venerdì 19 dicembre 2014

Anno austero 1977

Riccardo Bernini - dicembre 2014

Storie

Anno austero 1977

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L'austerità di Berlinguer può essere accomunata a quella di Monti? Il 1977 e l'esegesi del discorso dell'Eliseo di Ciofi. Il giudizio di Bagnai è storico, ma in quegli anni vi fu già il giudizio di forti movimenti di opposizione. Quando Miriam Mafai...



Correva il 1977
Nel suo ultimo libro1 Alberto Bagnai ricostruisce la genesi storica dell'austerità in Italia. [Ne riporto, dopo le note, alcuni passi.] La questione è assai rilevante, giacché non solo Bagnai ma anche altri economisti non mainstream ritengono, contrariamente all'opinione dominante, che la nostra "svalutazione interna" sia iniziata con l'arresto dei salari posto in relazione alla dinamica della produttività,2 in un susseguirsi di scelte politiche in conseguenza delle quali esplose il debito totale e pubblico italiano. In discussione sono, al contempo, le cause reali della crisi, la perdita di identità della sinistra e le possibili soluzioni politiche.
Bagnai critica l'esegesi del discorso dell'Eliseo di Enrico Berlinguer recentemente scritta da Ciofi per "Liberazione",3 e arriva a considerarlo il primo anello di una lunga catena in fondo alla quale troviamo Monti e la sua politica.
Sull'argomento mi ero espresso su questo blog negli articoli "Storia recente che parla al presente" e "Miopie". Mi pare che il giudizio storico di Bagnai conforti se non le mie considerazioni politiche, almeno il concetto di "austerità ante litteram", in anticipo rispetto a quella derivante dai vincoli europei.
Del resto, le nostre élites dirigenti sin dall'inizio degli anni ottanta del secolo scorso sono state assai attive nella edificazione dell'attuale Europa, di cui lamentano ora alcune asimmetrie, soprattutto relative alla posizione della Germania rispetto all'Italia. Basti pensare al famoso divorzio all'italiana tra Tesoro e Banca d'Italia (fronte interno) e al nefasto ruolo giocato nel fomentare disgregazione e guerra nella ex-Jugoslavia (fronte esterno). Vorrei, tuttavia, aggiungere alla comprensione di quel periodo l'esperienza diretta di un fatto piuttosto significativo. Non senza un necessario e breve prologo.
Anni contesi
Con l'appoggio esterno del PCI nasceva nel 1976 il governo monocolore di Andreotti.
Nel gennaio del 1977 un ennesimo accordo interconfederale, poi trasformato in legge dello Stato, eliminò dal calcolo per l'indennità di liquidazione la contingenza che sarebbe maturata a partire dal febbraio 1977. Non era che uno dei frutti maturati sull'albero della solidarietà nazionale nel quadro della strategia del compromesso storico. In molte fabbriche e luoghi di lavoro crebbe un forte movimento d'opposizione, non solo operaia, verso l'austerità.
Già allora,4 i mass-media preferivano indirizzare l'attenzione dell'opinione pubblica su altri protagonismi, diciamo "più comodi" per una rappresentazione della realtà funzionale alle soluzioni proposte dai "poteri forti" (ancora c'erano). Per esempio, su Toni Negri e la sua teoria del conflitto tra garantiti e non.5 Per tacere dell'uso ricattatorio e repressivo del terrorismo contro quei movimenti, su cui vennero fatti pesare "anni di piombo".6 Non era esagerato parlare di "caccia alle streghe". Ciò nonostante nelle infuocate assemblee dei lavoratori e delle lavoratrici, nonché nella loro diffusa opinione, la linea dei "vertici sindacali e del PCI" subiva spesso clamorosi rovesci. In buona sostanza, non era per niente scontato che la "base" seguisse i vertici illuminati dal discorso dell'Eliseo.
Veniamo al fatto.
Quando Miriam Mafai...
Il passo del testo di Bagnai ha ridestato in me il ricordo di un'intervista chiesta da Miriam Mafai7 per La Repubblica al Comitato che, a partire dal '77, promuoveva l'opposizione operaia in Italtel. La giornalista, scomparsa più di due anni fa, stava realizzando un'inchiesta in diverse fabbriche per meglio descrivere la situazione e i problemi del mondo del lavoro ai lettori del suo quotidiano.
Ci venne a trovare nella sede modestissima del Comitato e dalle domande poste ci fu subito chiaro quanto il suo interesse travalicasse il semplice reportage giornalistico.
Le riproponemmo pari pari la nostra posizione "ufficiale". In particolare:
- non eravamo affatto scandalizzati dall'idea che si potesse raggiungere un compromesso con l'avversario, purché non lo si pensasse come alleato addirittura storico del cambiamento strutturale e sociale (ci sono compromessi e compromessi...);
- un arretramento economico e sociale, pensavamo, non poteva corrispondere ad un'avanzamento politico; la decurtazione di salari e stipendi e il mancato contrasto ai processi ristrutturativi in corso avrebbe solo indebolito i lavoratori sotto ogni aspetto;
- nutrivamo il sospetto, poi divenuto certezza, che si stesse consumando, a discapito della comunità di destino di cui ci sentivamo parte, uno scambio, in forza del quale i "sacrifici" erano offerti come contropartita per l'accesso al potere.
Comunità con destini separati
Anche allora non eravamo a digiuno di economia politica a tal punto da non sapere che, deprimendo le retribuzioni e il loro potere d'acquisto, si andava a restringere anche la domanda interna del Paese intero.8 Per giunta, la separazione dei due destini, dei lavoratori da un lato e delle élites di sinistra dall'altro, non era affatto una novità, vista la deriva del "socialismo reale" messa in evidenza dai movimenti sin dalla fine degli anni Sessanta.
Come sia finita lo sappiamo tutti. Berlinguer riportò il partito all'opposizione. Tuttavia il "dado era tratto" e l'opposizione fu piuttosto consociativa. Né bastò quella prova di buona volontà e responsabilità. Altre ne vennero chieste e altre ne furono date, finché, con relative mutazioni ora ritenute "genetiche",9 quelle élites furono "sdoganate" e arrivarono pure al governo del Paese, dando il proprio contributo alla "macelleria sociale."10 Ma ai cosiddetti garantiti fu sempre e solo garantita la politica dei due tempi, quella, per intenderci, per la quale i "sacrifici" erano e sono sicuri nonché immediati, mentre gli auspicati cambiamenti cari al marxista Ciofi,11 come il sol dell'avvenire, furono e sono posposti all'infinito.
Ci si può meravigliare che su simili basi analitiche e di consapevolezza storica ogni rifondazione fosse preclusa?
Della discussione sul marxismo ortodosso o eterodosso non credo si abbia nostalgia. Importa di più cogliere un aspetto allora da pochi compreso: l'austerità della solidarietà nazionale ha dato inizio ad un percorso che ha fortemente danneggiato non solo la classe a cui pretendeva di dare una prospettiva politica, ma pure l'insieme della nazione in nome della quale invocava solidarietà.
Non sarebbe male se in luogo delle tante spending review si effettuasse una salutare e generale revisione politica. Essa ci proporrebbe, forse, soluzioni più adeguate.

1 Alberto Bagnai, L'Italia può farcela, Il Saggiatore, 2014.
2 Ibidem, pag. 218: "(...) in Italia (...) dal 1981 al 1995 i salari reali crescono in media di 1,2 punti in meno all'anno rispetto alla produttività (rispettivamente: 0,7% e 1,9%; la nostra svalutazione interna era già iniziata)."
3 Paolo Ciofi, 13 febbraio 2014, http://www.liberazione.it/rubrica-file/Berlinguer-e-l-austerit-come-strumento-di-trasformazione.htm.
4 La recente scoperta di molti studiosi eterodossi delle condizioni in cui versa l'informazione fa un po', amaramente, sorridere.
5 Uno dei motivi per i quali le teorie del giovane economista Ferragina hanno richiamato la mia attenzione (vedi "Miopie").
6 Una narrazione ricorrente da parte degli storici "de noaltri", per passare in subordine i forti movimenti sociali e politici di opposizione e annegarli nel terrorismo.
7 Miriam Mafai fu cofondatrice di "La Repubblica" e per decenni compagna di Giancarlo Pajetta, storico esponente del PCI.
8 Fu un tema ricorrente anche nella scissione sindacale che portò alla successiva nascita della FLMU di Piergiorgio Tiboni.
9 Mi riferisco alle recenti dichiarazioni di Marco Revelli.
10 Nel citato ibro di Bagnai, a pag. 218, con riferimento agli studi che hanno calcolato (media dei G7) in 10 punti la quota salari diminuita tra la fine degli anni settanta e il 2010, scrive di "riforme" "sempre affidate a macellai con il grembiule rosso, perché su quello azzurro gli schizzi di sangue si vedono troppo."
11 Paolo Ciofi, La bancarotta del capitale e la nuova società - Nel laboratorio di Marx per uscire dalla crisi, Editori Riuniti, 2012.

Austerità
Dal libro di Alberto Bagnai, L'Italia può farcela, il Saggiatore, 2014, pag. 227.
"Di Enrico Berlinguer tutti ricordiamo la tragica fine, ma non tutti ricordano l'elogio dell'austerità, che nel 1977 vedeva come «occasione per trasformare l'Italia»." (...)
"Dall'anno successivo la quota salari sarebbe scesa, e tre anni dopo la crescita dei salari reali si sarebbe arrestata. I tanti tentativi di esegesi del famoso discorso dell'Eliseo (uno fra tutti: Ciofi, 2014) dovrebbero, per completezza di informazione, essere correlati dalla Figura 21 di questo libro, così tanto per capire di cosa stiamo parlando. Alla frase «L'austerità è il mezzo per contrastare alle radici e porre le basi del superamento di un sistema che è entrato in una crisi strutturale e di fondo» vorrei opporre la serena constatazione del fatto che, (...), il sistema, nella «crisi strutturale e di fondo», ci sarebbe entrato grazie alla mistica dell'austerità, della moderazione, ovviamente quella dei poveracci come me e te, caro lettore, certo non quella delle simpatiche élite. Di questa mistica Berlinguer e Monti - sia pure in modi, tempi e luoghi diversi (ma non troppo), e con intenti ancor più diversi - hanno oggettivamente contribuito a creare il frame, il meccanismo comunicativo che la rendesse socialmente accettabile a chi poi ne è stato vittima. A posteriori, mi pare difficile negare che il discorso di Berlinguer del 1977 sia il primo anello di una lunga catena in fondo alla quale troviamo l'ode a Monti liberatore, declamata in prima pagina dall'Unità il 13 novembre 2011. (...)"

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