lunedì 2 febbraio 2015

Eurozona in "semestre greco"

Riccardo Bernini - gennaio 2015
Messe a fuoco

Eurozona in "semestre greco"

[Clicca sul titolo se vuoi scaricare l'articolo in formato PDF, corredato di foto, grafici e riquadri.]

Draghi ha appena avviato il Quantitative Easing europeo. Syriza chiede di rinegoziare il debito e altro ancora. Siamo in pieno "semestre greco". Esiti possibili.
   Riabilitate virtù
Il 22 gennaio scorso la Bce di Mario Draghi ha varato l'annunciato e sospirato Quantitative Easing europeo [vedi riquadro]. Poggia sull'obbligo statutario della Banca Centrale Europea di combattere la deflazione in atto1 e nutre lo scopo di favorire la crescita del Pil dell'eurozona oltre l'1%. Ripetendo ciò che è riuscito, con analoghe immissioni di grande liquidità, agli Stati Uniti e al Regno Unito, ma non al Giappone.
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------
Il Quantitative Easing di Draghi
Sintesi delle misure adottate dalla Bce il 22 gennaio 2015, di Quantitative Easing (Alleggerimento Quantitativo) ovvero di immissione di liquidità nel sistema in cambio di titoli.
  • Obiettivo: inflazione al 2% annuale.
  • Acquisti di titoli di Stato ed agenzie pubbliche in mano a banche, durata da 2 a 30 anni, con rating sopra la soglia spazzatura (pertanto, non di Grecia e Cipro).
  • Per un totale di 1.140 miliardi di euro, al ritmo di 60 miliardi al mese per 19 mesi (marzo 2015 - settembre 2016), salvo eventuale prosecuzione se l'obiettivo fosse mancato.
  • L'importo reale è di 47 miliardi mensili, poiché vi sono inclusi i programmi di acquisti di titoli cartolarizzati (Asset backed securities* e Covered bond**) già attivi.
  • Rischi di insolvenza: 80% a carico delle singole banche centrali dei Paesi partecipanti; 20% a carico della Banca Centrale Europea (Bce).
  • Entità degli interventi commisurati alle quote dei singoli Paesi nel capitale della Bce.
  • Benefici attesi: le banche trasferiscono i titoli alla Bce disponendo di corrispondente liquidità per poter finanziare le imprese; i rendimenti dei titoli diminuiscono a vantaggio degli Stati emittenti; i tassi d'interesse diminuiscono e fare debiti è possibile e più vantaggioso (vedi mutui casa); l'euro viene svalutato a vantaggio delle esportazioni; le Borse vanno al rialzo e spingono chi si sente più ricco a consumare.
  • Benefici attesi per l'Italia: la Bce può comprare fino a 418 miliardi di euro del debito pubblico italiano in circolazione (1.670 mld) rispondente ai criteri stabiliti.
* Prodotti finanziari simili alle obbligazioni, con cui una società scorpora dal suo bilancio una serie di crediti, li “impacchetta” adeguatamente e li cede sul mercato per ottenere liquidità.
** Traducibile in 'obbligazioni garantite', ossia obbligazioni bancarie dal profilo di rischio molto basso.
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------
Poiché si crea nuovo debito, dobbiamo desumere che esso sia ridiventato virtù. Dopo che negli ultimi anni era scaduto a peccato, dalla parola tedesca "Schuld" con cui si denomina sia il debito che la colpa. Al contempo si deprezza l'euro a fini esportativi, sicché anche la svalutazione competitiva della moneta viene riabilitata, appresso averla derubricata come indegno mezzuccio nazionale degli anni della liretta.
Come incessantemente ripete Draghi, alla manovra monetaria e finanziaria del QE devono accompagnarsi le "riforme" ad opera dei governi nazionali. Ma quali riforme? Del tipo di quelle sin qui realizzate, sia prima della crisi che successivamente? Sull'esempio dei mini-jobs tedeschi o del jobs act renziano? Si accentuerebbe la deflazione salariale con la conseguente restrizione della domanda interna. Tradotto: consumare di meno ed esportare di più. Va da sé che se tutti i Paesi dell'eurozona seguissero questa linea, altre aree del mondo (in primo luogo gli Stati Uniti) dovrebbero, viceversa, consumare di più ed esportare di meno. Un destino al quale non sembrano affatto propense.
Mentre l'Europa segue il nuovo mantra "combinare il rigore con la crescita," a scombinare la coppia, recente sostituta della sola imperativa "austerità", è però intervenuta la vittoria di Syriza e le richieste del nuovo governo greco di ricontrattare con il proprio debito una serie di altre condizioni accettate dal compiacente governo Samaras. Pertanto, alla comprensione delle possibili conseguenze del QE europeo, deve accompagnarsi l'esame del mutamento politico in corso che dalla Grecia prospetta di propagarsi alle periferie dell'Unione.
L'allentamento monetario made in Europe
Appare ai più scontato che, come già negli Stati Uniti e Gran Bretagna, gran parte della liquidità non andrà in direzione degli impieghi produttivi di merci e servizi, bensì verso le Borse, con i rischi connessi. Ecco spiegata l'eccitazione con cui la manovra di Draghi è stata accolta negli ambienti finanziari.
Alcuni analisti hanno fatto presente ulteriori aspetti critici. A differenza degli Stati Uniti2, il sistema di finanziamento delle aziende europee è fortemente legato alla erogazione di prestiti bancari, tanto da venire definito banco-centrico. È già successo che le banche abbiano trattenuto "in pancia" la liquidità destinata alla cosiddetta "economia reale".3
Dovremmo aggiungere che è pure germano-centrico e fortemente squilibrato a svantaggio dei Paesi periferici. In tal senso opera lo stesso meccanismo interno al QE della Bce.
Nell'immediato la montagna di danaro non genera inflazione, come vorrebbe la teoria classica, perché la contrazione produttiva è originata da una offerta sovrabbondante rispetto alla domanda, che viene invece stimolata sul lato della diminuzione dei tassi di interesse (p.e. mutui meno cari). Inoltre, con il deprezzamento dell'euro rispetto alle altre monete, dollaro in primis, si favoriscono le esportazioni seguendo il modello neo-mercantilista tedesco. Se, da un lato, ci si chiede come possa l'intera Europa imitare la Germania, dall'altro, persiste irrisolto il problema degli scambi interni all'Unione, in particolare nella zona euro. In questo mercato, per l'Italia essenziale, con la moneta unica sono favoriti coloro che partono già in pole position.
Il denaro speso nella domanda aggregata è quello che effettivamente conduce alla ripresa delle produzioni. L'altra parte, maggioritaria, viene catturata dal circuito "far denaro con denaro", e contribuisce a ricomporre nuovi assetti proprietari, tramite la ridefinizione dei valori patrimoniali e reddituali.
Come dimostra il caso americano, il denaro a basso costo, in sé, porta all'arricchimento dei già ricchi e dei più ricchi. Mentre il tandem Obama-Yellen si è posto, in un contesto politico e strutturale piuttosto diverso da quello europeo (con problemi peraltro ancora irrisolti4), l'obiettivo di un riequilibrio a favore delle classi medie e povere, viceversa l'indirizzo delle riforme sollecitate in ambito europeo appare andare in senso contrario. E, coerentemente a ciò, Francoforte e Bruxelles apprezzano lo "sforzo" riformatore insito nel Jobs Act italiano di Renzi.
A rendere il quadro meno fosco è intervenuta la caduta del prezzo del petrolio, che rischia tuttavia di ripercuotersi assai negativamente sulla ripresa statunitense in gran parte dovuta al successo del fracking dei cowboys americani.5 Attenzione: l'eurozona è il primo partner commerciale degli Stati Uniti e la restrizione della loro capacità importativa peggiorerebbe le prospettive esportative alle quali l'Europa si affida.
Un semestre europeo non ufficiale
Il semestre europeo a presidenza italiana, scaduto da poco, è stato oggetto di inutile retorica. Non ha lasciato che un esile segno. In compenso la vittoria di Syriza alle elezioni greche introduce un periodo di circa sei mesi, sino alla prossima estate, di ben più rilevante importanza.

Rinegoziare il debito greco?
Esso è stato rifinanziato con un prestito del Fondo salva Stati [vedi grafico e riquadro], al principale scopo di togliere le castagne dal fuoco alle banche del Nord, piene di titoli "spazzatura" ellenici. La Grecia non era e non è in grado di ripagare il debito (problema di insolvenza), ma le fu prestato denaro (problema di liquidità) per pagare interessi su debiti detenuti, però, non più da privati ma di fatto dagli Stati dell'eurozona. Essi sono presenti nel Fondo salva Stati in proporzioni simili alle quote di capitale detenute in Bce. Alla erogazione dei prestiti sono state associate pesanti e traumatiche condizioni per il popolo greco; la sua ricontrattazione si pone in contraddizione non più con gli istituti finanziari privati, bensì con le compatibilità fiscali pubbliche dei singoli Paesi membri. Un esito voluto dal caso?
Questi ultimi, ora, paventano all'opinione pubblica dei rispettivi Paesi possibili insolvenze, quando esse avrebbero dovuto ricadere sugli incauti investitori privati. Una rapida occhiata all'informazione main stream tedesca di questi giorni, può rendere l'idea di come si vada fomentando nazionalismo e razzismo anche tra popoli europei.
Dentro l'euro?
Alla comprensione della maggiore forza politica greca possono giovare la conoscenza sia del suo programma [vedi riquadro sotto], sia le sue dinamiche interne.
Costas Lapavitsas, economista di Syriza, in un intervista rilasciata ad un quotidiano italiano,6 dichiarava: «Grosso modo siamo divisi in due correnti. La prima, maggioritaria, ritiene che l'eurozona possa migliorare dall'interno, avendo una buona gestione degli scambi, un allentamento fiscale e la cancellazione dei debiti con contemporaneo incremento degli investimenti pubblici.» E la seconda «Pensa sia più conveniente lo smantellamento dell'euro con il default dei Paesi più indebitati. Un po' sul modello argentino. Io mi riconosco più in questa linea.»
L'intervista parte da una constatazione: «Vero [Pil a +0,7%, ndr], l'economia si è stabilizzata, ma è la stabilità del cimitero (...).» Proseguendo: «Il programma della troika è una via senza uscita. La Grecia è fallita. Le imprese pubbliche e private non possono lavorare solo per pagare gli interessi. Non si permettono investimenti, ricerca, sviluppo, solo un lento declino. Unica soluzione: tagliare il debito.» In assenza di questa soluzione: «I soldi in arrivo [dei prestiti, ndr] servono solo a pagare gli interessi. Non ce li daranno? Peggio per loro. Noi potremmo finanziarci in vari modi fino a giugno, luglio. Poi se non ci sarà ancora un accordo sul debito, ognuno andrà per la sua strada. E addio euro.»
In altri termini, la Grecia, messa con le spalle al muro, pone l'Eurozona di fronte al dilemma: o soddisfare le istanze del governo Tsipras, oppure spingere la Grecia a fare a meno dell'euro.
Facile è prevedere che dalle capitali europee si tenteranno mille mediazioni e manovre, anche le meno "convenzionali", pur di indurre i nuovi interlocutori a dividersi, contraddirsi e cedere. Ma non si farebbe che rimandare la resa dei conti. In autunno l'attesa tornata elettorale iberica potrebbe riproporre, con l'eventuale vittoria di Podemos, la stessa situazione con un protagonista, la Spagna, di peso ancora maggiore.
D'altro canto, le richieste greche ed eventualmente spagnole, qualora venissero rigettate e, conformemente ai desideri dei poteri forti centrali, indurre alla sconfitta delle forze politiche che se ne sono fatte carico, provocherebbero nei Paesi periferici ulteriore instabilità e pericolose derive. È questo che vogliono a Francoforte e Bruxelles, a Berlino e Parigi?
I furbetti italiani che pensano di approfittare del ruolo di rottura assunto dalla Grecia, senza esporsi (ti seguo, ma vai avanti tu per primo...), possono disporre di una comunicazione sempre plaudente al potere dominante, ma non scansare i boomerangs di ritorno.
C'è dell'altro
Nel programma economico di Syriza la riforma dei rapporti di scambio intra-europei è strettamente correlata alla cancellazione del debito e agli investimenti pubblici. Questi ultimi non possono partire se rimane il cappio del debito, a sua volta continuamente generato dagli squilibri degli scambi con l'estero. Una "buona gestione degli scambi" suppone l'inversione della tendenza strutturale alla deindustrializzazione presente in tutte le aree periferiche. Da essa dipende il riequilibrio della bilancia commerciale e dei conti con l'estero,7 anche e tanto più della Grecia. La dismisura dei debiti privati e pubblici da quegli squilibri deriva.
Pertanto, se è necessario affrontare da subito l'emergenza congiunturale, a partire dalla crisi umanitaria, occorrerà rimuovere con il debito anche le cause di esso. Altrimenti, come un tumore, ricrescerà. Al punto in cui è giunta la Grecia il passaggio di ricontrattazione interna all'Eurozona appare come la via breve ed inevitabile. Tuttavia, rimane da capire come la soluzione dei problemi posti possa avvenire nel quadro dell'euro. Esso non è solo moneta unica, è un vero e proprio metodo di governo.8
Un governo che ha visto prevalere oligarchie finanziarizzate ben tutelate politicamente dalle élites di Bruxelles e Francoforte, a loro volta supportate dai governi del Centro, con a capo il governo tedesco. Nell'attuale fallimento di quella che è stata definita la poliarchia europea,9 ovvero di un governo sovrappostosi di prepotenza alla democrazia dei popoli chiusi nei limiti delle finora depotenziate sovranità territoriali, accanto alla questione sociale si insinua la contraddizione tra Stati nazionali. Del centro verso quelli periferici, nonché, in questi ultimi, tra regioni diversamente svantaggiate dalla storia e dalla crisi economica. In Italia, ad esempio, al Mezzogiorno si sono aggiunte le aree i cui distretti produttivi, anche al Nord, sono stati più duramente colpiti dal biennio 2007-2008 in poi.
Destrutturazione
Vale constatare che a fronte di scelte di tale complessa e complessiva rilevanza, l'Europa non esista in quanto Unione politica, e, per giunta, non possieda una cultura politica unitaria. Proprio nel momento in cui l'insorgenza greca mette in luce la natura politica della crisi.
Molte volte s'è ripetuto che "i buoi stanno dietro al carro". Rimarrebbe da capire chi, e su quale via, li metterà davanti, riuscendo a trainare il vecchio continente in tempi brevi fuori dalle contraddizioni nelle quali è stato impantanato.
A meno di miracolosi eventi quel carro, se fosse desiderabile salvarlo, per trarlo dall'impaccio dovrà essere smontato. Fuor di metafora: l'Eurozona e la stessa Unione europea dovranno attraversare una fase di destrutturazione per ambire a ricostruirsi su un terreno più solido, in grado di reggerne l'avanzamento. Prenderne atto è il primo passo.
1 A dicembre -0,2% su base annua per l'Europa a 18.
2 Negli USA le imprese di finanziano con obbligazioni a lungo termine e mutui trentennali. Il calo dei costi ha effetti immediati.
3 Security Market Program per 220 miliardi (2011) e prestito di 1.000 miliardi della Bce alle banche europee (dicembre 2011 - febbraio 2012).
4 I dati dell'ultimo trimestre 2014 Usa sembrano confermare le criticità evidenziata nel Blog, vedi articolo "La ripresa statunitense".
5 Maurizio Ricci, la Repubblica Affari & Finanza, 26/01/2015.
6 Andrea Nicastro, Corriere della Sera, 26/01/2015.
7 Vladimiro Giacché, Titanic Europa, Aliberti, 2012, pagg. 69 e 81.
8 Alberto Bagnai, L'Italia può farcela, il Saggiatore, 2014, pag. 130.
9 Giulio Sapelli, Economia e Finanza, 27/01/2015, www.ilsussidiario.net
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Il programma di Syriza (in pillole)
    Obiettivo primo: rinegoziare il peso del debito arrivato a più del 175% del Pil greco. Il modello evocato è quello della Conferenza di Londra del 1953 con cui i paesi occidentali vennero incontro alla Germania e al suo mostruoso debito estero accumulato con le due guerre.
    Inoltre, sulla base del "Contratto di Salonicco" dal costo complessivo di 11,3 miliardi di euro:
    1. Crisi umanitaria. Fornitura di elettricità gratuita a 300 mila famiglie sotto la soglia di povertà; cure mediche e farmaceutiche accessibili a tutti; casa per circa 30 mila famiglie; 13a alle pensioni inferiori a 700 €/mese; misure per la gratuità dei trasporti pubblici; ribasso dell'Iva sul gasolio da riscaldamento (con finalità ecologiche); parziale € 1,88 miliardi.
    2. Ripartenza dell'economia. Composizione dei contenziosi legali fiscali per redditi modesti, famiglie e piccole imprese; soppressione della nuova imposta sul patrimonio immobiliare (Enfia) che colpisce i piccoli patrimoni e sua sostituzione con una imposta progressiva immobiliare, prima casa esente; esenzione fiscale dei redditi fino a 12 mila €; cancellazione dei debiti privati per i cittadini al di sotto della soglia di povertà, ecc.; istituzione di banca di sviluppo nazionale; salario minimo a 751 €/mese; parziale di € 6,5 miliardi.
    3. Lavoro. Ripristino della legislazione abrogata dalla Troika (contratti nazionali e protezione dai licenziamenti); grande progetto per 300 mila nuovi posti di lavoro nel settore pubblico e nell'economia solidale; ampliamento dell'assegno di disoccupazione (oggi solo per il 10% dei senza-lavoro).
    4. Rifondazione civica dello Stato e delle istituzioni. Ampliamento della democrazia; riforma dei governi locali e della rappresentanza parlamentare; riduzione delle immunità parlamentare e ministeriale; leggi popolari e referendum; più libertà e diritti di informazione, rifondazione della Ert, TV pubblica soppressa dal governo precedente.
    5. Copertura economica. 3 miliardi di entrate fiscali dal rilancio dell'economia. 3 miliardi da lotta all'evasione, soppressione dei privilegi fiscali, divieto di trasferire capitali all'estero, lotta al contrabbando di carburante, ecc. 3 miliardi dalla riallocazione delle risorse dei programmi europei. 3 miliardi dalla riallocazione delle risorse del Fondo di stabilità finanziaria. Totale 12 miliardi.
    Infine, soppressione del debito estorto dalla Germania nazista durante l'occupazione 1941-44, per 160 miliardi, non ancora cancellato.
    [da Salvatore Cannavò, il Fatto Economico, 14/01/2015]


Nessun commento:

Posta un commento