martedì 19 gennaio 2016

2016

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2016


Poiché ogni giorno ci viene ripetuto che stiamo uscendo dalla grande recessione e pure in Italia siamo in ripresa, la strana sopravvivenza dell'egemonia culturale del liberismo, clamorosamente sconfessato dalla crisi innescata dal crack finanziario del 2007-2008, è questione passata nel dimenticatoio.
Intanto, come se nulla fosse, gli esperti economici di fondazioni, università ed istituti liberisti (i think tanks, serbatoi del pensiero) continuano a pontificare nelle trasmissioni televisive e sui giornali. Magari per sostenere, con qualche giro di parole in più, che le “riforme di struttura” furono somministrate in dosi non bastevoli. Di conseguenza, sia necessario perseverare nel taglio della spesa statale (spending review) e nelle privatizzazioni del patrimonio pubblico, ma con una novità tutta legata alla crisi del sistema finanziario, ragione per cui assistiamo ad un singolare fenomeno: il liberismo italico s'è fatto nazionalista. Il governo italiano ha scoperto1 che le regole europee attuali non permettono più (al contrario di quanto avvenne per la Germania) di sversare i crediti deteriorati, da cui sono oberate le “nostre” banche”2, in una pattumiera o bad bank, servendosi del danaro pubblico.
Quando l'Unione mette a rischio “certi” interessi, e non solo lavoro e pensioni, diventa matrigna?
D'altro canto i volonterosi ottimismi sull'andamento dell'economia sono subissati dal resoconto di continue nuove insorgenze: il terrorismo, le ondate di profughi e migranti, la guerra in Siria-Iraq e in Ucraina, il crollo delle borse cinesi, i diesel truccati, i ribassi del prezzo del barile e quant'altro.
Insomma, nell'opinione pubblica potrebbe insinuarsi la pericolosa idea della crisi politica generale di un mondo che, dopo la caduta del Muro, si supponeva fosse mono-polare (dell'Occidente ricco e vittorioso) e invece mostra di non volere né potere essere tale. Crisi solo acuita dal crack finanziario e relativa ad insostenibili assetti internazionali, perciò in preda a conflitti commerciali, monetari e finanziari, sempre più frequentemente accompagnati dal ricorso alla guerra.
Ecco allora comparire sugli schermi un'ulteriore genia di esperti, quella degli studi internazionali e della resuscitata geo-politica. Sicché, messo in secondo piano il mantra liberista, sale alla ribalta il tentativo di imporci un'altra egemonia culturale: un sano bagno di realismo dopo le devastanti “utopie” della globalizzazione liberale?
Per spiegare l'attuale guerra in Siria-Iraq ed il dilagare del terrorismo, questi esperti sostengono la tesi che Arabia Saudita, Emirati e Turchia abbiano foraggiato e protetto l'Isis e lo jihadismo in base a calcoli e vocazioni geo-politiche locali, approfittando del loro strategico ruolo di alleati dei governi occidentali e coinvolgendoli loro malgrado. Pertanto, la lunga sanguinosa sequenza degli interventi militari degli Stati Uniti e degli amici d'Occidente viene rubricata nella categoria degli ”errori”, come se le “vecchie potenze” dominanti non mirassero in modo sistematico alle risorse naturali mediorientali ed africane, in reciproca rivalità e concorrenza. Come se per i disastri umanitari, provocati da bellicosi ed incontrollabili agenti locali, fosse chiamata a soccorso la pacificante provvidenza della “comunità internazionale”.
Secondo i subentranti think tanks, la storia, invece di finire, vivrebbe ora una perenne ripetizione di vecchie tensioni, determinate a monte da cause geografiche ed ambientali e, a valle, da atavici scontri tra Etnie, Religioni e Civiltà: unità “essenziali”, al loro interno non contraddittorie, rispetto alle quali le contese egemoniche ed imperialiste degli Stati, gli interessi delle multinazionali e delle oligarchie finanziarizzate, assai meno conterebbero...
Per fortuna, soprattuto nella Rete, continuano a circolare idee contro-corrente.
Suo tramite si diffonde la rivolta degli espropriati da una completa e non manipolata informazione, nonché la voglia di riappropriarsi del dibattito pubblico e di strumenti di analisi adeguati alla formazione del giudizio politico. Così sono alimentate le pratiche di nuovi movimenti, come nel caso della grande manifestazione di Berlino contro il TTIP3, ed il risorgere di un pensiero alternativo.
In questo movimento di riappropriazione-ricostruzione delle idee-forza, in opposizione alle ideologie dominanti, trova senso l'impegno per questo Blog.
Non di battute ed estemporanei cinguettii abbiamo bisogno, tantomeno di saccenti lezioni e sbrigativi giudizi. Al contrario, allo scopo servono studio, confronto e modestia.
Non mancano luoghi della Rete a cui collegarsi, né testi, studi ed articoli giornalistici, da me ripetutamente richiamati nei pezzi sin qui pubblicati.
Il percorso è avviato. Ciascuno partecipi come crede, può e vuole.

P.S. Il Blog cambia nome e diventa “CRISIeGUERRA”.
Per chi voglia scrivermi il recapito è: berniniric@gmail.com

1 In occasione del fallimento delle 4 Banche: Etruria, Marche, Chieti e Ferrara.
2 Pari al 16% dei loro attivi.
3 Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (Transatlantic Trade and Investment Partnership = TTIP), vedi nel Blog l'articolo: “Il TTIP sorge ad Oriente”.

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