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Il tabù della nazione
La
questione nazionale rimossa e sconnessa dalla questione sociale.
Patriottismo e nazionalismo.
Internazionalismo uguale a globalismo? Domenico Moro e Toni Negri:
due posizioni divergenti sulle quali riflettere.
Concludevo
l'articolo “Perché la sinistra ha perso il suo popolo”,
denunciando la mancanza, anche nella sinistra non PD, sia
parlamentare che extra-parlamentare, del necessario collegamento tra
questione sociale e questione nazionale.
La
scomparsa della nazione, o la sua riduzione a mero deteriore
nazionalismo, è conseguenza della adesione al globalismo
cosmopolita, ovvero alla ideologia della globalizzazione, scambiata
per internazionalismo.
Al
contrario l'inter-nazionalismo, come si desume dalla parola stessa,
suppone la nazione, che sebbene non esista in natura, nondimeno è
reale in quanto prodotto storico, politico e culturale, nel quale si
agita lo scontro sociale. Rimuovere la nazione significa rimuovere un
luogo concreto di questo scontro.
Il
rimosso
La
questione nazionale subisce un rifiuto preconcetto. É quanto si
propone di dimostrare Domenico Moro, nel suo ultimo libro “La
gabbia dell'euro. Perché uscirne è internazionalista e di sinistra”
(Imprimatur, 2018).
Domenico Moro |
Come
annota Mimmo Porcaro:
«L'operazione
di Moro è molto semplice, e proprio per questo va al centro del
problema. Consiste nel ricondurre la questione della nazione (e della
sovranità, e dello stato) ai suoi reali termini storico-filosofici,
superando il riflesso condizionato che porta la sinistra a quella
immotivata catena di equivalenze che fa associare sempre e comunque
la nazione al nazionalismo e questo al fascismo.»1
Infatti,
per quale motivo si finisce per accettare la moneta unica, pur
criticando l'Europa dei Trattati? Cosa impedisce di volerne uscire?
Domenico
Moro colpisce nel segno quando scrive:
«Tra
le motivazioni politico-ideologiche la principale è quella che
ritiene l'uscita dall'euro politicamente e storicamente regressiva,
perché rappresenterebbe il ritorno alla nazione.»2
Sicché
Mimmo Porcaro conclude che Moro ha il coraggio di svelare il tabù
della odierna sinistra:
«il
vero innominabile, il rimosso, il riassunto di tutto ciò che non è
politically correct: la questione nazionale.»3
Perciò
prevale l'idea che una decostruzione dell'Unione europea, l'Europa di
oggi, inevitabile preludio ad una sua eventuale ricostruzione su base
cooperativa e socializzante, costituisca un “regresso” rispetto
ad un supposto “progresso”.
Dal
dibattito politico e dalle distinzioni di pensiero è sparita la
storia del nazionalismo, del suo dividersi almeno in due grandi
correnti:
- di autoesaltazione retorica della nazione, di ispirazione identitaria (anche su base etnica), fascista e razzista; veste ideologica della volontà di supremazia e sopraffazione imperialista, ma al contempo della subalternità alla sopraffazione;
- di sovranità popolare e libertà democratica, socializzante; di uguaglianza tra le nazioni e di Resistenza contro ogni egemonismo, per una effettiva cooperazione internazionale su basi paritarie.
Per
nascondere questa sparizione, i fautori del globalismo cosmopolita
bandiscono qualsivoglia riferimento alla “questione nazionale”
come retrivo nazionalismo, sovranismo della peggior specie, odio
xenofobo dello straniero immigrato, ritorno alla logica dello scontro
tra Stati-nazione. Ogni rivendicazione nazionale va messa all'indice
e con essa, ça va sans dire, la storia universale del fertile
rapporto, in nome del socialismo, tra movimento operaio e movimenti
di liberazione nazionale.
Questione
di nomi?
Ricorre
sovente nel dibattito attuale sulla nazione la celebre frase di
Charles De Gaulle, presidente della Francia dal gennaio 1959
all'aprile 1969:
«Patriottismo
è amare il proprio paese. Nazionalismo è detestare quello degli
altri.»4
Un'affermazione
condivisibile, che corrisponde alla bipartizione poc'anzi definita,
semplicemente denominando “nazionalismo” la prima corrente e
“patriottismo” la seconda.
Tuttavia,
ad un esame più approfondito, il riferimento al modo di sentire
negativo, dell'odio nazionalistico rispetto a quello positivo
dell'amore patriottico, se disgiunto dalla sostanza politica e
sociale, mostra ampi margini di ambiguità e fraintendimento.
Infatti,
nel racconto della storia europea non di rado il nazionalismo è
scambiato per patriottismo e ciò che è patriottismo per un Paese, è
nazionalismo per l'altro. In particolare se si interpretano i due
conflitti mondiali come una unica lunga guerra durata trent'anni.
Prendiamo
ad esempio il modo di intendere il primo conflitto, la Grande Guerra,
e la partecipazione ad essa dell'Italia.
Tuttora
questa partecipazione è ritenuta dalla storiografia ufficiale come
una scelta patriottica, resa necessaria per il compimento del
Risorgimento e dell'unità nazionale. All'opposto, l'intervento nel
conflitto dello Stato italiano può, a ragione, venire qualificato
come scelta nazionalistica, se si tiene conto dei motivi reali,
sostanziali, per i quali tale scelta fu fatta ed imposta.
Come
ha scritto lo storico Angelo del Boca,5
il ricongiungimento alla madre-patria degli italiani sotto il dominio
austro-ungarico, motivo patriottico ufficiale della scelta, poteva
essere ottenuto tramite il negoziato e la neutralità. Sicché la
“inutile strage” che ci costò inaudite sofferenze e ben 600.00o
morti, potevano essere evitati.
Perché,
invece, le classi dirigenti nazionali, malgrado l'avversione della
maggioranza del popolo italiano, decisero altrimenti?
Trascurando
i motivi reali, sostanziali, che spinsero a tale decisione,
consistenti nella volontà del capitalismo e dello Stato italiani di
assumere un ruolo primario nella contesa europea e mondiale tra
imperialismi, sedendo al “tavolo dei grandi” del tempo, non si
comprende l'essenziale di quella scelta nazionalistica e solo
patriottica per giustificarla. Così come non si comprende il mettere
radici del fascismo tramite l'interventismo bellico. E, tantomeno, si
capisce il successivo tentativo di porre rimedio al mancato
accoglimento a pieno titolo dell'Italia tra quelle grandi potenze, ai
fini della spartizione imperialista (ragione effettiva per la quale
il fascismo gridò alla “vittoria mutilata”), tramite un secondo
conflitto. Questa volta a fianco dei nemici del primo conflitto,
uniti dalla volontà di “rivincita”.
In
altri termini, se il nazionalismo ed il patriottismo perdono la loro
sostanza socio-economica, di classe, nonché l'essere il primo la
veste dell'egemonismo imperialista ed il secondo l'autodifesa dei
popoli da tale egemonismo, la loro differenziazione scade nel
nominalismo, ovvero in una questione di nomi.
Mutterland6
In
sintonia con il Emmanuel Macron, Mutti7
Merkel ha sostenuto che il ritorno al nazionalismo dello
Stato-nazione equivale al ritorno alla guerra in Europa. Dovremmo,
pertanto, dare stabilità e continuità all'attuale assetto europeo,
se non vogliamo precipitare di nuovo nel baratro. Sulle prime, alla
smemorata cancelliera, Kanzlerin, viene da ricordare che in
Europa la guerra è già ritornata: ieri nella ex Jugoslavia ed ora
in Ucraina. Viene pure da ricordare che tali guerre non avrebbero
avuto luogo:
- qualora gli Stati europei occidentali, in aperta reciproca rivalità, non avessero praticato la politica dei riconoscimenti delle patrie etnico-confessionali, mirato al disfacimento della Jugoslavia, spingendola nel baratro della guerra fratricida;
- l'Unione europea, Germania in testa, non avesse spinto il nazionalismo ucraino, che non a caso ha innalzato ad eroe del proprio passato il nazista Stepan Andrijovič Bandera, in rotta di collisione con la Federazione Russa.
- D'altro canto, all'indomani della caduta del muro di Berlino, l'espansione egemonica verso Est dell'Occidente europeo, in collaborazione-concorrenza con gli Stati Uniti e sotto il manto militare della Nato, non ha esitato a fare leva sui più retrivi nazionalismi (anche apertamente fascisti), salvo fingere di lamentarsene perché ora se li ritrova “sovranisti” nell'Unione.8
Carta
di Laura Canali, 2017
http://www.limesonline.com/rubrica/v-limes-festival-europa-non-europa-europa-tedesca
|
Quanto
a nazionalismi della peggior specie, come classificare il
comportamento della Francia in occasione della guerra libica,
allorché Sarkosy, come ebbe a dire Romano Prodi, la dichiarò “per
interposta persona” contro l'Italia?
Ecco
un solido motivo per dubitare che un'eventuale esercito europeo,
notoriamente nei sogni dell'attuale presidente francese, possa
assumere esclusivamente un ruolo difensivo.
Spossessamenti
A
partire dagli anni ottanta, nel vario disperdersi del movimento dei
Paesi non-allineati e nella disgregazione dell'Urss e del suo blocco,
il capolavoro dei think tanks della restaurazione liberista fu
di trasformare l'avversione al nazionalismo ed al militarismo in
avversione tout court alla nazione, alla sovranità nazionale
e persino alle frontiere intese come bordi fisici, membrane osmotiche
dei corpi territoriali. Quasi che la libera circolazione del
capitale, compreso quello “umano” dei migranti sradicati dai
luoghi d'origine, potesse coincidere con l'internazionalismo,
l'aspirazione dei popoli a “pace, pane e lavoro”. In realtà il
liberalismo aveva di mira la sovranità dei popoli sui loro
territori. Voleva il loro “spossessamento” attraverso
l'instaurazione di organismi e regole sovranazionali. Perciò,
per così dire, bisognava sottrarre sovranità ai territori per
sottrarla ai popoli che sopra ci vivono.
Alla
restaurazione liberista poteva contribuire l'affermazione del
globalismo cosmopolita.
Una
sua variante di sinistra riduceva ogni riferimento alla nazione a
manifestazione di regressivo nazionalismo, ritenendo:
«che
il ritorno alla nazione, oltre che di destra, sia inadeguato allo
svolgimento di lotte efficaci e sia persino antistorico, a causa
della dimensione ormai globale raggiunta dal capitale.»9
Sostenitore di questa
variante è Toni Negri che, annota Moro, come arride alla
globalizzazione, considerandola “una grande vittoria proletaria”,
non esita a spregiare l'identità nazionale quale “barbara”
modalità di vita.10
Fra le due cose c'è intima
connessione.
Se scompare l'imperialismo,
scompare la necessità del suo antidoto. Perde ogni validità
politica la lotta nazionale per la liberazione-indipendenza da tutte
le espressioni egemoniche concrete, attuate da stati o gruppi di
stati, potentemente armati, in funzione degli interessi dei loro
capitali.
Toni Negri |
Infatti, per Negri esiste
solo un Impero globale senza imperialismo, ragione per cui anche
l'autodifesa nazionale diventa “impensabile” senza scadere
inevitabilmente nel nazionalismo
barbarico.
Si
consideri poi che l'Impero di Negri aleggia dalla ionosfera sul globo
“per succhiarne l'energia vitale”, non più sfruttando il lavoro
reale benché spesso immateriale, ma umane attività tanto
innumerevoli quanto indeterminate. Per Negri il capitale ha di fronte
a sé nient'altro che una indistinta moltitudine di individualismi in
rete, ragione per cui alla scomparsa dell'imperialismo e della lotta
nazionale dovremmo aggiungere pure la scomparsa delle classi e della
lotta di classe.11
La
costante di Negri, portato a disancorare l'astratto dal concreto per
costruire elaborazioni vieppiù complesse ma straordinariamente
coincidenti col pensiero dominante, ebbe modo già negli anni
settanta di gettare divisione nel movimento dell'opposizione operaia,
teorizzando una contrapposizione tra lavoratori “garantiti” e
“non garantiti”, con tanto di inno al “rifiuto del lavoro”.
Era
il tempo in cui Negri palesò paranormali doti di medium,
dicendosi capace di sentire il “calore della comunità operaia e
proletaria”, tutte le volte che si calava il passamontagna...
D'altro
canto ad Antonio Negri non si può certo rimproverare la mancanza di
coerenza. Poco prima delle elezioni dello scorso 4 marzo, giunse al
punto di auspicare che Bruxelles e un Gentiloni o un Padoan
prendessero in mano le redini del governo italiano per salvare il
bene supremo dell'euro, quasi fosse anch'esso una grande conquista
del proletariato.12
Nella
sua presa di posizione si trova peraltro conferma, ve ne fosse il
bisogno, di quanto il sistema euro non sia che la traduzione in
chiave continentale della globalizzazione liberista.
Note
1
Mimmo Porcaro,
Nominare
la nazione: l’ultimo libro di Domenico Moro,
http://www.socialismo2017.it/,
27 febbraio 2018,
2
Domenico Moro, “La gabbia dell'euro. Perché uscirne è
internazionalista e di sinistra”, Imprimatur 2018, pag. 10.
3
Mimmo Porcaro, “Nominare la nazione: l'ultimo libro di Domenico
Moro”, http://www.socialismo2017.it/,
2018.
4
«Le
patriotisme, c'est aimer son pays. Le nationalisme, c'est détester
celui des autres.»
5
Angelo del Boca, “Italiani bava gente”, Neri Pozza editore,
2005.
6
In italiano madrepatria (la più corrispondente parola “matria”
non esiste nel nostro vocabolario). In Italia come in Germania la
parola più usata è patria, in tedesco Vaterland.
7
Mamma, com'è familiarmente chiamata in Germania.
8
I Paesi dell'Est europeo sono anche paradisi fiscali per i gruppi
tedeschi, come scrive Federico Fubini, “I nuovi paradisi dell'Est
Europa con aliquote 'zero virgola'”, Corriere della Sera,
12/2/2018.
9
Domenico Moro, “La gabbia dell'euro. Perché uscirne è
internazionalista e di sinistra”, Imprimatur 2018, pag. 10.
10
Se il linguaggio non mente, tra barbari e Roma Toni Negri non ha
dubbi: sempre dalla parte di Roma.
11
Sul tema è d'obbligo fare riferimento a Carlo Formenti, “Felici e
sfruttati – Capitalismo digitale ed eclissi del lavoro”, Egea,
2011.
12
Intervista di Francesco Oggiano, “Toni
Negri: «Sinistra polverizzata. Ci salveranno i poteri forti»,
Vanity Fair, 29/01/2018.
Oggiano:
«Lei
chi voterebbe?
Negri:
«Nessuno, mi fa schifo votare questo sistema di partiti. Spero che
un Gentiloni o un Padoan di turno prendano in mano il Governo.
Altrimenti salta anche l’euro italiano».
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