi esperti nell'imporre sanzioni, embarghi e quant'altro5, non esitando nemmeno a privare la popolazione civile di medicine essenziali. Quanti bambini sono morti in Iraq tra la prima guerra del Golfo e la seconda?
Dispongono di tecnologie planetarie le più sofisticate che usano anche per spiarsi a vicenda.
Conoscono perfettamente per quali canali da anni passano danaro, armi e combattenti esteri (foreign figthers), i traffici di petrolio, di reperti archeologici e pure di profughi e migranti.
Potevano “soffocare” il Califfato colpendolo con maggiore precisione dei loro droni.
Perché non l'hanno fatto?
The answer, my friend, is blowin' in the wind. The answer in blowin' in the wind...6

Note
1 Riquadro inerito nel precedente Post “Mesopotamica”, ottobre 2016.
2 Paolo Mieli, “Un controllo internazionale nei territori liberati dall'Isis”, Corriere della Sera, 24 ottobre 2016.
3 Sul punto di dare il via ai bombardamenti contro al-Assad, accusato di uso di armi chimiche, Obama decise all'ultimo di soprassedere.
4 Non c'è alternativa, slogan reso famoso da Margaret Thatcher.
5 L'altra faccia del liberoscambismo pro domo sua.
6 Bob Dylan, “The Freewheelin'”, 1962, Yes, 'n' how many times must the cannonballs fly. Before they're forever banned? The answer, my friend, is blowin' in the wind, The answer is blowin' in the wind...”. Traducibile in: "Sì, e quante volte i proiettili dovranno fischiare prima di venir banditi per sempre? La risposta, amico mio, soffia nel vento. La risposta soffia nel vento...

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