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Si fa presto a dire bail-in
Crediti
deteriorati e crisi bancarie, ma niente bad bank. Vigilanze
inerti. Piccoli risparmiatori truffati. Regole europee sul bail-in,
ma rischi nazionali. Spolpamenti.
- Sia il caso delle 4 banche regionali “sanate” per decreto, sia il fallito tentativo di dare vita ad una “bad bank di sistema” hanno evidenziato problemi strutturali tra Italia ed Europa.
- Le regole dell'Ue impediscono soccorsi di Stato alle banche nazionali in difficoltà, benché non esista nell'eurozona alcun “schema” comune di assicurazione dei depositi.
- Il significato politico della mozione approvata dal Parlamento europeo a Strasburgo sul valore di Bot e Btp nei bilanci delle banche.
- Risparmi garantiti sotto i 100mila euro?
[Per
i termini inglesi usati in questo articolo, vedi riquadro dedicato.]
Bad
bank bocciata
Il
sistema bancario nazionale, non solo a causa della recessione,
risulta oberato da una montagna di non
performing loans pari
al 17,1 % del Pil, contro una media
europea
del 5,6%.1
Sull'ammontare complessivo di di 360 miliardi di crediti deteriorati,
201 sono in stato di più grave sofferenza.
Al
nobile scopo di rimettere le banche nelle condizioni di erogare
credito alla “economia reale”, il Governo doveva intervenire. Per
quasi un anno ha cercato, dall'Unione europea, il nulla osta per
scaricare questi crediti deteriorati in una bad bank. Una
sorta di grande pattumiera del “tal quale” privato, con
retro-garanzia di Stato (bail-out) e, proprio per questo,
bocciato dalla Commissione.
Essa,
di contro, ha imposto il rispetto del bail-in, una modalità
di gestione dei salvataggi volta a:
- garantire la parità di condizioni nel mercato concorrenziale;
- escludere l'impiego di risorse esterne alle imprese coinvolte, senza aver prima dato fondo a quelle interne;
- escludere, di conseguenza e in questo caso, il ricorso a garanzie pubbliche per coprire fallimenti privati.
Il
bail-in è stato sottoscritto anche dall'Italia che ne ha
condiviso i tempi di entrata in vigore, sin quando non ha impattato
sulle sue banche. Per scongiurarlo, a nulla è valso il richiamo ai
“precedenti casi” in cui la Germania ed altri Paesi avevano usato
la fiscalità generale per soccorrere, a suon di miliardi, le proprie
banche dissestate all'indomani del crack finanziario del 2007-2008
[vedi grafico].
Fondi pubblici dei Paesi europei a favore delle banche
Marco Cobianchi,
http://www.panorama.it/economia/numeri-blog/banche-aiuti-di-stato-salvataggi/
|
Comunque,
al grande pubblico il significato delle nuove regole europee è stato
reso chiaro dalle conseguenze del decreto governativo per il
risanamento di 4 banche locali dissestate.2
Nel
mezzo di rimpalli di responsabilità tra enti tenuti alla vigilanza
(Bankitalia e Consob), esercitata nell'occasione in modo assai
“opaco”, ben 2,6 miliardi euro sono stati accollati a circa
130mila famiglie, tra cui molte di assai piccoli risparmiatori.
Senonché
la loro vibrata protesta ha allarmato la finanza ed il governo,
soprattutto per il possibile “effetto domino” derivante dal
dilagare della sfiducia. Da qui le rassicurazioni sulla “solidità
del nostro sistema bancario”, ripetute con un'insistenza
inversamente proporzionale alla loro credibilità.
In
conclusione il ministro Padoan ha dovuto contrattare con Margrethe
Vertager, la commissaria dell'Unione europea alla Concorrenza, un
piano alternativo, di smaltimento “della differenziata” stoccata
in “ecoballe”.3
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Parole
inglesi
Non
performing loans
Si
tratta di crediti
(loans)
per
i quali la riscossione appare incerta alla loro scadenza e nel loro
ammontare, perciò non performanti (non
performing).
Bad
bank
Quando
una banca è in crisi, perché detiene troppi crediti deteriorati, si
sdoppia e crea una “cattiva banca” (bad
bank) su
cui scaricarli.
Bail-out
Se
la garanzia su tale operazione relativa a banche private è data
dallo Stato si parla di bail
(cauzione)
out (esterna).
Bail-in
Se
le risorse per coprire il buco provengono dall'interno della banca o
dal sistema bancario, si parla di bail-in.
È quanto impongono le regole europee, oggi in vigore, alle banche
italiane privatizzate dagli anni novanta. In
pratica, come nel caso delle 4
banche regionali
(Etruria, Marche, Ferrara e Chieti) oggetto del decreto governativo
del 22 novembre 2015, vengono azzerati nell'ordine prioritario: le
azioni; le obbligazioni subordinate; le obbligazioni normali.
Eventualmente
si ricorre al prelievo forzoso sui conti correnti superiori alla
“soglia protetta” di 100mila euro.
What
if
La
proposta di prodotti finanziari (p.e.: le obbligazioni subordinate)
dovrebbe dai venditori essere esposta ai risparmiatori, prospettando
loro i diversi “scenari di rischio” in relazione ai rendimenti.
Ossia: cosa succede nel caso in cui … (what
if...).
Non
sembra proprio che le 4 succitate abbiano ai loro clienti chiarito
what if..., in buona sostanza truffandoli.
SPV:
Special Purpose Vehicle
Società
veicolo, costituita appositamente per operazioni di cartolarizzazione
(securitisation).
Dalla banca riceve i prestiti in sofferenza e, a sua volta, emette
obbligazioni chiamate ABS
(Asset-backed
security)
garantite
da quei prestiti.
EDIS:
European Deposit Insurance Scheme
Schema
di assicurazione europea dei depositi bancari, al quale si oppongono
i governi dei Paesi centrali.
Spread
In
italiano “differenziale”, con questo
termine viene
ormai comunemente indicata la forbice di differenza tra il rendimento
offerto dal Btp a 10 anni e dal suo omologo tedesco, il Bund.
Quantitative
easing (Qe)
“Alleggerimento
quantitativo”. Si tratta di immissione di grandi liquidità di
danaro da parte di una Banca Centrale, coperte dall'acquisto di
Titoli di Stato ed altri titoli.
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Vecchie
conoscenze
I
crediti deteriorati verrebbero suddivisi in fasce, secondo il loro
grado di solvibilità, impacchettati separatamente con il marchio
della banca di provenienza e ceduti a “società veicolo”. Queste
a loro volta emetterebbero obbligazioni da proporre al mercato, con
redimenti commisurati al rischio. Il ricavato dalle “società
veicolo” ritornerebbe alle banche di provenienza. Basterà a
riempire i loro buchi?
Restano
anche da chiarire i gradi di garanzia offerti dallo Stato e
l'effettivo rischio di denaro pubblico.
Per
inciso, va ricordato che le “società veicolo” sono i tristemente
noti SPV (Special
Purpose Vehicles), vecchie conoscenze della finanza
negli anni dell'euforia. Strumenti rivelatisi propagatori più che
limitatori (di messa in sicurezza) dei rischi d'insolvenza. Come nel
caso dei mutui sub-prime negli Usa, impacchettati e veicolati
in SPV.
Tuttavia,
non è in questione solo l'affidabilità per l'ambiente economico di
queste modalità di smaltimento in “ecoballe”, o, tramontati i
tempi dell'euforia finanziaria, la loro reale capacità di
raccogliere risparmio dal mercato e dei connessi rischi per le casse
statali. In questione è il significato politico generale della
soluzione imposta all'Italia e quanto ne consegue.
Apparente
paradosso
Un
aspetto in apparenza paradossale non è sfuggito al Prof. Bagnai4,
il quale ha notato che se l'azionista è pubblico, le sue banche
possono essere salvate con denaro pubblico. Si tratterebbe non già
di bail-out ma di bail-in, in quanto le risorse di
garanzia verrebbero reperite “all'interno” dall'azionista stesso
(in questo caso lo Stato). Pertanto, ci converrebbe nazionalizzare il
credito come in Germania, al 45% in mano a Landesbanken (banche
regionali) e Sparkassen (casse di risparmio), perciò fuori
dai radar europei.
Un
breve flash-back
ci può aiutare a meglio comprendere. Le banche italiane furono
privatizzate nei primi anni novanta. Governo e Parlamento diedero il
via libera, ma chi decise come, quando e a vantaggio di chi
l'operazione dovesse attuarsi fu l'allora direttore generale del
Tesoro, Mario Draghi5,
poi divenuto capo della Banca d'ItaliaBanca (2005) e della Banca
Centrale Europea (2011), dopo un breve e significativo passaggio in
Goldman Sachs (2002) in posizione di vicepresidente e managing
director.
Al
crack del 2007-2008 non seguirono né un bilancio sul binomio
privatizzazioni-liberalizzazioni, mai sottoposto al controllo di
risultato, né misure di adeguato riordino della finanza, come
accadde dopo il crollo di Wall Street del '29.
Salvo
poche correzioni, il sistema internazionale è rimasto intatto. La
risposta al crack è stata imperniata tutta o quasi sull'emissione,
da parte delle Banche centrali, di grandi quantità di danaro
(Quantitative easing) con effetti, al momento, apprezzabili
solo per gli Stati Uniti, la Fed ed il dollaro nord-americano.
Inoltre, a dispetto dei
fatti, l'Eurozona persevera cinicamente, applicando fino alle estreme
conseguenze il liberismo teutonico (ordo-liberismo). Ne deriva, da un
lato, l'applicazione del bail-in
a sistemi bancari nazionali in difficoltà, privatizzati quasi6
per intero come l'italiano, dall'altro, il persistente rifiuto di
dare vita ad uno «schema
europeo di assicurazione dei depositi (Edis,
European Deposit Insurance Scheme),
offrendoci, in alternativa, il ricorso alla Troika.»7
Report
Balz
A
rafforzare l'indirizzo politico ordo-liberista dell'Unione è
sopraggiunto il Report Balz. Si tratta di un documento, non di
una norma, per la quale occorrerà attendere qualche anno. È stato
licenziato il 19 gennaio dal Parlamento europeo riunito a Strasburgo,
con il consenso bipartisan del Partito Popolare Europeo (Ppe) e del
Partito Socialista Europeo (Pse) e la sola opposizione, per l'Italia,
di M5S, Lega Nord e Lista Tsipras. Il report riguarda
anch'esso le banche, ma parte dal valore dei titoli di debito
pubblico iscritti nei loro bilanci.
Ad
occuparsene anche Libero.
«(...)
l'idea di fondo è rivedere, rendendoli più stringenti, alcuni
parametri dei bilanci delle banche; verrebbe richiesta una garanzia
più alta sull'ammontare di Bot e btp comprati dagli istituti di
credito, addirittura al 70 per cento del valore nominale.»8
Giacché
le banche italiane detengono oggi circa 400 miliardi di titoli
pubblici, l'inserimento di questi ultimi tra i titoli “a rischio”,
secondo valutazioni di mercato, imporrebbe loro ulteriori
accantonamenti per oltre 15 miliardi di euro.
È
inutile qui dilungarsi sui possibili effetti: di attesa negativa dei
mercati finanziari che accentuano lo spread
e la differenza di rendimento tra Buoni tedeschi e Buoni italiani,
aumentando l'esborso di interessi da parte del Tesoro; di corsa a
disfarsene degli istituti di credito; di difficoltà create al
Quantitative
easing
della Bce, basato sull'acquisto di titoli di Stato al loro valore
nominale.
Interessa
piuttosto rimarcare il fatto che la mozione incorpora appieno quanto
deciso dal Consiglio degli esperti economici di Berlino [vedi
riquadro]
e dal ministro Wolfgang Schäuble: l'estensione
del bail-in
dalle banche agli Stati.
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Saggi
questi tedeschi
Rapporto
del Consiglio degli esperti economici.
«Si
legge
nel rapporto dei saggi: “È necessaria un’applicazione coerente
delle regole di insolvenza per gli Stati, in modo da ridurre i
livelli di debito e rendere credibile la clausola che esclude i
salvataggi” (inclusa nel trattato di Maastricht, ndr). È
il corrispettivo per gli Stati delle norme già in vigore per le
banche:
sospensione del versamento di interessi e del rimborso dei titoli se
un Paese chiede un salvataggio europeo. Ne consegue la richiesta
tedesca sugli istituti di credito: “Va posta fine al privilegio
concesso ai titoli pubblici nella regolazione bancaria”, si legge
nel rapporto.
(…)
Per le banche italiane, e il finanziamento del debito pubblico di
Roma, l’impatto sarebbe profondo. Sul tavolo c’è l’ipotesi che
gli investimenti fatti in titoli di Stato inizino a erodere il
capitale delle banche non appena la loro esposizione in debito
pubblico del loro Paese supera il 25% del patrimonio. In sostanza,
visti gli oltre 400 miliardi di titoli del Tesoro di Roma detenuti,
le banche italiane dovrebbero
accantonare denaro contro eventuali perdite per circa il 70%
del loro portafoglio di titoli di Stato. In alternativa, dovrebbero
vendere buoni italiani e magari comprarne di più solidi, per esempio
i tedeschi. La svolta sarebbe graduale, ma il mercato non può che
anticiparne gli effetti con una stretta al credito.
Per
l’economista Peter Bofinger, tutto questo significa sottrarre alle
banche dell’Europa del Sud
il pilastro sul quale si fonda qualunque istituto al mondo: dei
titoli sicuri in bilancio, che non possono fallire. “Può
essere dinamite per l’area euro”, dice Bofinger. Ma
l’unico esponente degli esperti tedeschi a votare contro il piano è
stato proprio lui.»
Estratti
da:
"E Schäuble raddoppia la posta. Ora la stretta sui titoli di Stato” http://www.corriere.it/economia/16_febbraio_05/
Wolfgang
Schäuble
Dopo
le elezioni federali del 2009 è stato nominato Ministro delle
finanze nel secondo governo Merkel.
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Pertanto,
questi ultimi, non disponendo di moneta propria e della conseguente
autonomia di movimento del Tesoro, si troverebbero nella condizione
obbligata di applicare le ricette tedesche fino ad accettare la
supervisione della Troika.
Schäuble
non ha mai fatto mistero delle sue intenzioni di fondo: arrivare ad
un'area euro limitata ai Paesi centrali, declassando i Paesi
periferici ad un euro subordinato, in un'Europa a differenziate
“velocità”. Il che, data la crisi degli accordi di Schengen,
calzerebbe alla perfezione con un nuovo regime differenziato delle
frontiere.
Se,
nel frattempo, i “pigri e sfaccendati” popoli mediterranei
accettano, tramite i loro governi e rappresentanti politici
graziosamente consenzienti, di venire spolpati, è affar loro.
Come
nel caso dell'introduzione dell'euro, la Germania subirebbe “suo
malgrado”, ma ne approfitta al presente e si mette al sicuro per il
futuro, evitando di condividere rischi in ambito comunitario.9
La
battaglia degli “zero virgola”
Con
regole comuni e conseguenze a carico di ciascuno, il più forte si
rafforza e il più debole si indebolisce. Nel divenire politico ciò
significa rendere ancora più profonde le dicotomie strutturali tra
Paesi centrali e periferici.
Intanto,
non passa giorno senza che le cronache mass-mediali ci informino
sulle baruffe tra Renzi e Juncker o tra governo ed “eurocrati” di
Bruxelles. La traballante scelta politica di sposare questa Europa
condanna ad un'impotenza che induce a pericolosi nervosismi
nazionalistici e al cimento in mille litigi e sui “dettagli”,
sugli “zero virgola”.
“Zero
virgola”, che il Governo Renzi, quando verrebbero a testimoniare la
svolta italiana sulla via della ripresa, considera assai
“significativi” (per esempio: i dati sul Pil e sull'occupazione).
Viceversa, polemizza con Bruxelles quando lesina margini di
flessibilità, nell'ordine appunto di “zero virgola”, di
sforamento del deficit di bilancio precedentemente promesso.
Non
deve sfuggire il nocciolo della contesa.
Ad
essa ci riconduce Il
Sole-24 ore,
che invita il Governo a farsene ragione [vedi
riquadro].
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Farsene
ragione
«È
sacrosanta infatti la disciplina Ue sugli aiuti di Stato come la
severità nella tutela della concorrenza nel mercato unico. Ma è
almeno altrettanto sacrosanta la stabilità finanziaria della terza
economia dell’euro: un suo crack travolgerebbe inevitabilmente
quella dell’eurozona. In ogni caso i due piani non possono entrare
in rotta di collisione. Tanto più quando sullo sfondo c’è
un’unione bancaria europea alle prime armi e nata zoppa, senza
il terzo pilastro,
la garanzia comune sui depositi al di sotto dei 100mila euro,
indispensabile per controllare il panico in coincidenza con l’entrata
in vigore delle nuove regole di bail-in. Ma se oggi manca il
paracadute psicologico e fisico, è per il ben noto rifiuto dei
Paesi del Nord, Germania in testa, a mutualizzare qualsiasi tipo di
rischio in Europa.
(…)
ogni falla aperta nel sistema italiano è un pericolo per tutto il
sistema europeo.
Se
l’interdipendenza finanziaria in questo caso può darci una mano,
quella stessa interdipendenza ci impone però precisi
oneri, in primis massima responsabilità sul fronte debito:
questione strutturale e non largamente ciclica come i cattivi
crediti. Oggi i tassi bassi di interesse combinati con il generoso
quantitative easing della Bce ne facilitano la gestione ma non la
riduzione, dal 133% al 60%, come da
fiscal compact. E domani?
Per
tagliarlo di 20 punti, bisognerebbe mantenere al 2,5% del Pil
l’avanzo primario per i prossimi 10 anni. Per toccare il traguardo
si dovrebbe salire al 4% annuo, dicono i calcoli
di
Bruxelles, che ritiene però irrealistica la seconda ipotesi. Ma
avverte: “Una contrazione dello 0,5% della crescita nominale e un
aumento dei tassi del’1% si tradurrebbero in un incremento di 7
punti del debito italiano”.
Sono
questi i numeri della debolezza
dell’Italia, gli stessi che spiegano le riluttanze europee a
concederle piena flessibilità di bilancio, se non sotto stretta
sorveglianza. (...)
Non
è facile farsene una ragione. Ma sarebbe suicida pretendere di
ribaltare da soli una realtà europea che, per prestare orecchio
alle nostre istanze, prima pretende di convivere con un’Italia con
carte e cifre in piena regola. Dopodomani il vertice Renzi-Merkel a
Berlino, c’è da giurarci, non farà che confermarlo.»
Estratti
da:
Adriana
Cerretelli,”Le ragioni dell’Italia e quelle dell’Europa”, il
Sole-24 ore, 27 gennaio 2016.
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In
sintesi, Adriana Cerretelli premette:
- i due piani, della disciplina Ue sul bail-in e della stabilità finanziaria dell'Italia, non possono entrare in collisione;
- l'interdipendenza finanziaria se da un lato ci dà una mano, dall'altra ci impone precisi oneri sul fronte del debito pubblico che, a differenza dei cattivi crediti, ha carattere strutturale;
- la riduzione del debito dal 133% al 60% in 10 anni è impresa temeraria;10
- sarebbe suicida pretendere di fare da soli.
Le
premesse conducono ad una sola conclusione: ragione e forza sono
dalla parte di Bruxelles.
Eppure,
al di là degli appelli su ciò che dovrebbe essere, i succitati due
piani sono in contraddizione.
Inoltre,
sono proprio i vincoli europei a conferire al debito pubblico
(affatto il nostro problema principale) un carattere strutturale,
sottoponendoci ad una sua gestione confacente agli interessi dei
“Paesi del Nord”. Sono questi vincoli ad entrare in
contraddizione con la necessità nazionale di disporre di una
nostra autonoma politica economica e monetaria per uscire dalla
crisi.
Infine:
suicida per chi? Cosa comporta darsi questa ragione, non tanto per
Renzi quanto per coloro che non appartengono alle oligarchie? Di
accettare salassi di tipo greco, buoni per rendere esangue il malato?
1,
100, 100mila
Torniamo
ai depositi in conto corrente.
Al
di sopra dei 100mila, oramai è chiaro, i depositi non sono al
sicuro. Al di sotto di tale importo essi sono senz'altro garantiti.
Per ora. In Italia esiste, a loro protezione, il Fondo Interbancario
di Tutela dei Depositi (FITD), nato su base volontaria nel 1987 e
reso obbligatorio dal 2011.
Senza
allarmismi, si faccia comunque attenzione alla solidità della banca
in cui si tengono anche le più piccole somme. Quando essa dovesse
venire sottoposta a procedura di salvataggio, tutti i depositi, in
attesa di sblocchi selettivi, potrebbero restare congelati per mesi,
con grave danno per chi ne ha bisogno per il proprio quotidiano.
Nessuno
può augurarsi che l'accesso ai conti correnti venga inibito o
limitato. Sono rimaste a tutti impresse le immagini dalla Grecia
delle file davanti ai bancomat durante le fasi più acute della crisi
del 2015. Stante il dissesto generale del sistema bancario ellenico,
la Bce centellinò la liquidità monetaria, generando il realistico
sospetto di un ricatto sulle imminenti decisioni del governo Tsipras.
Sarebbe
bene, come consigliò Paolo Savona11,
disporre di un piano B sulla moneta, per non dover sottostare ad
analoghi ricatti degli “amici europei”.
Ma
quale affidamento possiamo fare sulle attuali élites
dirigenti italiane che, tanto tempestive e “rigorose” quando si
tratti di colpevolizzare lavoratori e pensionati, lo siano
altrettanto nel proteggere i loro depositi bancari?
1
Dati Eba al 30 giugno 2015.
2
Etruria,
Marche, CariFerrara e CariChieti.
3
Fabio Scacciavillani, “Sofferenze, l'incognita prezzo delle
ecoballe creditizie”, Il Fatto Economico, 03/02/2016.
Nell'articolo sono elencati gli otto passaggi chiave dello
smaltimento.
4
Alberto Bagnai, “Banche, nel panico pure le élite. E Berlino ci
consiglia la Troika”, il Fatto Economico, 24
dicembre 2015.
5
Leonardo
Valle, http://www.proteo.rdbcub.it/article.php3?id_article=176
6
Fa eccezione, per esempio, BancoPosta.
7
Alberto Bagnai, ibidem.
8
Francesco de Dominics, “Mozione capestro su Bot e Btp – Attacco
tedesco alle banche”, Libero,6 febbraio 2016.
9
In modo sistematico: la moneta unica, che produce disoccupazione
nei Paesi più deboli, è senza sussidi comuni; il fiscal
compact (patto di bilancio) è senza eurobond
(titoli pubblici europei); l'unione bancaria è senza garanzia
comune sui depositi.
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