giovedì 1 ottobre 2015

Penultime dalla Grecia


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Syriza ha rivinto. Rappresentazione geometrica delle forze e dinamiche elettorali nell'Europa periferica. Come tenere aperto il “gioco politico” senza sfuggire ai problemi reali.


Le elezioni di metà settembre hanno ridato fiducia ad Alexis Tsipras, riconfermando la compagine di governo formata da Syriza e AN.EL. (Greci Indipendenti).
Nettamente sconfitti gli “scissionisti” di Leiki Anotita dell'ex ministro dell'energia Lafazanis: non hanno superato la soglia del 3% e restano fuori dal nuovo parlamento ellenico.
Sull'esito elettorale pesa una forte crescita dell'astensione dal voto sia in termini percentuali complessivi che per i singoli partiti.

Collocazioni
Leiki Anotita sembra essere caduta nel classico errore della sinistra più a sinistra, quella che non rinuncia a sé, ma si mette da sé in un angolo chiuso ed ininfluente. In realtà, ogni lettura dei risultati non può prescindere dalla esistenza, nello specifico panorama greco, di una forza, il Kke (Partito Comunista Ellenico) con i suoi 15 deputati, gli stessi ottenuti nella precedente tornata. Assai difficile per gli elettori votare una nuova forza se raffigurata nello spazio tra Syriza e Kke.

Nelle dinamiche elettorali prevalgono le rappresentazioni degli spazi politici in senso geometrico, spesso a prescindere dai contenuti programmatici e dai riferimenti sociali. Guai ad assecondare queste allocazioni di destino, preconfezionate. Possono diventare un vero e proprio tranello.
Come sfuggirne?
In parte Syriza, nella sua fase iniziale e nell'alleanza con AN.EL, ma ancor più Podemos in Spagna ed in particolare M5S in Italia, hanno rotto lo schema spaziale pregiudiziale introducendo almeno due nuovi elementi:
    1. costruendosi in movimento, con un rapporto diretto, mobile, osmotico tra rappresentati e rappresentanti, per evitare la sclerosi da “apparato”;
    2. sostenendo temi, obiettivi e linguaggi “trasversali”, non incasellabili nelle distinzioni tradizionali e ruolizzanti, appunto geometriche, tra “destra” “centro” e “sinistra”.
In ciò resi credibili dalla crisi della forma partito, oramai vista come auto-conservativa ed auto-referenziale (se non cleptomane), e dalla sostanziale omologazione delle vecchie compagini alle politiche liberiste, subalterne alle oligarchie finanziarie, lontane ed avverse alla società.
Non si trascuri che la possibile “trasversalità” è stata colta anche da forze nazionaliste e xenofobe. In Francia, ad esempio, il Front National di Marine Le Pen raccoglie molti consensi anche nei bacini elettorali tradizionalmente di sinistra.
Tutti segni premonitori di un cambiamento di paradigma politico?
In un recente articolo su Le Monde diplomatique – il Manifesto, Pablo Iglesias leader di Podemos si chiedeva, non a caso e in questo senso, come «Tenere aperto il gioco politico» [vedi sotto].
Fatto sta che, in seguito alle note vicende del semestre greco, il ventaglio della rappresentanza parlamentare ellenica sembra ritornato al punto di partenza: un restaurato bipartitismo di alternanza governativa senza reale alternativa di contenuti, con Syriza al posto del vecchio e screditato Pasok, ridotto ai minimi nella palude centrista.
Preoccuparsi di non finire nell'angolo è tanto importante quanto evitare di sostituire semplicemente la forza di sinistra o centro-sinistra (il Pasok in Grecia, il Psoe in Spagna, ecc.), assumendone il ruolo ed approdando alla riedizione del vecchio gioco. Prospettiva che dovrebbe allarmare Podemos allorché, nei rapporti con l'Europa, riproponesse l'esperienza del governo Tsipras.
Noccioli duri
Ciò nonostante la crisi greca non è chiusa e ancor meno quella europea.
Il rientro nei ranghi di Tsipras e di Syriza è irto di contraddizioni. Non solo perché l'aspettativa del suo elettorato rimane pur sempre quella espressasi nel referendum, ma soprattutto per le conseguenze pratiche del piano delle Troika sulle condizioni di vita di gran parte della popolazione. Quanto potrà durare «il riconoscimento della difficile lotta del capo, sconfitto ma eroico, che ha permesso a Tsipras di rimanere popolare»1?
Nei mesi appena trascorsi si è fatto una gran parlare dell'assenza di un Piano B, di fuoriuscita dall'euro, e della sostanziale inutilità del quesito referendario ai fini della trattativa (per alcuni versi trasformatosi in un boomerang), trascurando il ruolo degli Stati Uniti.
Eppure, non c'era bisogno delle rivelazioni del quotidiano greco Ekathimerini2 per capire che, dietro le quinte, Obama ha manovrato per mantenere la Grecia in Eurozona (e NATO-zona), in cambio dell'impegno del Fondo Monetario Internazionale, dipendente da Washington, ad operare per la riduzione del debito greco.
Se tale promessa non fosse mantenuta, come ora è ignorata dalla nomenklatura di Bruxelles, verrebbe meno il solo punto di forza di Tsipras. Sicché, pur avendo anticipato i tempi elettorali, il ritorno dei problemi al loro nocciolo duro riporrebbe il confermato premier di fronte all'austerità, senza il benché minimo spazio di prospettiva.
D'altro canto non si poteva né si può pretendere che la piccola Grecia cavi per tutti le castagne dal fuoco. Magari lasciando indisturbato il “proprio” primo ministro, quando recita la parte del poliziotto buono3 nel costringere la vittima ad accettare il più pesante dei ricatti. Tanto più se, a mio parere sbagliando, si vuole “democratizzare l'euro”.
L'Unione europea, e al suo interno l'Eurozona in particolare, sono state così strutturate (nel più ampio processo di mondializzazione), proprio per isolare le singole insorgenze ed impedire alle sovranità democratiche di farsi valere.
Una maglia di acciaio finanziario, governata da Bruxelles, è stesa sulla libertà dei popoli e delle nazioni. Un esito apparentemente paradossale per il liberismo che ama rappresentarsi come acerrimo nemico di vincoli e catene statuali.
Come può apparire paradossale che occorrano più ampie e varie forze politiche europee, convergenti nel porre fine alla moneta unica, per consentire l'avvio di un percorso realmente comunitario.
Purché, nel frattempo, il Titanic Euro non si sia già schiantato contro un iceberg, mandando a picco la stessa Unione.
1 Maria Malagardis, Libération, Internazionale, 25 settembre 2015.
2 Ekathimerini, Washington guided Greece in bailout talks, envoy reveals, 27/09/2015.
3 Con riferimento a Renzi, Yanis Varoufakis, il Fatto Quotidiano, 23 settembre 2015.
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Tenere aperto il gioco politico
«È stata emblematica la visita ufficiale del re di Spagna al Parlamento europeo, il 15 aprile 2015. Un evento che ci ha messi di fronte a una questione difficile: quella della monarchia. Perché difficile? Perché di colpo ci impedisce di essere al centro del terreno.
Davanti a noi, grosso modo, due opzioni. La prima, adottata in genere dalla sinistra – come Izquierda Unida (Sinistra unita) –, consiste nel dire: «Siamo repubblicani. Non riconosciamo la monarchia, non andremo al ricevimento del re di Spagna. Non riconosciamo questo spazio di legittimità al capo di Stato».
È una posizione che, pur avendo perfettamente senso sul piano etico e morale, ci collocherebbe subito nello spazio della sinistra radicale, in un quadro molto tradizionale. Alienandoci di colpo ampi strati della popolazione che provano simpatia per il nuovo re (...), comunque la pensino su altre questioni e indipendentemente dal fatto che associno il re precedente alla corruzione del vecchio regime. La monarchia continua a essere fra le istituzioni più apprezzate in Spagna. (…) Dunque, due possibilità: o non andiamo al ricevimento e rimaniamo incastrati nella griglia di analisi tradizionale dell’estrema sinistra, che offre pochissime possibilità di azione; o ci andiamo, e Podemos si mescola alla classe politica, il che equivale a convalidare il quadro istituzionale. Insomma passare per traditori, monarchici o chissà che…
Come abbiamo risolto il dilemma? Siamo andati al ricevimento, ma senza cambiare nulla al nostro modo di presentarci, con gli abiti di sempre, ignorando il protocollo. È una cosa molto piccola, ma è simbolicamente rappresentativa di Podemos. Inoltre, ho offerto al re i dvd della serie Il trono di spade (Game of thrones), presentandogliela come uno strumento di interpretazione di quel che accade in Spagna (…). Certo, si tratta di scelte delicate, ma sono le uniche che ci consentono di tenere aperto il gioco politico, di lavorare nel cuore di queste contraddizioni, insomma di mettere in discussione lo status quo, invece di essere relegati in una posizione pura ma impotente.»
PABLO IGLESIAS
Paragrafo tratto da: Le Monde diplomatique – il Manifesto; Podemos, «La nostra strategia»; n. 7/8, anno XXII, luglio-agosto 2015.

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