mercoledì 14 ottobre 2015

Petrolio & Bombe

Petrolio & Bombe                                                                     [Clicca sul titolo se vuoi scaricare l'articolo in formato PDF]

Le questioni energetiche, monetarie e commerciali s'intrecciano con quelle militari. Siria contesa nel Grande Medio Oriente devastato dalle guerre. La Russia risponde a Stati Uniti ed Europa, che mancano di una strategia complessiva e unitaria. 
  • Dai primi mesi del 2014 il prezzo del barile si è più che dimezzato.[Vedi grafico Prezzo del Petrolio Greggio]
    La Russia ne ha sofferto per prima; ora è la volta dello shale oil Usa, in forte difficoltà.
  • Le grandi immissioni di liquidità (Quantitative easing) sono svalutazioni che favoriscono la competitività della propria economia a scapito di quella altrui. [Vedi grafico Tassi di cambio] Dopo quelle di Usa e Giappone, è in corso quella della Bce di Mario Draghi.
  • In controtendenza, la Banca centrale cinese ad agosto, per difendere il cambio, ha ridotto la liquidità sui
    Tassi di cambio euro-dollaro ed euro-sterlina
    Variazioni percentuali
    mercati internazionali, comprando yuan e vendendo attività finanziarie in dollari, euro e yen.1
  • Anche il settore dell'auto è coinvolto
    nelle guerre commerciali (caso Volkswagen), mentre nel Grande Medio Oriente divampano quelle militari. La Siria è al centro della contesa.
Petrolio, as usual?
Trainato dai consumi interni e dagli investimenti, il Pil statunitense è dato a +3,9% nell'anno. Tutto bene? Non proprio. Atteso a settembre, il rialzo del tasso d'interesse di base (al momento pari allo 0,25%), da cui dipende il costo del denaro, è stato posticipato a fine 2015 dalla Fed, la banca centrale federale.
Pesano l'andamento dell'inflazione negli States che, al netto dell'energia, è quasi a zero, ma pure l'incognita della politica finanziaria e valutaria di Pechino. Ai diversi fattori d'instabilità partecipa il calo generale delle materie prime ed in particolare del petrolio, sceso attorno ai 50 dollari al barile.
A fronte ad un'offerta globale di greggio sovradimensionata, rispetto ad una domanda complessivamente debole, l'Arabia Saudita ha rifiutato di abbassare la propria produzione, trascinando sulla propria linea l'OPEC (Organization of the Petroleum Exporting Countries).
Il reame arabo, con 10,3 milioni di barili estratti giornalmente, è al terzo posto nella graduatoria mondiale, dopo gli Usa, saliti repentinamente negli ultimi anni a 12,6 milioni di barili al giorno, e la Russia a quota 11. La linea dell'OPEC rischia di creare seri problemi agli Stati Uniti.
«Lo zio Sam costretto a spegnere le trivelle.»2 Causa il barile a basso prezzo sul mercato mondiale, la produzione Usa è scesa di 200 mila barili/giorno e nel 2016 la contrazione attuale potrebbe arrivare a -400 mila barili/giorno: è in corso la crisi dello shale oil.
Il fracking, l'estrazione di carburante e gas da frantumazione delle rocce, ha registrato il fallimento di 16 aziende del settore petrolifero. Sicché la miriade di micro-imprese dei cowboys della trivellazione, già sottoposta alla “selezione naturale del mercato” ossia ad un processo di concentrazione “dei più adatti” sul piano finanziario e tecnologico, vede vieppiù assottigliarsi le proprie file.
Ne può risentire l'occupazione ed il programma di stabilizzazione di Janet Yellen a capo della Fed.
A livello globale la caduta del prezzo del petrolio fu vista quasi unicamente per le sue conseguenze sull'economia russa. Finché Paesi come l'Italia ne approfittavano ed era Mosca a patirne, tutto andava bene; ora il problema diventa anche europeo per l'importanza della ripresa Usa ai fini del superamento della stagnazione del vecchio continente.
Dato l'enorme accumulo di riserve petrolifere ed il surplus produttivo, gli Stati Uniti potrebbero essere indotti ad abolire una legge del 1975, che vieta le esportazioni di prodotti petroliferi non raffinati. Ma i prezzi dovrebbero risalire, pagati da nuovi clienti esteri disposti a comprare. Quali? L'Europa, l'America Latina, il Giappone, l'India, la Cina?3
Una platea vasta quanto indeterminata.
Come conseguire un rialzo del prezzo del barile e al contempo l'acquisto del proprio barile? Come correlare la spinta commerciale alle strategie politiche di Obama in zone nevralgiche del pianeta?
Connessioni.
Contrariamente a quanto è successo negli anni sessanta e novanta, all'attuale fase di caduta del prezzo delle materie prime (commodities) non corrisponde un'adeguata espansione dell'economia mondiale. La ragione risiede nella flebile domanda generata dalla crisi o dalla minore crescita, rispetto alle attese, di Paesi quali Cina, Russia e Brasile.
Secondo alcuni analisti, per i Paesi del mondo post-industriale le speranze sarebbero riposte in «un'ondata di innovazioni tecnologiche»4, non potendo le banche centrali continuare all'infinito nella pratica di sostegno basata su forti immissioni quantitative di liquidità.
Al momento si registrano due fenomeni in qualche modo connessi:
- la corsa di Wall Street, con continui rialzi da 78 mesi, ha subito un tonfo nel terzo trimestre (luglio-settembre), secondo misurazione dei vari indici attorno a -7%;
- «Dall'Arabia Saudita al Kuwait, dal Qatar alla Norvegia i fondi sovrani vedono bruciare miliardi dei loro portafogli. Colpa della discesa dei prezzi delle materie prime, della crisi cinese e dei tassi ai minimi. E ora anche della Volkswagen.»5
A tutti è nota l'importanza del Golfo per il controllo delle riserve energetiche globali.6 Come ben nota è la motivazione materiale delle guerre dei Bush contro Saddam Hussein.
Meno nota, forse, è la connessione tra l'elevata produzione (e la raggiunta autosufficienza) petrolifera degli Stati Uniti ed il loro proposito di progressivo disimpegno militare diretto dal Grande Medio Oriente, all'interno del quale il Golfo gioca un ruolo chiave.
Ambiguità.
Ciò può contribuire ad interpretare l'attivismo di tradizionali alleati come i reami arabi. Questi ultimi sentono la necessità di difendere la loro posizione sia economica che politico-strategica. Il che spiega l'atteggiamento dell'Arabia Saudita sul fronte del prezzo dell'oro nero e all'interno del cosiddetto fondamentalismo islamico, in particolare nella crisi siriana [vedi Scheda SIRIA a parte]. Se appare chiara la prima (business is business!), assai più “ambigua” è la seconda.
A Ryad governa un regime assoluto wahabita, che, avversando in primo luogo la “mezzaluna crescente sciita”7, manovra da anni all'interno delle fazioni sunnite passatiste8. In Siria finanzia il Fronte Islamico che collabora con al-Nusra (aderente ad al-Qaeda), con l'obiettivo comune di crearvi un Emirato islamico nazionale.
La fazione di al-Baghdadi deriva da una scissione di al-Nusra in Siria. Inizialmente fece parte dell'alleanza, supportata dagli Stati Uniti9, per rovesciare il regime di al-Assad. Entrò in rotta di collisione con essi quando, incapace di sfondare in territorio siriano, le sue milizie dilagarono in Iraq e si impossessarono di alcuni importanti pozzi petroliferi, dando vita allo Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (ISIL o ISIS) e scindendosi da al-Qaeda, contraria al Califfato transnazionale. La sua presenza in Libia è successiva.
L'ISIL non avrebbe potuto avere successo senza molte connivenze, specificatamente di Turchia ed Arabia Saudita, ma anche di almeno una parte dell'establishment nordamericano, dati gli stretti legami finanziari di Wall Street con le monarchie dei petrodollari. A di là di complotti ed operazioni sotto copertura, rimangono fatti accertati e pubblici:
  1. ben 30mila foreign figthers si sono trasferiti in zona, grazie a Stati più interessati a liberarsi di potenziali terroristi interni che di impedire il reclutamento jihadista;
  2. il commercio di petrolio ed armi per la Jihad si avvale di vie e piazze internazionali protette;
  3. forti finanziamenti raggiungono milizie jihadiste sunnite che sono contigue, giacché pur divise confluiscono su obiettivi comuni.
In ogni caso, il Califfato, combattendo contro il regime di Damasco e la “mezzaluna crescente sciita”, portava acqua sia al mulino dell'Occidente che a quello del governo di Israele.
Vuoto strategico e bombe.
Le cose si sono complicate con gli attentati terroristici, come quello a Charlie Hebdo, e per le esibite brutalità del neonato Stato Islamico (ISIL), contro il quale si è messa in moto una poderosa macchina mediatica. Di conseguenza, di fronte all'opinione pubblica internazionale, è diventato assolutamente prioritario eliminare l'”incombente minaccia”, rispetto all'obiettivo precedente di rovesciare in primis Bashar al-Assad.
Nella palese contraddizione si è inserito Putin.
Il cambio di priorità è facilitato dal recente accordo di Washington con l'Iran10 sulla questione del nucleare ed introduce la possibilità di una seppur transitoria collaborazione con la Russia, che ha “rinvigorito” la propria presenza militare diretta.
Contrario all'accordo con l'Iran e contrariato dalla piega presa dagli eventi, Benjamin Netanyahu ha dovuto recarsi a Mosca per sondare le intenzioni di Putin, ufficialmente solo per le alture del Golan occupate.
Intanto Angela Merkel ha sostenuto che «Assad deve essere coinvolto nei negoziati»11 e il governo Renzi avverte di non ripetere in Siria l'esperienza libica, quando i soliti “volenterosi” eliminarono Gheddafi alla cieca. In Europa prevale su tutto la preoccupazione energetica.
In questo contesto Putin ha preso l'iniziativa dal pulpito dell'ONU, mettendosi “legalmente” alla testa della “lotta internazionale al terrorismo” già dichiarata dall'Occidente. Ben sapendo che la partita locale è sì collegata a quella ucraina, ma assai più complessiva.
Pressata ai confini dalla Nato, sanzionata dall'Occidente, colpita dalla caduta del prezzo del barile, fuori dal G7 (ex G8) e dal TTIP, il Transatlantic Trade and Investment Partnership (tra Usa e Ue, un trattato in superficie “appena” commerciale e finanziario) da cui è deliberatamente esclusa, la Russia cerca di uscire dall'angolo e sembra avere spazio ed idee chiare per farlo.
Infatti, l'intervento militare russo gode di uno specifico vantaggio strategico: i suoi bombardamenti coinvolgono in modo devastante inermi popolazioni civili, al pari di quelli occidentali, ma, a differenza di queste, sono disposti a supporto di forze armate operative sul terreno più compatte, in grado di potersene avvantaggiare. Putin, quando chiede di coordinare tutti i bombardamenti, sa che Washington non può definire alcune forze jihadiste sul terreno come “al 100%” terroristi.12
In quale strategia militare può situarsi la corsa ai bombardamenti aerei degli Stati Uniti, della Francia e, forse, dell'Italia? Su quali forze politiche, nella complicata situazione siriana, possono effettivamente contare in futuro? Non si rischia di ripetere l'esperienza fallimentare dell'Iraq?
Cosa rimane di tanto cianciare “umanitario” sui destini delle martoriate popolazioni civili?
Un rapporto difficile
Considerazioni non finali.
Nell'agone economico globale piuttosto instabile e perturbato irrompono gli Stati.
La pretesa liberista e liberale di consegnare al (il) mondo (ad) un'economia di mercato a cui assegnare regole neutrali che esonerino gli Stati dall'interventismo egemonico e, al contempo, rendano superflua l'autodifesa nell'esercizio politico della sovranità popolare, democratica e nazionale, si rivela un'utopia deleteria se non una funzionale coperta ideologica.
Nel concreto svolgersi delle contraddizioni (nell'intreccio sommariamente sopra descritto) sopravviene l'egemonismo degli Stati e la messa in campo della loro potenza bellica. Ad essa dovrà necessariamente contrapporsi la resistenza di Paesi, nazioni e popoli nella ripresa della loro sovranità, sia coinvolti nelle guerre, e tanto più come “oggetti”, vittime designate, che come presunti “soggetti dominanti” (come suppone di essere l'Italia) delle avventure belliche.
Tuttavia, va sottolineato, sinora l'esercizio della potenza militare nell'area ha comportato più problemi di quanti ne abbia risolti, mostrando il volto del fallimento. Insistere è estremamente rischioso.
Nel generale disordine, in cui divampano conflitti valutari commerciali e militari, tenere sotto controllo tutti i fattori del vecchio dominio, compreso il primato del dollaro, per ricondurli ad un piano unitario a sé favorevole, diviene, per la massima superpotenza globale ed i suoi amici europei, sempre più una missione impossibile.

1 Marcello Minenna, Corriere Economia, pag. 7, 28/09/2015; scrive di “Quantitative Tightening”: “Quantitative easing” al contrario.
2 Maria Teresa Cometto, Corriere Economia, pag. 2, 22/09/2015.
3 Andrea Montanino, Corriere Economia, pag. 3, 22/09/2015.
4 Leonardo Maugeri, La Repubblica Affari&Finanza, pag. 10, 5/10/2015.
5 Paola Jadeluca, La Repubblica Affari&Finanza, pag. 12, 5/10/2015.
6 I Paesi del Golfo detengono il 48 per cento delle risorse globali accertate di petrolio e il 43 per cento di quelle di gas.
7 Governo siriano, Iran, sciiti iracheni ed Hezbollah libanesi.
8 Forze volte, tramite la Jihad, al ripristino di un Islam e di istituzioni politiche (sharia, emirati, califfati, ecc.) portando la storia a ritroso nel passato.
9 Circolò foto di riunione con Mc Cain, partecipe al Baghdadi.
10 Il quale permette al'Iran (produttore di petrolio) il definitivo sblocco finanziario e commerciale, già iniziato nel gennaio 2014.
11 Dichiarazione del 24/09/2015 riportata da tutti i giornali.
12 Putin: “Ci siamo rivolti a loro e abbiamo chiesto 'fateci sapere i bersagli che voi considerate al 100% terroristici'”. Il Fatto Quotidiano, 14 ottobre 2015, pag. 10.

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