giovedì 25 febbraio 2016

Si fa presto a dire bail-in

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Si fa presto a dire bail-in

Crediti deteriorati e crisi bancarie, ma niente bad bank. Vigilanze inerti. Piccoli risparmiatori truffati. Regole europee sul bail-in, ma rischi nazionali. Spolpamenti.
  • Sia il caso delle 4 banche regionali “sanate” per decreto, sia il fallito tentativo di dare vita ad una “bad bank di sistema” hanno evidenziato problemi strutturali tra Italia ed Europa.
  • Le regole dell'Ue impediscono soccorsi di Stato alle banche nazionali in difficoltà, benché non esista nell'eurozona alcun “schema” comune di assicurazione dei depositi.
  • Il significato politico della mozione approvata dal Parlamento europeo a Strasburgo sul valore di Bot e Btp nei bilanci delle banche.
  • Risparmi garantiti sotto i 100mila euro?
[Per i termini inglesi usati in questo articolo, vedi riquadro dedicato.]
Bad bank bocciata
Il sistema bancario nazionale, non solo a causa della recessione, risulta oberato da una montagna di non performing loans pari al 17,1 % del Pil, contro una media europea del 5,6%.1 Sull'ammontare complessivo di di 360 miliardi di crediti deteriorati, 201 sono in stato di più grave sofferenza.
Al nobile scopo di rimettere le banche nelle condizioni di erogare credito alla “economia reale”, il Governo doveva intervenire. Per quasi un anno ha cercato, dall'Unione europea, il nulla osta per scaricare questi crediti deteriorati in una bad bank. Una sorta di grande pattumiera del “tal quale” privato, con retro-garanzia di Stato (bail-out) e, proprio per questo, bocciato dalla Commissione.
Essa, di contro, ha imposto il rispetto del bail-in, una modalità di gestione dei salvataggi volta a:
  • garantire la parità di condizioni nel mercato concorrenziale;
  • escludere l'impiego di risorse esterne alle imprese coinvolte, senza aver prima dato fondo a quelle interne;
  • escludere, di conseguenza e in questo caso, il ricorso a garanzie pubbliche per coprire fallimenti privati.
Il bail-in è stato sottoscritto anche dall'Italia che ne ha condiviso i tempi di entrata in vigore, sin quando non ha impattato sulle sue banche. Per scongiurarlo, a nulla è valso il richiamo ai “precedenti casi” in cui la Germania ed altri Paesi avevano usato la fiscalità generale per soccorrere, a suon di miliardi, le proprie banche dissestate all'indomani del crack finanziario del 2007-2008 [vedi grafico].
Fondi pubblici dei Paesi europei a favore delle banche
Marco Cobianchi,
http://www.panorama.it/economia/numeri-blog/banche-aiuti-di-stato-salvataggi/
Comunque, al grande pubblico il significato delle nuove regole europee è stato reso chiaro dalle conseguenze del decreto governativo per il risanamento di 4 banche locali dissestate.2
Nel mezzo di rimpalli di responsabilità tra enti tenuti alla vigilanza (Bankitalia e Consob), esercitata nell'occasione in modo assai “opaco”, ben 2,6 miliardi euro sono stati accollati a circa 130mila famiglie, tra cui molte di assai piccoli risparmiatori.
Senonché la loro vibrata protesta ha allarmato la finanza ed il governo, soprattutto per il possibile “effetto domino” derivante dal dilagare della sfiducia. Da qui le rassicurazioni sulla “solidità del nostro sistema bancario”, ripetute con un'insistenza inversamente proporzionale alla loro credibilità.
In conclusione il ministro Padoan ha dovuto contrattare con Margrethe Vertager, la commissaria dell'Unione europea alla Concorrenza, un piano alternativo, di smaltimento “della differenziata” stoccata in “ecoballe”.3
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Parole inglesi
Non performing loans
Si tratta di crediti (loans) per i quali la riscossione appare incerta alla loro scadenza e nel loro ammontare, perciò non performanti (non performing).
Bad bank
Quando una banca è in crisi, perché detiene troppi crediti deteriorati, si sdoppia e crea una “cattiva banca” (bad bank) su cui scaricarli.
Bail-out
Se la garanzia su tale operazione relativa a banche private è data dallo Stato si parla di bail (cauzione) out (esterna).
Bail-in
Se le risorse per coprire il buco provengono dall'interno della banca o dal sistema bancario, si parla di bail-in. È quanto impongono le regole europee, oggi in vigore, alle banche italiane privatizzate dagli anni novanta. In pratica, come nel caso delle 4 banche regionali (Etruria, Marche, Ferrara e Chieti) oggetto del decreto governativo del 22 novembre 2015, vengono azzerati nell'ordine prioritario: le azioni; le obbligazioni subordinate; le obbligazioni normali.
Eventualmente si ricorre al prelievo forzoso sui conti correnti superiori alla “soglia protetta” di 100mila euro.
What if
La proposta di prodotti finanziari (p.e.: le obbligazioni subordinate) dovrebbe dai venditori essere esposta ai risparmiatori, prospettando loro i diversi “scenari di rischio” in relazione ai rendimenti. Ossia: cosa succede nel caso in cui … (what if...).
Non sembra proprio che le 4 succitate abbiano ai loro clienti chiarito what if..., in buona sostanza truffandoli.
SPV: Special Purpose Vehicle
Società veicolo, costituita appositamente per operazioni di cartolarizzazione (securitisation). Dalla banca riceve i prestiti in sofferenza e, a sua volta, emette obbligazioni chiamate ABS (Asset-backed security) garantite da quei prestiti.
EDIS: European Deposit Insurance Scheme
Schema di assicurazione europea dei depositi bancari, al quale si oppongono i governi dei Paesi centrali.
Spread
In italiano “differenziale”, con questo termine viene ormai comunemente indicata la forbice di differenza tra il rendimento offerto dal Btp a 10 anni e dal suo omologo tedesco, il Bund.
Quantitative easing (Qe)
Alleggerimento quantitativo”. Si tratta di immissione di grandi liquidità di danaro da parte di una Banca Centrale, coperte dall'acquisto di Titoli di Stato ed altri titoli.
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Vecchie conoscenze
I crediti deteriorati verrebbero suddivisi in fasce, secondo il loro grado di solvibilità, impacchettati separatamente con il marchio della banca di provenienza e ceduti a “società veicolo”. Queste a loro volta emetterebbero obbligazioni da proporre al mercato, con redimenti commisurati al rischio. Il ricavato dalle “società veicolo” ritornerebbe alle banche di provenienza. Basterà a riempire i loro buchi?
Restano anche da chiarire i gradi di garanzia offerti dallo Stato e l'effettivo rischio di denaro pubblico.
Per inciso, va ricordato che le “società veicolo” sono i tristemente noti SPV (Special Purpose Vehicles), vecchie conoscenze della finanza negli anni dell'euforia. Strumenti rivelatisi propagatori più che limitatori (di messa in sicurezza) dei rischi d'insolvenza. Come nel caso dei mutui sub-prime negli Usa, impacchettati e veicolati in SPV.
Tuttavia, non è in questione solo l'affidabilità per l'ambiente economico di queste modalità di smaltimento in “ecoballe”, o, tramontati i tempi dell'euforia finanziaria, la loro reale capacità di raccogliere risparmio dal mercato e dei connessi rischi per le casse statali. In questione è il significato politico generale della soluzione imposta all'Italia e quanto ne consegue.
Apparente paradosso
Un aspetto in apparenza paradossale non è sfuggito al Prof. Bagnai4, il quale ha notato che se l'azionista è pubblico, le sue banche possono essere salvate con denaro pubblico. Si tratterebbe non già di bail-out ma di bail-in, in quanto le risorse di garanzia verrebbero reperite “all'interno” dall'azionista stesso (in questo caso lo Stato). Pertanto, ci converrebbe nazionalizzare il credito come in Germania, al 45% in mano a Landesbanken (banche regionali) e Sparkassen (casse di risparmio), perciò fuori dai radar europei.
Un breve flash-back ci può aiutare a meglio comprendere. Le banche italiane furono privatizzate nei primi anni novanta. Governo e Parlamento diedero il via libera, ma chi decise come, quando e a vantaggio di chi l'operazione dovesse attuarsi fu l'allora direttore generale del Tesoro, Mario Draghi5, poi divenuto capo della Banca d'ItaliaBanca (2005) e della Banca Centrale Europea (2011), dopo un breve e significativo passaggio in Goldman Sachs (2002) in posizione di vicepresidente e managing director.
Al crack del 2007-2008 non seguirono né un bilancio sul binomio privatizzazioni-liberalizzazioni, mai sottoposto al controllo di risultato, né misure di adeguato riordino della finanza, come accadde dopo il crollo di Wall Street del '29.
Salvo poche correzioni, il sistema internazionale è rimasto intatto. La risposta al crack è stata imperniata tutta o quasi sull'emissione, da parte delle Banche centrali, di grandi quantità di danaro (Quantitative easing) con effetti, al momento, apprezzabili solo per gli Stati Uniti, la Fed ed il dollaro nord-americano.
Inoltre, a dispetto dei fatti, l'Eurozona persevera cinicamente, applicando fino alle estreme conseguenze il liberismo teutonico (ordo-liberismo). Ne deriva, da un lato, l'applicazione del bail-in a sistemi bancari nazionali in difficoltà, privatizzati quasi6 per intero come l'italiano, dall'altro, il persistente rifiuto di dare vita ad uno «schema europeo di assicurazione dei depositi (Edis, European Deposit Insurance Scheme), offrendoci, in alternativa, il ricorso alla Troika.»7
Report Balz
A rafforzare l'indirizzo politico ordo-liberista dell'Unione è sopraggiunto il Report Balz. Si tratta di un documento, non di una norma, per la quale occorrerà attendere qualche anno. È stato licenziato il 19 gennaio dal Parlamento europeo riunito a Strasburgo, con il consenso bipartisan del Partito Popolare Europeo (Ppe) e del Partito Socialista Europeo (Pse) e la sola opposizione, per l'Italia, di M5S, Lega Nord e Lista Tsipras. Il report riguarda anch'esso le banche, ma parte dal valore dei titoli di debito pubblico iscritti nei loro bilanci.
Ad occuparsene anche Libero.
«(...) l'idea di fondo è rivedere, rendendoli più stringenti, alcuni parametri dei bilanci delle banche; verrebbe richiesta una garanzia più alta sull'ammontare di Bot e btp comprati dagli istituti di credito, addirittura al 70 per cento del valore nominale.»8
Giacché le banche italiane detengono oggi circa 400 miliardi di titoli pubblici, l'inserimento di questi ultimi tra i titoli “a rischio”, secondo valutazioni di mercato, imporrebbe loro ulteriori accantonamenti per oltre 15 miliardi di euro.
È inutile qui dilungarsi sui possibili effetti: di attesa negativa dei mercati finanziari che accentuano lo spread e la differenza di rendimento tra Buoni tedeschi e Buoni italiani, aumentando l'esborso di interessi da parte del Tesoro; di corsa a disfarsene degli istituti di credito; di difficoltà create al Quantitative easing della Bce, basato sull'acquisto di titoli di Stato al loro valore nominale.
Interessa piuttosto rimarcare il fatto che la mozione incorpora appieno quanto deciso dal Consiglio degli esperti economici di Berlino [vedi riquadro] e dal ministro Wolfgang Schäuble: l'estensione del bail-in dalle banche agli Stati.
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Saggi questi tedeschi

Rapporto del Consiglio degli esperti economici.
«Si legge nel rapporto dei saggi: “È necessaria un’applicazione coerente delle regole di insolvenza per gli Stati, in modo da ridurre i livelli di debito e rendere credibile la clausola che esclude i salvataggi” (inclusa nel trattato di Maastricht, ndr). È il corrispettivo per gli Stati delle norme già in vigore per le banche: sospensione del versamento di interessi e del rimborso dei titoli se un Paese chiede un salvataggio europeo. Ne consegue la richiesta tedesca sugli istituti di credito: “Va posta fine al privilegio concesso ai titoli pubblici nella regolazione bancaria”, si legge nel rapporto.
(…) Per le banche italiane, e il finanziamento del debito pubblico di Roma, l’impatto sarebbe profondo. Sul tavolo c’è l’ipotesi che gli investimenti fatti in titoli di Stato inizino a erodere il capitale delle banche non appena la loro esposizione in debito pubblico del loro Paese supera il 25% del patrimonio. In sostanza, visti gli oltre 400 miliardi di titoli del Tesoro di Roma detenuti, le banche italiane dovrebbero accantonare denaro contro eventuali perdite per circa il 70% del loro portafoglio di titoli di Stato. In alternativa, dovrebbero vendere buoni italiani e magari comprarne di più solidi, per esempio i tedeschi. La svolta sarebbe graduale, ma il mercato non può che anticiparne gli effetti con una stretta al credito.
Per l’economista Peter Bofinger, tutto questo significa sottrarre alle banche dell’Europa del Sud il pilastro sul quale si fonda qualunque istituto al mondo: dei titoli sicuri in bilancio, che non possono fallire. “Può essere dinamite per l’area euro”, dice Bofinger. Ma l’unico esponente degli esperti tedeschi a votare contro il piano è stato proprio lui.»
Estratti da:
"E Schäuble raddoppia la posta. Ora la stretta sui titoli di Stato” http://www.corriere.it/economia/16_febbraio_05/





Wolfgang Schäuble
Dopo le elezioni federali del 2009 è stato nominato Ministro delle finanze nel secondo governo Merkel.
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Pertanto, questi ultimi, non disponendo di moneta propria e della conseguente autonomia di movimento del Tesoro, si troverebbero nella condizione obbligata di applicare le ricette tedesche fino ad accettare la supervisione della Troika.
Schäuble non ha mai fatto mistero delle sue intenzioni di fondo: arrivare ad un'area euro limitata ai Paesi centrali, declassando i Paesi periferici ad un euro subordinato, in un'Europa a differenziate “velocità”. Il che, data la crisi degli accordi di Schengen, calzerebbe alla perfezione con un nuovo regime differenziato delle frontiere.
Se, nel frattempo, i “pigri e sfaccendati” popoli mediterranei accettano, tramite i loro governi e rappresentanti politici graziosamente consenzienti, di venire spolpati, è affar loro.
Come nel caso dell'introduzione dell'euro, la Germania subirebbe “suo malgrado”, ma ne approfitta al presente e si mette al sicuro per il futuro, evitando di condividere rischi in ambito comunitario.9
La battaglia degli “zero virgola”
Con regole comuni e conseguenze a carico di ciascuno, il più forte si rafforza e il più debole si indebolisce. Nel divenire politico ciò significa rendere ancora più profonde le dicotomie strutturali tra Paesi centrali e periferici.
Intanto, non passa giorno senza che le cronache mass-mediali ci informino sulle baruffe tra Renzi e Juncker o tra governo ed “eurocrati” di Bruxelles. La traballante scelta politica di sposare questa Europa condanna ad un'impotenza che induce a pericolosi nervosismi nazionalistici e al cimento in mille litigi e sui “dettagli”, sugli “zero virgola”.
“Zero virgola”, che il Governo Renzi, quando verrebbero a testimoniare la svolta italiana sulla via della ripresa, considera assai “significativi” (per esempio: i dati sul Pil e sull'occupazione). Viceversa, polemizza con Bruxelles quando lesina margini di flessibilità, nell'ordine appunto di “zero virgola”, di sforamento del deficit di bilancio precedentemente promesso.
Non deve sfuggire il nocciolo della contesa.
Ad essa ci riconduce Il Sole-24 ore, che invita il Governo a farsene ragione [vedi riquadro].
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Farsene ragione

«È sacrosanta infatti la disciplina Ue sugli aiuti di Stato come la severità nella tutela della concorrenza nel mercato unico. Ma è almeno altrettanto sacrosanta la stabilità finanziaria della terza economia dell’euro: un suo crack travolgerebbe inevitabilmente quella dell’eurozona. In ogni caso i due piani non possono entrare in rotta di collisione. Tanto più quando sullo sfondo c’è un’unione bancaria europea alle prime armi e nata zoppa, senza il terzo pilastro, la garanzia comune sui depositi al di sotto dei 100mila euro, indispensabile per controllare il panico in coincidenza con l’entrata in vigore delle nuove regole di bail-in. Ma se oggi manca il paracadute psicologico e fisico, è per il ben noto rifiuto dei Paesi del Nord, Germania in testa, a mutualizzare qualsiasi tipo di rischio in Europa.
(…) ogni falla aperta nel sistema italiano è un pericolo per tutto il sistema europeo.
Se l’interdipendenza finanziaria in questo caso può darci una mano, quella stessa interdipendenza ci impone però precisi oneri, in primis massima responsabilità sul fronte debito: questione strutturale e non largamente ciclica come i cattivi crediti. Oggi i tassi bassi di interesse combinati con il generoso quantitative easing della Bce ne facilitano la gestione ma non la riduzione, dal 133% al 60%, come da fiscal compact. E domani?
Per tagliarlo di 20 punti, bisognerebbe mantenere al 2,5% del Pil l’avanzo primario per i prossimi 10 anni. Per toccare il traguardo si dovrebbe salire al 4% annuo, dicono i calcoli di Bruxelles, che ritiene però irrealistica la seconda ipotesi. Ma avverte: “Una contrazione dello 0,5% della crescita nominale e un aumento dei tassi del’1% si tradurrebbero in un incremento di 7 punti del debito italiano”.
Sono questi i numeri della debolezza dell’Italia, gli stessi che spiegano le riluttanze europee a concederle piena flessibilità di bilancio, se non sotto stretta sorveglianza. (...)
Non è facile farsene una ragione. Ma sarebbe suicida pretendere di ribaltare da soli una realtà europea che, per prestare orecchio alle nostre istanze, prima pretende di convivere con un’Italia con carte e cifre in piena regola. Dopodomani il vertice Renzi-Merkel a Berlino, c’è da giurarci, non farà che confermarlo.»
Estratti da:
Adriana Cerretelli,”Le ragioni dell’Italia e quelle dell’Europa”, il Sole-24 ore, 27 gennaio 2016.
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In sintesi, Adriana Cerretelli premette:
  • i due piani, della disciplina Ue sul bail-in e della stabilità finanziaria dell'Italia, non possono entrare in collisione;
  • l'interdipendenza finanziaria se da un lato ci dà una mano, dall'altra ci impone precisi oneri sul fronte del debito pubblico che, a differenza dei cattivi crediti, ha carattere strutturale;
  • la riduzione del debito dal 133% al 60% in 10 anni è impresa temeraria;10
  • sarebbe suicida pretendere di fare da soli.
Le premesse conducono ad una sola conclusione: ragione e forza sono dalla parte di Bruxelles.
Eppure, al di là degli appelli su ciò che dovrebbe essere, i succitati due piani sono in contraddizione.
Inoltre, sono proprio i vincoli europei a conferire al debito pubblico (affatto il nostro problema principale) un carattere strutturale, sottoponendoci ad una sua gestione confacente agli interessi dei “Paesi del Nord”. Sono questi vincoli ad entrare in contraddizione con la necessità nazionale di disporre di una nostra autonoma politica economica e monetaria per uscire dalla crisi.
Infine: suicida per chi? Cosa comporta darsi questa ragione, non tanto per Renzi quanto per coloro che non appartengono alle oligarchie? Di accettare salassi di tipo greco, buoni per rendere esangue il malato?
1, 100, 100mila
Torniamo ai depositi in conto corrente.
Al di sopra dei 100mila, oramai è chiaro, i depositi non sono al sicuro. Al di sotto di tale importo essi sono senz'altro garantiti. Per ora. In Italia esiste, a loro protezione, il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD), nato su base volontaria nel 1987 e reso obbligatorio dal 2011.
Senza allarmismi, si faccia comunque attenzione alla solidità della banca in cui si tengono anche le più piccole somme. Quando essa dovesse venire sottoposta a procedura di salvataggio, tutti i depositi, in attesa di sblocchi selettivi, potrebbero restare congelati per mesi, con grave danno per chi ne ha bisogno per il proprio quotidiano.
Nessuno può augurarsi che l'accesso ai conti correnti venga inibito o limitato. Sono rimaste a tutti impresse le immagini dalla Grecia delle file davanti ai bancomat durante le fasi più acute della crisi del 2015. Stante il dissesto generale del sistema bancario ellenico, la Bce centellinò la liquidità monetaria, generando il realistico sospetto di un ricatto sulle imminenti decisioni del governo Tsipras.
Sarebbe bene, come consigliò Paolo Savona11, disporre di un piano B sulla moneta, per non dover sottostare ad analoghi ricatti degli “amici europei”.
Ma quale affidamento possiamo fare sulle attuali élites dirigenti italiane che, tanto tempestive e “rigorose” quando si tratti di colpevolizzare lavoratori e pensionati, lo siano altrettanto nel proteggere i loro depositi bancari?

1 Dati Eba al 30 giugno 2015.
2 Etruria, Marche, CariFerrara e CariChieti.
3 Fabio Scacciavillani, “Sofferenze, l'incognita prezzo delle ecoballe creditizie”, Il Fatto Economico, 03/02/2016. Nell'articolo sono elencati gli otto passaggi chiave dello smaltimento.
4 Alberto Bagnai, “Banche, nel panico pure le élite. E Berlino ci consiglia la Troika”, il Fatto Economico, 24 dicembre 2015.
6 Fa eccezione, per esempio, BancoPosta.
7 Alberto Bagnai, ibidem.
8 Francesco de Dominics, “Mozione capestro su Bot e Btp – Attacco tedesco alle banche”, Libero,6 febbraio 2016.
9 In modo sistematico: la moneta unica, che produce disoccupazione nei Paesi più deboli, è senza sussidi comuni; il fiscal compact (patto di bilancio) è senza eurobond (titoli pubblici europei); l'unione bancaria è senza garanzia comune sui depositi.
10 Al rispetto del patto di bilancio Schäuble non crede, altrimenti non punterebbe ad estendere il bail-in agli Stati.
11 P. Savona,”La Germania è il vero Paese inaffidabile”, Vita, 13/07/20015. Intervista di Lorenzo Maria Alvaro.  

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