Messe a fuoco
Eurozona in "semestre greco"
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Draghi
ha appena avviato il Quantitative Easing europeo. Syriza
chiede di rinegoziare il debito e altro ancora. Siamo in pieno
"semestre greco". Esiti possibili.
Riabilitate virtù
Il 22 gennaio scorso la Bce di
Mario Draghi ha varato l'annunciato e sospirato Quantitative
Easing europeo [vedi
riquadro]. Poggia sull'obbligo statutario della Banca
Centrale Europea di combattere la deflazione in atto1
e nutre lo scopo di favorire la crescita del Pil dell'eurozona oltre
l'1%. Ripetendo ciò che è riuscito, con analoghe immissioni di
grande liquidità, agli Stati Uniti e al Regno Unito, ma non al
Giappone.
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Il
Quantitative Easing di
Draghi
Sintesi
delle misure adottate dalla Bce il 22 gennaio 2015, di Quantitative
Easing
(Alleggerimento Quantitativo) ovvero di immissione di liquidità nel
sistema in cambio di titoli.
- Obiettivo: inflazione al 2% annuale.
- Acquisti di titoli di Stato ed agenzie pubbliche in mano a banche, durata da 2 a 30 anni, con rating sopra la soglia spazzatura (pertanto, non di Grecia e Cipro).
- Per un totale di 1.140 miliardi di euro, al ritmo di 60 miliardi al mese per 19 mesi (marzo 2015 - settembre 2016), salvo eventuale prosecuzione se l'obiettivo fosse mancato.
- L'importo reale è di 47 miliardi mensili, poiché vi sono inclusi i programmi di acquisti di titoli cartolarizzati (Asset backed securities* e Covered bond**) già attivi.
- Rischi di insolvenza: 80% a carico delle singole banche centrali dei Paesi partecipanti; 20% a carico della Banca Centrale Europea (Bce).
- Entità degli interventi commisurati alle quote dei singoli Paesi nel capitale della Bce.
- Benefici attesi: le banche trasferiscono i titoli alla Bce disponendo di corrispondente liquidità per poter finanziare le imprese; i rendimenti dei titoli diminuiscono a vantaggio degli Stati emittenti; i tassi d'interesse diminuiscono e fare debiti è possibile e più vantaggioso (vedi mutui casa); l'euro viene svalutato a vantaggio delle esportazioni; le Borse vanno al rialzo e spingono chi si sente più ricco a consumare.
- Benefici attesi per l'Italia: la Bce può comprare fino a 418 miliardi di euro del debito pubblico italiano in circolazione (1.670 mld) rispondente ai criteri stabiliti.
*
Prodotti
finanziari simili alle obbligazioni, con cui una società scorpora
dal suo bilancio una serie di crediti, li “impacchetta”
adeguatamente e li cede sul mercato per ottenere liquidità.
**
Traducibile in
'obbligazioni garantite', ossia obbligazioni bancarie dal profilo di
rischio molto basso.
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Poiché si crea nuovo debito,
dobbiamo desumere che esso sia ridiventato virtù. Dopo che negli
ultimi anni era scaduto a peccato, dalla parola tedesca "Schuld"
con cui si denomina sia il debito che la colpa. Al contempo si
deprezza l'euro a fini esportativi, sicché anche la svalutazione
competitiva della moneta viene riabilitata, appresso averla
derubricata come indegno mezzuccio nazionale degli anni della
liretta.
Come incessantemente ripete
Draghi, alla manovra monetaria e finanziaria del QE devono
accompagnarsi le "riforme" ad opera dei governi nazionali.
Ma quali riforme? Del tipo di quelle sin qui realizzate, sia prima
della crisi che successivamente? Sull'esempio dei mini-jobs
tedeschi o del jobs act renziano? Si accentuerebbe la
deflazione salariale con la conseguente restrizione della domanda
interna. Tradotto: consumare di meno ed esportare di più. Va da sé
che se tutti i Paesi dell'eurozona seguissero questa linea, altre
aree del mondo (in primo luogo gli Stati Uniti) dovrebbero,
viceversa, consumare di più ed esportare di meno. Un destino al
quale non sembrano affatto propense.
Mentre l'Europa segue il nuovo
mantra "combinare il rigore con la crescita," a scombinare
la coppia, recente sostituta della sola imperativa "austerità",
è però intervenuta la vittoria di Syriza e le richieste del nuovo
governo greco di ricontrattare con il proprio debito una serie di
altre condizioni accettate dal compiacente governo Samaras.
Pertanto, alla comprensione delle possibili conseguenze del QE
europeo, deve accompagnarsi l'esame del mutamento politico in corso
che dalla Grecia prospetta di propagarsi alle periferie dell'Unione.
L'allentamento
monetario made in Europe
Appare ai più scontato che, come
già negli Stati Uniti e Gran Bretagna, gran parte della liquidità
non andrà in direzione degli impieghi produttivi di merci e servizi,
bensì verso le Borse, con i rischi connessi. Ecco spiegata
l'eccitazione con cui la manovra di Draghi è stata accolta negli
ambienti finanziari.
Alcuni analisti hanno fatto
presente ulteriori aspetti critici. A differenza degli Stati Uniti2,
il sistema di finanziamento delle aziende europee è fortemente
legato alla erogazione di prestiti bancari, tanto da venire definito
banco-centrico. È già successo che le banche abbiano trattenuto "in
pancia" la liquidità destinata alla cosiddetta "economia
reale".3
Dovremmo aggiungere che è pure
germano-centrico e fortemente squilibrato a svantaggio dei Paesi
periferici. In tal senso opera lo stesso meccanismo interno al QE
della Bce.
Nell'immediato la montagna di
danaro non genera inflazione, come vorrebbe la teoria classica,
perché la contrazione produttiva è originata da una offerta
sovrabbondante rispetto alla domanda, che viene invece stimolata sul
lato della diminuzione dei tassi di interesse (p.e. mutui meno cari).
Inoltre, con il deprezzamento dell'euro rispetto alle altre monete,
dollaro in primis, si favoriscono le esportazioni seguendo il
modello neo-mercantilista tedesco. Se, da un lato, ci si chiede come
possa l'intera Europa imitare la Germania, dall'altro, persiste
irrisolto il problema degli scambi interni all'Unione, in particolare
nella zona euro. In questo mercato, per l'Italia essenziale, con la
moneta unica sono favoriti coloro che partono già in pole
position.
Il denaro speso nella domanda
aggregata è quello che effettivamente conduce alla ripresa delle
produzioni. L'altra parte, maggioritaria, viene catturata dal
circuito "far denaro con denaro", e contribuisce a
ricomporre nuovi assetti proprietari, tramite la ridefinizione dei
valori patrimoniali e reddituali.
Come dimostra il caso americano,
il denaro a basso costo, in sé, porta all'arricchimento dei già
ricchi e dei più ricchi. Mentre il tandem Obama-Yellen si è posto,
in un contesto politico e strutturale piuttosto diverso da quello
europeo (con problemi peraltro ancora irrisolti4),
l'obiettivo di un riequilibrio a favore delle classi medie e povere,
viceversa l'indirizzo delle riforme sollecitate in ambito europeo
appare andare in senso contrario. E, coerentemente a ciò,
Francoforte e Bruxelles apprezzano lo "sforzo" riformatore
insito nel Jobs Act italiano di Renzi.
A rendere il
quadro meno fosco è intervenuta la caduta del prezzo del petrolio,
che rischia tuttavia di ripercuotersi assai negativamente sulla
ripresa statunitense in gran parte dovuta
al successo del fracking
dei cowboys
americani.5
Attenzione: l'eurozona
è il primo partner commerciale degli Stati Uniti e la restrizione
della loro capacità importativa peggiorerebbe le prospettive
esportative alle quali l'Europa si affida.
Un
semestre europeo non ufficiale
Il semestre europeo a presidenza
italiana, scaduto da poco, è stato oggetto di inutile retorica. Non
ha lasciato che un esile segno. In compenso la vittoria di Syriza
alle elezioni greche introduce un periodo di circa sei mesi, sino
alla prossima estate, di ben più rilevante importanza.
Rinegoziare il debito greco?
Esso è stato rifinanziato con un
prestito del Fondo salva Stati [vedi
grafico e riquadro], al principale scopo di togliere le
castagne dal fuoco alle banche del Nord, piene di titoli "spazzatura"
ellenici. La Grecia non era e non è in grado di ripagare il debito
(problema di insolvenza), ma le fu prestato denaro (problema di
liquidità) per pagare interessi su debiti detenuti, però, non più
da privati ma di fatto dagli Stati dell'eurozona. Essi sono presenti
nel Fondo salva Stati in proporzioni simili alle quote di capitale
detenute in Bce. Alla erogazione dei prestiti sono state associate
pesanti e traumatiche condizioni per il popolo greco; la sua
ricontrattazione si pone in contraddizione non più con gli istituti
finanziari privati, bensì con le compatibilità fiscali pubbliche
dei singoli Paesi membri. Un esito voluto dal caso?
Questi ultimi, ora, paventano
all'opinione pubblica dei rispettivi Paesi possibili insolvenze,
quando esse avrebbero dovuto ricadere sugli incauti investitori
privati. Una rapida occhiata all'informazione main stream
tedesca di questi giorni, può rendere l'idea di come si vada
fomentando nazionalismo e razzismo anche tra popoli europei.
Dentro
l'euro?
Alla comprensione della maggiore forza politica greca possono giovare la conoscenza sia del suo programma [vedi riquadro sotto], sia le sue dinamiche interne.
Costas Lapavitsas, economista di
Syriza, in un intervista rilasciata ad un quotidiano italiano,6
dichiarava: «Grosso
modo siamo divisi in due correnti. La prima, maggioritaria, ritiene
che l'eurozona possa migliorare dall'interno, avendo una buona
gestione degli scambi, un allentamento fiscale e la cancellazione dei
debiti con contemporaneo incremento degli investimenti pubblici.» E
la seconda «Pensa sia più conveniente lo smantellamento dell'euro
con il default dei Paesi più indebitati. Un po' sul modello
argentino. Io mi riconosco più in questa linea.»
L'intervista
parte da una constatazione: «Vero
[Pil a +0,7%, ndr], l'economia si è stabilizzata, ma è la stabilità
del cimitero (...).» Proseguendo: «Il programma della troika è una
via senza uscita. La Grecia è fallita. Le imprese pubbliche e
private non possono lavorare solo per pagare gli interessi. Non si
permettono investimenti, ricerca, sviluppo, solo un lento declino.
Unica soluzione: tagliare il debito.» In assenza di questa
soluzione: «I soldi in arrivo [dei prestiti, ndr] servono solo a
pagare gli interessi. Non ce li daranno? Peggio per loro. Noi
potremmo finanziarci in vari modi fino a giugno, luglio. Poi se non
ci sarà ancora un accordo sul debito, ognuno andrà per la sua
strada. E addio euro.»
In
altri termini, la Grecia, messa con le spalle al muro, pone
l'Eurozona di fronte al dilemma: o soddisfare le istanze del governo
Tsipras, oppure spingere la Grecia a fare a meno dell'euro.
Facile
è prevedere che dalle capitali europee si tenteranno mille
mediazioni e manovre, anche le meno "convenzionali", pur di
indurre i nuovi interlocutori a dividersi, contraddirsi e cedere. Ma
non si farebbe che rimandare la resa dei conti. In autunno l'attesa
tornata elettorale iberica potrebbe riproporre, con l'eventuale
vittoria di Podemos, la stessa situazione con un protagonista, la
Spagna, di peso ancora maggiore.
D'altro
canto, le richieste greche ed eventualmente spagnole, qualora
venissero rigettate e, conformemente ai desideri dei poteri forti
centrali, indurre alla sconfitta delle forze politiche che se ne sono
fatte carico, provocherebbero nei Paesi periferici ulteriore
instabilità e pericolose derive. È questo che vogliono a
Francoforte e Bruxelles, a Berlino e Parigi?
I
furbetti italiani che pensano di approfittare del ruolo di rottura
assunto dalla Grecia, senza esporsi (ti seguo, ma vai avanti tu per
primo...), possono disporre di una comunicazione sempre plaudente al
potere dominante, ma non scansare i boomerangs di ritorno.
C'è
dell'altro
Nel
programma economico di Syriza la riforma dei rapporti di scambio
intra-europei è strettamente correlata alla cancellazione del debito
e agli investimenti pubblici. Questi ultimi non possono partire se
rimane il cappio del debito, a sua volta continuamente
generato dagli squilibri degli scambi con l'estero. Una "buona
gestione degli scambi" suppone l'inversione della tendenza
strutturale alla deindustrializzazione presente in tutte le aree
periferiche. Da essa dipende il riequilibrio della bilancia
commerciale e dei conti con l'estero,7
anche e tanto più della Grecia. La dismisura dei debiti privati e
pubblici da quegli squilibri deriva.
Pertanto,
se è necessario affrontare da subito l'emergenza congiunturale, a
partire dalla crisi umanitaria, occorrerà rimuovere con il debito
anche le cause di esso.
Altrimenti,
come un tumore, ricrescerà. Al punto in cui è giunta la Grecia il
passaggio di ricontrattazione interna all'Eurozona appare come la via
breve ed inevitabile. Tuttavia, rimane
da capire come la soluzione dei problemi posti possa avvenire nel
quadro dell'euro.
Esso non è solo moneta unica, è un vero e proprio metodo di
governo.8
Un governo
che ha visto prevalere oligarchie finanziarizzate ben tutelate
politicamente dalle élites di Bruxelles e Francoforte, a loro
volta supportate dai governi del Centro, con a capo il governo
tedesco. Nell'attuale fallimento di quella che è stata definita la
poliarchia europea,9
ovvero di un governo sovrappostosi di prepotenza alla democrazia dei
popoli chiusi nei limiti delle finora depotenziate sovranità
territoriali, accanto alla questione sociale si insinua la
contraddizione tra Stati nazionali. Del centro verso quelli
periferici, nonché, in questi ultimi, tra regioni diversamente
svantaggiate dalla storia e dalla crisi economica. In Italia, ad
esempio, al Mezzogiorno si sono aggiunte le aree i cui distretti
produttivi, anche al Nord, sono stati più duramente colpiti dal
biennio 2007-2008 in poi.
Destrutturazione
Vale
constatare che a fronte di scelte di tale complessa e complessiva
rilevanza, l'Europa non esista in quanto Unione politica, e, per
giunta, non possieda una cultura politica unitaria. Proprio nel
momento in cui l'insorgenza greca mette in luce la natura politica
della crisi.
Molte volte
s'è ripetuto che "i buoi stanno dietro al carro".
Rimarrebbe da capire chi, e su quale via, li metterà davanti,
riuscendo a trainare il vecchio continente in tempi brevi fuori dalle
contraddizioni nelle quali è stato impantanato.
A meno di
miracolosi eventi quel carro, se fosse desiderabile salvarlo, per
trarlo dall'impaccio dovrà essere smontato. Fuor di metafora:
l'Eurozona e la stessa Unione europea dovranno attraversare una fase
di destrutturazione per ambire a ricostruirsi su un terreno
più solido, in grado di reggerne l'avanzamento. Prenderne atto è il
primo passo.
1
A dicembre -0,2% su base annua per l'Europa a 18.
2
Negli USA le imprese di finanziano con obbligazioni a lungo termine
e mutui trentennali. Il calo dei costi ha effetti immediati.
3
Security Market Program per 220 miliardi (2011) e prestito di 1.000
miliardi della Bce alle banche europee (dicembre 2011 - febbraio
2012).
4
I dati dell'ultimo trimestre 2014 Usa sembrano confermare le
criticità evidenziata nel Blog, vedi articolo "La ripresa
statunitense".
5
Maurizio
Ricci, la
Repubblica Affari & Finanza, 26/01/2015.
6
Andrea Nicastro, Corriere della Sera, 26/01/2015.
7
Vladimiro Giacché, Titanic Europa, Aliberti, 2012, pagg. 69 e 81.
8
Alberto Bagnai, L'Italia può farcela, il Saggiatore, 2014, pag.
130.
9 Giulio Sapelli, Economia e Finanza, 27/01/2015,
www.ilsussidiario.net
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Il
programma di Syriza (in pillole)
Obiettivo
primo: rinegoziare
il peso del debito arrivato a più del 175% del Pil greco. Il
modello evocato è quello della Conferenza di Londra del 1953 con
cui i paesi occidentali vennero incontro alla Germania e al suo
mostruoso debito estero accumulato con le due guerre.
Inoltre,
sulla base del "Contratto di Salonicco" dal costo
complessivo di 11,3 miliardi di euro:
1.
Crisi umanitaria. Fornitura di elettricità gratuita a 300 mila
famiglie sotto la soglia di povertà; cure mediche e farmaceutiche
accessibili a tutti; casa per circa 30 mila famiglie; 13a alle
pensioni inferiori a 700 €/mese; misure per la gratuità dei
trasporti pubblici; ribasso dell'Iva sul gasolio da riscaldamento
(con finalità ecologiche); parziale € 1,88 miliardi.
2.
Ripartenza dell'economia. Composizione dei contenziosi legali
fiscali per redditi modesti, famiglie e piccole imprese;
soppressione della nuova imposta sul patrimonio immobiliare (Enfia)
che colpisce i piccoli patrimoni e sua sostituzione con una imposta
progressiva immobiliare, prima casa esente; esenzione fiscale dei
redditi fino a 12 mila €; cancellazione dei debiti privati per i
cittadini al di sotto della soglia di povertà, ecc.; istituzione di
banca di sviluppo nazionale; salario minimo a 751 €/mese; parziale
di € 6,5 miliardi.
3.
Lavoro. Ripristino della legislazione abrogata dalla Troika
(contratti nazionali e protezione dai licenziamenti); grande
progetto per 300 mila nuovi posti di lavoro nel settore pubblico e
nell'economia solidale; ampliamento dell'assegno di disoccupazione
(oggi solo per il 10% dei senza-lavoro).
4.
Rifondazione civica dello Stato e delle istituzioni. Ampliamento
della democrazia; riforma dei governi locali e della rappresentanza
parlamentare; riduzione delle immunità parlamentare e ministeriale;
leggi popolari e referendum; più libertà e diritti di
informazione, rifondazione della Ert, TV pubblica soppressa dal
governo precedente.
5.
Copertura economica. 3
miliardi
di entrate fiscali dal rilancio dell'economia. 3 miliardi da lotta
all'evasione, soppressione dei privilegi fiscali, divieto di
trasferire capitali all'estero, lotta al contrabbando di carburante,
ecc. 3 miliardi dalla riallocazione delle risorse dei programmi
europei. 3 miliardi dalla riallocazione delle risorse del Fondo di
stabilità finanziaria. Totale 12 miliardi.
Infine,
soppressione del debito estorto dalla Germania nazista durante
l'occupazione 1941-44, per 160 miliardi, non ancora cancellato.
[da
Salvatore Cannavò, il Fatto Economico, 14/01/2015]
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