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AUT AUT dell'IPOCRISIA
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Nei dibattiti televisivi si discute più che mai di terrorismo e di
grandi temi.
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Giornalisti e politici pongono Aut
Aut,
scelte drastiche di chiarezza ideale e politica, come se la “civiltà
europea e occidentale”, in nome dei suoi “valori”, avesse
titolo morale per imporle.
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Alla ricerca di risposte che coinvolgono le radici religiose Eugenio
Scalfari evoca episodi biblici.
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Nel linguaggio qualche nesso di senso da recuperare criticamente.
Atti
di obbedienza
Dagli
schermi televisivi le affermazioni di un giornalista top
possono pesare sugli orientamenti della pubblica opinione. In questo
caso della parte ritenuta più informata, alla quale si rivolge
Massimo Gramellini dagli studi di Che tempo che fa,
trasmissione condotta da Fabio Fazio su RAI3.
Gramellini,
ribadendo il concetto dalle colonne de La Stampa [vedi
riquadro “La Stato anteposto al Corano”] su cui
abitualmente scrive, non si limita a chiedere agli islamici d'Europa
di dichiararsi altro e avversi al terrorismo scatenato in nome di
Allah (Not in my name), rifiutandosi al richiamo identitario
(l'Islam) del quale si vorrebbe avvalere lo stragismo jihadista. Non
gli basta si attengano praticamente alle leggi del Paese ospitante
(che si impongono, pena l'illegalità e la sanzione, indifferenti
alle riserve mentali di chi non le rispetti): vuole l'atto di
obbedienza. Chiede loro di aderire pubblicamente e compiutamente alla
legge laica dello Stato occidentale, di mettere la Costituzione prima
del Corano.
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Lo Stato anteposto al Corano
Massimo
Gramellini esprime questa
posizione da Fabio Fazio a Che
tempo che fa (RAI3) e
poi, il 21 novembre 2015, su La
Stampa con un pezzo
dal titolo:
Islam
in piazza, quel che vorremmo sentire
Bene
il «Not in my name», però non basta
(...)
«Il
mondo a cui noi occidentali apparteniamo fin dalla nascita è il
risultato di un percorso lungo e faticoso. Ci sono voluti secoli di
scontri non solo dialettici per approdare a una società capace di
separare la sfera statale da quella religiosa e di mettere la
Costituzione davanti alla Bibbia. Non vogliamo tornare indietro. Chi
viene a vivere qui è bene accetto, ma a sua volta deve accettare le
regole di convivenza che ci siamo conquistati e che riguardano il
diritto di divertirci come ci pare e di rispettare le donne e gli
omosessuali. Nessuno pretende che i nuovi arrivati brucino le tappe
(del resto anche tra i parlamentari indigeni c’è chi non ha ancora
assimilato certi principi). Però sarebbe un primo passo in avanti
straordinario se oggi in piazza, oltre a prendere le distanze
dall’Isis, i musulmani prendessero esempio dall’elettrotecnico
francese di religione islamica Bassem Breiki, che in un video ha
detto chiaro e tondo come la Costituzione della Repubblica debba
sempre venire prima del Corano, ottenendo quattro milioni di
visualizzazioni in poche ore.»
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Ciò
che vorrebbe sentire l'editorialista de La Stampa e di Che
tempo che fa, al di là del linguaggio e del riferimento al video
dell'elettrotecnico francese Bassem Breiki, non è né d'importanza
secondaria né ingenuo. A partire dalla dissociazione dal terrorismo
jihadista, propone l'adesione ideologica dei musulmani allo Stato
laico che li accoglie o in cui sono nati, anteponendolo al Corano.
Non
sfugga il possibile implicito politico contenuto in una siffatta
adesione. I diritti di cittadinanza, della acquisita appartenenza,
del convivere con noi come “uno di noi” nella promessa
integrazione, sarebbero concessi solo in cambio dell'atto di pubblica
obbedienza.
Nel
nostro Paese gli aut aut che traggono occasione dal terrorismo
non sono una novità; un ampio arco di forze politiche ed
istituzionali vi ha fatto ricorso già negli anni settanta del
novecento1.
In
questo momento l'aut aut politico ed ideologico viene dettato
da più parti e in modo differente. Se al posto della Costituzione
mettiamo la Civiltà Occidentale in toto, con tanto di
“cristianesimo” incorporato, otteniamo: “o con l'Occidente
euro-cristiano o con l'Islam!”. Come, nella sostanza, lo intende
Matteo Salvini, magari parlando dagli studi di Mattino 5,
nell'Arena di Massimo Giletti.
Pertanto
l'osservazione di Daniela Ranieri2
dalle pagine de il Fatto Quotidiano, coglie un bersaglio
multiplo appartenente alla stessa logica: «Non risulta infatti che
ai cattolici sia stato mai chiesto di dissociarsi ufficialmente dai
terroristi dell'Ira, dallo stragista di Oslo Anders Beivik, o dai
teoconservatori americani che sparano alla cieca nelle cliniche dove
si pratica l'aborto.»
Consapevole
della deriva alla quale si espone, Gramellini riconosce quanto, per
“noi occidentali”, il percorso sia stato lungo e faticoso, durato
secoli, ed incompiuto da una parte degli stessi “parlamentari
indigeni” con riferimento al mancato rispetto delle donne e degli
omosessuali. Ma trascura il fatto, politicamente non meno
significativo, che le Costituzioni occidentali sono spesso ignorate o
trattate come carta straccia dai “legittimi governi democratici”,
pur tenuti a rispettarle da un atto formale di giuramento, a cui,
comunque, vengono regolarmente anteposti gli interessi dello Stato di
appartenenza e delle sue classi dominanti.
Ciò
chiama in causa l'ipocrisia morale del “mondo a cui noi occidentali
apparteniamo”.
Esso
pone continuamente aut aut al suo interno e al resto del
mondo, minacciando di trattare come nemici chi non obbedisce,
riservando per sé solo il privilegio di un'infinita doppiezza.
Credi
a ciò che dico...
Se
il Kuwait invece di petrolio avesse prodotto broccoli3,
gli Usa non sarebbero mai intervenuti contro Saddam Hussein, sin dai
tempi di Bush I.
Se
il Mali non fosse reputato strategico per il controllo di una vasta
zona africana ricca di petrolio, gas naturale, oro, uranio e bauxite,
in mano soprattutto a grandi imprese occidentali, il governo
dell'amica Francia avrebbe mai mosso guerra a Gheddafi4
e ora (con l'amica Germania) interverrebbe mai in quel Paese
africano?
Di
quale Europa ed Occidente stiamo parlando?
Ancora
non si è chiuso il caso delle torture nella prigione
“extra-territoriale” di Guantanamo che la Francia dichiara
sospeso il proprio rispetto dei diritti dell'uomo.
Per
fare cosa?
Non
so di quanti casi pratici abbiano bisogno i nostri più autorevoli
commentatori ed opinionisti per vedere la sostanza della relazione di
sopraffazione e sfruttamento, costante e complessiva, sistemica, tra
l'Occidente ricco ed il resto del mondo.
È
proprio nei supposti “valori morali” occidentali che si annida il
vulnus
politico,
poiché essi sono visti oramai universalmente come doppiezza
ipocrita, linguaggio di una “lingua biforcuta”.
Di
questo vulnus
approfittano
a man bassa i fautori del terrorismo jihadista. E lo fanno ricorrendo
anch'essi agli stessi mezzi ideologici, nel retaggio passatista,
religioso integralista, accettando e pretendendo di far accettare lo
“scontro di civiltà”.
Si
prenda in esame il cratere originario della crisi nel più ampio
Medio Oriente: la Palestina.
Israele
è un'isola d'Occidente nel vasto mare arabo mediorientale. Anche
prescindendo dal modo come si è costruito (in arabo Nakba5),
dalla storica pulizia etnica a danno degli arabo-palestinesi e dalle
politiche del suo attuale governo, constatiamo che esso è privo di
una vera e propria Costituzione. Non manca di leggi fondamentali
facenti funzione,
ma sfugge alla proclamazione di sé come Stato confessionale,
esclusivo o quasi di un solo popolo, della sua religione, su un
definito territorio.
Se
lo facesse, dovrebbe ammettere che il numero dei cittadini
arabo-palestinesi, ammessi all'interno del proprio territorio, non
deve superare costitutivamente una certa soglia minoritaria
controllabile “democraticamente”, proibendo la crescita
demografica degli “altri”, se non sovrastata più che
proporzionalmente dalle immigrazioni dalla diaspora.
Di
conseguenza, i governi d'Israele impediscono ogni soluzione pacifica
e adducono mille motivi difensivi per continuare a praticare la
forza. Non accettano né l'idea di uno “Stato per due popoli e due
nazioni”, plurireligioso, né quella di “due Stati e due popoli”,
delimitando i propri confini (secondo il diritto internazionale) e
riconoscendo uno Stato palestinese fuori di essi, ma solo bantustan6
per
i palestinesi.
Benché
il terrorismo jihadista, di stampo wahabita saudita o di Al Qaeda o
dell'Isis, dimentichi Israele e combatta semmai contro Hezbollah
(perché sono sciiti?), dal “patrimonio” di odio generato da quel
cratere originario attinge, come da tante altre innumerevoli
ipocrisie occidentali attorno ai propri sacri “valori”.
Alla
pratica del Dio vendicatore, di parte ebraica e cristiana,
contrappone, nella stessa logica fondamentalista, un altro Dio
vendicatore, il proprio, di parte musulmana.
Dio
della misericordia
Nel
dibattito s'inserisce l'intervento di “un grande vecchio” del
giornalismo italiano di successo, Eugenio Scalfari, dagli schermi di
la7 [vedi riquadro “Abramo il
capostipite”].
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Abramo il capostipite
Eugenio
Scalfari, ospite con Marco
Travaglio di Lilli Gruber a “Otto e mezzo”, il 19 novembre 2015.
Scalfari
ricorda che Maometto svolse un ruolo analogo a quello di San Paolo
per la religione cristiana e afferma:
«Maometto
riconosce in Abramo il capostipite. Abramo riceve da Dio l'ordine di
andare con Isacco, suo figlio, ad ammazzarlo. Si porta un coltellone.
Dentro avrà un dramma suo interno, ma obbedisce a Dio (…). Quando
tira fuori il coltello, Iddio gli dice: “Ferma. Adesso prendi tuo
figlio, non solo non lo ammazzi, ma lo accarezzi, lo curi, lo
educhi.” (…) Quindi l'origine storica della religione musulmana è
un origine che nasce da questo episodio. Cioè il Dio è un Dio
misericordioso, non vendicatore, mentre invece (…) nientemeno
Giovanni Calvino, riformatore all'epoca, nel 1559 in Svizzera, a
Ginevra, dice: perché Dio ci ha predestinato, noi siamo
predestinati. (…) Tutto quello che è scritto è perché Dio l'ha
già in testa. Dio comincia condannando Adamo ed Eva prima ancora
della caduta, cioè di quando li caccia (…) li fa peccare nel
giardino dell'Eden. Siccome è Lui che sa tutto, noi siamo
predestinati, ci ha predestinato ad essere un Dio vendicatore (…)
Il Dio misericordioso la chiesa cattolica l'ha sempre predicato,
spesso ha fatto il contrario.»
Conclude,
evidenziando come Francesco stia tentando per la prima volta di
riportare la preminenza del Dio misericordioso.
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Per
il fondatore di La
Repubblica
sul monte Moriah si manifestò un Dio misericordioso che fu
all'origine delle religioni musulmana e cattolica. Da essa si staccò
la riforma calvinista, la quale invece, tramite il concetto di
predestinazione e l'interpretazione del peccato originale di Adamo ed
Eva nel giardino dell'Eden, elaborò la rappresentazione di un Dio
vendicatore.
Francesco,
pertanto, situerebbe il proprio pontificato nel solco originario,
riportando la Chiesa cattolica alla preminenza del Dio della
misericordia.
Qui
non è in discussione l'interpretazione autentica dell'episodio
narrato nel Vecchio Testamento.
Storicamente
le tre religioni monoteiste (ebrea, cristiana, musulmana) che
derivano dallo stesso ceppo, muovendo tutte da Abramo, hanno vissuto
anche in modo conflittuale, al proprio interno ed in relazione tra
loro, sia il Dio vendicatore sia il Dio misericordioso ed il relativo
“uso politico”.
Tuttavia,
la misericordia mal si aggiusta con i diktat, gli aut aut
ideologici e politici, la richiesta di atti di pubblica obbedienza,
siano essi d'ispirazione religiosa o laica. Questi, al contrario,
finiscono per alimentare contrapposizione, odio e guerra. D'altro
canto la misericordia non risolve, di per sé, le contraddizioni che
generano odio.
La
catena dell'odio
L'odio
è un sentimento umano. Detestabilissimo se rivolto all'escluso, al
povero, all'altro perché omosessuale o di genere sessuale diverso
dal proprio, a chi è già vittima di oppressione e spesso ridotto ai
margini. È un odio che si unisce al disprezzo in chi si sente
superiore e pretende per sé il diritto di opprimere, sfruttare,
maltrattare, uccidere.
Ma
se ad odiare è invece un congiunto dell'assassinato, la vittima di
un sopruso, di un'ingiustizia individuale o sociale e politica, il
soldato mandato al macello7,
possiamo detestarlo allo stesso modo per questo suo sentimento?
Possiamo condannarlo perché odia chi lo opprime o, al contrario,
dobbiamo riconoscergli il pieno diritto di farlo?
Potremmo
far presente che se all'odio non subentra una presa di coscienza e la
lucidità del giudizio, politico innanzitutto, se esso viene
coltivato per una rivalsa o per la vendetta, il suo giustificato
sentimento facilmente si traduce o nell'astio sordo ed impotente
(socialmente e politicamente) o/e nel prolungamento perenne di una
rovinosa catena di lutti, in una perdita generale di umanità senza
scampo per alcuno.
Ma
– ed è quel che penso – ciò a cui siamo chiamati non è tanto
rifuggire dal coltivare il nostro odio anche quando siamo “vittime
incolpevoli”, quanto di non indurre più un mondo ad odiarci, nel
rifiuto politico attivo di sentirci e fare parte della parte del
mondo giustamente odiata.
1
Alla fine degli anni settanta un altro Aut
Aut fu posto ai
movimenti: “O con lo Stato o con le BR!”. Quei movimenti, pur
avversando qualsiasi metodo di lotta terroristico, si ponevano in
contrasto sociale e politico con lo Stato, ma “conveniva”
metterli nello stesso sacco del terrorismo. Sicché le BR vennero
sconfitte, come era inevitabile ed auspicabile, nel mentre,
annichilita e disattesa ogni spinta a necessari profondi
cambiamenti, ebbe via libera la “restaurazione innovativa” che
poté regalarci i meravigliosi anni del liberismo. Ma questa è
un'altra storia...
2
Daniela Ranieri, il Fatto Quotidiano, 24 novembre 2015.
3
Problema posto da un celebre cartello inalberato da suore
nord-americane in una manifestazione pacifista.
4
Tra i motivi per cui Sarkozy decise di intervenire in Libia vi fu
l'avversione al ruolo di Gheddafi nell'Africa sub-sahariana.
5
Traducibile
in “catastrofe”. É l'esodo
a cui furono costretti più di 700.000 arabi palestinesi in seguito
alle guerre locali del 1947-48 che diedero origine allo Stato di
Israele.
6
Bantustan
(o homeland) da “Paesi
dei bantu”.
Riserve
nere nel
Sudafrica dell'apartheid, sul
modello delle riserve indiane negli
Stati Uniti. Erano isole su territori, percentualmente minoritari,
privi di continuità e di unitaria sovranità statuale. La comunità
indigena “proprietaria del luogo” poteva esercitare solo un
limitato autogoverno attenendosi alle proprie tradizioni etniche.
7
Ricorrendo il centenario della Grande Guerra, gli storici ci
ricordano quanto fosse “odiato” il generale Cadorna dai soldati
contadini mandati al macello dalle trincee italiane.
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