sabato 21 febbraio 2015

Immigrazione: una risposta

Riccardo Bernini - febbraio 2015

Gramigna  Pianta infestante. Può essere usata a scopi terapeutici.

[Clicca sul titolo se vuoi scaricare l'articolo in formato PDF.]

Mi è stata chiesta maggiore chiarezza a proposito dell'immigrazione. Provo a farla in modo sintetico, rimandando, per il discorso esteso, a quanto già scritto.
Rifiuto xenofobo e "umanitarismo" sono, a mio avviso, due facce della stessa medaglia politica. Entrambe negano la radice del fenomeno, perché esprimono un'unica tendenza conservatrice degli assetti sistemici attuali, anche a costo di guerre ed avventure autoritarie.
Alla radice dei grandi flussi migratori verso i Paesi ricchi (in primis Stati Uniti ed Europa) c'è la penetrazione su grande scala del capitalismo nelle campagne dei Paesi poveri del mondo, sull'onda della globalizzazione. Espulsi dalle aree rurali, in cerca di sostentamento, milioni di persone si addensano nelle città, dando vita a immense bidonvilles, periferie spesso degradate, più estese e popolate dei nuclei urbani originari. Al tempo stesso, la disgregazione delle società tradizionali (e pure degli Stati) produce aspri conflitti interni, sicché alla povertà si aggiunge ogni possibile devastazione umana. Inevitabile la fuga alla ricerca di una via di scampo e/o di un futuro vivibile. Negli anni, se anche solo una percentuale ridotta di questa umanità raggiungerà Paesi come l'Italia, l'attuale impatto sarà poca cosa...
Nessuna società può reggere intatta ad un grande flusso immigratorio.
Le forze politiche xenofobe, razziste e fasciste vogliono erigere un filo spinato attorno ai territori nazionali e continentali. Non è una soluzione e conduce, nel migliore dei casi, a stragi d'ignavia (per annegamento, fame, assideramento).
I poteri costituiti d'Europa e d'Italia, sociali e politici, oscillano tra una limitazione dei flussi, che vorrebbero graduali e ordinati, pratiche escludenti e pelose accoglienze. Si vestono di un manto umanitario per nascondere, malamente, l'interesse ad approfittare dei flussi per allargare l'esercito della mano d'opera di riserva e mettere poveri residenti contro poveri immigrati. Cianciano di coesione territoriale, ma praticano la stratificazione conflittuale delle esclusioni.
Per entrambi l'importante è non mettere in discussione il sistema internazionale che genera il problema e preservare le proprie "isole felici". Infatti, quando si tratta di ricorrere all'interventismo armato, nel vano tentativo di ripristinare il loro traballante ordine mondiale, sfuma la differenza tra le componenti politiche di "destra" e di "sinistra", sino a sparire. Senonché questi interventi si traducono in nuova disgregazione e disperazione, accentuando l'impeto dei flussi... È la storia recente dei nostri rapporti con il Corno d'Africa ed il Medio Oriente.
Registrando, sul piano europeo, il fallimento dei modelli d'integrazione (Francia) e multietnici (Regno Unito), chiedo: l'Italia vuole ripetere, seppure con proprie modalità, l'esperienza di questi fallimenti o voltare pagina?
Perciò propugnavo "il doloroso parto": di una nuova identità, data dalla condivisione piena con i nuovi arrivati e, al contempo, dall'azione politica per nuovi rapporti internazionali che, riconoscendo un mondo multipolare e l'esigenza di scambi riequilibrati delle produzioni agricole, consenta ai popoli di vivere sulla terra di nascita.
D'altro canto, non abbiamo avuto nella nostra storia successivi e diversi modi di vivere l'identità nazionale? E in quelle fasi storiche ad un nostro modo di riconoscerci, scontrandoci, non abbiamo fatto corrispondere una diversa visione delle relazioni col mondo?
Certo, questo significa avviare un radicale cambiamento complessivo, cominciando con la rottura del modello unico. Ma le alternative che scorgo non mi sembrano né realistiche, né preferibili, per usare un eufemismo.

Nessun commento:

Posta un commento