venerdì 29 gennaio 2016

Regole di casa nostra

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Regole di casa nostra


Breve riflessione su una frase ricorrente che esplicita ciò che bocche più esperte sottendono. Principi costituzionali e nascondimenti funzionali.


 La frase a fianco si può sentire sul tram, in un bar, in un talk-show televisivo. Riflette un punto di vista e va presa sul serio.

Siamo bianchi
Appare scontato: in maggioranza gli italiani lo sono, ma non tutti. Dipende da cosa s'intende per “noi italiani”.
Dal momento che negli ultimi decenni è cresciuto il numero degli abitanti della penisola con la pelle di un altro colore, con caratteri somatici tempo fa localizzati in altre aree del pianeta, si presentano situazioni agli antipodi. Essi possono avere la cittadinanza ed essere nati qui, sentirsi a casa propria, padroneggiare la nostra lingua e parlare con l'accento della regione in cui vivono. O, invece, privi di cittadinanza e persino del permesso di soggiorno, avere difficoltà di lingua ed “integrazione”.

Comunque, “italiano” non coincide con “bianco” e nemmeno con “cristiano”. Banalmente, sia perché un bianco può essere musulmano o buddista o di altra fede, sia, viceversa, perché un cristiano può essere di pelle nera o variamente pigmentata.
Che il problema stia nella pelle? Il ricorso all'identità della pelle cela un non detto: ai caratteri somatici corrisponderebbe anche una diversità di “razza” o, in automatico, una diversa appartenenza culturale.
Razze umane
Sull'esistenza o meno delle “razze umane” non viene mai fatta sufficiente chiarezza.
«Le razze umane non esistono.
L’esistenza delle razze umane è un’astrazione derivante da una cattiva interpretazione di piccole differenze fisiche fra persone, percepite dai nostri sensi, erroneamente associate a differenze “psicologiche” e interpretate sulla base di pregiudizi secolari. Queste astratte suddivisioni, basate sull’idea che gli umani formino gruppi biologicamente ed ereditariamente ben distinti, sono pure invenzioni (…).»1
Anche la nostra Costituzione concorre alla scarsa chiarezza ed alimenta l”equivoco”.
Nell'articolo 3 [Testo nel riquadro]
l'opposizione alla discriminazione di razza viene associata a quella di sesso, lingua, religione, di opinioni politiche e condizioni personali e sociali. Tutte diversità esistenti e reali, ad eccezione della “razza”. Essa è una mera invenzione ideologica2, da molto tempo in campo e ancora molto viva. Ma come tale va considerata. La qual cosa implica non solo e tanto un riferimento alla “comprovata verità scientifica”, quanto e soprattutto il riconoscimento dell'origine storica del razzismo nell'idea di razza.
Nella storia i movimenti politici impegnati nella lotta al razzismo, infatti, non hanno avuto bisogno delle prove scientifiche di comparazione del DNA3 per condurre le loro lotte, avendone svelato il carattere ideologico, funzionale a giustificare, sulla base della presupposta inferiorità delle razze non-bianche, la riduzione in schiavitù e lo sfruttamento del corpo schiavo. Nel lavoro soprattutto.
Infatti, non a caso, la finalità anti-discriminatoria dell'Articolo 3 si esplicita nell'impegno repubblicano a rimuovere gli “ostacoli di ordine economico e sociale” derivanti dalla distinzione di razza, con chiaro riguardo al lavoro e, quindi, nell'affermazione della pari dignità politica fra tutti i lavoratori (oltreché fra tutti i cittadini).
Pur qui rinunciando all'approfondimento critico dell'ideologia del razzismo, della sua storia e genesi, non possiamo prescindere dal suo lascito all'interno della cosiddetta “Civiltà occidentale”. Perché se, per un verso, il razzismo viene solennemente ripudiato, dall'altro, continua ad alimentare il pensiero e le menti, talvolta al di là delle intenzioni.
Ciò avviene quando il pregiudizio si sposta dall'ambito delle sembianze somatiche a quello delle “diversità psicologiche e culturali”, delle quali una “razza”, in quanto tale, sarebbe comunque portatrice, per inesplorate ragioni ereditarie e indipendentemente dall'ambiente culturale in cui una persona (un gruppo) è nata e vissuta. E qui arriviamo alla seconda identità “nostra”: quella cristiana.
Noi cristiani
Benché condizionati dal millenario predominio della cultura cattolica, una specifica variante di quella cristiana europea per alcuni aspetti divergente, molti italiani “bianchi”, al pari degli italiani “non-bianchi” non si sentono né cattolici, né cristiani, né di altra religione. Una parte di loro può nutrire una fede senza chiesa o non nutrirla affatto.
Per appartenere al popolo italiano, d'altronde, non è richiesta l'adesione ad alcuna confessione e nemmeno sarebbe auspicabile che ciascun cittadino, religioso e non, dovesse, per essere tale, dichiarare la propria fedeltà allo Stato laico.4
Allo Stato spetta l'esercizio in esclusiva della forza per affermare il rispetto delle sue leggi, benché, in misura della pratica democratica, sia consentito dissentirne e muoversi sul piano organizzativo e politico per mutarle. A tale proposito, nelle parole conclusive, l'Articolo 3 ci soccorre chiaramente.
Pertanto, di quali regole si parla quando si dice che esse devono essere rispettate dal “musulmano” che viene “a casa nostra”?

Leggi
È evidente che non di un semplice musulmano si tratta, ma di un immigrato musulmano e più precisamente di un immigrato musulmano arabo o, per richiamarci allo spunto iniziale, magari non-bianco.
A questo immigrato viene chiesto il rispetto delle regole di casa nostra. Quando queste regole sono scritte nelle leggi, basta invocarne l'applicazione, se disattesa.
È quanto succede allorché alcune forze politiche predicano una speciale “tolleranza zero” verso le illegalità degli immigrati, a cominciare dal reato di clandestinità.
Non sapendo, poi, come imporla coattivamente.
Allo scopo, lo Stato dovrebbe catturare tutti i “clandestini”, rinchiuderli in appositi centri (come in parte avviene) e sobbarcarsi il costo di rimpatri di massa nei Paesi d'origine, qualora fossero noti e “raggiungibili”5. Essendo l'impresa pressoché impossibile, non rimane allora che cingere il territorio nazionale di barriere di filo spinato, al più riservando l'accoglienza ai soli profughi dalle sole guerre “riconosciute dalla comunità internazionale”. Proprio quanto va accadendo nei Paesi continentali. Ma una penisola, con migliaia di chilometri di coste esposte all'approdo, non può farlo, quand'anche rinunciasse al dovuto soccorso umanitario. Da ciò la divergenza tra Paesi “cristiani” sull'applicazione degli accordi di Schengen...
Regole
In mancanza di volontà e capacità politica di risolvere i problemi, rimuovendone le cause alla radice, si ricorre alle regole morali, comportamentali, in uso prevalente tra la “comunità ospitante”, a cui i nuovi arrivati dovrebbero uniformarsi, nel processo di “integrazione”. E qui il ventaglio si fa molto ampio.
Si va dal modo di vestirsi, se con o senza velo, alla convivenza condominiale, dal diritto alla casa al rispetto delle tradizioni nelle ricorrenze religiose (presepi inclusi), ai rapporti di lavoro e tra i sessi. Per alcuni versi si tratta di contrasti derivanti da diverse abitudini, tipici dell'immigrazione e già sperimentate quando i “terroni” dovettero raggiungere il Nord.
Per altri può essere un problema di convivenza tra usanze “etniche”, risolvibili abbandonando opposti integralismi (anche laici).
Per altri ancora, sottendono conflitti economici, religiosi e di genere, che investono la nostra società alle fondamenta e ben oltre l'eventuale coinvolgimento di immigrati non-bianchi e musulmani. Un esempio per tutti: la violenza contro le donne in Europa, nonostante la rilevanza data ai recenti fatti in Germania, è praticato soprattutto dai maschi autoctoni.
D'altro canto, il fenomeno del terrorismo jihadista collegato alle guerre mediorientali e quello, di più ampia portata, dei grandi flussi migratori ci interrogano su noi stessi e generano paure di cambiamenti a cui possiamo sentirci impreparati.
Bersagli
Insistendo su leggi, regole e difese sicuritarie ed identitarie, nessuno dei nodi essenziali viene in teoria e in pratica seriamente affrontato, spostando ed occultando il bersaglio.
È spostato quando si vuole trasformare ogni contrasto, anche il più banale litigio condominiale, in scontro aperto antagonista tra “etnie”, “culture”, “Civiltà”.
È occultato quando si indica l'albero per nascondere la foresta. A cominciare dalle cause reali dei grandi flussi migratori e dalle guerre spacciate per “locali”, da cui deriva il terrorismo internazionale jihadista. Non si trae bilancio alcuno del fallimento dei declamati processi d'integrazione (vedi Francia). Del procurato disastro delle aree agricole in larga parte del mondo, originato dall'imposizione di modelli economici e sociali subalterni ai Paesi ricchi, generatore dei grandi flussi migratori, non si discute.
Quasi si potesse ripetere, su scala mondiale, quanto fu fatto con il decollo industriale del secondo dopoguerra, su scala nazionale, in Paesi come l'Italia.
Per non parlare della scelta, corrispondente allo spopolamento planetario delle campagne, di allargare l'esercito di riserva, di mano d'opera anche qualificata, in funzione del ricatto occupazionale e salariale.
A casa nostra, appunto.

1 Manifesto degli scienziati antirazzisti, 10/07/2008. Vedi nel Blog Scheda “Manifesti a confronto” con il Manifesto degli scienziati fascisti in difesa della razza, del 14/07/1938.
2 Vedi anche Guido Barbujani, L'invenzione delle razze, Bompiani, 2006.
3 Grazie alle quali le infinitesimali differenze tra “bianchi”, che vivono nello stesso condominio, possono essere talvolta superiori a quelle esistenti tra “neri” e “bianchi” viventi in continenti diversi.
4 A tale proposito vedi in questo Blog “Aut Aut dell'ipocrisia” e la polemica innescata dalle affermazioni di Massimo Gramellini.
5 Anche nel rispetto degli accordi bilaterali sottoscritti dell'Italia con molti Paesi.

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