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- la riforma del MES (Meccanismo Europeo di Stabilità), cosiddetto Fondo salva-Stati ;
- il completamento dell'Unione bancaria con il pilastro mancante, la garanzia sui depositi bancari;
- un iniziale budget della Zona euro, del quale assai poco si parla.
- il più ovvio: quali sono oggi in Europa le banche da salvare?
- il più generale: perché mai il salvataggio delle banche, su cui è imperniato il sistema finanziario europeo, assume la priorità?
- rafforza il dominio della finanza, delle banche e delle multinazionali finanziarizzate nel contesto liberista, a detrimento dell'economia “reale”, imperniata sulle piccole e medie imprese;
- impedisce una politica economica pubblica espansiva di grandi investimenti, necessari a fronteggiare il declino industriale, effettuare la riconversione verso una economia verde ed il riassesto del territorio e delle sue infrastrutture;
- riconferma la concorrenza salariale al ribasso che peggiora le condizioni dei lavoratori, la qualità dei posti di lavoro, diffonde precariato e disoccupazione, contribuendo all'ulteriore deperimento del welfare;
- disgrega le società nazionali ed aumenta le distanze tra Paesi della Zona euro e dell'Unione, invece della promessa “integrazione”.
CHI SALVA IL MES
La
riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità
nel
“pacchetto” di riforme dell'Unione economica
e
monetaria. Sommersi e salvati.
Infuria in Italia
la contesa sul MES, il Meccanismo Europeo di Stabilità, cosiddetto
salva-Stati, se approvarne la riforma senza o nel “pacchetto”,
comprendente anche il completamento dell'Unione bancaria, ossia la
garanzia sui depositi bancari, ed un primo budget della Zona euro.
Sono coinvolti
molti interessi: delle banche e dei risparmi delle famiglie; degli
investimenti e dell'occupazione; dell'economia e della società. È
coinvolto il rapporto tra questione sociale e questione nazionale che
l'Europa dei trattati rende inestricabile.
Le “ricadute”
delle riforme della Unione economica e monetaria sono comprensibili
in base all'indirizzo politico che affermano.
Qual
è la reale finalità del nuovo MES?
Il
MES nel “pacchetto”
Le
due crisi, delle industrie italiana e tedesca [vedi
il prossimo Post, dedicato al tema],
incontrano le politiche europee, ovvero il “pacchetto” di riforme
con le quali “stabilizzare” la Zona euro e l'Unione europea. Il
“pacchetto” contiene:
Il
MES passa per una “tecno-struttura”. Il suo Consiglio di
Amministrazione è di nomina intergovernativa. A stretto controllo
teutonico, il suo direttore generale, con diritto di voto nel
Consiglio di Amministrazione, è Klaus Regling. Con la riforma il
MES, sul cui direttore l'Italia non ha diritto di veto, assume il
ruolo di “prestatore di ultima istanza”.1
Pertanto, in assenza di uno Stato federale unitario, un nuovo potere
sovrano “anomalo” si affianca ad un altro potere altrettanto
“anomalo”, quello della Banca Centrale Europea (BCE): entrambi
sottratti al controllo dei parlamenti europeo e nazionali. Inoltre,
il nuovo MES sposta su di sé l'asse del potere in materia economica,
sminuendo quello della Commissione europea.
Klaus Regling |
Al
MES è affidato il primo giudizio “tecnico” di affidabilità del
Paese che, in caso di estremo bisogno, chiedesse un prestito al
Fondo. A sua volta tale giudizio è basato sulla rispondenza di quel
Paese ai riconfermati parametri europei.2
In mancanza del rispetto dei quali - è il caso non solo dell'Italia
– l'erogazione del prestito verrebbe condizionata alla
ristrutturazione del debito, ossia ad un trattamento tipo quello
subito dalla Grecia.
Come
ha scritto Barbara Spinelli: «Vero è che la ristrutturazione del
debito non sarebbe automatica,
ma diventa obbligatoria
se il MES giudica insostenibile un indebitamento.»3
Una
profezia che si auto-avvera
Le
“condizionalità” hanno suscitato grande allarme pure all'interno
delle file europeiste dell'establishment
italiano, perché, anche se la ristrutturazione non è prevista in
automatico, al
primo stormir di fronde gli investitori sarebbero spinti
immediatamente a non sottoscrivere i titoli del debito italiano.
È
quanto sostiene l'onnipresente Carlo Cottarelli: «La riforma del MES
è insidiosa e può scatenare le crisi.» «Se gli investitori sanno
che il Fondo salva-Stati richiederà probabilmente la
ristrutturazione del nostro debito come condizione per un prestito,
come pensate che si comportino? Smetterebbero di comprare titoli di
Stato al primo segnale di tensione: un momento di difficoltà che
potrebbe essere superato, potrebbe trasformarsi in una crisi
profonda.» Di analogo avviso è stato Visco, governatore di
Bankitalia, prima di una posizione più “prudente”.
«Sarebbe
un colpo di pistola a sangue freddo alla tempia dei risparmiatori,
una sorta di bail-in
applicato
a milioni di risparmiatori» ha detto in audizione alla Camera
Giampaolo Galli, vicedirettore dell’Osservatorio
sui conti pubblici presieduto da Cottarelli.
Segnalo
che lo sparo alla tempia è consentito dalle “clausole di azione
collettiva” (CACs), spesso ignote ai piccoli risparmiatori in
titoli di Stato, che permettono agli emittenti dell'Unione, tra
l'altro, di “tosare” il valore nominale del titolo alla scadenza
e di allungarne i tempi di rimborso.
Il
governo tedesco gioca d'anticipo
La
riforma del MES viene collegata in particolare al completamento
dell'Unione bancaria, il cosiddetto “terzo pilastro”, costituito
dal “sistema di garanzia comune per i depositi bancari”.
Sulla
seconda componente del “pacchetto”, il ministro delle Finanze
Olaf Scholz,4
socialdemocratico, ha giocato d'anticipo, suscitando ulteriori
allarmi. Scholz ha proposto di completare l'Unione bancaria
eliminando il “rischio zero” per la detenzione dei titoli di
Stato e chiedendo alle banche di accantonare, a garanzia, fondi in
proporzione ai titoli posseduti. Per il governo tedesco il rischio
per le banche detentrici di titoli di Stato va misurato sul rating
del debito pubblico dei Paesi dell'Eurozona che li emettono.
Olaf Scholz |
Una
minaccia che sa di ricatto, visto che il rating
dell'Italia è “BBB” (con outlook
negativo)5
e quello tedesco è “AAA”.
Come a dire ai Paesi periferici e semi-periferici tra cui l'Italia:
evitate di sollevare immediatamente il problema delle garanzie sui
depositi bancari, perché avete tutto da rimetterci; approvate la
riforma del MES così com'è e ringraziateci.
Il
disegno strategico è chiaro:
prima di condividere gli eventuali rischi connessi alla garanzia sui
depositi bancari ed al mini-budget dell'Eurozona, i Paesi “devianti”
devono accettare di ridurre i rischi (per i Paesi “disciplinati”)
derivanti dal loro debito pubblico, in obbedienza ai parametri
dell'austerità.
Districandoci
tra meccanismi e sigle di cui è disseminata la costruzione
istituzionale europea – il post-moderno latino con cui cantano
messa i tecnocrati dell'Unione – possiamo fare alcune
considerazioni.
I
trascorsi del MES nelle crisi spagnola e greca non depongono a suo
favore. Tramite il salvataggio dello Stato ellenico, in realtà
furono salvate le banche tedesche e francesi esposte, riversando sul
popolo greco la sanguinosa austerità inflitta dalla Troika.
Novità
sostanziali
L'estensione
del suo soccorso alle banche, insieme al suo ruolo parallelo
fintamente “tecnico”, in pratica sottoposto al solo controllo
politico degli esecutivi, introduce una novità sostanziale.
[Vedi
nella finestra “Il MES vecchio e nuovo”, in fondo al paragrafo.]
Nel
difenderlo, Gualtieri e Gentiloni confermano la novità, pretendendo
che sia positiva e persino un successo per l'Italia.
Cito
l'agenzia ANSA: «Il 'backstop', ossia la disponibilità del
Meccanismo europeo di stabilità ad essere utilizzato dal fondo per
le risoluzioni bancarie, “raddoppia” i fondi disponibili per
salvare le banche: si tratta dunque “di un successo per l'Italia”.
Lo ha detto il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri durante
un'audizione a Palazzo Madama.»6
Paolo
Gentiloni è ancora più chiaro: «Da Commissario europeo posso dire
che la riforma di cui si parla è stata fatta per introdurre un
ombrello protettivo in caso di crisi bancarie non gestibili con gli
strumenti attuali. Si tratta di un obiettivo positivo.»7
Ma
i due esponenti del PD, lisciando il pelo alle allarmate banche
italiane che dovrebbero sentirsi “rassicurate”, sfuggono a due
connessi importanti quesiti:
Sfuggendo
al secondo quesito si dà per scontato che le banche private vadano
protette “a priori” con la contribuzione degli Stati, con il
sotto inteso che i rischi privati sono garantiti dal denaro pubblico.
In buona sostanza, invece di “mettere i ceppi alla finanza”,
affrancando da essa l'economia “reale”, come richiederebbe
l'ultimo crollo finanziario e la conseguente stagnazione in atto, in
virtù del loro riconfermato ruolo centrale nel sistema, è
“naturale” le si debba “coprire” prima di eventuali futuri
crack.
Ma
questo va nella direzione esattamente contraria all'auspicato
cambiamento,
richiesto dal riformismo europeo che sostiene il “restare per
riformare” le istituzioni della Zona euro e dell'Unione.
Il MES vecchio e nuovo
MES
è l'acronimo di Meccanismo Europeo di Stabilità della Zona euro,
Dal 2012 sostituisce il Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria
(FESF) ed il Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria
(MESF), ereditando da essi l'etichetta di Fondo salva-Stati.
L'ingegneria del FESF era basata su prodotti “tossici”, simili a
quelli che hanno scatenato la crisi del 2007-2008 ed alla quale si
proponeva di rimediare.
A
differenza del FESF, il MES prevede il versamento di una quota di
contribuzione reale, rapportata al PIL, di ciascun Paese membro, per
cui l'Italia è il terzo contributore. In caso di default
del Paese beneficiario del suo programma di assistenza, il Fondo è
“creditore privilegiato” rispetto agli altri creditori,
eventualmente secondo solo al Fondo Monetario Internazionale (FMI).
Il
MES ha un capitale autorizzato di 700 miliardi di €, di cui 80
versati dagli stati membri: i rimanenti 620 miliardi, se necessari,
possono venire raccolti attraverso apposite emissioni di obbligazioni
sul mercato. Le obbligazioni sino ad ora emesse dal MES sono per
circa la metà collocate in Europa e, per l'altra metà, sui mercati
extra-europei.
Nel
2012, per accedere al “soccorso” del MES, il governo spagnolo ha
dovuto pagare 4 miliardi di euro solo per la procedura d'avviamento e
si è indebitato a tassi punitivi per costituire il capitale con cui
sono stati erogati i prestiti, nella forma di obbligazioni MES o
FESF, previsti per il salvataggio. In continuità con il FESF, il MES
è intervenuto anche nella crisi greca. Dei 216 miliardi di euro
erogati alla Grecia fino al 2016, appena il 5% è finito nelle casse
di Atene. Il resto è servito a ricapitalizzare il sistema creditizio
del Paese e ripagare i creditori, soprattutto le banche francesi e
tedesche.
Il
MES interviene di fatto nelle decisioni di politica economica.
Il
nuovo MES
prefigurato dall’Eurogruppo sviluppa strumenti di intervento più
agili, “linee di credito precauzionali” capaci di garantire una
copertura finanziaria minima ma efficace agli Stati disciplinati. Ma,
nel contempo, afferma il principio della cosiddetta condizionalità
ex-ante: se ti comporti bene, cioè se rispetti tutti i vincoli
europei (austerità), sei schermato da attacchi speculativi perché
hai automaticamente accesso a queste linee di credito; in
caso contrario sei lasciato in balia della speculazione finanziaria
internazionale.
Il
modello
a cui si ispira è il Fondo Monetario Internazionale (FMI), i cui
prestiti sono stati erogati in base a “condizionalità”
socialmente devastanti, soprattutto per i Paesi poveri del mondo.
In
particolare
il soccorso del nuovo MES è duplicato rispetto alle banche e
nell'insieme assume il ruolo di una struttura parallela alla
Commissione europea ed alla Banca Centrale Europea.
Dissesti
privati
In
quanto alla domanda più ovvia, si dà il caso che sul sistema
finanziario tedesco non pesi affatto il dissesto statale, bensì
quello privato: la Deutsche Bank ha in pancia titoli tossici
“derivati” per un ammontare pari a 15-16 volte il Pil tedesco!8
E, in qualsiasi modo si vogliano calcolare i cosiddetti “titoli
tossici”, le banche tedesche e francesi sono messe piuttosto male,
anzi malissimo.9
Emmanuel Macron e Angela Merkel |
Alla
constatazione sulle difficoltà delle banche dei Paesi centrali, si
risponde che anche le banche italiane, della cui salute è lecito
dubitare, potrebbero aver bisogno di una maggiore disponibilità del
salva-banche del MES.
Ma
è proprio in vista di questa eventualità che la proposta di Olaf
Scholz ha giocato d'anticipo, minacciando i Paesi con alto debito
pubblico, Italia in primis,
sulla seconda componente del “pacchetto”.
Il
discorso dell'establishment
europeo
è chiaro: o accettate di garantire tutte le banche private con i
soldi pubblici e di confermare “qualsiasi cosa accada” il ruolo
dominante della finanza, o, come Paese Italia sarete messi
all'indice.
È
su questo crinale che la questione economico-sociale del primato
della finanza viene a collocarsi nella crescente divergenza degli
interessi nazionali e si crea il giusto “contesto” per risolvere
i problemi delle banche tedesche e francesi.
Opacità
Alla
proposta di Olaf Scholz sul “terzo pilastro” dell'Unione bancaria
si è opposto Roberto Gualtieri, ministro italiano dell'Economia e
delle Finanze, il quale però è favorevole alla riforma del MES, che
a suo avviso non cambierebbe granché il vecchio MES, salvo
raddoppiare i fondi disponibili per salvare le banche.
Delle
due l'una. Se non cambiasse granché, non esisterebbe una valida
ragione per la riforma prioritaria del MES e, tantomeno, non sarebbe
comprensibile il motivo per il quale Germania e Francia ci tengano
così tanto a farla passare (subito). Poiché, invece, la riforma è
stata fatta per offrire un “ombrello protettivo” alle banche, va
detto di quali banche si tratti e quale connessione sussista tra il
nuovo ruolo del MES e le restanti parti del “pacchetto”.
Innanzitutto quella riguardante il completamento dell'Unione
bancaria.
Il
nuovo MES estende le sue funzioni da salva-Stati a salva-banche ed il
“pacchetto” viene spacchettato in un prima ed un dopo, con la
minaccia tedesca sul rischio a cui sottoporre i titoli di Stato
sottoscritti dai risparmiatori. Pertanto, non esiste la condizione
minima
di trasparenza complessiva, indispensabile a qualsivoglia democrazia
della decisione.
C'è
bisogno di altro per “pensar male”?
Alle
prese con decisioni dirimenti, il dibattito italiano si nutre di
mezze verità.
Mezze
verità
Benché
M5S e Lega, che diedero vita al governo Conte I, si siano
ufficialmente pronunciate contro la riforma del MES, approvando a
giugno una mozione parlamentare che impegnava Conte e Tria ad
informare le Camere ed a non firmare accordi potenzialmente dannosi,
il ministro Tria, a capo di Economia e Finanze, e lo stesso Conte,
hanno sostanzialmente dato il loro “via libera”, non certo
all'insaputa del parlamento, delle sue commissioni e degli altri
ministri del governo, compresi i vice Salvini e Di Maio. Un via
libera per cui ora il parlamento, pur disponendo dell'ultima parola
per la firma definitiva, è sottoposto alla pressante scelta se
“restare isolati in Europa”, “perdendo credibilità”, o
sottostare.
Sta
di fatto che di recente il commissario europeo uscente Moscovici si è
recato dal capo dello Stato Mattarella, per invocare il rispetto
degli “impegni presi”.
Il
percorso seguito dal Conte I non è dissimile da quello del Conte II,
stante l'adesione delle relative forze di maggioranza alla linea di
migliorare l'Eurozona e l'Ue. Unica differenza: il PD (e Italia Viva)
erano già su questa linea, quando, invece, il M5S e la Lega si
dicevano euroscettici e per l'uscita dall'euro. Inoltre, non va
trascurato il ruolo di quello che ho chiamato il “terzo partito”
nella defunta coalizione giallo-verde, capeggiato dal Presidente
Mattarella ed attestato sull'azione garante dei trattati dell'allora
ministro Tria. Questi si è subito associato alla richiesta di
Moscovici, col beneplacito del premier
Conte,
al quale la riforma del MES appare oggi “digeribile” se attuata
in un concordato “pacchetto”.
Sul
tema del MES Salvini ha ripetuto il metodo sperimentato quando si
trattò di votare a Bruxelles per la elezione di Ursula von der Leyen
a capo della Commissione europea. Dopo aver dato il proprio assenso,
che comprendeva la nomina di un esponente della Lega nella
Commissione europea, all'ultimo momento ha denunciato l'accordo,
lasciando il M5S col cerino in mano.10
Salvini
fa a gara con Meloni nel riesumare un nazionalismo della peggior
specie gridando all“Italia tradita”, un Leitmotiv
ormai centenario. Lo spazio politico gli è fornito non tanto dal
comportamento di Conte, sul quale mente ed è stato smentito, come
s'è appurato in parlamento il 2 dicembre, quanto dalle inevitabili
conseguenze derivanti dalla concreta pratica del percorso riformista
dell'Eurozona, cuore dell'Unione: il riproporsi della questione
nazionale, in sovrapposizione alle esigenze irrinunciabili del nostro
Paese di far fronte alla sua crisi, ingabbiato dalle regole europee
in materia di spese per investimenti e di bilancio.
Prescindendo
dalla querelle
tra Conte e Salvini, che ha riempito i mass-media, constatiamo
che tra le forze della maggioranza del presente governo si è
determinata una divergenza, temporaneamente tamponata con la
richiesta di concordare l'intero “pacchetto”: PD ed Italia Viva
sono
favorevoli a firmare la riforma del MES; M5S e LeU contro.
Tra
le fila di queste ultime forze spiccano le posizioni più lucide di
Alessandro Di Battista e Stefano Fassina, nelle quali è presente il
nesso tra questione sociale e questione nazionale che il MES
pesantemente coinvolge.
Tra
sociale e nazionale
La
riforma del MES acuisce la perdita di sovranità nazionale economica
e monetaria, posta in capo ai trattati, al mercato unico ed alla
moneta unica:
Lega
e Fratelli d'Italia hanno gioco facile ad inserirsi nelle
contraddizioni governative, dal momento che la stessa linea di
“restare per riformare” l'Eurozona e l'Unione è così
pesantemente smentita dai fatti. Salvini e Meloni possono sfruttare
il malcontento sociale, riconducendolo al nazionalismo più retrivo.
Qualora
il M5S e LeU non tenessero ferma la loro posizione, sia sul MES che
sul “pacchetto”, il campo sarà sempre più dominato da un lato
dagli europeisti ad oltranza che cedono sovranità democratica e
nazionale, dall'altro, dal sovranismo di stampo nazionalistico e
fascistizzante.
Una
prospettiva scongiurabile solo collegando la generale lotta al
liberismo alla ripresa della sovranità nazionale costituzionale,
ambito nella quale è possibile esercitare la democrazia a difesa
della società.
Allo
stato attuale gli uni sono liberisti quanto gli altri. I Dem ed
Italia Viva in fedeltà all'Europa liberista dei trattati
sovra-nazionali. Lega-Fd'I-FI perché vogliono la flat
tax,
hanno in odio lo Stato sociale e minime misure come il reddito di
cittadinanza, contro il quale anche Italia Viva concorda.
Tutti
insieme si sono schierati a favore dei “prenditori” delle
concessioni autostradali e del TAV, il partito unico del Pil e del
cemento che ha ridotto il Paese nelle condizioni in cui si trova.
Firmare
la riforma del MES così com'è, magari in presenza di qualche
rassicurazione formale sul futuro restante “pacchetto”, equivale
ad offrire a Salvini ed alla Meloni una solida carta vincente. Poi,
ci si chiede desolati perché mai, con la loro demagogia
nazionalistica ed i loro tanto deprecati “toni forti”,
“politicamente scorretti”, prevalgano nei sondaggi elettorali.
Non
sarà il bon
ton
a salvarci.
Viene
in mente la famosa parabola dell'economista americano Arthur Okun,
che Federico Caffé interpretò in chiave euro: «Se ci si imbarca
con un leone, occorre munirsi di parecchie pecore.»
Il
leone è la Germania, fate voi chi sono le pecore. Note
1
Quando, in una situazione di crisi, a fronte di una richiesta di
liquidità enorme, alla quale nessun altro soggetto può rispondere,
il prestatore interviene, appunto, in ultima istanza. Negli Stati
Uniti questa funzione è svolta dalla Fed, nell'ambito di uno Stato
Federale.
2
Deficit non superiore al 3% del Pil; debito pubblico sotto il 60%
del Pil.
3
Barbara Spinelli, “I rischi sui debiti e i lati oscuri del 'salva
Stati'”, Il Fatto Quotidiano, 4 dicembre 2019.
4
Scholz ha perso la gara per la segreteria del Partito
socialdemocratico tedesco (SPD), sconfitto da Saskia Esken e Norbert
Walter-Borjans, considerati più a sinistra.
5
Il rating è una
classificazione di affidabilità del debito operata da agenzie
internazionali; è accompagnato da un previsione
(l'outlook)
sul suo andamento nel medio-lungo termine.
7
Paolo Valentino, intervista a Paolo Gentiloni, Corriere della Sera,
1 dicembre 2019.
10
Quello
di Salvini è un metodo. Rimprovera al ministero dei Trasporti di
essere inerte di fronte ai disastri delle rete autostradale,
“dimenticando” che fu la Lega ad opporsi alla revoca delle
concessioni ai Benetton all'indomani del crollo del ponte Morandi,
senza la quale al ministero è impedito ogni intervento diretto.
Ragione per cui oggi, sui lavori di messa in sicurezza, può
prendere provvedimenti solo la magistratura.
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