sabato 7 dicembre 2019

Chi salva il MES


[Clicca sul titolo qui sotto se vuoi scaricare l'articolo in formato PDF]
    nel “pacchetto” di riforme dell'Unione economica
    e monetaria. Sommersi e salvati.

    Infuria in Italia la contesa sul MES, il Meccanismo Europeo di Stabilità, cosiddetto salva-Stati, se approvarne la riforma senza o nel “pacchetto”, comprendente anche il completamento dell'Unione bancaria, ossia la garanzia sui depositi bancari, ed un primo budget della Zona euro.
    Sono coinvolti molti interessi: delle banche e dei risparmi delle famiglie; degli investimenti e dell'occupazione; dell'economia e della società. È coinvolto il rapporto tra questione sociale e questione nazionale che l'Europa dei trattati rende inestricabile.
    Le “ricadute” delle riforme della Unione economica e monetaria sono comprensibili in base all'indirizzo politico che affermano.
    Qual è la reale finalità del nuovo MES?
    Il MES nel “pacchetto”
    Le due crisi, delle industrie italiana e tedesca [vedi il prossimo Post, dedicato al tema], incontrano le politiche europee, ovvero il “pacchetto” di riforme con le quali “stabilizzare” la Zona euro e l'Unione europea. Il “pacchetto” contiene:
    • la riforma del MES (Meccanismo Europeo di Stabilità), cosiddetto Fondo salva-Stati ;
    • il completamento dell'Unione bancaria con il pilastro mancante, la garanzia sui depositi bancari;
    • un iniziale budget della Zona euro, del quale assai poco si parla.
    Il MES passa per una “tecno-struttura”. Il suo Consiglio di Amministrazione è di nomina intergovernativa. A stretto controllo teutonico, il suo direttore generale, con diritto di voto nel Consiglio di Amministrazione, è Klaus Regling. Con la riforma il MES, sul cui direttore l'Italia non ha diritto di veto, assume il ruolo di “prestatore di ultima istanza”.1
    Klaus Regling
    Pertanto, in assenza di uno Stato federale unitario, un nuovo potere sovrano “anomalo” si affianca ad un altro potere altrettanto “anomalo”, quello della Banca Centrale Europea (BCE): entrambi sottratti al controllo dei parlamenti europeo e nazionali. Inoltre, il nuovo MES sposta su di sé l'asse del potere in materia economica, sminuendo quello della Commissione europea.
    Al MES è affidato il primo giudizio “tecnico” di affidabilità del Paese che, in caso di estremo bisogno, chiedesse un prestito al Fondo. A sua volta tale giudizio è basato sulla rispondenza di quel Paese ai riconfermati parametri europei.2 In mancanza del rispetto dei quali - è il caso non solo dell'Italia – l'erogazione del prestito verrebbe condizionata alla ristrutturazione del debito, ossia ad un trattamento tipo quello subito dalla Grecia.
    Come ha scritto Barbara Spinelli: «Vero è che la ristrutturazione del debito non sarebbe automatica, ma diventa obbligatoria se il MES giudica insostenibile un indebitamento.»3
    Una profezia che si auto-avvera
    Le “condizionalità” hanno suscitato grande allarme pure all'interno delle file europeiste dell'establishment italiano, perché, anche se la ristrutturazione non è prevista in automatico, al primo stormir di fronde gli investitori sarebbero spinti immediatamente a non sottoscrivere i titoli del debito italiano.
    È quanto sostiene l'onnipresente Carlo Cottarelli: «La riforma del MES è insidiosa e può scatenare le crisi.» «Se gli investitori sanno che il Fondo salva-Stati richiederà probabilmente la ristrutturazione del nostro debito come condizione per un prestito, come pensate che si comportino? Smetterebbero di comprare titoli di Stato al primo segnale di tensione: un momento di difficoltà che potrebbe essere superato, potrebbe trasformarsi in una crisi profonda.» Di analogo avviso è stato Visco, governatore di Bankitalia, prima di una posizione più “prudente”.
    «Sarebbe un colpo di pistola a sangue freddo alla tempia dei risparmiatori, una sorta di bail-in applicato a milioni di risparmiatori» ha detto in audizione alla Camera Giampaolo Galli, vicedirettore dell’Osservatorio sui conti pubblici presieduto da Cottarelli.
    Segnalo che lo sparo alla tempia è consentito dalle “clausole di azione collettiva” (CACs), spesso ignote ai piccoli risparmiatori in titoli di Stato, che permettono agli emittenti dell'Unione, tra l'altro, di “tosare” il valore nominale del titolo alla scadenza e di allungarne i tempi di rimborso.
    Il governo tedesco gioca d'anticipo
    La riforma del MES viene collegata in particolare al completamento dell'Unione bancaria, il cosiddetto “terzo pilastro”, costituito dal “sistema di garanzia comune per i depositi bancari”.
    Sulla seconda componente del “pacchetto”, il ministro delle Finanze Olaf Scholz,4 socialdemocratico, ha giocato d'anticipo, suscitando ulteriori allarmi. Scholz ha proposto di completare l'Unione bancaria eliminando il “rischio zero” per la detenzione dei titoli di Stato e chiedendo alle banche di accantonare, a garanzia, fondi in proporzione ai titoli posseduti. Per il governo tedesco il rischio per le banche detentrici di titoli di Stato va misurato sul rating del debito pubblico dei Paesi dell'Eurozona che li emettono.
    Olaf Scholz
    Una minaccia che sa di ricatto, visto che il rating dell'Italia è “BBB” (con outlook negativo)5 e quello tedesco è “AAA”. Come a dire ai Paesi periferici e semi-periferici tra cui l'Italia: evitate di sollevare immediatamente il problema delle garanzie sui depositi bancari, perché avete tutto da rimetterci; approvate la riforma del MES così com'è e ringraziateci.
    Il disegno strategico è chiaro: prima di condividere gli eventuali rischi connessi alla garanzia sui depositi bancari ed al mini-budget dell'Eurozona, i Paesi “devianti” devono accettare di ridurre i rischi (per i Paesi “disciplinati”) derivanti dal loro debito pubblico, in obbedienza ai parametri dell'austerità.
    Districandoci tra meccanismi e sigle di cui è disseminata la costruzione istituzionale europea – il post-moderno latino con cui cantano messa i tecnocrati dell'Unione – possiamo fare alcune considerazioni.
    I trascorsi del MES nelle crisi spagnola e greca non depongono a suo favore. Tramite il salvataggio dello Stato ellenico, in realtà furono salvate le banche tedesche e francesi esposte, riversando sul popolo greco la sanguinosa austerità inflitta dalla Troika.
    Novità sostanziali
    L'estensione del suo soccorso alle banche, insieme al suo ruolo parallelo fintamente “tecnico”, in pratica sottoposto al solo controllo politico degli esecutivi, introduce una novità sostanziale.
    [Vedi nella finestra “Il MES vecchio e nuovo”, in fondo al paragrafo.]
    Nel difenderlo, Gualtieri e Gentiloni confermano la novità, pretendendo che sia positiva e persino un successo per l'Italia.
    Cito l'agenzia ANSA: «Il 'backstop', ossia la disponibilità del Meccanismo europeo di stabilità ad essere utilizzato dal fondo per le risoluzioni bancarie, “raddoppia” i fondi disponibili per salvare le banche: si tratta dunque “di un successo per l'Italia”. Lo ha detto il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri durante un'audizione a Palazzo Madama.»6
    Paolo Gentiloni è ancora più chiaro: «Da Commissario europeo posso dire che la riforma di cui si parla è stata fatta per introdurre un ombrello protettivo in caso di crisi bancarie non gestibili con gli strumenti attuali. Si tratta di un obiettivo positivo.»7
    Ma i due esponenti del PD, lisciando il pelo alle allarmate banche italiane che dovrebbero sentirsi “rassicurate”, sfuggono a due connessi importanti quesiti:
    1. il più ovvio: quali sono oggi in Europa le banche da salvare?
    2. il più generale: perché mai il salvataggio delle banche, su cui è imperniato il sistema finanziario europeo, assume la priorità?
    Sfuggendo al secondo quesito si dà per scontato che le banche private vadano protette “a priori” con la contribuzione degli Stati, con il sotto inteso che i rischi privati sono garantiti dal denaro pubblico. In buona sostanza, invece di “mettere i ceppi alla finanza”, affrancando da essa l'economia “reale”, come richiederebbe l'ultimo crollo finanziario e la conseguente stagnazione in atto, in virtù del loro riconfermato ruolo centrale nel sistema, è “naturale” le si debba “coprire” prima di eventuali futuri crack.
    Ma questo va nella direzione esattamente contraria all'auspicato cambiamento, richiesto dal riformismo europeo che sostiene il “restare per riformare” le istituzioni della Zona euro e dell'Unione.                                          

                                                                                                          Il MES vecchio e nuovo

    MES è l'acronimo di Meccanismo Europeo di Stabilità della Zona euro, Dal 2012 sostituisce il Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria (FESF) ed il Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria (MESF), ereditando da essi l'etichetta di Fondo salva-Stati. L'ingegneria del FESF era basata su prodotti “tossici”, simili a quelli che hanno scatenato la crisi del 2007-2008 ed alla quale si proponeva di rimediare.
    A differenza del FESF, il MES prevede il versamento di una quota di contribuzione reale, rapportata al PIL, di ciascun Paese membro, per cui l'Italia è il terzo contributore. In caso di default del Paese beneficiario del suo programma di assistenza, il Fondo è “creditore privilegiato” rispetto agli altri creditori, eventualmente secondo solo al Fondo Monetario Internazionale (FMI).
    Il MES ha un capitale autorizzato di 700 miliardi di €, di cui 80 versati dagli stati membri: i rimanenti 620 miliardi, se necessari, possono venire raccolti attraverso apposite emissioni di obbligazioni sul mercato. Le obbligazioni sino ad ora emesse dal MES sono per circa la metà collocate in Europa e, per l'altra metà, sui mercati extra-europei.
    Nel 2012, per accedere al “soccorso” del MES, il governo spagnolo ha dovuto pagare 4 miliardi di euro solo per la procedura d'avviamento e si è indebitato a tassi punitivi per costituire il capitale con cui sono stati erogati i prestiti, nella forma di obbligazioni MES o FESF, previsti per il salvataggio. In continuità con il FESF, il MES è intervenuto anche nella crisi greca. Dei 216 miliardi di euro erogati alla Grecia fino al 2016, appena il 5% è finito nelle casse di Atene. Il resto è servito a ricapitalizzare il sistema creditizio del Paese e ripagare i creditori, soprattutto le banche francesi e tedesche.
    Il MES interviene di fatto nelle decisioni di politica economica.
    Il nuovo MES prefigurato dall’Eurogruppo sviluppa strumenti di intervento più agili, “linee di credito precauzionali” capaci di garantire una copertura finanziaria minima ma efficace agli Stati disciplinati. Ma, nel contempo, afferma il principio della cosiddetta condizionalità ex-ante: se ti comporti bene, cioè se rispetti tutti i vincoli europei (austerità), sei schermato da attacchi speculativi perché hai automaticamente accesso a queste linee di credito; in caso contrario sei lasciato in balia della speculazione finanziaria internazionale.
    Il modello a cui si ispira è il Fondo Monetario Internazionale (FMI), i cui prestiti sono stati erogati in base a “condizionalità” socialmente devastanti, soprattutto per i Paesi poveri del mondo.
    In particolare il soccorso del nuovo MES è duplicato rispetto alle banche e nell'insieme assume il ruolo di una struttura parallela alla Commissione europea ed alla Banca Centrale Europea.


    Dissesti privati
    In quanto alla domanda più ovvia, si dà il caso che sul sistema finanziario tedesco non pesi affatto il dissesto statale, bensì quello privato: la Deutsche Bank ha in pancia titoli tossici “derivati” per un ammontare pari a 15-16 volte il Pil tedesco!8 E, in qualsiasi modo si vogliano calcolare i cosiddetti “titoli tossici”, le banche tedesche e francesi sono messe piuttosto male, anzi malissimo.9
    Emmanuel Macron e Angela Merkel
    Per saperlo basta sfogliare i giornali economico-finanziari degli ultimi anni.
    Alla constatazione sulle difficoltà delle banche dei Paesi centrali, si risponde che anche le banche italiane, della cui salute è lecito dubitare, potrebbero aver bisogno di una maggiore disponibilità del salva-banche del MES.
    Ma è proprio in vista di questa eventualità che la proposta di Olaf Scholz ha giocato d'anticipo, minacciando i Paesi con alto debito pubblico, Italia in primis, sulla seconda componente del “pacchetto”.
    Il discorso dell'establishment europeo è chiaro: o accettate di garantire tutte le banche private con i soldi pubblici e di confermare “qualsiasi cosa accada” il ruolo dominante della finanza, o, come Paese Italia sarete messi all'indice.
    È su questo crinale che la questione economico-sociale del primato della finanza viene a collocarsi nella crescente divergenza degli interessi nazionali e si crea il giusto “contesto” per risolvere i problemi delle banche tedesche e francesi.
    Opacità
    Alla proposta di Olaf Scholz sul “terzo pilastro” dell'Unione bancaria si è opposto Roberto Gualtieri, ministro italiano dell'Economia e delle Finanze, il quale però è favorevole alla riforma del MES, che a suo avviso non cambierebbe granché il vecchio MES, salvo raddoppiare i fondi disponibili per salvare le banche.
    Delle due l'una. Se non cambiasse granché, non esisterebbe una valida ragione per la riforma prioritaria del MES e, tantomeno, non sarebbe comprensibile il motivo per il quale Germania e Francia ci tengano così tanto a farla passare (subito). Poiché, invece, la riforma è stata fatta per offrire un “ombrello protettivo” alle banche, va detto di quali banche si tratti e quale connessione sussista tra il nuovo ruolo del MES e le restanti parti del “pacchetto”. Innanzitutto quella riguardante il completamento dell'Unione bancaria.
    Il nuovo MES estende le sue funzioni da salva-Stati a salva-banche ed il “pacchetto” viene spacchettato in un prima ed un dopo, con la minaccia tedesca sul rischio a cui sottoporre i titoli di Stato sottoscritti dai risparmiatori. Pertanto, non esiste la condizione minima di trasparenza complessiva, indispensabile a qualsivoglia democrazia della decisione.
    C'è bisogno di altro per “pensar male”?
    Alle prese con decisioni dirimenti, il dibattito italiano si nutre di mezze verità.
    Mezze verità
    Benché M5S e Lega, che diedero vita al governo Conte I, si siano ufficialmente pronunciate contro la riforma del MES, approvando a giugno una mozione parlamentare che impegnava Conte e Tria ad informare le Camere ed a non firmare accordi potenzialmente dannosi, il ministro Tria, a capo di Economia e Finanze, e lo stesso Conte, hanno sostanzialmente dato il loro “via libera”, non certo all'insaputa del parlamento, delle sue commissioni e degli altri ministri del governo, compresi i vice Salvini e Di Maio. Un via libera per cui ora il parlamento, pur disponendo dell'ultima parola per la firma definitiva, è sottoposto alla pressante scelta se “restare isolati in Europa”, “perdendo credibilità”, o sottostare.
    Sta di fatto che di recente il commissario europeo uscente Moscovici si è recato dal capo dello Stato Mattarella, per invocare il rispetto degli “impegni presi”.
    Il percorso seguito dal Conte I non è dissimile da quello del Conte II, stante l'adesione delle relative forze di maggioranza alla linea di migliorare l'Eurozona e l'Ue. Unica differenza: il PD (e Italia Viva) erano già su questa linea, quando, invece, il M5S e la Lega si dicevano euroscettici e per l'uscita dall'euro. Inoltre, non va trascurato il ruolo di quello che ho chiamato il “terzo partito” nella defunta coalizione giallo-verde, capeggiato dal Presidente Mattarella ed attestato sull'azione garante dei trattati dell'allora ministro Tria. Questi si è subito associato alla richiesta di Moscovici, col beneplacito del premier Conte, al quale la riforma del MES appare oggi “digeribile” se attuata in un concordato “pacchetto”.
    Sul tema del MES Salvini ha ripetuto il metodo sperimentato quando si trattò di votare a Bruxelles per la elezione di Ursula von der Leyen a capo della Commissione europea. Dopo aver dato il proprio assenso, che comprendeva la nomina di un esponente della Lega nella Commissione europea, all'ultimo momento ha denunciato l'accordo, lasciando il M5S col cerino in mano.10
    Salvini fa a gara con Meloni nel riesumare un nazionalismo della peggior specie gridando all“Italia tradita”, un Leitmotiv ormai centenario. Lo spazio politico gli è fornito non tanto dal comportamento di Conte, sul quale mente ed è stato smentito, come s'è appurato in parlamento il 2 dicembre, quanto dalle inevitabili conseguenze derivanti dalla concreta pratica del percorso riformista dell'Eurozona, cuore dell'Unione: il riproporsi della questione nazionale, in sovrapposizione alle esigenze irrinunciabili del nostro Paese di far fronte alla sua crisi, ingabbiato dalle regole europee in materia di spese per investimenti e di bilancio.
    Prescindendo dalla querelle tra Conte e Salvini, che ha riempito i mass-media, constatiamo che tra le forze della maggioranza del presente governo si è determinata una divergenza, temporaneamente tamponata con la richiesta di concordare l'intero “pacchetto”: PD ed Italia Viva sono favorevoli a firmare la riforma del MES; M5S e LeU contro.
    Tra le fila di queste ultime forze spiccano le posizioni più lucide di Alessandro Di Battista e Stefano Fassina, nelle quali è presente il nesso tra questione sociale e questione nazionale che il MES pesantemente coinvolge.
    Tra sociale e nazionale
    La riforma del MES acuisce la perdita di sovranità nazionale economica e monetaria, posta in capo ai trattati, al mercato unico ed alla moneta unica:
    • rafforza il dominio della finanza, delle banche e delle multinazionali finanziarizzate nel contesto liberista, a detrimento dell'economia “reale”, imperniata sulle piccole e medie imprese;
    • impedisce una politica economica pubblica espansiva di grandi investimenti, necessari a fronteggiare il declino industriale, effettuare la riconversione verso una economia verde ed il riassesto del territorio e delle sue infrastrutture;
    • riconferma la concorrenza salariale al ribasso che peggiora le condizioni dei lavoratori, la qualità dei posti di lavoro, diffonde precariato e disoccupazione, contribuendo all'ulteriore deperimento del welfare;
    • disgrega le società nazionali ed aumenta le distanze tra Paesi della Zona euro e dell'Unione, invece della promessa “integrazione”.
    Lega e Fratelli d'Italia hanno gioco facile ad inserirsi nelle contraddizioni governative, dal momento che la stessa linea di “restare per riformare” l'Eurozona e l'Unione è così pesantemente smentita dai fatti. Salvini e Meloni possono sfruttare il malcontento sociale, riconducendolo al nazionalismo più retrivo.
    Qualora il M5S e LeU non tenessero ferma la loro posizione, sia sul MES che sul “pacchetto”, il campo sarà sempre più dominato da un lato dagli europeisti ad oltranza che cedono sovranità democratica e nazionale, dall'altro, dal sovranismo di stampo nazionalistico e fascistizzante.
    Una prospettiva scongiurabile solo collegando la generale lotta al liberismo alla ripresa della sovranità nazionale costituzionale, ambito nella quale è possibile esercitare la democrazia a difesa della società.
    Allo stato attuale gli uni sono liberisti quanto gli altri. I Dem ed Italia Viva in fedeltà all'Europa liberista dei trattati sovra-nazionali. Lega-Fd'I-FI perché vogliono la flat tax, hanno in odio lo Stato sociale e minime misure come il reddito di cittadinanza, contro il quale anche Italia Viva concorda.
    Tutti insieme si sono schierati a favore dei “prenditori” delle concessioni autostradali e del TAV, il partito unico del Pil e del cemento che ha ridotto il Paese nelle condizioni in cui si trova.
    Firmare la riforma del MES così com'è, magari in presenza di qualche rassicurazione formale sul futuro restante “pacchetto”, equivale ad offrire a Salvini ed alla Meloni una solida carta vincente. Poi, ci si chiede desolati perché mai, con la loro demagogia nazionalistica ed i loro tanto deprecati “toni forti”, “politicamente scorretti”, prevalgano nei sondaggi elettorali.
    Non sarà il bon ton a salvarci.
    Viene in mente la famosa parabola dell'economista americano Arthur Okun, che Federico Caffé interpretò in chiave euro: «Se ci si imbarca con un leone, occorre munirsi di parecchie pecore.»
    Il leone è la Germania, fate voi chi sono le pecore.                                                   Note                      
    1 Quando, in una situazione di crisi, a fronte di una richiesta di liquidità enorme, alla quale nessun altro soggetto può rispondere, il prestatore interviene, appunto, in ultima istanza. Negli Stati Uniti questa funzione è svolta dalla Fed, nell'ambito di uno Stato Federale.
    2 Deficit non superiore al 3% del Pil; debito pubblico sotto il 60% del Pil.
    3 Barbara Spinelli, “I rischi sui debiti e i lati oscuri del 'salva Stati'”, Il Fatto Quotidiano, 4 dicembre 2019.
    4 Scholz ha perso la gara per la segreteria del Partito socialdemocratico tedesco (SPD), sconfitto da Saskia Esken e Norbert Walter-Borjans, considerati più a sinistra.
    5 Il rating è una classificazione di affidabilità del debito operata da agenzie internazionali; è accompagnato da un previsione (l'outlook) sul suo andamento nel medio-lungo termine.
    7 Paolo Valentino, intervista a Paolo Gentiloni, Corriere della Sera, 1 dicembre 2019.
    10 Quello di Salvini è un metodo. Rimprovera al ministero dei Trasporti di essere inerte di fronte ai disastri delle rete autostradale, “dimenticando” che fu la Lega ad opporsi alla revoca delle concessioni ai Benetton all'indomani del crollo del ponte Morandi, senza la quale al ministero è impedito ogni intervento diretto. Ragione per cui oggi, sui lavori di messa in sicurezza, può prendere provvedimenti solo la magistratura.

Nessun commento:

Posta un commento