giovedì 22 novembre 2018

Il tabù della nazione

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Il tabù della nazione

La questione nazionale rimossa e sconnessa dalla questione sociale. Patriottismo e nazionalismo. Internazionalismo uguale a globalismo? Domenico Moro e Toni Negri: due posizioni divergenti sulle quali riflettere.
Concludevo l'articolo “Perché la sinistra ha perso il suo popolo”, denunciando la mancanza, anche nella sinistra non PD, sia parlamentare che extra-parlamentare, del necessario collegamento tra questione sociale e questione nazionale.
La scomparsa della nazione, o la sua riduzione a mero deteriore nazionalismo, è conseguenza della adesione al globalismo cosmopolita, ovvero alla ideologia della globalizzazione, scambiata per internazionalismo.
Al contrario l'inter-nazionalismo, come si desume dalla parola stessa, suppone la nazione, che sebbene non esista in natura, nondimeno è reale in quanto prodotto storico, politico e culturale, nel quale si agita lo scontro sociale. Rimuovere la nazione significa rimuovere un luogo concreto di questo scontro.
Il rimosso
La questione nazionale subisce un rifiuto preconcetto. É quanto si propone di dimostrare Domenico Moro, nel suo ultimo libro “La gabbia dell'euro. Perché uscirne è internazionalista e di sinistra” (Imprimatur, 2018).
Domenico Moro
Come annota Mimmo Porcaro:
«L'operazione di Moro è molto semplice, e proprio per questo va al centro del problema. Consiste nel ricondurre la questione della nazione (e della sovranità, e dello stato) ai suoi reali termini storico-filosofici, superando il riflesso condizionato che porta la sinistra a quella immotivata catena di equivalenze che fa associare sempre e comunque la nazione al nazionalismo e questo al fascismo.»1
Infatti, per quale motivo si finisce per accettare la moneta unica, pur criticando l'Europa dei Trattati? Cosa impedisce di volerne uscire?
Domenico Moro colpisce nel segno quando scrive:
«Tra le motivazioni politico-ideologiche la principale è quella che ritiene l'uscita dall'euro politicamente e storicamente regressiva, perché rappresenterebbe il ritorno alla nazione.»2
Sicché Mimmo Porcaro conclude che Moro ha il coraggio di svelare il tabù della odierna sinistra:
«il vero innominabile, il rimosso, il riassunto di tutto ciò che non è politically correct: la questione nazionale.»3
Perciò prevale l'idea che una decostruzione dell'Unione europea, l'Europa di oggi, inevitabile preludio ad una sua eventuale ricostruzione su base cooperativa e socializzante, costituisca un “regresso” rispetto ad un supposto “progresso”.
Dal dibattito politico e dalle distinzioni di pensiero è sparita la storia del nazionalismo, del suo dividersi almeno in due grandi correnti:
  1. di autoesaltazione retorica della nazione, di ispirazione identitaria (anche su base etnica), fascista e razzista; veste ideologica della volontà di supremazia e sopraffazione imperialista, ma al contempo della subalternità alla sopraffazione;
  2. di sovranità popolare e libertà democratica, socializzante; di uguaglianza tra le nazioni e di Resistenza contro ogni egemonismo, per una effettiva cooperazione internazionale su basi paritarie.
Per nascondere questa sparizione, i fautori del globalismo cosmopolita bandiscono qualsivoglia riferimento alla “questione nazionale” come retrivo nazionalismo, sovranismo della peggior specie, odio xenofobo dello straniero immigrato, ritorno alla logica dello scontro tra Stati-nazione. Ogni rivendicazione nazionale va messa all'indice e con essa, ça va sans dire, la storia universale del fertile rapporto, in nome del socialismo, tra movimento operaio e movimenti di liberazione nazionale.
Questione di nomi?
Ricorre sovente nel dibattito attuale sulla nazione la celebre frase di Charles De Gaulle, presidente della Francia dal gennaio 1959 all'aprile 1969:
«Patriottismo è amare il proprio paese. Nazionalismo è detestare quello degli altri.»4
Un'affermazione condivisibile, che corrisponde alla bipartizione poc'anzi definita, semplicemente denominando “nazionalismo” la prima corrente e “patriottismo” la seconda.
Tuttavia, ad un esame più approfondito, il riferimento al modo di sentire negativo, dell'odio nazionalistico rispetto a quello positivo dell'amore patriottico, se disgiunto dalla sostanza politica e sociale, mostra ampi margini di ambiguità e fraintendimento.
Infatti, nel racconto della storia europea non di rado il nazionalismo è scambiato per patriottismo e ciò che è patriottismo per un Paese, è nazionalismo per l'altro. In particolare se si interpretano i due conflitti mondiali come una unica lunga guerra durata trent'anni.
Prendiamo ad esempio il modo di intendere il primo conflitto, la Grande Guerra, e la partecipazione ad essa dell'Italia.
Tuttora questa partecipazione è ritenuta dalla storiografia ufficiale come una scelta patriottica, resa necessaria per il compimento del Risorgimento e dell'unità nazionale. All'opposto, l'intervento nel conflitto dello Stato italiano può, a ragione, venire qualificato come scelta nazionalistica, se si tiene conto dei motivi reali, sostanziali, per i quali tale scelta fu fatta ed imposta.
Come ha scritto lo storico Angelo del Boca,5 il ricongiungimento alla madre-patria degli italiani sotto il dominio austro-ungarico, motivo patriottico ufficiale della scelta, poteva essere ottenuto tramite il negoziato e la neutralità. Sicché la “inutile strage” che ci costò inaudite sofferenze e ben 600.00o morti, potevano essere evitati.
Perché, invece, le classi dirigenti nazionali, malgrado l'avversione della maggioranza del popolo italiano, decisero altrimenti?
Trascurando i motivi reali, sostanziali, che spinsero a tale decisione, consistenti nella volontà del capitalismo e dello Stato italiani di assumere un ruolo primario nella contesa europea e mondiale tra imperialismi, sedendo al “tavolo dei grandi” del tempo, non si comprende l'essenziale di quella scelta nazionalistica e solo patriottica per giustificarla. Così come non si comprende il mettere radici del fascismo tramite l'interventismo bellico. E, tantomeno, si capisce il successivo tentativo di porre rimedio al mancato accoglimento a pieno titolo dell'Italia tra quelle grandi potenze, ai fini della spartizione imperialista (ragione effettiva per la quale il fascismo gridò alla “vittoria mutilata”), tramite un secondo conflitto. Questa volta a fianco dei nemici del primo conflitto, uniti dalla volontà di “rivincita”.
In altri termini, se il nazionalismo ed il patriottismo perdono la loro sostanza socio-economica, di classe, nonché l'essere il primo la veste dell'egemonismo imperialista ed il secondo l'autodifesa dei popoli da tale egemonismo, la loro differenziazione scade nel nominalismo, ovvero in una questione di nomi.
Mutterland6
In sintonia con il Emmanuel Macron, Mutti7 Merkel ha sostenuto che il ritorno al nazionalismo dello Stato-nazione equivale al ritorno alla guerra in Europa. Dovremmo, pertanto, dare stabilità e continuità all'attuale assetto europeo, se non vogliamo precipitare di nuovo nel baratro. Sulle prime, alla smemorata cancelliera, Kanzlerin, viene da ricordare che in Europa la guerra è già ritornata: ieri nella ex Jugoslavia ed ora in Ucraina. Viene pure da ricordare che tali guerre non avrebbero avuto luogo:
  • qualora gli Stati europei occidentali, in aperta reciproca rivalità, non avessero praticato la politica dei riconoscimenti delle patrie etnico-confessionali, mirato al disfacimento della Jugoslavia, spingendola nel baratro della guerra fratricida;
  • l'Unione europea, Germania in testa, non avesse spinto il nazionalismo ucraino, che non a caso ha innalzato ad eroe del proprio passato il nazista Stepan Andrijovič Bandera, in rotta di collisione con la Federazione Russa.
  • D'altro canto, all'indomani della caduta del muro di Berlino, l'espansione egemonica verso Est dell'Occidente europeo, in collaborazione-concorrenza con gli Stati Uniti e sotto il manto militare della Nato, non ha esitato a fare leva sui più retrivi nazionalismi (anche apertamente fascisti), salvo fingere di lamentarsene perché ora se li ritrova “sovranisti” nell'Unione.8
Carta di Laura Canali, 2017
http://www.limesonline.com/rubrica/v-limes-festival-europa-non-europa-europa-tedesca
Inoltre, i governi europei del Centro a guida tedesca continuano a praticare un nazionalismo mascherato, quando, tramite vari meccanismi di assai dubbia “neutralità tecnica”, in violazione della sovranità democratica di ciascun Paese, impongono nuove forme di egemonismo in campo economico, finanziario e monetario. A meno che, come viene regolarmente fatto e sarebbe ancor più grave indizio di nazionalismo, non si voglia imputare il progressivo impoverimento e distacco dei Paesi mediterranei alla propensione “pigra e dissipatrice” dei loro popoli, mentre, viceversa, il temporaneo successo della Germania sarebbe dovuto alla superiore “laboriosità, disciplina e diligenza” dei tedeschi.
Quanto a nazionalismi della peggior specie, come classificare il comportamento della Francia in occasione della guerra libica, allorché Sarkosy, come ebbe a dire Romano Prodi, la dichiarò “per interposta persona” contro l'Italia?
Ecco un solido motivo per dubitare che un'eventuale esercito europeo, notoriamente nei sogni dell'attuale presidente francese, possa assumere esclusivamente un ruolo difensivo.
Spossessamenti
A partire dagli anni ottanta, nel vario disperdersi del movimento dei Paesi non-allineati e nella disgregazione dell'Urss e del suo blocco, il capolavoro dei think tanks della restaurazione liberista fu di trasformare l'avversione al nazionalismo ed al militarismo in avversione tout court alla nazione, alla sovranità nazionale e persino alle frontiere intese come bordi fisici, membrane osmotiche dei corpi territoriali. Quasi che la libera circolazione del capitale, compreso quello “umano” dei migranti sradicati dai luoghi d'origine, potesse coincidere con l'internazionalismo, l'aspirazione dei popoli a “pace, pane e lavoro”. In realtà il liberalismo aveva di mira la sovranità dei popoli sui loro territori. Voleva il loro “spossessamento” attraverso l'instaurazione di organismi e regole sovranazionali. Perciò, per così dire, bisognava sottrarre sovranità ai territori per sottrarla ai popoli che sopra ci vivono.
Alla restaurazione liberista poteva contribuire l'affermazione del globalismo cosmopolita.
Una sua variante di sinistra riduceva ogni riferimento alla nazione a manifestazione di regressivo nazionalismo, ritenendo:
«che il ritorno alla nazione, oltre che di destra, sia inadeguato allo svolgimento di lotte efficaci e sia persino antistorico, a causa della dimensione ormai globale raggiunta dal capitale.»9
Sostenitore di questa variante è Toni Negri che, annota Moro, come arride alla globalizzazione, considerandola “una grande vittoria proletaria”, non esita a spregiare l'identità nazionale quale “barbara” modalità di vita.10
Fra le due cose c'è intima connessione.
Se scompare l'imperialismo, scompare la necessità del suo antidoto. Perde ogni validità politica la lotta nazionale per la liberazione-indipendenza da tutte le espressioni egemoniche concrete, attuate da stati o gruppi di stati, potentemente armati, in funzione degli interessi dei loro capitali.
Toni Negri
Infatti, per Negri esiste solo un Impero globale senza imperialismo, ragione per cui anche l'autodifesa nazionale diventa “impensabile” senza scadere inevitabilmente nel nazionalismo barbarico.
Si consideri poi che l'Impero di Negri aleggia dalla ionosfera sul globo “per succhiarne l'energia vitale”, non più sfruttando il lavoro reale benché spesso immateriale, ma umane attività tanto innumerevoli quanto indeterminate. Per Negri il capitale ha di fronte a sé nient'altro che una indistinta moltitudine di individualismi in rete, ragione per cui alla scomparsa dell'imperialismo e della lotta nazionale dovremmo aggiungere pure la scomparsa delle classi e della lotta di classe.11
La costante di Negri, portato a disancorare l'astratto dal concreto per costruire elaborazioni vieppiù complesse ma straordinariamente coincidenti col pensiero dominante, ebbe modo già negli anni settanta di gettare divisione nel movimento dell'opposizione operaia, teorizzando una contrapposizione tra lavoratori “garantiti” e “non garantiti”, con tanto di inno al “rifiuto del lavoro”.
Era il tempo in cui Negri palesò paranormali doti di medium, dicendosi capace di sentire il “calore della comunità operaia e proletaria”, tutte le volte che si calava il passamontagna...
D'altro canto ad Antonio Negri non si può certo rimproverare la mancanza di coerenza. Poco prima delle elezioni dello scorso 4 marzo, giunse al punto di auspicare che Bruxelles e un Gentiloni o un Padoan prendessero in mano le redini del governo italiano per salvare il bene supremo dell'euro, quasi fosse anch'esso una grande conquista del proletariato.12
Nella sua presa di posizione si trova peraltro conferma, ve ne fosse il bisogno, di quanto il sistema euro non sia che la traduzione in chiave continentale della globalizzazione liberista.
Note
1 Mimmo Porcaro, Nominare la nazione: l’ultimo libro di Domenico Moro, http://www.socialismo2017.it/, 27 febbraio 2018,
2 Domenico Moro, “La gabbia dell'euro. Perché uscirne è internazionalista e di sinistra”, Imprimatur 2018, pag. 10.
3 Mimmo Porcaro, “Nominare la nazione: l'ultimo libro di Domenico Moro”, http://www.socialismo2017.it/, 2018.
4 «Le patriotisme, c'est aimer son pays. Le nationalisme, c'est détester celui des autres.»
5 Angelo del Boca, “Italiani bava gente”, Neri Pozza editore, 2005.
6 In italiano madrepatria (la più corrispondente parola “matria” non esiste nel nostro vocabolario). In Italia come in Germania la parola più usata è patria, in tedesco Vaterland.
7 Mamma, com'è familiarmente chiamata in Germania.
8 I Paesi dell'Est europeo sono anche paradisi fiscali per i gruppi tedeschi, come scrive Federico Fubini, “I nuovi paradisi dell'Est Europa con aliquote 'zero virgola'”, Corriere della Sera, 12/2/2018.
9 Domenico Moro, “La gabbia dell'euro. Perché uscirne è internazionalista e di sinistra”, Imprimatur 2018, pag. 10.
10 Se il linguaggio non mente, tra barbari e Roma Toni Negri non ha dubbi: sempre dalla parte di Roma.
11 Sul tema è d'obbligo fare riferimento a Carlo Formenti, “Felici e sfruttati – Capitalismo digitale ed eclissi del lavoro”, Egea, 2011.
12 Intervista di Francesco Oggiano, “Toni Negri: «Sinistra polverizzata. Ci salveranno i poteri forti», Vanity Fair, 29/01/2018.
Oggiano: «Lei chi voterebbe?
Negri: «Nessuno, mi fa schifo votare questo sistema di partiti. Spero che un Gentiloni o un Padoan di turno prendano in mano il Governo. Altrimenti salta anche l’euro italiano».


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