giovedì 9 aprile 2015

Le conseguenze della Grecia

Riccardo Bernini - marzo 2015
Messe a fuoco
Le conseguenze della Grecia

[Clicca sul titolo se vuoi scaricare l'articolo in formato PDF, corredato di foto, grafici e riquadri.]

L'andamento delle trattative tra Grecia e Troika suscitano discordanti giudizi. Importa capire i punti reali del contendere e quale la posta in gioco. È coinvolto l'intero assetto dell'Eurozona. Anche per la politica italiana le scelte si fanno discriminanti.
  È assodato che occorrerà attendere pressapoco la fine di giugno per comprendere appieno quale sbocco avrà il difficile rapporto tra la Grecia e l'Eurozona. Sono ancora in corso le ultime “limature” all'accordo del 20 febbraio...
Quando si chiuderà il “semestre greco”, tuttavia, l'Europa non sarà politicamente più la stessa. Già ora non lo è più.
Focalizzare alcune analisi e prese di posizione ci aiuterà a capire il perché.
Vittoria o sconfitta?
Pur ingenerando opposte reazioni, di soddisfazione o di sconforto, tra la fine di febbraio e gli inizi di marzo nei commenti giornalistici è prevalsa la valutazione che la Grecia, dal confronto con i propri arcigni creditori, sia uscita sconfitta, giacché, secondo questo punto di vista, del programma di Syriza non è rimasto che un tempo guadagnato di quattro mesi, sino all'estate.
Il tandem Tsipras-Varoufakis ha dovuto rinunciare ad alcuni punti essenziali delle promesse fatte in campagna elettorale, tra cui spicca la ristrutturazione del debito, subendo i ricatti della Troika1, comunque la si ridenomini, che pretende i soliti “compiti a casa” per allargare i cordoni della borsa (mantenendo il cappio del debito) e prestare la liquidità necessaria alla Grecia in seria difficoltà. Sicché le privatizzazioni già concordate dal precedente governo Samaras sono state confermate, il mercato del lavoro non è stato ristrutturato per ridare dignità ai lavoratori e il programma si è concentrato sul recupero dell'evasione fiscale. L'austerità non ha subito l'attesa sconfitta.
Con un parere discordante, l'economista Nobel Paul Krugman sostiene, invece, che, senza disconoscere i punti di arresto, la Grecia un certo successo lo ha conseguito.
«Per la Grecia gestire comunque un qualche avanzo – data la crisi al livello di una depressione nella quale si trova e l’effetto di quella depressione sulle entrate – è una conquista considerevole, il risultato di sacrifici incredibili. Nondimeno, Syriza ha sempre avuto chiaro che intende continuare a gestire un modesto avanzo primario.2 Se siete arrabbiati per il fatto che i negoziati non abbiano offerto spazio ad un rovesciamento completo dell’austerità, ad una svolta verso stimoli fiscali di tipo keynesiano, non avete prestato attenzione.»3
Pertanto, restandogli oscuro il motivo per il quale raccogliere le tasse sarebbe un controsenso per un governo di sinistra, conclude che, almeno temporaneamente, non c'è stata débâcle e l'azione greca ha provocato un certo «sussulto di ragionevolezza»4 a beneficio del resto dell'Europa. Più avanti si vedrà.
Motivati giudizi
A determinare i diversi pareri sulla vicenda contribuiscono certamente le diverse aspettative, correlate alle visioni strategiche. Sottendono, e non poteva essere altrimenti, forti interessi di parte.
Krugman riflette il punto di vista di Washington sulla crisi europea? Così parrebbe, considerando la famosa telefonata di Obama a Tsipras e la frase detta alla Merkel.5 L'interesse statunitense consisterebbe nello sbloccare la rigidità europea senza sconquassare un così importante partner del TTIP,6 aggiungendo nuove criticità, per giunta in una tribolata fase di ripresa economica, ad un quadrante strategico già denso di problemi.
Cosa importa veramente agli Stati Uniti?
Si prenda, ad esempio, la scelta di Atene applaudita da Krugman, di puntare su una esazione fiscale finalmente “efficiente”.
Se la tassazione dei finora esenti armatori ellenici a tutti appare come il minimo perseguibile, non sfugge ai più attenti osservatori che contrastare il “nero” per una parte della popolazione greca equivale a erodere un margine vitale, di sopravvivenza, e, al contempo, a rompere la base di consenso sociale verso Syriza.7 Del resto, anche in Italia viviamo in una costante voluta confusione tra grande evasione o, se preferite, “elusione”, e forzata evasione di fasce di lavoro autonomo marginalizzate e sospinte verso la soglia della povertà.
Per la Casa Bianca è molto più importante che l'Europa stipuli un accordo di TTIP, parte della propria strategia d'egemonia globale. A questo proposito si noti che, a differenza dell'altro Nobel, Joseph Stiglitz, al quale il TTIP appare tutt'altro che rivolto al “libero commercio” visto il ruolo delle multinazionali, l'obamiano Krugman trova difficoltà ad andare oltre qualche scetticismo di fronte a quanto si va stipulando nel segreto di quelle trattative tra civili potenze atlantiche...
Non sorprenda neppure la visione che del contenzioso greco-europeo nutre l'altra sponda della Manica, volta a calcare maggiormente la mano sulla insostenibilità dell'euro. Al netto di tutte le motivazioni (pure argute e assai ben argomentate), rimane il sospetto che la City finanziaria di Londra non abbia proprio a cuore la stabilizzazione del dominio teutonico sull'Europa, soprattutto dopo che le banche del Regno Unito (e Usa ) si sono messe completamente al riparo dai rischi Grecia, prima dell'haircut8 del 2012.9
Imposizione e cooperazione
In Francia alcuni autorevoli commentatori valorizzano “l'approccio costruttivo” della Grecia e ne scorgono i successi.
Romaric Godin su La Tribune10 del 25 febbraio scrive un articolo dal titolo significativo: Le riforme di Tsipras e Varoufakis: un addio alla logica della Troika.
«Partendo dall’assunto che il governo greco ha sempre scartato l’ipotesi di un’uscita “disordinata” dall’euro, e che avrebbe dunque dovuto accettare un compromesso, rimettere in discussione alcune promesse elettorali era inevitabile [corsivo mio]. Il punto è piuttosto capire se questa lista riduce o no in maniera significativa la capacità del nuovo governo di raggiungere i suoi obbiettivi a lungo termine: rompere con l’austerità, rilanciare l’economia, sbaragliare il clientelismo e le oligarchie economiche.»
Segue una disamina dei singoli punti dell'accordo, in forza dei quali il nuovo esecutivo greco avrebbe:
  • costretto la propria oligarchia «allo sforzo contributivo nazionale», coinvolgendo l'Europa nella lotta alla deleteria concorrenza fiscale tra Paesi dell'Unione;
  • reso possibile la lotta al clientelismo che, nei tagli di personale, si è tradotto spesso in licenziamenti discriminatori;
  • promosso una «amministrazione pubblica moderna», più efficace, incoraggiante il merito, tramite «procedure giuste per aumentare al massimo la mobilità delle risorse umane o tecniche»;
  • archiviato l’epoca «dei tagli lineari che hanno colpito salari e personale nel settore pubblico» per creare un nuovo equilibrio tra «giustizia e flessibilità»;
  • rispettato sì le privatizzazioni già completate e avviate, ma con un via libera ad un «riesame delle privatizzazioni non ancora cominciate», per migliorare, a lungo termine, i benefici dello Stato;
  • fatto accettare all'Eurogruppo «il suo piano di gestione della crisi “umanitaria”, ossia il primo pilastro del programma di Salonicco. Questa è una vittoria morale incontestabile, perché non avendo respinto questa parte della lista inviata da Varoufakis, l’Eurogruppo ha dovuto implicitamente riconoscere gli effetti disastrosi della politica sostenuta e incoraggiata dal 2010.»
   Per il resto: «L’aumento del salario minimo è ribadito, anche se il calendario di attuazione non compare nel programma di Bruxelles.» (...) «Il governo greco resta comunque legato, con l’accordo del 20 febbraio, ad una logica da “memorandum”, ed è ancora condizionato dalle scadenze del rimborso – in luglio e in agosto – dei debiti verso la BCE.» In conclusione «(...) il governo greco è riuscito a rimpiazzare l’iniziativa unilaterale della troika con una cooperazione. Non è un cambiamento da poco.»
A questo prezzo per la finanza francese, il “rimpiazzo” può essere ben accetto anche da Hollande, un inimitabile esempio di promesse elettorali disattese.
In realtà dall'elenco degli avanzamenti e delle ritirate si ricava la marcata impressione di tante piccole concessioni, piuttosto immateriali, psicologiche e relazionali, in cambio della rinuncia alla messa in discussione del debito e della linea dell'austerità pur leggermente mitigata. Rimane oscuro come possa il debito essere ripagato nelle condizioni in cui sono state ridotte l'economia e la società greche. Comunque si giudichi questo primo accordo e le sue “limature”, il match point decisivo è rimandato a fine giugno.
Geometria politica
Anche in Italia assistiamo alle conseguenze dell'insorgenza democratica greca. Come in Francia,11 anche ricorrendo a due distinti piani geometrici, pro e contro l'appartenenza all'euro-zona, la laterizzazione destra-sinistra non calza il divenire della realtà politica.
Ciò appare particolarmente evidente se si osservano da vicino i contenuti delle proposizioni politiche “a sinistra del Pd di Renzi”, dalla sinistra Dem all'Altra Europa con Tsipras, passando per la nuova Coalizione sociale proposta dalla Fiom.
Alle ultime elezioni europee ebbe un piccolo successo la Lista che in Italia si richiamava espressamente a Tsipras. Collocandosi a sinistra del PD, si proponeva di contribuire al compimento politico in senso federale dell'Unione, superando l'attuale stadio a prevalenza economico-monetaria, in opposizione all'austerità e all'indirizzo liberista.
A distanza di alcuni mesi l'intero panorama politico istituzionale ha subito, soprattutto dopo l'affermazione elettorale di Syriza (e quelle attese di Podemos in Spagna, della Le Pen in Francia e dell'Ukip di Nigel Farage in Gran Bretagna), sensibili mutamenti.
La coalizione a suo tempo messa in piedi da Berlusconi vive una fase da alcuni sociologi definita di “decomposizione”, accentuata dalle nette scelte di Lega Nord e Fratelli d'Italia per la fuoriuscita dall'Europa a moneta unica.
Alle medesime conclusioni di lasciare l'euro è pervenuto anche il M5S, che già non si riconosceva nella lateralizzazione tradizionale.
Emblematico, poi, è quanto succede nel PD e dintorni. Mentre il governo Renzi realizza alcuni degli obiettivi storici di Berlusconi (pattuiti e non al Nazareno), di cui il NCD di Alfano mena coerentemente vanto, la sinistra Dem pare sul punto di trarre delle conseguenze dalla vicenda greca ben più radicali delle sinistre esterne, come si evince dalla presa di posizione di Stefano Fassina [vedi riquadro dedicato].
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L'iceberg è sempre più vicino

«I problemi posti dalla Grecia sono sistemici.» (...)
«È evidente che anche l’accoglimento della lista normalizzata di riforme strutturali presentata dal governo Tsipras lascerebbe la Grecia nel tunnel. Nel migliore dei casi, I greci comprerebbero tempo. È evidente dalla parabola greca che nell’eurozona non vi sono le condizioni politiche per la radicale correzione di rotta nella politica economica necessaria alla ripresa e al miglioramento delle condizioni del lavoro e, quindi, alla sopravvivenza della moneta unica. È evidente che la Grecia per salvarsi deve lasciare l’euro e svalutare.» (...)
«È anche evidente che la parabola greca e delle sinistre greche prospetta un destino comune alle democrazie e alle sinistre dell’eurozona. La democrazia, la politica e la sinistra non hanno fiato nella camicia di forza liberista dell’euro. Nell’eurozona non c’è alternativa alla svalutazione del lavoro, al rattrappimento delle classi medie, al collasso della partecipazione democratica. Quindi, non c’è spazio per la sinistra.» (...)
«Ma l’iceberg è sempre più vicino per l’euro, per la democrazia e per la sinistra. La sinistra può evitare la deriva di svalutazione del lavoro e di svuotamento delle democrazie delle classi medie e, così, si può salvare e ritrovare senso storico soltanto se riesce a spezzare la gabbia dell’euro. Se si ricostruisce nazionale e popolare. Altrimenti è finta o fa testimonianza.»
Estratti dalla Relazione del mese (24/2/15)
di Stefano Fassina
Fonte: http://ideecontroluce.it/liceberg-e-sempre-piu-vicino/
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Nel varare la Coalizione sociale, politica ma non partitica, unione sindacale e associativa territoriale, Maurizio Landini ricalca sul tema dell'Europa le orme di Syriza e Podemos, ove il conflitto è finalizzato alla cooperazione. Come se si trattasse di un vertenza sindacale da estendere al sociale e ai finora trascurati “non garantiti”, con la controparte insediata tra Roma e Bruxelles.
Inoltre, tra i sostenitori dell'Altra Europa con Tsipras, per “non lasciare da sola la Grecia”, Paolo Ferrero propone una Alliance Against Austerity12 (una tripla AAA in alternativa a quelle delle agenzie di rating) da realizzarsi anche nella politica italiana. Inevitabile l'approdo all'ennesima lista elettorale nel cui programma lo sganciamento dal sistema-euro è, tuttavia, apertamente precluso.
In entrambi i casi, Coalizione sociale e Altra Europa con Tsipras, prevale l'assillo della “rappresentanza”, per gli uni immediatamente politica ed elettorale, per gli altri collegata al destino dei “corpi intermedi”. Secondo Sergio Cofferati proprio nel ruolo storico svolto in Italia da questi ultimi consisterebbe una differenza di fondo tra il nostro Paese e la Grecia.13
Corpi intermedi
Una prima considerazione. Se davvero i “corpi intermedi” hanno avuto una presenza e un ruolo così rilevante in Italia, come sostiene l'ex segretario generale della CGIL, dovremmo ammettere, di conseguenza, che essi possano aver svolto una funzione positiva in passato (fino a quando?), ma, di converso, abbiano contribuito in anni recenti a “filtrare” la libera espressione elettorale. La loro assenza in Grecia, al contrario, l'avrebbe permessa.
D'acchito, tuttavia, si ha l'impressione che ci si preoccupi maggiormente del destino dei “corpi intermedi”, perentoriamente emarginati dalle scelte renziane (in sintonia con quelle della FCA di Marchionnne), piuttosto che di coloro ai quali si vorrebbe dare rappresentanza.
Fatto sta che i movimenti (tipo il No-TAV), fondati su un'attiva partecipazione e poco propensi alle deleghe di rappresentanza, non sembrano considerati. Come interpretare altrimenti la loro assenza dal panorama della Coalizione sociale promossa dalla Fiom?
Inoltre, vengono ignorati alcuni “portati politici” recenti, legati all'esplosione del M5S. Secondo gli analisti dei flussi elettorali nel voto ai “grillini” è confluita una cospicua parte di quella società dei “non garantiti” e “non rappresentati” da sindacati e partiti tradizionali. Si tratti di disoccupati, lavoratori precari e partite IVA loro malgrado, o di autonomi artigiani e piccoli imprenditori, essi hanno espresso un consenso legato sia alla propria specifica condizione sociale che alle modalità di rapportarsi alla rappresentanza (in questo caso agli eletti) in quanto “cittadini”.
Certamente la soluzione tecnologica della “democrazia di internet” mostra, quanto meno, di essere futuribile e comunque inadeguata a sostituire, se non parzialmente, i rapporti umani diretti. Ciò nonostante essa reinterpreta una istanza insopprimibile: quella di stabilire un nuovo rapporto tra rappresentati e rappresentanti, tra deleganti e delegati, ai quali è chiesto un servizio sempre revocabile e mai costituito in corpo separato ed autocentrato.
Se l'esigenza di un controllo sul mandato dei parlamentari si presentò sin dagli albori del movimento operaio e socialista, la storia recente ha spesso riproposto in diverse essenziali circostanze il problema più generale della rappresentanza, soprattutto in presenza di apparati sempre più autoreferenziali. Appunto dei “corpi intermedi”. Ragione per cui sono entrate in crisi le forme sindacali e associative nonché quelle di partito,14 non più rispondenti ai bisogni di centralità, adeguata ai tempi nostri, sia della partecipazione attiva e consapevole sia della vasta platea del consenso informato.
Oltre il guado
Nel complesso e nonostante tutto, la sinistra italica sembra non risvegliarsi dal “sogno europeo”, anche per la parte impegnata contro l'austerità e nel sociale. Fa eccezione il mutamento in atto nella sinistra Dem. Al contrario di quelli che possono essere considerate desperate housewives15 dell'Eurozona, nella realtà politica tutto si muove.16
Una volta appurato che, per usare un'immagine, sfilare la corda del debito dal nodo scorsoio della moneta unica, quale sistema di potere oligarchico continentale, non è praticamente fattibile in modo consensuale, ci si riduce all'obiettivo massimo dell'allentamento temporaneo del cappio. Il tentativo greco, al momento e salvo miracoli, questo dimostra.
A queste “estreme” conclusioni è arrivato Stefano Fassina. La qual cosa non è sfuggita ad uno dei più convinti e preparati sostenitori dell'uscita dell'Italia dall'euro, Alberto Bagnai,17 che ha coinvolto Mimmo Porcaro in una discussione sul suo blog.18
Dopo aver inutilmente alimentato l'ingenua illusione di un divorzio cooperativo, Fassina dal PD è il primo a passare il guado, mentre altri esponenti si sono fermati ai dubbi e ai se.19 Dubbi che espresse anche Romano Prodi, il massimo nocchiere nazionale del Titanic-euro, anch'egli senza andare oltre.
Per il semplice fatto di essersi sbilanciato criticamente sull'Eurozona, Fassina (insieme a Cuperlo) venne a novembre etichettato come di "estrema destra"20 dall'ineffabile Matteo Orfini, ex sodale di corrente; figuriamoci adesso quale rispettoso trattamento gli verrà riservato dalla maggioranza del suo partito!
Ingenuità razionali
Mimmo Porcaro a proposito della ingenuità del nuovo governo greco, nel succitato intervento sul Blog di Bagnai, chiama in causa Lenin e Tucidide. Appunti storici e critici senz'altro pertinenti. Senonché, trattandosi di un esperto della teoria dei giochi (Varoufakis), docente in materia negli States, forse basterebbe ricordargli una regola aurea di quella stessa teoria: qualsiasi gioco è invalidato se tutti i giocatori (players) non godono di pari condizioni. Cosa che, nella realtà, accade invece regolarmente. Sul “libero” mercato, basta una asimmetria informativa, quella di cui può avvalersi, ad esempio, un venditore di auto usate rispetto all'ignaro (del reale stato dell'usato) cliente, per rendere tutto falso.
Bene, cosa ha spinto Syriza a credere che con la Troika sarebbe stato stavolta diverso?
Condivisibile è il giudizio di Porcaro: «(...) non si sfugge all’impressione che vi sia comunque un errore di base ed un’imperdonabile supponenza nell’atteggiamento di Syriza: l’idea secondo la quale, in fondo, la fine dell’austerity sarebbe interesse anche delle classi dominanti europee.»21
Se esistesse una ragione, superiore alle parti che la pensano, in grado di mettere fine alla austerity, non capita per occlusione mentale e culturale, basterebbe farne partecipe la riottosa élite (da con-vincere per vincere insieme) al comando politico del credito finanziario europeo.
Un simile approccio potrebbe rientrare nella categoria della ingenuità, come l'idea di un divorzio cooperativo dall'Eurozona, consensuale e senza liti postume, oppure di un metodo di pensiero, grazie al quale aleggerebbe nei cieli d'Europa una suprema Ragione (sinonimo di Verità) in trepidante attesa di scendere nelle menti per illuminarle e prolungarne lo sguardo troppo miope o troppo sviato dalle apparenze.
Esattamente la filosofia a cui si ispira Varoufakis: «Noi stiamo chiedendo alcuni mesi di stabilità finanziaria che ci consentano di intraprendere il piano di riforme che la maggioranza del popolo greco può condividere e supportare, così da poter tornare a crescere e a essere nuovamente in grado di ripagare i nostri debiti. Si potrebbe pensare che questo misconoscimento delle regole della teoria dei giochi sia dovuto all’effetto di una linea di sinistra radicale. Non è così. La maggiore influenza qui è quella di Immanuel Kant, il filosofo tedesco che ci ha insegnato come la ragione e la libertà dall’impero degli espedienti sono ottenibili facendo ciò che è giusto.»22
Peccato che il governo tedesco, determinante nell'Eurozona, non segua affatto il pensiero del proprio insigne connazionale!
Federalismo paternalistico
Ai tempi di Jacques Delors23 l'adozione del sistema a moneta unica, in un'Europa economica senza Stato federale, fu raccontata come un passaggio dettato da una fase politica straordinaria: l'immediata esigenza di ancorare alla costruzione europea la riunificata Germania, anche a costo di patteggiare con la forte riluttanza di quest'ultima a fare a meno del marco. Il trattato di Maastricht fu firmato il 7 febbraio del 1992 a meno di due anni dalla riunificazione tedesca (ottobre 1990).
Si disse allora che occorresse accettare il minimo livello fattibile, al quale, secondo i federalisti, sarebbe seguito un salto di qualità, ovvero l'Unione politica, dettato da un qualche stato di necessità implicito nella tortuosità del cammino intrapreso.
Ma la scelta, in realtà, risaliva agli anni del varo del primo SME,24 quando era già ben chiaro anche nella sinistra italiana che si andava mettendo il “carro davanti ai buoi” [vedi riquadro dedicato].
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Il carro davanti ai buoi
«L’anno è il 1978. Il giorno il 12 dicembre, ed entro pochi mesi si terranno le prime Europee. È il giorno in cui il presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, si presenta alla Camera per dire che l’Italia sarebbe entrata subito, dal 1° gennaio, nel Sistema monetario europeo (Sme), un regime di cambi fissi tra le monete comunitarie che è il vero papà dell’euro (anche allora, peraltro, Londra disse no). (…) Pci e Psi (…) sono contrari a un’ingresso nello Sme come s’è andato delineando.
Il Pci, subito dopo il discorso di Andreotti, riunisce la sua direzione alla Camera. (…) Napolitano (...) spiega con incredibile, profetica chiarezza: “Inserendoci in quest’area, nella quale il marco e il governo tedesco hanno un peso di fondo, dovremo subire un apprezzamento della lira e un sostegno artificiale alla nostra moneta. Nonostante ci sia concesso un periodo di oscillazione al 6%, saremo costretti a intaccare l’attivo della bilancia dei pagamenti. Lo Sme determinerà una perdita di competitività dei nostri prodotti e un indebolirsi delle esportazioni. C’è un attendibile pericolo di ristagno economico.” (…) “Nelle più nobili motivazioni di La Malfa – insiste Napolitano – vi è alla base un giudizio catastrofico sull’Italia” ed “emerge una concezione strumentale degli impegni internazionali in funzione interna (antisindacale)”. (...)
Sarà proprio lui, com’è noto, a intervenire alla Camera, spiegando il no del Pci con un lucidissimo discorso sugli squilibri regionali che l’irrigidimento del cambio rischia di accentuare (e il dato è sotto gli occhi di tutti, compreso il “rigore a senso unico”): “Si è finito per mettere il ‘carro’ dell’accordo monetario davanti ai ‘buoi’ di un accordo per le economie”, anche per “le sollecitazioni pervenuteci dai governi amici”, scandì Napolitano. Il pericolo che questo costituiva per la sinistra italiana gli era chiaro: se qualcuno volesse “far leva sulle gravi difficoltà che possono derivare dalla disciplina del nuovo meccanismo di cambio per porre la sinistra e il movimento operaio dinanzi alla proposta di una politica di deflazione e di rigore a senso unico, diciamo subito che si tratta di un calcolo irresponsabile e velleitario, non meno di quelli che hanno spinto pezzi della Dc a premere per l’ingresso immediato nello Sme in funzione di meschine manovre anticomuniste, destinate a sgonfiarsi rapidamente”. (...)»
Marco Palombi, il Fatto Quotidiano, 14 maggio 2014
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Appena la situazione l'avesse imposto, il carro sarebbe stato ricollocato “dietro ai buoi”.
Quella strategia federalista conteneva due semi negativi e antidemocratici: uno, a priori, di metodo politico; un'altro, di completa “sottovalutazione” degli interessi che spingevano a quella “forzatura”.
  1. Supponeva di imporsi in modo indipendente dalla volontà dei popoli e in forza, per giunta, delle loro sofferenze. Tanto che, come osserva criticamente Bagnai, si è giunti a teorizzare un federalismo obtorto collo: «La violenza di queste crisi è cosa buona e giusta, perché permette agli ottimati di condurre il gregge, col bastone del mercato, verso lo Stato promesso.»25
    Da questa via al federalismo non si discosta l'Altra Europa con Tsipras. Presentando la lista, nella discutibile pretesa di mettere nello stesso sacco “conservatori” ed “euroscettici”, Barbara Spinelli26 propose un “momento hamiltoniano”, dedicato alla trasformazione in senso federale dell'Europa, e un “momento roosveltiano”, appena successivo, dedicato alla crescita economica in senso anti-liberista. Sicché il richiamo ad Alexander Hamilton [vedi riquadro dedicato] che, dopo la guerra d'indipendenza americana, usò la crisi del debito per trasformare gli Stati Uniti da confederazione in federazione, appare piuttosto appropriato.
    Conferma, quanto meno, l'adozione di una sorta di illuminismo paternalistico.
  2. Attraverso la moneta unica e in diverse tappe è stato costruito un sistema di governo, sin dagli inizi fortemente asimmetrico, sia in senso sociale che territoriale. Attorno ad esso si è affermato e concentrato un grumo di potere politico-finanziario oligarchico a detrimento della sovranità democratica nazionale e popolare, del welfare sociale, contro gli interessi delle classi lavoratrici.
    L'economicismo, come il monetarismo e tanto più il neo-mercantilismo, non sono impolitici né privi di una loro logica e razionalità, ma la forma della politica nel costituirsi di questo potere. Come non esiste un mercato a sé, indistinto, unitario ed autoregolato, non esiste un potere del mercato avulso, distinto e contrapposto a quello politico.
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Alexander Hamilton
«Alexander Hamilton, aiutante di Washington durante la guerra, era uno dei leader più efficaci e scaltri della nuova aristocrazia. Ecco come esprimeva la sua visione politica:
Tutte le comunità sono divise fra i pochi e i molti. I primi sono ricchi di nascita elevata, i secondi la massa del popolo […]. Il popolo è turbolento e mutevole; raramente giudica o decide rettamente. Date perciò alla prima classe un ruolo permanente nel governo […]. Soltanto un organo permanente può frenare l'imprudenza della democrazia.”
Alla Costituente Hamilton propose che il presidente e il Senato fossero designati a vita. L'assemblea non accolse la sua proposta, ma non approvò nemmeno l'elezione popolare, salvo che nel caso della Camera dei rappresentanti, per la quale erano i parlamenti statali a stabilire i requisiti (in quasi tutti gli stati aveva diritto di voto solo chi deteneva qualche proprietà), ferma restando l'esclusione delle donne, degli indiani e degli schiavi. La Costituzione stabilì che i senatori sarebbero stati eletti dai parlamenti statali, che avrebbero scelto anche gli elettori del presidente, al quale a sua volta competeva la nomina dei membri della Corte suprema.»
Howard Zinn, Storia del popolo americano, il Saggiatore, 2010 (2005), pag. 71.
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Sovranità
Da Bruxelles e da Francoforte dettano la politica dei Paesi presi nel cappio del debito. Minacciano sanzioni e di stringere i cordoni della liquidità, di cui detengono il monopolio. Impongono “riforme strutturali” basate su privatizzazioni, svalutazione del lavoro e delle produzioni legate ai mercati interni. Somministrano salassi che sprofondano il paziente nella prostrazione e nell'ulteriore dipendenza dalle loro cure.
Non desti sorpresa che il Jobs Act italiano incontri il loro entusiastico favore. Né che, in rapida successione, il pragmatismo renziano voglia completare l'iter riformistico forzando i tempi di approvazione del “combinato disposto” della riforma elettorale e delle riforme costituzionali. La spinta alla svalutazione del lavoro si abbina perfettamente alla “torsione autoritaria”, tesa a depotenziare democrazia repubblicana e sovranità nazionale. Per usare le parole di Hamilton, occorre “frenare l'imprudenza della democrazia”, giacché il “popolo è turbolento e mutevole”.27
All'opposto, non si riesce a comprendere come possa avere successo una lotta politica e sociale contro l'austerità e questo indirizzo politico governativo, mantenendosi nelle complessive compatibilità del sistema di potere europeo a moneta unica, nei suoi vincoli, nei suoi trattati.
Senza sovranità non c'é democrazia, anche se la sovranità può imporsi facendo a meno della democrazia. Insistere sui pericoli non serve, in mancanza di un'azione politica adeguata.
Nella sovranità democratica popolare non rientrano semplicemente le assemblee elettive ad ogni livello, ma soprattutto la partecipazione diretta della società alla politica, da cui l'hanno allontanata proprio gli inafferrabili poteri “lontani”. Che ciò rimetta in moto dinamiche conflittuali, anche di classe, è tanto auspicabile quanto indispensabile, sia politicamente che culturalmente.
Poiché lo snodo della sovranità evoca un insieme di altre relazioni, dalla trasformazione degli Stati nella globalizzazione al ruolo delle monete nelle contese egemoniche (comprese quelle militari), alla “geopolitica”, dalla natura oligarchica del potere politico ed economico allo “sdoppiamento” delle borghesie occidentali un tempo “nazionali”, occorrerà a questi temi dedicare attenzione e approfondimenti.
In cosa possa sostanziarsi, oggi, la sovranità dipende dallo sviluppo di queste relazioni.

1 Unione Europea, Banca Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale ai cui si è aggiunto il Fondo salva-stati.
2 Avanzo al netto degli interessi.
3 Paul Krugman, What Greece Won (27/2/2015), inserto "The New York Times" in La Repubblica di lunedì 9/3/2015.
4 "outbreak of reasonableness".
5 ANSA, New York, 9/2/15, "Aspetto di ascoltare dalla cancelliera Merkel la sua valutazione su come l'Europa e il Fmi possano lavorare insieme col nuovo governo greco per trovare il modo grazie al quale la Grecia possa tornare a una crescita sostenibile nell'Eurozona".
6 Il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (Transatlantic Trade and Investment Partnership, TTIP).
7 Come annota Mimmo Porcaro sul blog di Alberto Bagnai (4/3/15), http://www.goofynomics.blogspot.it/2015/03/atene-chiama-fassina-risponde.html.
8 Traducibile in: tosatura del debito.
9 Marcello Minenna, Corriere Economia, 6/2/15, L'Europa alla tedesca: rischi condivisi (ma i vantaggi a senso unico).
10 http://keynesblog.com/2015/03/02/le-riforme-di-tsipras-e-varoufakis-un-addio-alla-logica-della-troika/.
11 Benoît Bréville e Pierre Rimbert, Una sinistra seduta a destra rispetto al popolo, Le Monde diplomatique il Manifesto, marzo 2015.
12 Traducibile in: Alleanza contro l'austerità.
13 Sergio Cofferati: “La sinistra è poca, si chieda perché”, Sinistra e Lavoro, intervista di Daniela Preziosi, 4/03/15.
14 Infatti Podemos si propone, a partire dal movimento degli indignados, come una organizzazione non tradizionale.
15 Traducibile in: disperate mogli casalinghe (titolo della celebre serie televisiva americana).
16 Al contrario di quanto afferma Claudio Grassi (http://www.claudiograssi.org/wordpress/2015/03/eppure-non-si-muove/), salvo mostrare interesse alla novità della Coalizione sociale (http://www.claudiograssi.org/wordpress/2015/03/dentro-la-coalizione-sociale-per-la-sinistra/).
17 Tra questi il marxista Vladimiro Giacché e il docente alla Cattolica di Milano, Claudio Borghi Aquilini, responsabile economico della Lega Nord.
18 http://www.goofynomics.blogspot.it/2015/03/atene-chiama-fassina-risponde.html
19 D'Attorre: «la situazione oggi non è sostenibile: o in Europa si crea un percorso federale o si torna alle monete nazionali» (Dagospia, 6/11/2014). Visco: «mi chiedo se sia stata la cosa giusta»; Boccia: «senza eurobond e solidarietà è un progetto fallito» (il Fatto Quotidiano, 7/11/2014)
20 Matteo Orfini contro Fassina e Cuperlo: "Euro insostenibile? Linea di estrema destra." Europa, 11 novembre 2014.
21 http://www.goofynomics.blogspot.it/2015/03/atene-chiama-fassina-risponde.html
22 Yanis Varoufakis, "Europa, non è tempo di giochi", Lavoro & Politica (dal New York Times), 27/02/15.
23 Presidente della Commissione europea dal 1985 al 1995.
24 Sistema Monetario Europeo, in vigore dal 13 marzo 1979.
25 Alberto Bagnai, L'Italia può farcela, il Saggiatore, 2014, pag. 160.
26 Il Fatto Quotidiano, “Salviamo l'Europa dai conservatori e dagli euroscettici”, intervista di Stefano Feltri. 9/02/2014.
27 Appare rilevante l'analogia di logica politica tra le proposte di Hamilton e il “combinato disposto” del governo: liste elettorali di prevalenti nominati; senatori a elezione indiretta; impatto sulle future nomine alla Corte Costituzionale.

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