venerdì 4 dicembre 2015

Aut aut dell'ipocrisia

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AUT AUT dell'IPOCRISIA

- Nei dibattiti televisivi si discute più che mai di terrorismo e di grandi temi.
- Giornalisti e politici pongono Aut Aut, scelte drastiche di chiarezza ideale e politica, come se la “civiltà europea e occidentale”, in nome dei suoi “valori”, avesse titolo morale per imporle.
- Alla ricerca di risposte che coinvolgono le radici religiose Eugenio Scalfari evoca episodi biblici.
- Nel linguaggio qualche nesso di senso da recuperare criticamente.

Atti di obbedienza
Dagli schermi televisivi le affermazioni di un giornalista top possono pesare sugli orientamenti della pubblica opinione. In questo caso della parte ritenuta più informata, alla quale si rivolge Massimo Gramellini dagli studi di Che tempo che fa, trasmissione condotta da Fabio Fazio su RAI3.
Gramellini, ribadendo il concetto dalle colonne de La Stampa [vedi riquadro “La Stato anteposto al Corano”] su cui abitualmente scrive, non si limita a chiedere agli islamici d'Europa di dichiararsi altro e avversi al terrorismo scatenato in nome di Allah (Not in my name), rifiutandosi al richiamo identitario (l'Islam) del quale si vorrebbe avvalere lo stragismo jihadista. Non gli basta si attengano praticamente alle leggi del Paese ospitante (che si impongono, pena l'illegalità e la sanzione, indifferenti alle riserve mentali di chi non le rispetti): vuole l'atto di obbedienza. Chiede loro di aderire pubblicamente e compiutamente alla legge laica dello Stato occidentale, di mettere la Costituzione prima del Corano.
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Lo Stato anteposto al Corano


Massimo Gramellini esprime questa posizione da Fabio Fazio a Che tempo che fa (RAI3) e poi, il 21 novembre 2015, su La Stampa con un pezzo dal titolo:

Islam in piazza, quel che vorremmo sentire
Bene il «Not in my name», però non basta
(...)
«Il mondo a cui noi occidentali apparteniamo fin dalla nascita è il risultato di un percorso lungo e faticoso. Ci sono voluti secoli di scontri non solo dialettici per approdare a una società capace di separare la sfera statale da quella religiosa e di mettere la Costituzione davanti alla Bibbia. Non vogliamo tornare indietro. Chi viene a vivere qui è bene accetto, ma a sua volta deve accettare le regole di convivenza che ci siamo conquistati e che riguardano il diritto di divertirci come ci pare e di rispettare le donne e gli omosessuali. Nessuno pretende che i nuovi arrivati brucino le tappe (del resto anche tra i parlamentari indigeni c’è chi non ha ancora assimilato certi principi). Però sarebbe un primo passo in avanti straordinario se oggi in piazza, oltre a prendere le distanze dall’Isis, i musulmani prendessero esempio dall’elettrotecnico francese di religione islamica Bassem Breiki, che in un video ha detto chiaro e tondo come la Costituzione della Repubblica debba sempre venire prima del Corano, ottenendo quattro milioni di visualizzazioni in poche ore.»
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Ciò che vorrebbe sentire l'editorialista de La Stampa e di Che tempo che fa, al di là del linguaggio e del riferimento al video dell'elettrotecnico francese Bassem Breiki, non è né d'importanza secondaria né ingenuo. A partire dalla dissociazione dal terrorismo jihadista, propone l'adesione ideologica dei musulmani allo Stato laico che li accoglie o in cui sono nati, anteponendolo al Corano.
Non sfugga il possibile implicito politico contenuto in una siffatta adesione. I diritti di cittadinanza, della acquisita appartenenza, del convivere con noi come “uno di noi” nella promessa integrazione, sarebbero concessi solo in cambio dell'atto di pubblica obbedienza.
Nel nostro Paese gli aut aut che traggono occasione dal terrorismo non sono una novità; un ampio arco di forze politiche ed istituzionali vi ha fatto ricorso già negli anni settanta del novecento1.
In questo momento l'aut aut politico ed ideologico viene dettato da più parti e in modo differente. Se al posto della Costituzione mettiamo la Civiltà Occidentale in toto, con tanto di “cristianesimo” incorporato, otteniamo: “o con l'Occidente euro-cristiano o con l'Islam!”. Come, nella sostanza, lo intende Matteo Salvini, magari parlando dagli studi di Mattino 5, nell'Arena di Massimo Giletti.
Pertanto l'osservazione di Daniela Ranieri2 dalle pagine de il Fatto Quotidiano, coglie un bersaglio multiplo appartenente alla stessa logica: «Non risulta infatti che ai cattolici sia stato mai chiesto di dissociarsi ufficialmente dai terroristi dell'Ira, dallo stragista di Oslo Anders Beivik, o dai teoconservatori americani che sparano alla cieca nelle cliniche dove si pratica l'aborto.»
Consapevole della deriva alla quale si espone, Gramellini riconosce quanto, per “noi occidentali”, il percorso sia stato lungo e faticoso, durato secoli, ed incompiuto da una parte degli stessi “parlamentari indigeni” con riferimento al mancato rispetto delle donne e degli omosessuali. Ma trascura il fatto, politicamente non meno significativo, che le Costituzioni occidentali sono spesso ignorate o trattate come carta straccia dai “legittimi governi democratici”, pur tenuti a rispettarle da un atto formale di giuramento, a cui, comunque, vengono regolarmente anteposti gli interessi dello Stato di appartenenza e delle sue classi dominanti.
Ciò chiama in causa l'ipocrisia morale del “mondo a cui noi occidentali apparteniamo”.
Esso pone continuamente aut aut al suo interno e al resto del mondo, minacciando di trattare come nemici chi non obbedisce, riservando per sé solo il privilegio di un'infinita doppiezza.
Credi a ciò che dico...
Se il Kuwait invece di petrolio avesse prodotto broccoli3, gli Usa non sarebbero mai intervenuti contro Saddam Hussein, sin dai tempi di Bush I.
Se il Mali non fosse reputato strategico per il controllo di una vasta zona africana ricca di petrolio, gas naturale, oro, uranio e bauxite, in mano soprattutto a grandi imprese occidentali, il governo dell'amica Francia avrebbe mai mosso guerra a Gheddafi4 e ora (con l'amica Germania) interverrebbe mai in quel Paese africano?
Di quale Europa ed Occidente stiamo parlando?
Ancora non si è chiuso il caso delle torture nella prigione “extra-territoriale” di Guantanamo che la Francia dichiara sospeso il proprio rispetto dei diritti dell'uomo.
Per fare cosa?
Non so di quanti casi pratici abbiano bisogno i nostri più autorevoli commentatori ed opinionisti per vedere la sostanza della relazione di sopraffazione e sfruttamento, costante e complessiva, sistemica, tra l'Occidente ricco ed il resto del mondo.
È proprio nei supposti “valori morali” occidentali che si annida il vulnus politico, poiché essi sono visti oramai universalmente come doppiezza ipocrita, linguaggio di una “lingua biforcuta”.
Di questo vulnus approfittano a man bassa i fautori del terrorismo jihadista. E lo fanno ricorrendo anch'essi agli stessi mezzi ideologici, nel retaggio passatista, religioso integralista, accettando e pretendendo di far accettare lo “scontro di civiltà”.
Si prenda in esame il cratere originario della crisi nel più ampio Medio Oriente: la Palestina.
Israele è un'isola d'Occidente nel vasto mare arabo mediorientale. Anche prescindendo dal modo come si è costruito (in arabo Nakba5), dalla storica pulizia etnica a danno degli arabo-palestinesi e dalle politiche del suo attuale governo, constatiamo che esso è privo di una vera e propria Costituzione. Non manca di leggi fondamentali facenti funzione, ma sfugge alla proclamazione di sé come Stato confessionale, esclusivo o quasi di un solo popolo, della sua religione, su un definito territorio.
Se lo facesse, dovrebbe ammettere che il numero dei cittadini arabo-palestinesi, ammessi all'interno del proprio territorio, non deve superare costitutivamente una certa soglia minoritaria controllabile “democraticamente”, proibendo la crescita demografica degli “altri”, se non sovrastata più che proporzionalmente dalle immigrazioni dalla diaspora.
Di conseguenza, i governi d'Israele impediscono ogni soluzione pacifica e adducono mille motivi difensivi per continuare a praticare la forza. Non accettano né l'idea di uno “Stato per due popoli e due nazioni”, plurireligioso, né quella di “due Stati e due popoli”, delimitando i propri confini (secondo il diritto internazionale) e riconoscendo uno Stato palestinese fuori di essi, ma solo bantustan6 per i palestinesi.
Benché il terrorismo jihadista, di stampo wahabita saudita o di Al Qaeda o dell'Isis, dimentichi Israele e combatta semmai contro Hezbollah (perché sono sciiti?), dal “patrimonio” di odio generato da quel cratere originario attinge, come da tante altre innumerevoli ipocrisie occidentali attorno ai propri sacri “valori”.
Alla pratica del Dio vendicatore, di parte ebraica e cristiana, contrappone, nella stessa logica fondamentalista, un altro Dio vendicatore, il proprio, di parte musulmana.
Dio della misericordia
Nel dibattito s'inserisce l'intervento di “un grande vecchio” del giornalismo italiano di successo, Eugenio Scalfari, dagli schermi di la7 [vedi riquadro “Abramo il capostipite”].
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Abramo il capostipite


Eugenio Scalfari, ospite con Marco Travaglio di Lilli Gruber a “Otto e mezzo”, il 19 novembre 2015.
Scalfari ricorda che Maometto svolse un ruolo analogo a quello di San Paolo per la religione cristiana e afferma:

«Maometto riconosce in Abramo il capostipite. Abramo riceve da Dio l'ordine di andare con Isacco, suo figlio, ad ammazzarlo. Si porta un coltellone. Dentro avrà un dramma suo interno, ma obbedisce a Dio (…). Quando tira fuori il coltello, Iddio gli dice: “Ferma. Adesso prendi tuo figlio, non solo non lo ammazzi, ma lo accarezzi, lo curi, lo educhi.” (…) Quindi l'origine storica della religione musulmana è un origine che nasce da questo episodio. Cioè il Dio è un Dio misericordioso, non vendicatore, mentre invece (…) nientemeno Giovanni Calvino, riformatore all'epoca, nel 1559 in Svizzera, a Ginevra, dice: perché Dio ci ha predestinato, noi siamo predestinati. (…) Tutto quello che è scritto è perché Dio l'ha già in testa. Dio comincia condannando Adamo ed Eva prima ancora della caduta, cioè di quando li caccia (…) li fa peccare nel giardino dell'Eden. Siccome è Lui che sa tutto, noi siamo predestinati, ci ha predestinato ad essere un Dio vendicatore (…) Il Dio misericordioso la chiesa cattolica l'ha sempre predicato, spesso ha fatto il contrario.»
Conclude, evidenziando come Francesco stia tentando per la prima volta di riportare la preminenza del Dio misericordioso.
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Per il fondatore di La Repubblica sul monte Moriah si manifestò un Dio misericordioso che fu all'origine delle religioni musulmana e cattolica. Da essa si staccò la riforma calvinista, la quale invece, tramite il concetto di predestinazione e l'interpretazione del peccato originale di Adamo ed Eva nel giardino dell'Eden, elaborò la rappresentazione di un Dio vendicatore.
Francesco, pertanto, situerebbe il proprio pontificato nel solco originario, riportando la Chiesa cattolica alla preminenza del Dio della misericordia.
Qui non è in discussione l'interpretazione autentica dell'episodio narrato nel Vecchio Testamento.
Storicamente le tre religioni monoteiste (ebrea, cristiana, musulmana) che derivano dallo stesso ceppo, muovendo tutte da Abramo, hanno vissuto anche in modo conflittuale, al proprio interno ed in relazione tra loro, sia il Dio vendicatore sia il Dio misericordioso ed il relativo “uso politico”.
Tuttavia, la misericordia mal si aggiusta con i diktat, gli aut aut ideologici e politici, la richiesta di atti di pubblica obbedienza, siano essi d'ispirazione religiosa o laica. Questi, al contrario, finiscono per alimentare contrapposizione, odio e guerra. D'altro canto la misericordia non risolve, di per sé, le contraddizioni che generano odio.
La catena dell'odio
L'odio è un sentimento umano. Detestabilissimo se rivolto all'escluso, al povero, all'altro perché omosessuale o di genere sessuale diverso dal proprio, a chi è già vittima di oppressione e spesso ridotto ai margini. È un odio che si unisce al disprezzo in chi si sente superiore e pretende per sé il diritto di opprimere, sfruttare, maltrattare, uccidere.
Ma se ad odiare è invece un congiunto dell'assassinato, la vittima di un sopruso, di un'ingiustizia individuale o sociale e politica, il soldato mandato al macello7, possiamo detestarlo allo stesso modo per questo suo sentimento? Possiamo condannarlo perché odia chi lo opprime o, al contrario, dobbiamo riconoscergli il pieno diritto di farlo?
Potremmo far presente che se all'odio non subentra una presa di coscienza e la lucidità del giudizio, politico innanzitutto, se esso viene coltivato per una rivalsa o per la vendetta, il suo giustificato sentimento facilmente si traduce o nell'astio sordo ed impotente (socialmente e politicamente) o/e nel prolungamento perenne di una rovinosa catena di lutti, in una perdita generale di umanità senza scampo per alcuno.
Ma – ed è quel che penso – ciò a cui siamo chiamati non è tanto rifuggire dal coltivare il nostro odio anche quando siamo “vittime incolpevoli”, quanto di non indurre più un mondo ad odiarci, nel rifiuto politico attivo di sentirci e fare parte della parte del mondo giustamente odiata.

1 Alla fine degli anni settanta un altro Aut Aut fu posto ai movimenti: “O con lo Stato o con le BR!”. Quei movimenti, pur avversando qualsiasi metodo di lotta terroristico, si ponevano in contrasto sociale e politico con lo Stato, ma “conveniva” metterli nello stesso sacco del terrorismo. Sicché le BR vennero sconfitte, come era inevitabile ed auspicabile, nel mentre, annichilita e disattesa ogni spinta a necessari profondi cambiamenti, ebbe via libera la “restaurazione innovativa” che poté regalarci i meravigliosi anni del liberismo. Ma questa è un'altra storia...
2 Daniela Ranieri, il Fatto Quotidiano, 24 novembre 2015.
3 Problema posto da un celebre cartello inalberato da suore nord-americane in una manifestazione pacifista.
4 Tra i motivi per cui Sarkozy decise di intervenire in Libia vi fu l'avversione al ruolo di Gheddafi nell'Africa sub-sahariana.
5 Traducibile in “catastrofe”. É l'esodo a cui furono costretti più di 700.000 arabi palestinesi in seguito alle guerre locali del 1947-48 che diedero origine allo Stato di Israele.
6 Bantustan (o homeland) da “Paesi dei bantu”. Riserve nere nel Sudafrica dell'apartheid, sul modello delle riserve indiane negli Stati Uniti. Erano isole su territori, percentualmente minoritari, privi di continuità e di unitaria sovranità statuale. La comunità indigena “proprietaria del luogo” poteva esercitare solo un limitato autogoverno attenendosi alle proprie tradizioni etniche.
7 Ricorrendo il centenario della Grande Guerra, gli storici ci ricordano quanto fosse “odiato” il generale Cadorna dai soldati contadini mandati al macello dalle trincee italiane.

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