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2016
Poiché
ogni giorno ci viene ripetuto che stiamo uscendo dalla grande
recessione e pure in Italia siamo in ripresa, la strana sopravvivenza
dell'egemonia culturale del liberismo, clamorosamente sconfessato
dalla crisi innescata dal crack finanziario del 2007-2008, è
questione passata nel dimenticatoio.
Intanto,
come se nulla fosse, gli esperti economici di fondazioni, università
ed istituti liberisti (i think
tanks,
serbatoi del pensiero) continuano a pontificare nelle trasmissioni
televisive e sui giornali. Magari per sostenere, con qualche giro di
parole in più, che le “riforme di struttura” furono
somministrate in dosi non bastevoli. Di conseguenza, sia necessario
perseverare nel taglio della spesa statale (spending
review)
e nelle privatizzazioni del patrimonio pubblico, ma con una novità
tutta legata alla crisi del sistema finanziario, ragione per cui
assistiamo
ad un singolare fenomeno: il liberismo italico s'è fatto
nazionalista. Il governo italiano ha scoperto1
che le regole europee attuali non permettono più (al contrario di
quanto avvenne per la Germania) di sversare i crediti deteriorati, da
cui sono oberate le “nostre” banche”2,
in una pattumiera o bad
bank,
servendosi del danaro pubblico.
Quando
l'Unione mette a rischio “certi” interessi, e non solo lavoro e
pensioni, diventa matrigna?
D'altro
canto i volonterosi ottimismi sull'andamento dell'economia sono
subissati dal resoconto di continue nuove insorgenze: il terrorismo,
le ondate di profughi e migranti, la guerra in Siria-Iraq e in
Ucraina, il crollo delle borse cinesi, i diesel truccati, i ribassi
del prezzo del barile e quant'altro.
Insomma,
nell'opinione pubblica potrebbe insinuarsi la pericolosa idea della
crisi politica generale di un mondo che, dopo la caduta del Muro, si
supponeva fosse mono-polare (dell'Occidente ricco e vittorioso) e
invece mostra di non volere né potere essere tale. Crisi solo acuita
dal crack finanziario e relativa ad insostenibili assetti
internazionali, perciò in preda a conflitti commerciali, monetari e
finanziari, sempre più frequentemente accompagnati dal ricorso alla
guerra.
Ecco
allora comparire sugli schermi un'ulteriore genia di esperti, quella
degli studi internazionali e della resuscitata geo-politica. Sicché,
messo in secondo piano il mantra liberista, sale alla ribalta il
tentativo di imporci un'altra egemonia culturale: un sano bagno di
realismo dopo le devastanti “utopie” della globalizzazione
liberale?
Per
spiegare l'attuale guerra in Siria-Iraq ed il dilagare del
terrorismo, questi esperti sostengono la tesi che Arabia Saudita,
Emirati e Turchia abbiano foraggiato e protetto l'Isis e lo jihadismo
in base a calcoli e vocazioni geo-politiche locali, approfittando del
loro strategico ruolo di alleati dei governi occidentali e
coinvolgendoli loro malgrado. Pertanto, la lunga sanguinosa sequenza
degli interventi militari degli Stati Uniti e degli amici d'Occidente
viene rubricata nella categoria degli ”errori”, come se le
“vecchie potenze” dominanti non mirassero in modo sistematico
alle risorse naturali mediorientali ed africane, in reciproca
rivalità e concorrenza. Come se per i disastri umanitari, provocati
da bellicosi ed incontrollabili agenti locali, fosse chiamata a
soccorso la pacificante provvidenza della “comunità
internazionale”.
Secondo
i subentranti think tanks, la storia, invece di finire,
vivrebbe ora una perenne ripetizione di vecchie tensioni, determinate
a monte da cause geografiche ed ambientali e, a valle, da atavici
scontri tra Etnie, Religioni e Civiltà: unità “essenziali”, al
loro interno non contraddittorie, rispetto alle quali le contese
egemoniche ed imperialiste degli Stati, gli interessi delle
multinazionali e delle oligarchie finanziarizzate, assai meno
conterebbero...
Per
fortuna, soprattuto nella Rete, continuano a circolare idee
contro-corrente.
Suo
tramite si diffonde la rivolta degli espropriati da una completa e
non manipolata informazione, nonché la voglia di riappropriarsi del
dibattito pubblico e di strumenti di analisi adeguati alla formazione
del giudizio politico. Così sono alimentate le pratiche di nuovi
movimenti, come nel caso della grande manifestazione di Berlino
contro il TTIP3,
ed il risorgere di un pensiero alternativo.
In
questo movimento di riappropriazione-ricostruzione delle idee-forza,
in opposizione alle ideologie dominanti, trova senso l'impegno per
questo Blog.
Non di
battute ed estemporanei cinguettii abbiamo bisogno, tantomeno di
saccenti lezioni e sbrigativi giudizi. Al contrario, allo scopo
servono studio, confronto e modestia.
Non
mancano luoghi della Rete a cui collegarsi, né testi, studi ed
articoli giornalistici, da me ripetutamente richiamati nei pezzi sin
qui pubblicati.
Il
percorso è avviato.
Ciascuno partecipi come crede, può e vuole.
P.S.
Il
Blog cambia nome e diventa “CRISIeGUERRA”.
1
In occasione del fallimento delle 4 Banche: Etruria, Marche, Chieti
e Ferrara.
2
Pari al 16% dei loro attivi.
3
Partenariato
transatlantico per il commercio e gli investimenti (Transatlantic
Trade and Investment Partnership = TTIP), vedi nel Blog l'articolo:
“Il TTIP sorge ad Oriente”.
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