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Syriza ha rivinto. Rappresentazione geometrica delle forze e dinamiche elettorali nell'Europa periferica. Come tenere aperto il “gioco politico” senza sfuggire ai problemi reali.
Le elezioni di metà settembre hanno ridato fiducia ad Alexis Tsipras,
riconfermando la compagine di governo formata da Syriza e AN.EL.
(Greci Indipendenti).
Nettamente
sconfitti gli “scissionisti” di Leiki Anotita dell'ex ministro
dell'energia Lafazanis:
non hanno superato la soglia del 3% e restano fuori dal nuovo
parlamento ellenico.
Sull'esito
elettorale pesa una forte crescita dell'astensione dal voto sia in
termini percentuali complessivi che per i singoli partiti.
Collocazioni
Leiki
Anotita sembra essere caduta nel classico errore della sinistra più
a sinistra, quella che non rinuncia a sé, ma si mette da sé in un
angolo chiuso ed ininfluente. In realtà, ogni lettura dei risultati
non può prescindere dalla esistenza, nello specifico panorama greco,
di una forza, il Kke (Partito Comunista Ellenico) con i suoi 15
deputati, gli stessi ottenuti nella precedente tornata. Assai
difficile per gli elettori votare una nuova forza se raffigurata
nello spazio tra Syriza e Kke.
Nelle
dinamiche elettorali prevalgono le rappresentazioni degli spazi
politici in senso geometrico, spesso a prescindere dai contenuti
programmatici e dai riferimenti sociali. Guai ad assecondare queste
allocazioni di destino, preconfezionate. Possono diventare un vero e
proprio tranello.
Come
sfuggirne?
In
parte Syriza, nella sua fase iniziale e nell'alleanza con AN.EL, ma
ancor più Podemos in Spagna ed in particolare M5S in Italia, hanno
rotto lo schema spaziale pregiudiziale introducendo almeno due nuovi
elementi:
1.
costruendosi in movimento, con un rapporto diretto, mobile, osmotico
tra rappresentati e rappresentanti, per evitare la sclerosi da
“apparato”;
2.
sostenendo temi, obiettivi e linguaggi
“trasversali”, non incasellabili nelle distinzioni tradizionali
e ruolizzanti, appunto geometriche, tra “destra” “centro” e
“sinistra”.
In
ciò resi credibili dalla crisi della forma partito, oramai vista
come auto-conservativa ed auto-referenziale (se non cleptomane), e
dalla sostanziale omologazione delle vecchie compagini alle politiche
liberiste, subalterne alle oligarchie finanziarie, lontane ed avverse
alla società.
Non
si trascuri che la possibile “trasversalità” è stata colta
anche da forze nazionaliste e xenofobe. In Francia, ad esempio, il
Front National di Marine Le Pen raccoglie molti consensi anche nei
bacini elettorali tradizionalmente di sinistra.
Tutti
segni premonitori di un cambiamento di paradigma politico?
In
un recente articolo su Le
Monde diplomatique – il Manifesto,
Pablo Iglesias leader di Podemos si chiedeva, non a caso e in questo
senso, come «Tenere
aperto il gioco politico»
[vedi sotto].
Fatto
sta che, in seguito alle note vicende del semestre greco, il
ventaglio della rappresentanza parlamentare ellenica sembra ritornato
al punto di partenza: un restaurato bipartitismo di alternanza
governativa senza reale alternativa di contenuti, con Syriza al posto
del vecchio e screditato Pasok, ridotto ai minimi nella palude
centrista.
Preoccuparsi
di non finire nell'angolo è tanto importante quanto evitare di
sostituire semplicemente la forza di sinistra o centro-sinistra (il
Pasok in Grecia, il Psoe in Spagna, ecc.), assumendone il ruolo ed
approdando alla riedizione del vecchio gioco. Prospettiva che
dovrebbe allarmare Podemos allorché, nei rapporti con l'Europa,
riproponesse l'esperienza del governo Tsipras.
Noccioli
duri
Ciò
nonostante la crisi greca non è chiusa e ancor meno quella europea.
Il
rientro nei ranghi di Tsipras e di Syriza è irto di contraddizioni.
Non solo perché l'aspettativa del suo elettorato rimane pur sempre
quella espressasi nel referendum, ma soprattutto per le conseguenze
pratiche del piano delle Troika sulle condizioni di vita di gran
parte della popolazione. Quanto potrà durare «il
riconoscimento della difficile lotta del capo, sconfitto ma eroico,
che ha permesso a Tsipras di rimanere popolare»1?
Nei
mesi appena trascorsi si è fatto una gran parlare dell'assenza di un
Piano B, di fuoriuscita dall'euro, e della sostanziale inutilità del
quesito referendario ai fini della trattativa (per alcuni versi
trasformatosi in un boomerang), trascurando il ruolo degli
Stati Uniti.
Eppure,
non c'era bisogno delle rivelazioni del quotidiano greco
Ekathimerini2
per capire che, dietro le quinte, Obama ha manovrato per
mantenere la Grecia in Eurozona (e NATO-zona), in cambio dell'impegno
del Fondo Monetario Internazionale, dipendente da Washington, ad
operare per la riduzione del debito greco.
Se
tale promessa non fosse mantenuta, come ora è ignorata dalla
nomenklatura di Bruxelles, verrebbe meno il solo punto di
forza di Tsipras. Sicché, pur avendo anticipato i tempi elettorali,
il ritorno dei problemi al loro nocciolo duro riporrebbe il
confermato premier di fronte all'austerità, senza il benché minimo
spazio di prospettiva.
D'altro
canto non si poteva né si può pretendere che la piccola Grecia cavi
per tutti le castagne dal fuoco. Magari lasciando indisturbato il
“proprio” primo ministro, quando recita la parte del poliziotto
buono3
nel costringere la vittima ad accettare il più pesante dei ricatti.
Tanto più se, a mio parere sbagliando, si vuole “democratizzare
l'euro”.
L'Unione
europea, e al suo interno l'Eurozona in particolare, sono state così
strutturate (nel più ampio processo di mondializzazione), proprio
per isolare le singole insorgenze ed impedire alle sovranità
democratiche di farsi valere.
Una
maglia di acciaio finanziario, governata da Bruxelles, è stesa sulla
libertà dei popoli e delle nazioni. Un esito apparentemente
paradossale per il liberismo che ama rappresentarsi come acerrimo
nemico di vincoli e catene statuali.
Come
può apparire paradossale che occorrano più ampie e varie forze
politiche europee, convergenti nel porre fine alla moneta unica, per
consentire l'avvio di un percorso realmente comunitario.
Purché,
nel frattempo, il Titanic Euro non si sia già schiantato contro un
iceberg, mandando a picco la stessa Unione.
2
Ekathimerini, Washington guided Greece in bailout talks, envoy
reveals, 27/09/2015.
3 Con riferimento a Renzi, Yanis Varoufakis, il Fatto Quotidiano, 23
settembre 2015.
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Tenere
aperto il gioco politico
«È
stata emblematica la visita ufficiale del re di Spagna al Parlamento
europeo, il 15 aprile 2015. Un evento che ci ha messi di fronte a una
questione difficile: quella della monarchia. Perché difficile?
Perché di colpo ci impedisce di essere al centro del terreno.
Davanti
a noi, grosso modo, due opzioni. La prima, adottata in genere dalla
sinistra – come Izquierda Unida (Sinistra unita) –, consiste nel
dire: «Siamo repubblicani. Non riconosciamo la monarchia, non
andremo al ricevimento del re di Spagna. Non riconosciamo questo
spazio di legittimità al capo di Stato».
È
una posizione che, pur avendo perfettamente senso sul piano etico e
morale, ci collocherebbe subito nello spazio della sinistra radicale,
in un quadro molto tradizionale. Alienandoci di colpo ampi strati
della popolazione che provano simpatia per il nuovo re (...),
comunque la pensino su altre questioni e indipendentemente dal fatto
che associno il re precedente alla corruzione del vecchio regime. La
monarchia continua a essere fra le istituzioni più apprezzate in
Spagna. (…) Dunque, due possibilità: o non andiamo al ricevimento
e rimaniamo incastrati nella griglia di analisi tradizionale
dell’estrema sinistra, che offre pochissime possibilità di azione;
o ci andiamo, e Podemos si mescola alla classe politica, il che
equivale a convalidare il quadro istituzionale. Insomma passare per
traditori, monarchici o chissà che…
Come
abbiamo risolto il dilemma? Siamo andati al ricevimento, ma senza
cambiare nulla al nostro modo di presentarci, con gli abiti di
sempre, ignorando il protocollo. È una cosa molto piccola, ma è
simbolicamente rappresentativa di Podemos. Inoltre, ho offerto al re
i dvd della serie Il trono di spade (Game of thrones),
presentandogliela come uno strumento di interpretazione di quel che
accade in Spagna (…). Certo, si tratta di scelte delicate, ma sono
le uniche che ci consentono di tenere aperto il gioco politico, di
lavorare nel cuore di queste contraddizioni, insomma di mettere in
discussione lo status quo, invece di essere relegati in una posizione
pura ma impotente.»
PABLO
IGLESIAS
Paragrafo
tratto da: Le Monde diplomatique – il Manifesto; Podemos, «La
nostra strategia»; n. 7/8, anno
XXII, luglio-agosto 2015.
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